venerdì 29 aprile 2016


Paranoia

E’ inutile girarci intorno. La paranoia è un problema. Evidente, chiaro, palese.

Ora, quando si soffre di un problema, ammetterlo è il primo passo. Alzarsi in piedi e dire "Buongiorno, io sono John" "Buongiorno John" "Ho un problema".

Il guaio è che il paranoico non ammetterà mai di avere un problema. Un alcolista lo può fare. Un drogato. Un cleptomane. Il paranoico no. Lui ha un nemico.

Il problema se lo becca il portiere.

Turno di notte. Tanto per cambiare.

It’s my life, cantava Bon Jovi.

Il turno di notte, in albergo, funziona così: si lavora, duramente, per 4-5 ore.

Poi, indipendentemente da quanta caffeina uno ingurgita, o si spara direttamente in endovena, si crolla.

Non ci sono cazzi. Crolli. Ti si mette a sedere nel retro, sulla poltroncina del capo ricevimento (quella più comoda), stendi le gambe e vai in catalessi. Appoggi il mento sul palmo della mano e tenti un disperato, quanto inutile, riposo. Sempre comunque vigile, perché un cliente può scendere al bancone; o rientrare da una notte brava. E perchè dormire seduti è, sigh, come il comunismo: pura utopia (il sigh vale sia per il dormire che per il comunismo).

Mi trovavo dunque in questa posizione, 4 o 5 del mattino, quando qualcuno tenta, disperatamente di aprire la porta d’ingresso.

Mi alzo, dapprima lemme e tentando un disperato quanto futile tentativo di sgranchire le gambe, che interrompo perché il qualcuno sta tentando sempre più furiosamente di aprire.

Mi muovo, di corsa, perché per quanto costui tenti, la porta non si aprirà in quanto chiusa a chiave. Tira, sbatte, comincia addirittura a scalciare. E parte anche ad urlare.

Ma che caz….

Come mi vede accorrere, il matto mostra la tesserina della camera, urlando un "open, open!" E’ un cliente, su questo sono sicuro. Apriamo e sentiamo che gli piglia.

Quasi mi travolge, nel lanciarsi all’interno.

"Chiudi, chiudi subito!" mi spara modello sergente Hartmann. Ok, ok, non ci scaldiamo, chiudo. Ma non faccio a tempo a chiedergli che gli succede che mi spara il suo ordine perentorio:

-Chiama la polizia!-

-Eh? Cosa?-

-Chiama subito la polizia!-

-No, ora si calma e mi dice che le succede-

E qui mi dice queste incredibili, stupefacenti parole:

-La mafia russa mi sta seguendo-

….

Mi giro intorno, guardo verso l’esterno, dalla porta a vetri.

Nessuno che gira per la via. Neanche Ulisse.

-No, senta, qui non c’è nessuno, siamo chiusi a chiave qui dentr…-

-Ti dico che mi stanno seguendo, chiama subito-

Ok, questo ha dato fastidio a qualcuno. Magari ha dato uno sguardo di troppo ad una tipa e gli amichetti di costei lo hanno spaventato un po' seguendolo. Con la fauna che gira nottetempo in città, è possibilissimo. La sola spiegazione plausibile. O forse è proprio lui che è matto.

-Ha detto qualcosa che non doveva a qualcuno?-

-Non lo so, so solo che mi stavano seguendo-

-Beh, ora è al sicuro, siamo chiusi dentro-

-Ma possono arrivare qui, chiami la po….-

-Lei sparisca su per le scale ed andrà tutto bene -

-Ma mi aspetteranno fuori- (mi sembra d’essere tornato a scuola quando ci si minacciava compagni di classe "T’aspetto fori e ti stronco di botte!")

E’ chiaro che la polizia, con un tipo del genere, non la chiamo. Oltretutto ‘sto matto se ne stava in mezzo alla hall, ben visibile dalla vetrata, invece che infilarsi dietro qualche angolo non visibile dall’esterno. E lì, provo a dirglielo. Ed a lui, il ragionamento non torna. Perché è paranoico. Per lui la soluzione sono gli uomini in divisa, perché mi interrompe e mi spara questo urlaccio:

-CALL THE FUCKIN’ POLICE!!!-

….

Credo di aver fatto in salto indietro di mezzo metro. Scosso dal sonno imperante, e dall’urlo belluino, a bocca aperta come una spigola sul banco del pesce, resto lì per un paio di secondi, mentre lui continua ad ansimare come un mantice per la tensione e la corsa in mezzo al centro di Firenze. Ne ho abbastanza. Alzo il braccio ed indico le scale.

