venerdì 25 marzo 2016

Ve lo ricordate Sven? Che odia i piedipiatti e gode abbestia nel buttarne uno fuori dall'albergo?

Uno degli episodi più belli di "Paura e delirio a Las Vegas".

Io invece i piedipiatti li aiuto. Di me, proprio, non possono lamentarsi.

Turno di notte, un paio d'anni fa. La Caroline mi istruì, al cambio turno, a quel che mi aspettava: quasi 20 camere di poliziotti che partivano alle 4 del mattino, e chiedevano la sveglia alle 3. Per quell'ora doveva essere tutto pronto: ricevute e caffè, per essere pronti ad uscire dall'albergo alle 4.

Perciò mi preparai: alle 2 emetto tutte le ricevute e le piazzo sul bancone in rigoroso ordine alfabetico per cognome dei clienti. Poi al bar preparo tutto l'occorrente: bicchieri di plastica, bottiglie d'h2o, tazzine, bricco del latte e chiaramente, il latte. Di lì a poco cominciarono a scendere (e rigorosamente, dovevo controllare che le sveglie, sul sistema, suonassero, altrimenti dovevo provare a chiamarli e, se neanche quello funzionava, correre su in camera a svegliarli picchiando sulla porta. Ma per fortuna avevano impostato la sveglia sui loro cellulari; che grande cosa, la tecnologia).

Per un'ora buona mi fecero ammattire: sono xxx, camera yyy; bene, ecco la sua ricevuta. Pagamento, ok, ecco il pos. Poi corri al bar a fargli il caffè. E se vuole il cappuccino, scalda il latte nel bricco e preparagli la schiumetta. Poi scendono altri due, e ricorri al banco per altro addebito, e nel frattempo stacca il cedolino dal pos per farlo firmare a quello prima. E poi c'è quello che paga in contanti, ed allora vai col resto. E poi si torna al bar per altri due caffè, uno lungo ed uno macchiato.... tutto così. Alla fine, tra bancone e bar, avevo lasciato il solco.

Intendiamoci: bravissime persone. Non ce ne fu uno che non abbia detto "Buongiorno", "Per favore" o "Grazie". Qualcuno si scusò anche, di dover chiedere servizi a quell'ora del mattino. Il problema non era certo quello, ma il fatto che fossero due servizi diversi in punti diversi della hall. Che funziona fintanto che ci sono due lavoratori. Diventa problematico quando il lavoratore è uno solo.

Ad un certo punto di questo delirio, due di loro, che avevano già pagato e buttato giù la loro bevanda, cominciano a chiacchierare nella hall, in dialetto meridionale:

-Uè, Giuà, siamo operativi?- (era un abruzzese)

-Confermo, operativi!-

In quel momento gli passai accanto, direzione bancone per servire un altro loro collega che doveva pagare, quando il primo mi fa, ridacchiando:

-E lei, è operativo?-

Al che mi blocco, e, come in un anime, volto lentamente lo sguardo verso di lui:

-Io è dalle 23 che sono operativo!-

Quello rimane lì di sasso.

Giuà lo guarda e gli fa -Uè, t'ha fregato-

ps. due giorni dopo, sul giornale, c'era l'articolo della loro operazione: una retata ad un capannone poco fuori Prato, uno di quelli con dentro l'intera popolazione del Quandong.

Ben fatto raga, ma un po' di merito, me lo prendo anch'io.

Ps. colonna sonora: Jefferson Airplane, chiaro.

Pps. Una volta che i piedipiatti, più che mai operativi, se ne erano partiti dall'hotel per la loro operazione poliziottesca, mi sedetti sulla poltroncina del caporicevimento, nel retro e, letteralmente, crollai. Probabilmente avevo anche la classica bollicina che spunta dal naso, modello anime giapponese. All'arrivo della collega del mattino, al cambio turno, mi esprimevo in monosillabi neandhertaliani, stravolto dalla stanchezza ed assolutamente necessitante di lunghe ore di sonno. Peggio che i protagonisti di "paura e delirio a Las Vegas", quando assumono qualsiasi tipo di droga.

