mercoledì 29 luglio 2020

Tutte le estati ci concediamo la giornata picnic, su in Pratomagno.

Cerchiamo sempre di andarci nei giorni infrasettimanali, ma causa pioggia, ci siamo andati sabato. Come immaginavamo, c'era un buon numero di persone.

Potrei polemizzare sugli assembramenti, in particolare la zona barbecue, presa in esclusiva da una ventina di ragazzi che si erano addirittura apparecchiati davanti al fuoco, e parevano pure scocciati quando altre persone si sono presentate lì reclamando la loro giusta parte di griglia. Ma lasciamo perdere. Ah, mascherine zero. Al massimo erano portate sul braccio.

Noi siamo stati previdenti: pane da tagliare e farcire con roba già pronta, posta nel contenitore-frigo. Ci siamo trovati un tavolino in un angolo ombreggiato e abbiamo mangiato. Poi pennica sul prato, al sole.

Ma poco dopo arrivano i fannulloni che mangiano a sbafo.

Alcuni sono marroni, altri proprio neri come la pece.

Cavalli.

La gente accorre perchè sono mansueti, ci sono anche alcuni puledri, e subito si cercano di fare i selfie, come se i quadrupedi capissero i gusti dei bipedi e si mettessero in posa.

Io sto sbucciando una mela da dare alle ragazze, quando uno di questi animali si avvicina.

-Vuoi le bucce della mela? Toh, prendi-

Grosso, ingenuo, fatale errore.

Perchè l'equino non si accontenta. Finite le bucce, mi segue. E si fionda al nostro tavolo.

La Gaia va nel panico e mi urla "Babbo, andiamo via!" mentre getta roba, alla rinfusa, nel contenitore. Io invece rimango come paralizzato dalla scena: benchè privo di pollice opponibile, il quadrupede addenta un sacchetto di plastica trasparente, lo agita facendone uscire l'ultima mela rimasta, sputa la plastica e gnam, si mangia la mela.

Dopo aver finito di devastare il tavolo -devo letteralmente strappargli un coltello di bocca, e lo stupido equino mi sbava pure ovunque- si dirige verso un altro tavolo, ben imbandito con stoviglie di plastica. E con lui, altri cavalli, alla ricerca di nuove, inaspettate fonti di cibo.

Dopo pochi minuti, hanno rovesciato tutto, mentre i ragazzi a quel tavolo tentano di salvare il salvabile.

La cosa positiva è che stiamo ridendo come matti. Tutti a portare via più cose possibili dalle bocche bavose di queste bestiaccie, ma comunque prendendola sul ridere. Non è che si possa fare altrimenti. Non lo si ferma, un quadrupede di un paio di quintali, se decide di andare in un determinato luogo. Tanto vale non prendersela e riderci su.

Cavallo goloso. E anche mangiatore a sbafo.


venerdì 24 luglio 2020

I montanari di quassù, prima che arrivasse la modernità, erano persone semplici. Duri, lavoratori, resi indomiti dalle asprezze del posto, anche allegri per la gioia di vivere in un luogo così speciale come solo le foreste casentinesi sanno essere, ma comunque semplici. Una semplicità che spesso sfociava nell'ingenuità.

Uno di costoro, moltissimi anni addietro, aveva imparato a leggere e scrivere. Si era appassionato in particolare ai grandi classici. Tant'è che ai 3 figli, tutti maschi, aveva assegnato gli impegnativi nomi di Omero, Virgilio e Dante.

Aveva sposato una ragazza del luogo. Una brava donna onesta e lavoratrice, ma molto semplice. Come la maggioranza dei compaesani, non sapeva leggere e scrivere. L'anomalia, se proprio dobbiamo trovarne una, era lui.

Dopo aver lavorato tutta l'estate al proprio podere e raccolto una discreta quantità di patate messe in cantina, il luogo più fresco della casa, e protette da dei teli, l'uomo aveva trovato un impiego stagionale in Maremma. Capitava spesso che, nella stagione invernale, quando in montagna si resta dentro casa, coccolati dal caldo del camino, molti montanari trovassero un lavoro nelle pianure: pastori, carbonai e "pinottolai", cioè raccattatori di pine per estrarne i pinoli.

Prima di partire, va alla bottega del paese per aprire un "conto" a favore della moglie. Come si faceva una volta, quando si diceva "segna" al negoziante. E poi saldare più in là, quando si riscuoteva il salario. Lui sarebbe passato a saldare quello che la moglie avrebbe preso. Comincia proprio lui, prendendo un bottiglione d'olio extravergine. La bottegaia segna sull'agenda. Lui porta la bottiglia a casa, saluta la famiglia e parte.

Quando torna in paese, al termine della stagione lavorativa,  passa subito dalla bottega, visto che la corriera ferma proprio lì davanti. Per saldare il conto. Ma la bottegaia lo informa che, a parte quel bottiglione d'olio preso da lui, non c'è nient'altro da pagare: la moglie non è mai venuta in bottega.