-Fila su e chiuditi in camera! Muoviti!-

Ci pensa qualche secondo, poi schizza su che batterebbe anche Usain Bolt.

Mi giro. La strada è sempre la stessa. Vuota. E per la via dove lavoro, è pure un evento, anche a quell’ora.

Pensate sia finita qui? Magari.

Mi rimetto nel retro per vedere se c’era altro lavoro da fare (non c’era. Da bravo soldatino avevo fatto tutto presto), poi, quando la luce comincia a fare capolino in città e la ragazza delle colazioni è già arrivata, squilla il telefono.

Mi si qualifica come la madre del matto, che l’ha chiamata informandola che la mafia russa (!!! E perché non al quaeda? O gli illuminati?) lo sta cercando, e la persona al ricevimento non ha voluto chiamare la polizia.

-Signora, sono io quello che non ha chiamato la polizia. Suo figlio ha un problema personale. Nessuno lo ha cercato. Secondo me ha dato fastidio a qualche immigrato, e costui lo ha spaventato seguendolo per un po'. E’ chiuso in camera al sicuro, a nessuno verrà in mente di cercarlo qui-
-Ma potrebbero cercarlo alla stazione, oggi deve partire per …. (non ricordo dove, ma è significativo che, se proprio lo cercavano, sua madre mi venga a dare questa informazione che potrebbe finire ai suoi presunti nemici insomma, ho un mutuo da pagare, ed i mafiosi russi potrebbero pagare bene)-


Ma a quel punto, visto che mi stavo stufando di questa follia, gli fornisco la soluzione.

-Senta, in città ci sono altre due stazioni. Suo figlio oggi parte. Prende un taxi e si fa portare ad un’altra stazione. Prende il primo treno e non ci pensa più-

-E se lo cercano anche lì?-

-Non credo si mettano a cercarlo in tutte le stazioni della città. Sicuro che non lo trova nessuno. Taxi, treno e via-

-E’ sicuro?-

-Al 100%, è il posto migliore per scappare (giuro, gi ho detto così: best place to getaway)-

Non coglie la citazione. Mi chiede di scrivergli il nome della stazione (Campo di Marte) e darla al figlio, poi gli passo la chiamata in camera.

Dopo poco lascio la comunicazione del matto alla collega del giorno, che non ci voleva credere, e me ne vado a casa, al giusto riposo.

Una bella dormita tranquilla e serena.

Tanto, quello ricercato dalla mafia russa non ero mica io.

venerdì 22 aprile 2016

Sono di Firenze. Non posso negare la mia natura, il mio essere, il mio spropositato orgoglio. Sono fatto così. Accettatemi come tale. No, non in senso letterale, grazie.

Il mio ex direttore scrisse sulla pratica di una prenotazione, in proposito: gobbo, dare camera brutta.

Come dice Steven King: a volte ritornano.

 

 

Essere tutti e 4 assieme, la sera a casa nostra, è un evento raro, se non unico. Difficile avvenga per cena. Praticamente mai a pranzo, neanche nei fine settimana. Perchè tra scuola e lavoro, almeno uno o due elementi sono assenti.

-Papà, perchè parlano di questo Baggio? E' morto?-

Mia figlia grande ha il terrore delle persone che parlano in tv. Teme che si tratti di un coccodrillo, come gli ho insegnato si chiama il servizio, o colonna del giornale, che parla delle persone morte.

Disteso sul divano accanto a lei, con un buon libro sulle ginocchia ed un bicchiere di Porto in mano, giro la testa e le rivolgo lo sguardo assassino.

-Smetti di chiamarmi papà. Siamo di Firenze, perciò impara i termini del mondo civilizzato: babbo. Io sono il babbo. Qualsiasi altro termine o parola conduce fuori da quella porta, considerati avvertita-

-Ma certo papà- e ride di gusto. Ragazzaccia -Ma non è morto, vero?-

-No, è vivo. E' solo il suo compleanno- Interviene la mia signora -Il tuo babbo l'ha anche visto giocare, è stato uno dei più forti-

-Davvero?-

-Finchè era a Firenze, si. Poi ha cambiato squadra, ed ha sbagliato un rigore nel '94. Tiè!-

-Ma dai, Marce!-

-Ma perchè? Ditemi, sono curiosa-

-Vedi Cami, il babbo non è contento perchè questo Baggio andò a giocare in un'altra squadra-