L'operatività, quando è a questi livelli di alta efficienza, si paga. Parecchio.

venerdì 18 marzo 2016



Premessa: niente a che vedere con il mio lavoro di portiere.
E’ solo che non ce la faccio, molto, troppo spesso, a sopportare certa mancanza di rispetto nei confronti del lavoro altrui.
Che in questo caso non è, appunto, il mio.
Quando, a me & gentile consorte, capita di avere il giorno libero (che, aimè, avviene spesso durante la settimana anziché il fine, quando le figlie sono libere perché la scuola, con mio sommo stupore, chiude sabato e domenica) ci piace andare a fare la spesa ad uno di quei grandi, spropositati centri commerciali spuntati come funghi ovunque, Firenze compresa.
Non è solo per il fatto che c’è un grande parcheggio che permette di avere l’auto al coperto mentre vi si caricano vagonate di prodotti che devono riempire frigo e dispenda per una settimana (od almeno fino a che l’unico maschio della famiglia non si scofana tutto in un primo pomeriggio, dopo una notte di lavoro ed una mattina di sonno profondo); l’enorme, spropositato vantaggio di tali luoghi è la presenza dell’ormai immancabile ed onnipresente “all you can eat” di sushi. Io e mia moglie ormai ingurgitiamo wasabi senza sentirne effetto alcuno, come il personaggio di Jean Reno nell’omonimo film (peraltro, il personaggio si chiama Fiorentini. Nome omen). Prima o poi ce la dovrò portare, sia lei che le bimbe, a vedere il Giappone. E poi i SanFrecce hanno vinto lo scudetto, e non è che capiti molto spesso di vedere una squadra Viola che vince, su questo pianeta.
Ma sto divagando, come sempre.
Dopo esserci pappati l’equivalente, in riso e pesce crudo, di 12 risaie e 5 pescherecci, ci spostiamo nel supermercato preparandoci a riempire il carrello. E lì passiamo anche al reparto delle uova pasquali.
Il reparto stagionale, colmo fino all’inverosimile di prodotti consumati in uno specifico periodo dell’anno. Ora è il momento del cioccolato. Con grande gioia di grandi e piccini.
In realtà non abbiamo bisogno di fare acquisti qui dentro, per il semplice motivo che preferiamo farci fare, a beneficio delle piccole, (posso scriverlo, tanto non leggono il blog) uova artigianali in una cioccolateria nei pressi di casa nostra. E’ più caro, ma è vero cioccolato domori, sublime bontà, roba che, già al primo assaggio, ti sembra di vedere Zeus che si avvicina sorridente, ti posa la mano sulla spalla e ti dice “Stai provando il nettare degli dei. Godine appieno, amico mio”
Ma comunque ci piace passare un momento dal reparto, giusto per dare un’occhiata ai prodotti, tipo leggerne gli ingredienti (tra tutte quelle uova c’è una quantità di olio di palma sufficiente a farci galleggiare la Nimitz) e constatare che sono presenti tutti i cartoni animati degli ultimi 10 anni, da Giuseppa Maiala ai surgelati (Elsa, Anna ed Olaf, intendo. Non i bastoncini di pesce).
E lì, ad un certo punto, ci blocchiamo.
Osserviamo, ipnotizzati, gli oggetti che spuntano, allegramente e vistosamente, da una scatola su cui sono appoggiate delle uova.
-Lo vedi, si?- Mi dice, indicando, la Sara.
-Eccome!-
-Che fai, documenti l’evento?-
-Non posso non farlo-
E quindi scatto la foto: dei profilattici.
Non è che ci capiti raramente di vedere cose del genere. La gente è manfana, ignorante, stronza. Prende le cose, poi cambia idea e decide che non ne ha bisogno, ma non torna al reparto a riportarle dove devono stare quei prodotti, bensì li smolla dove capita. Fateci caso, se non siete, come dice mia moglie, tra le tdc che compiono questi atti: non vi è mai successo di trovare oggetti totalmente fuori reparto? Magari addirittura surgelati (e stavolta intendo quelli veri, non Frozen) appoggiati sopra gli spaghetti o la candeggina. E tralascio sulla disavventura che mi capitò alcuni mesi fa, quando mi accorsi tardi che un barattolo di candeggina che avevo appena preso era già stato aperto, e riposto sullo scaffale in tal maniera. Per fortuna me ne resi conto alla cassa, prima di pagare. Ma tutto il resto che era nel sacchetto era da buttare. In toto.
Le tdc (vi lascio il piacere di scoprire l’acronimo) sono persone così, che non rispettano il lavoro altrui. Anzi, non rispettano gli altri e basta. Ma questa volta c’era qualcosa di speciale: l’aver aperto la confezione del prodotto ed averne tolto il contento, per metterlo lì, in mezzo alle confezioni delle uova di Pasqua. L’unica spiegazione, su tale atteggiamento, è che l’autore del gesto non avesse bisogno di una confezione intera di profilattici. Evidentemente, solo un paio. Od uno solo. Il resto lo ha appoggiato sul primo posto che gli pareva giusto.
Calcolando che hanno una lunga scadenza, è chiaro che l’autore non prevede un uso frequente di questi oggetti. Direi molto, molto sporadico.
Il che dice molto. Anzi, tutto.


venerdì 11 marzo 2016



"Il portiere? Tu lavori come portiere? Ma fare il portiere è facile, devi solo dare le chiavi!"