Lui rimane sorpreso. Poi gli viene un sospetto. Paga l'olio, corre a casa e trova che la famiglia è decisamente più paffutella. Di una ciccina morbida e tenera. Tipica di chi si è nutrito, per mesi, di sole patate. Avendo la cantina colma dei dolci tuberi, la donna, nella sua semplicità, non riteneva necessario acquistare cibo diverso e variare la dieta: per tutto quel tempo, per sè e i figli, aveva cucinato solo ed esclusivamente patate.

Però condite con ottimo olio extravergine.

mercoledì 22 luglio 2020

-Ma cos....

-Miao, coccole.

-No, senti, ho voglia di leggere e...

-Purr purr.

-Ma io...

-Ho detto "purr purr"! Lo capisci, bipede? La senti la mia testolina che cerca la tua mano? Non ci sei mai, stai sempre in quel campo...

-L'orto. Strappo le erbacce. Questa mano pole essè fero o pole essè...

-Ecco, bravo, voglio la piuma. Purr purr, così, uno accanto all'altro. Non sei contento?

-No. Una volta, accanto a me nel letto, ci volevano stare le bipedi umane, non i quadrupedi felini....


martedì 21 luglio 2020

Cronache del portiere d'albergo in riposo forzato.

Il bosco ha una caratteristica speciale, unica, particolare.

Ovatta il suono.

In città non avviene. I suoi rumori assordanti come i clacson, i rombi dei bus, i treni che frenano all'entrata della stazione, i martelli pneumatici che aprono il selciato, ti arrivano alle orecchie anche a chilometri, amplificati dai muri dei palazzi.

Nel bosco non succede. Nel bosco cammini in una bolla di pochi metri di diametro.

Certo, in quei metri all'interno della bolla, si riesce a udire suoni nuovi, particolari: insetti che circolano attorno a te, le fronde degli alberi mosse dal vento, animaletti struscianti che filano nel sottobosco al tuo passaggio, il calpestio dei tuoi passi sul ghiaino della strada bianca, uccellini che cinguettano richiami d'amore, beati loro che gli basta quello, a parte costruire un nido con rametti sbavandoci sopra.

Ma basta girare una curva che si comincia a sentire, in lontananza, un suono acuto e costante: il torrente Solano, maggior affluente dell'Arno di questa parte del Casentino. Che si snoda tortuoso nella valle che si è scavato nel corso di milioni di anni.

Decido di andarci. Ho bisogno di sentire il frastuono della "chiare, fresche et dolci acque". E più mi avvicino, percorrendo un sentiero che il Cai si rifiuta assolutamente di segnare, più il rumore aumenta d'intensità. Alla fine c'è un discreto, e piacevole, frastuono.

Potrei guadare e proseguire nel sentiero sull'altro versante della vallata, decisamente più selvaggio che non questo, ma decido, d'impulso, di inoltrarmi nel torrente. Lo facevo con un amico, 36 anni fa. Ne avevamo 14, saltavamo come stambecchi da una roccia all'altra discendendo tutta la vallata. Lo chiamavamo "fiume Trophy", ma mi rendo conto presto che, a causa di quel malefico impiccio detto "fisico che perde colpi", ho grandi difficoltà a rifare le gesta di 36 anni fa. Pur avendo degli scarponi da trekking, rischio continuamente la rovinosa caduta. E sono sudato fradicio.

Dopo un'era geologica e una fatica di Sisifo arrivo alla mia meta: una grande, immensa, gigantesca roccia che degrada dolcemente verso il torrente, a formare una pozza. 36 anni fa mi pareva enorme, in realtà è poco più grande di altre dello stesso fiumiciattolo. Ma è un luogo che ha del magico. E ci si arriva solo dal torrente. Non ci sono sentieri.
Seduto su un piccolo rientro delle rocce che sembra scavato apposta per le mie delicate chiappe, mi godo una frescura incredibile e meravigliosa. 

Come si fa a descrivere un luogo così? Se uno si rilassa, neanche lo sente, il frastuono dell'acqua che scorre. Non ci si accorge nemmeno della durezza della roccia -uso la felpa, comunque- dalla pace interiore che prende. È magico, ecco. È un relax totale, assoluto, immenso. Scatto una foto, poi estraggo dallo zaino un libro e leggo un paio di capitoli. Che scorrono via rapidi e leggeri. 
Ci sono persone che si rilassano solo su spiagge arroventate dal sole. Oppure lanciandosi da ponti -o da un piazzale milanese- con una corda legata ai piedi. O ancora distendendosi sul divano a guardare il pallone. 
Io ho questa roccia che entra nel Solano.
E i piedi a mollo in un'acqua così gelida che non mi meraviglierei di vedere scorrere giù la zattera di Rose e Jack.

Ci passo quasi un'ora. Ma una delle ore più belle di sempre.

Tutti dovrebbero avere, a disposizione di quando in quando, di un luogo magico e tutto personale dove rilassarsi.