-Ah, la j...-

-Silenzio! Non pronunciare quel nome. In questa casa è verboten. Proibito come l'alcool durante il proibizionismo. Anche quella lettera assume connotati altamente negativi. Ti permetto solo di pronunciarla nella versione spagnola, la Jota, o quella yankee, la "Gei"-

-Senti babbo, ti piacerebbe andare a vedere una partita di calcio?-

-Mi piacerebbero tante cose, Cami, ma noi lavoriamo il fine settimana. Quando posso, preferisco stare con voi e la mamma-

-E giocare con i tuoi amici-

-Ecco, brava: una volta a settimana, preferisco quello. Mercoledì scorso abbiamo giocato a Zhanguo, un giocone sulla Cina pre imperiale dove...-

-E sei arrivato ultimo!- All'unisono. Tutte e tre. Stronzette.

-Voi volete proprio finire fuori di casa, eh!-

-No, sono io che ti rimando da tua madre- Quella meraviglia di mia moglie conosce fin troppo bene i miei punti deboli. Per quanto mia madre sia la migliore cuoca del mondo (è vero. Non perchè è mia madre. E' un dato di fatto) l'idea di tornare a vivere con lei e le sue premure mi fa tremare i polsi "Bevi lo yogurtino, ti fa bene" "Non mi piace!" "Bevilo lo stesso. Ed anche un bel bicchiere d'acqua" "Me ne hai dati due pochi minuti fa, tra poco mi spuntano le branchie" "Bevilo lo stesso, ti fa bene".

Tocca sopportare queste 3 donne.

-Ma se ti capita una domenica libera, mi porti allo stadio?-

Non sono tanto convinto che a mia figlia possa piacere il calcio. La Sara insiste affinchè ce la porti perchè per la sua bambina (11 anni e 150 cm) è importante provare cose nuove, ma io rimango convinto che si annoierebbe a morte. Poi vorrei evitare quel che accadde a mio suocero e suo figlio. Nella famiglia di mia moglie è un aneddoto celebre: mio suocero, quando il fratello della Sara aveva più o meno l'età della Camilla oggi, decise di portarlo allo stadio, a vedere una partita. Poichè pensava che a Firenze potessero esserci problemi a causa dell'animosità della tifoseria locale con praticamente qualsiasi altra tifoseria italana, decise di portarlo al Melani (lo stadio di Pistoia) a vedere "l'Olandesina", come viene affettuosamente chiamata la Pistoiese per il color arancione della maglia, come quello della nazionale olandese. Pensava, forse neanche a torto, che una partita di serie C sarebbe stata molto più tranquilla di una di A.

Il problema è che mio suocero capitò al Melani quando si giocava Pistoiese-Prato.

In confronto, le partite tra noi Viola e coloro-che-non-possono-essere-nominati sono riunioni tra mature carampane inglesi in procinto di mangiare tè e pasticcini, e sparlare alle spalle di Lady Chatterly.

Terrorizzato da cariche di celerini presenti nei dintorni dello stadio in quantità industriali, quello che sarebbe diventato mio cognato sviluppò un discreto disinteresse per il calcio. Cosa che, in fondo, non è poi tanto sbagliata, se uno pensa alle delusioni che si provano a tifare una squadra come questa.

Ad ogni modo, a fine serata e prima di mettersi a nanna, concordammo con le ragazze che, prima o poi, l'avremmo portate a vedere uno spettacolo sportivo dal vivo. Anche se non molto volentieri da parte mia, perchè se si è tutti e 4 liberi si preferisce di gran lunga fare una gita all'aperto.

Per il calcio invece, da quando lavoro in albergo, ho definitivamente perso ogni speranza di tornare a vedere una partita di calcio al Franchi, e sventolare la mia sciarpa Viola, ormai sepolta in qualche oscuro angolo dell'armadio, sotto una caterva di indumenti da calcio che non userò mai più per raggiunti limiti di età.

A parte tutto questo, comunque, il calcio di serie A influenza anche noi portieri d'albergo. Molti clienti comprano pacchetti che includono volo, hotel e partita della Fiorentina (i biglietti glieli recapitano direttamente alla reception). Proprio l'altro giorno avevo una coppia di americani che avevano scelto questa opzione perchè volevano una cosa diversa degli incontri dei Pittsburgh Steelers, e chiedevano il colore della nostra squadra di calcio (Purple! Beautiful, wonderful, fantastic purple!). Ma capitano anche turisti che girano, tranquillamente, così, nel centro di Firenze, come se fosse la cosa più normale del mondo, con sciarpe e maglie di ben altri colori. Con una certa predilezione per la maglia der "pupone", come lo chiamano a Roma, ma anche quella bruttissima di quel tipo che fa la pubblicità con l'uccellino (Neanche a Mad Man avrebbero creato una roba così orrenda).

