giovedì 26 dicembre 2019

Questa non è una vicenda dell'albergo. 

Ma comincia una mattina, dal mio rientro a casa dopo un turno di notte.

Perchè, salutate le donne di casa, mie signore e padrone, che partono per i rispettivi luoghi di lavoro e studio, mi metto a domire commettendo un fatale errore: lasciare socchiusa la porta di camera.

E non passano pochi secondi, dal mio rannicchiarmi al calduccio sotto le coperte, devastato dalla stanchezza e in rapidissimo approccio al sonno del giusto, che sento saltarmi sopra, sbucato da sotto il letto, l'essere malefico. Il mio nuovo nemico mortale. Il mostro peloso.

Si chiama Ray.

Preparatevi un caffeino. E' lunga.

 

A parte un paio di pesci rossi, di cui peraltro ho tenerissimi ricordi, non ho mai avuto altri animali domestici.

Mio padre, da cacciatore toscano, avrebbe sempre desiderato un cane, ma nel minuscolo appartamento fiorentino non avevamo spazio per un 4 zampe desideroso di corse frenetiche e liberatori latrati. Perfetti in ambito venatorio, come è possibile in un bosco, ad esempio. Quella che, in montagna, è della "Canizza". Ma totalmente fuori luogo nella giungla di cemento.

La Sara, quando stava con i suoi a Pistoia, aveva Mao. Una gatta. Per qualche giorno questo astruso esemplare di mammifero venne anche a casa nostra, quando i miei suoceri dovevano assentarsi per qualche giorno dalla Toscana. Ovviamente, prima che ci venisse l'assurda idea di circondarci di bambine -e mettermi così in totale ed eterna minoranza- mi toccava di tenere la sala giochi totalmente sigillata; perchè quella che sarebbe diventata la camera delle ragazze era, all'epoca gioiosa della convivenza, la "war room" dove tenevo apparecchiati i tavoli per World in Flames, con le mappe strapiene delle pedine necessarie a riprodurre la guerra mondiale. Non potevo assolutamente permettere che questo essere gattoso saltasse sulle mappe e scombinasse l'intero fronte russo (possono essere 200 pedine. Per parte).

La nascita della Camilla mi fece capire che, per quanto riguarda i giochi "campagna", avrei giocato in un altro momento. Tipo mai.

Quindi volevo evitare di tenere un animale domestico a cui si è costretti a pulire il cesso, come già dai tempi degli antichi egizi. I quali, e per me rimane un mistero assoluto, li idolatravano. Io sono più medievalista: lo gatto est lo simbolo de lo demonio.

Poi è arrivata l'estate.

Per evitare la devastante canicola fiorentina, Camilla e Gaia vanno a trascorrere un mese dai miei a Cetica, ridente villaggio sui monti del Pratomagno, 60 chilometri da Firenze. Già feudo dei Conti Guidi, il partito Comunista vi prendeva il 96% (beccati questo, Reggio Emilia), è leader mondiale nella produzione di farina di castagne e alcuni dei suoi abitanti potrebbero rivaleggiare, in quanto a grettezza, coi bifolchi di "un tranquillo weekend di paura". Ma d'estate è una meraviglia.

Le ragazze, fin dalla tenerissima età, hanno l'abitudine alla passeggiata verso l'ovile di mio zio -niente ha devastato le giovani menti italiche degli anime nipponici sulle dolci montanare svizzere- sennonchè odono un flebile miagolio provenire dal fienile.

E ci trovano questo mostriciattolo.

Sporco, incapace di muoversi e con un occhio chiaramente infetto e gonfio come una biglia. Appare evidente che la madre, constatato che era troppo debole, avesse deciso di abbandonarlo per dedicarsi ai cuccioli forti e con maggiori probabilità di sopravvivenza. La natura può essere tremendamente crudele. E i miei zii e cugini non ci badano molto: in campagna la preferenza è sempre verso ovini, leporidi e gallinacei.

Le ragazze decidono di portare il mostriciattolo a casa. La nonna paterna provvede con acqua borica per pulirlo bene e disinfettarlo, oltre ad latte in polvere per gatti e siringa per alimentarlo. Vista la sua cecità, la Sara -e chi altri?- lo battezza Ray. Lui decide di resettare il sistema: "insert coin" e riparte con una delle tante vite gattesche. A dispetto del nome, recupera la vista da un occhio e gli si sgonfia quello infetto, benchè probabilmente non ci veda in maniera chiara, tutt'ora opaco.

Malgrado le mie vivaci proteste, la serrata violenta modello gilet giallo -ho gettato una cartaccia per terra- aver sbattuto i piedi e trattenuto il fiato forte forte forte, Ray è stato portato a Firenze.

Superfluo dire che tra me e lui è guerra.

A parte il monopolio delle attenzioni, che già in questa casa mi poneva al quarto posto e ora relegato al quinto, fuori anche dall'Europa League come la Fiorentina (sigh), con lui nel mezzo non riesco a fare niente.

Devo pulire, e lui mi saltella intorno dando zampate al cencio e pesticciando allegramente il pavimento bagnato. Monta su qualsiasi cosa alta come prima di lui facevano i professori di letteratura quando dovevano vedere le cose da un'altra prospettiva. Rimetto a posto la biancheria nei cassetti, e lui si infila dentro. Devo caricare la lavatrice, e lui salta nell'oblò a curiosare, manco fosse un lander della Nasa, un giorno ce lo chiudo e faccio partire la centrifuga.