Ma tant'è, sono turisti. Se mettono sandalo e calzino, si trascurano certi pessimi abbinamenti cromatici.

L'estate scorsa, come dicevo all'inizio, è tornato. Non è un cognome comune, visto che sono quasi tutti Garcia o Sanchez.

Lo so che in spagnolo, la J si pronuncia in maniera diversa, e decisamente migliore, che in italiano. Ho studiato abbastanza questa lingua per rendermene conto.

Ma rimane il fatto che, quando scaricai la prenotazione dal sistema, manca poco mi viene un colpo.

Lo so che tra i lettori di questo blog ci siete anche voi tifosi di colei-che-non-deve-essere-nominata. Ho amici pure qui, a Firenze. Sono visti un pò come traditori della patria (tifare quella squadra, a Firenze, è come apprezzare gli AC/DC quando ci canta Axl Rose) ma sono comunque amici, ragazzi con cui ho giocato assieme a calcio, al pc o giochi da tavolo, od andavamo a vedere la Pallacanestro Firenze quando era in A1 (che bello, quando c'era il mitico J.J. Anderson), o ad abbuffarci in trattoria. Più spesso, e volentieri, quest'ultima attività.

Però lo ammmetto: quando ho stampato la prenotazione, esattamente come fece più di 10 anni fa il mio ex direttore, ora in meritata pensione, pure io l'ho scritto sopra:

gobbo, dare camera brutta.

 

venerdì 15 aprile 2016

Certi clienti capitano quando meno te li aspetti.

Sono al banco, ho appena finito di parlare con un cliente, quando sento una vocina stridula, in una lingua sconosciuta.

Commetto il grave errore di voltarmi.

Dall’altra parte del bancone, un bimbetto di neanche 3 anni mi guarda con espressione tipica da frugoletto della sua età: timorosa di un adulto.

Non ne avrebbe nessun motivo: è pesantemente armato.

Io potrei replicare con un paio di penne o la leva punti. Poco meno di un d4 di danno, e senza tiro salvezza.

Dubito che mi capisca, ma non posso non dire la frase tipica in casi come questi:

-Al cuore Ramon. Al cuore-

Sorride. Mi parla nella sua lingua a me sconosciuta. Poi punta la sua arma.

E, come Jurij, spara.

-Ahhh, mi hai ucciso, ahhh- Un po’ di melodramma ci sta bene. Il bimbo, come i genitori ed un paio di altri clienti che passavano di lì, se la ridacchiano.

Poi vedo il padre. Olandese allampanato, occhiali da nerd, polo, calzoncini e sandalo con i calzettoni. Distante universi dai suoi connazionali del Feyenord.

Il figlio, a parte gli occhiali, era vestito uguale.

Metto un attimo da parte la questione vestiario. Era estate, e sono turisti in vacanza, per di più olandesi. Hanno diritto.

La buttò lì.

He shot the sheriff”.

Sorride, ma non dice niente. Perchè quando parlo di musica, nessuno mi capisce?



venerdì 8 aprile 2016

Al di là del divertente gioco di parole tra il termine "cuscino" in portoghese e "uomo vestito da donna" in italiano, un futuro cliente che scrive, in maiuscolo, che ne chiede 6 nel letto grande, non solo farà richieste su richieste una volta arrivato in albergo, ma non gli andrà bene niente: non gli piacerà la camera, non gli piacerà l'albergo, non gli piacerà la città e non gli piacerà il portiere che lo riceverà.

Ora guardo la data d'arrivo e piglio ferie.

venerdì 1 aprile 2016

Con buona pace di Berlusconi e dei suoi accoliti, la televisione non potrà mai, per quanti pollici possa essere, neanche lontanamente competere. Mai.

Lo spettacolo dal vivo sarà sempre superiore a tutto. Niente può arrivare alla bellezza ed al brivido che regala il vedere, od ascoltare, un gesto, un discorso od un canto particolarmente ben fatto, che sia Leonor travestita da Fidelio, Paolo Rossi che recita dal palco del teatro, od una maglia Viola che esulta dopo aver segnato contro le forze del male. D'altra parte, per quanti papi o presidenti Usa possano andare a l'Avana, la gente ricorderà soprattutto Jagger & Co che cantano Jumping Jack Flash.

In un lavoro come quello che facciamo io e mia moglie, trovare il tempo e le possibilità di andare ad uno spettacolo, è evento raro. Occorre coordinarsi bene, non basta certo comprare i biglietti. Perchè in albergo si lavora sempre, e se si vuole uscire il sabato sera, si deve sperare di avere, se non il fine settimana libero, almeno il turno di sabato mattina. Auspicando che i boss ce li forniscano, i liberi, e soprattutto non si ammalino i colleghi. E trovare i nonni che ci aiutino a tenere le bambine, se non è qualcosa che può andar bene anche a loro.

Sabato 19, ad esempio, è stato uno di quei rari eventi. Fine settimana programmato da due mesi, biglietti comprati, con enorme e supremo sprezzo del pericolo, con altrettanto anticipo. Ma ce l'abbiamo fatta: tutti e quattro a Casalecchio di Reno ad ammirare i Jellicle Cats. Benchè abbia il dvd, e fosse la terza volta lo vedevo (la prima, manco a dirlo, a Londra), sentire Grizabella che urla il suo lamento sulle memorie di quando era giovane, dà brividi profondi, intensi, di quelli che restano dentro. E l'ho ancora nelle orecchie, quel grido.

Perciò mi risulta dura da mandare giù, il trovarmi di fronte alla notizia della morte di uno dei fiorentini teatrali più colti e noti di sempre.

Paolo Poli rappresenta, per me, la grande occasione mancata. Lo spettacolo che tanto bramavo di godere e che non ho mai visto. E sempre per colpa mia. Come quella volta, più di venti anni fa, che ero lì lì per comprare il biglietto quando scoprii, sul calendario dell'associazione sportiva, che la mia squadra di calcetto giocava, stessa sera stessa ora, un impegno di campionato. E poichè ero l'unico portiere, decisi di non andare a teatro e piuttosto, giocare a pallone. Piccolo, sciocco, insulso fiorentino ignorante, che si dedica alla solita misera arte pedatoria in un incontro di cui neanche ricorda il risultato e snobba uno spettacolo teatrale che ancora oggi, dopo vent'anni, avrebbe sicure rimembranze. Tutto perchè "Ma tanto è di Firenze, spettacoli ne fa tanti, vedrai ci andrò di sicuro". No. Carpe diem bischero, diceva la cricca dei poeti, ed avevano perfettamente ragione. In tv, per quanto incredibilmente divertente, non sarà mai lo stesso.

A Firenze non ricapiterà mai un attore di quel calibro. Ok, magari Benigni è colto come lo era lui, anche se pare limitato all'opera del Divin Poeta, e pure il Monni, con quell'aria a contadino della piana, non era così tardo. Ma l'impressione, percepita dal mio misero e banale punto di vista, è che a Firenze non si riesca ad andare oltre l'"icchè c'è?", od altre espressioni tipiche del nostro accento, e basti sparare "du 'azzate" e ridono tutti. Non è così, non può e non deve essere così. E invece, quando escono al cinema certi comici, fanno il tutto esaurito. Con mio sommo e clamoroso stupore.

Venti anni fa.

Ma non me lo levo dalla testa. Purtroppo.

Turno di notte. A quei tempi ero un notturno fisso, e non con l'orario attuale, il 23-7. Lavoravo in un albergo ove vigeva, e vige ancora, il 22-8. Fate la somma e troverete che sono 10 ore di lavoro. Ora, il problema non sono tanto le ore in sé. E' l'inizio dell'orario, il guaio. Un 23-7 significa che vai a lavorare quando la sera è nel pieno della vita, e ti senti parte della stessa, e torni alle 7 quando la città si sta svegliando, le strade sono vuote e l'alba ti ricorda che tra poco ti chiuderai nel guscio caldo delle lenzuola. Adoro entrambi i momenti.

Il 22-8 è devastante. Esci di casa che la gente non ha ancora finito di sparecchiare. Qualcuno, neanche di cenare. Pure te portiere non fai a tempo a finire la cena che non ti rilassi neanche 5 minuti: vestirsi e partire. E torni dal lavoro alla mattina ormai giorno pieno che le strade sono piene di auto, caos, persone in movimento, luce abbagliante, e ti senti un estraneo che va nella direzione sbagliata. L'unico vantaggio è che l'albergo è piccolo, quindi con meno persone che entrano ed escono, ed i divani permettono, seppur limitatamente, un certo sonnello. Poi in quegli anni vivevo ancora con i miei, e potevo permettermi di dormire fino a pomeriggio inoltrato. Tanto, a tutto il resto, pensava la mamma, la maggiore droga da cui dipendono i maschi italici.