Soprattutto, mi ha preso di mira.

La mia grande passione è, quando ho qualche minuto di riposo, la lettura. E quindi mi appoggio sul letto, cuscini dietro la testa, copertina sulle gambe e libro. Finalmente solo, dedito alla mia grande, unica, vera passione: leggere. Che sia un tomo storico di 700 pagine, o un romanzucolo svedese colmo di gente che muore malissimo, o il regolamento di un gioco da tavolo, io devo leggere.

Ma arriva lui.

E salta su. Proprio sui preziosi, benchè orami usati e quindi in teoria definitivamente inutili, "gioielli di famiglia".

E poi mi costringe a carezzarlo. Mi arriva proprio sotto al naso pretendendo le mie mani e producendo quello strano suono da "c'è un rumorino che proviene dal motore, portiamo l'auto a fare la revisione o è meglio se la rottamiamo?". Ma lui non posso rottamarlo, mi è impedito. E le carezze sono un pretesto per distrarmi, tenermi occupato, impedirmi il giusto relax. Vuole portarmi allo sfinimento, li sento i suoi miagolii, fuori dalla porta, quando devo dormire dopo il turno di notte. Egli è il mio nemico mortale. Ma non vincerà. Resistenza.

Al di là di questa eterna lotta tra me e Ray, non posso non essere profondamente contento delle cure applicate dalle ragazze e del suo salvataggio da morte certa. Volendo è un pò una piccola storia di Natale, benchè avvenuta in estate. A 6 mesi d'età, il mostriciattolo è più che mai vivo e vegeto: salta sui miei preziosissimi vinili e ha preso possesso di tutto, soprattutto le copertine del divano, che mi erano tanto care.

Ma non posso dimenticare la frase, pronunciata in questa casa pochi giorni fa, che affermava come "Dobbiamo fare il regalo di Natale a Ray. Ah, e poi, se proprio dobbiamo, anche a babbo". Sento quasi la mancanza degli indiani che scendono dalla camera reclamando "hot uotaaa".

Se continua così, credo che riscoprirò la cucina vicentina.
 




martedì 17 dicembre 2019

Lee Marvin.

Uguale, spiccicato. Stesso muso allungato, stesse guance scavate. Sembra in tutto e per tutto l'attore, preso pari pari da filmoni di guerra come il Grande Uno Rosso e portato nella Firenze attuale. Mi aspetto quasi che entri anche il vecchio Duke.

Bella espressione sorridente e serena, sia lui che la moglie, coppia 70enne.

Arrivano per il check-in, e, come sempre in questi casi, gli chiedo i passaporti per la registrazione.

Mi dà, invece, la carta di credito.

Questi clienti così svagati, con la testa perennemente tra le nuvole, sono fantastici, e lo dico senza ironia. Sono i migliori, i più sereni. I più rilassati.

Pazientemente, con un bel sorrisone, gli spiego che la camera l'hanno già pagata in fase di prenotazione, e non ho bisogno della carta di credito. Mi devono solo dare i passaporti per la registrazione.

Apro i documenti.

Adoro la scritta che leggo sulla pagina accanto a quella dei dati. Dice tutto sulla determinazione di un popolo, sulla loro volontà di libertà ed indipendenza.

We, the people.

Registro e gli chiedo di firmare la normativa della privacy. Che per loro può essere chissà cosa, ma neanche ci badano. Sorridono e si lanciano sguardi d'intesa che m'aspetto esca fuori Frank Capra a dire "Stop, buona la prima". Poi gli do' una piantina della città a cui fornisco le dovute spiegazioni su dove ci troviamo e dove si trovano tutti i monumenti e musei principali.

Mi ascoltano adoranti. Non mi interrompono neanche un secondo, e li tengo lì per un buon quarto d'ora. La maggior parte dei clienti non ci sta, non ha questa pazienza. Mi interrompe in continuazione con domande sciocche o banali tipo "avete il wifi" o "dov'è il centro commerciale". Loro no, loro ascoltano. Soprattutto dove si trovano gli Uffizi. Come fare ad arrivarci.

Agli americani, quando sono così, perdono tutto. Pure l'adesione al GOP e l'aver eletto presidente palla di lardo.

Salgono in camera e ne escono dopo 10 minuti per andare agli Uffizi, ma non fanno a tempo ad uscire che mi richiedono la chiave.

Lei gli dice: -Il golfino è rimasto nella mia valigia-

E lui schizza su per le scale per andare a prendergli il golfino.

Ha più di 70 anni e sale gli scalini a tre a tre. Se ci provo io, mi ritrovo al cto di Careggi.

La signora mi guarda con l'espressione felice della Hepburn quando entra da Tiffany. Si accorge di essere osservata e mi dice: -Così tanti anni ed è ancora così gentile con me. Mi fa sentire sempre come una regina-

E quando lui scende, lei lo bacia ed escono, mano nella mano.

We, the people. Ma per qualcuno vale ancora il God save the Queen.

Una queen tutta sua. Unica. Personale. 

Questo lavoro, a volte, ha un che di poetico.