Verso le 6 del mattino, seduto al banco a controllare conti, pratiche, prenotazioni o, quasi certamente, con la testa appoggiata nelle mani ed i gomiti sul tavolo a cercare un riposo impossibile, sento aprire la porta. Istintivamente, mi alzo in piedi e tento un disperato risveglio e concentrazione su quelli che presumo siano, se non un fornitore di prodotti delle colazioni, sicuri clienti. Invece no.

Entrano due tipi ridendo e sgomitando tra loro, in quello che pensano essere uno scherzo divertente e simpatico. Essi, lo pensano. Io, no.

Riconosco subito, in uno di loro, uno pseudo-attore nativo di queste parti, particolarmente esperto nelle battutine in dialetto indigeno, ma culturalmente imparagonabile al livello di Paolo Poli. Siamo veramente ad un grado infimo, pari a quello della temperatura dello spazio siderale: 0 gradi Kelvin. Lo zero assoluto.

Ammiccando tra loro, costui ed il suo amico arrivano al bancone e ci appoggiano i gomiti. In quello che pensano sia una grande battuta, foriera di gag e divertenti spunti comici:

-Ciao, senti.... io ed i'mi 'ompagno si vorrebbe stare un po' insieme, capisci. Che 'un tu c'hai miha 'na 'amera per noi, per "rilassarci"?-

Ma che a me fa entrare un discreto giramento di scatole. Ed il fatto che mi ricordi, dopo vent'anni, questa battuta, è indicativo di come era notevole, quel giramento.

-No, non ce l'ho, la camera, siamo al completo, mi spiace- Mi azzardo a dire, in un impulso di pseudo professionismo. Ma lui insiste, e ribatte qualcosa che aveva a che fare sul mio non essere omofobo, ed una camera gliela potevo affittare a lui ed il suo compagno... il quale ridacchia senza riuscire ad essere abbastanza serio da portare avanti lo scherzo. Ed a quel punto, glielo dissi chiaramente:

-Beato te, davvero, che ti puoi permettere di fare le 6 del mattino a giro per Firenze e poi entrare nel primo posto che trovi a fare le battute. Io non posso, e non vedo l'ora che arrivi la mia collega a darmi il cambio perchè sono stanco morto. Ci devo passare altre due ore qui dentro. Lasciami in pace per favore, ok?-

Lì, a questa mia reazione, ci rimane male, ed anche l'amico smette di ridere. Lo scherzo non è riuscito, il portiere non ha voglia di fare il simpatico; mi manda una sua frecciatina:

-E vabbè, si faceva per scherzare, e ridici un po'!-

-Lo so, hai ragione, dovrei ridere di più, ma a quest'ora 'un mi riesce. Cerca di 'apirmi, so' stanco e mi gira 'oglioni, ciao-

-Vabbè, ciao. Andiamo va- E fanno per uscire.

Ed in quel momento, mentre sono entrambi sull'uscio dell'albergo, dalla porta della caffetteria si affaccia l'addetta alle colazioni, intenta a portare materiale da appoggiare sul buffet, e riconosce subito il tipo. E lei, chiaramente, se ne esce con la faccia sorpresa:

-No! Ma... quello 'unn'è i Ceccherini?-

E sul portone aperto, lui si volta col sorrisetto malizioso, contento e felice di essere stato riconosciuto, e si gode il momento mattutino di vanità e vanagloria. Poi, finalmente, chiude e se ne va.

La ragazza si avvicina e mi fa:

-Icchè t'ha detto, dimmi dimmi!-

-Ma niente.... voleva fare i'simpatico, ma stamani 'unnè proprio aria- E gli spiego del suo tentativo di fare il giullare, lui e l'amico.

-Ma lui voleva solo scherzare! E l'hai liquidato così?-

-Non l'ho mandato affanculo, dovrebbe apprezzarlo-

Al che pure lei mi rimprovera il mio fare l'orso scorbutico. Ma in quel momento, l'unica cosa a cui pensavo era che volevo tornare a casa a dormire profondamente.

E vorrei vedere un qualsiasi altri bipede, al mio posto.