Bastianich farebbe una faccia stranita, con gli occhi fuori dalle orbite, e se ne uscirebbe con la sua celebre frase: "Vuoi che muoro?"

Io preferirei fare come John McClane, quando si trova davanti al cattivo del film: sempre la stessa faccia stranita, ma nessuna domanda. Quindi, estrarre la Beretta e svuotargli il caricatore addosso.

Mentalmente, noi portieri abbiamo fatto più morti della peste nera del trecento.

Sminuire il lavoro altrui è, di pari passo con lo scaricare rifiuti ovunque capiti od essere convinti che i soldi risolvano tutto (nel calcio funziona, specialmente contro la mia squadra), il vizziaccio italico, peggio che non esercitare il proprio diritto di voto in maniera sbagliata. In Italia, quasi sempre con certezza.

Farlo nei confronti del nostro mestiere è, in particolare, un vero sport nazionale, a cui non si sottrae nessuno. Siamo il paese con praticamente la metà del patrimonio storico mondiale, e malgrado ciò il lavorare in una struttura ricettiva è considerato poco meno che da sfigati, da "non ho trovato di meglio", o "sempre meglio che la disoccupazione". Non so se ciò dipenda dalla sopravvalutazione che hanno gli italiani (gli altri, chiaro) di sè stessi e l'essere convinti di non valere meno di 20mila euro al mese senza lavorare seriamente (Rassegnatevi belli: esiste un solo posto che abbina eurodeputate e segretario della lega nord. Ed è stabilmente occupato). O forse dipende dal fatto che siamo un paese racchiuso in sè stesso, dove l'internazionalizzazione è ancora vista con profondo sospetto, ed il non parlare neanche inglese è ancora motivo di vanto e sicuro approdo in politica fino ai massimi livelli. Noi porteri viviamo di questo invece, e non solo per lo studio delle lingue od i turisti che accogliamo. O probabilmente tutto ciò dipende dalla profonda ed acclarata avarizia del popolo italico, sempre convinta che lo spennamento del turista sia il suo dovere principale, piuttosto che non la loro sincera accoglienza. D'altra parte la visita ai musei è ancora trattata come esclusiva dello straniero danaroso, e prova ne è che ai residenti l'ingresso è ancora, ostinatamente, a pagamento. L'altro giorno leggevo delle condizioni affinchè noi fiorentini si possa visitare gratuitamente uno dei "nostri" musei: il giorno del proprio compleanno. Uno su 365 gioni. Carpe diem. Organizzati e non rompere gli zebedei. Tutto quel che uno si sente di dire è: grazie, eh. Non capisco perchè quelli dell'oltrarno non si riuniscono tutti e 50mila quanti sono e non sfondino le porte di Boboli. Non c'è un ca**o di giardini, laggiù, e per entrare nell'unico presente devono pagare. Bella merdata di città, eh? Ma il resto della penisola non è da meno. Forse, pure peggio.

 

Farsi un fine settimana di lavoro quando la moglie è libera ha lo stesso gusto simpatico e divertente dei tweet del procuratore di salah dopo una batosta subita contro i giallorossi (a giudicare da ciò che scrive, dev'essere imparentato con membri dei servizi segreti egiziani, reparto sevizie e torture); perciò devo sorbirmi un 7-15 per poi trovarmi con la famiglia all'albergo dove lavora lei e nel quale sta avvenendo una piccola ma simpatica riunione.

E' difficile che noi portieri d'albergo si dia eccessiva confidenza agli ospiti delle nostre strutture. L'unica persona a cui ho dato sincera amicizia è Regina, una signora americana che viene spesso nel mio albergo, stessa camera, per visitare Firenze, l'Italia e soprattutto seguire fanaticamente Sergio Cammariere, di cui è una sfegatata groupie, e che lui invita pure nel backstage (l'ha anche citata in un'intervista, sbagliando completamente lo stato. Sergio, Regina è del Connecticut, non del Minnesota. E' come confondere il Friuli con la Calabria, via). A ricambiare l'amicizia Regina mi ha regalato due mega calze della befana con i nomi delle bimbe, per riempire le quali non basterebbe la produzione mensile della Ferrero.

Mia moglie e le sue colleghe hanno stretto una discreta amicizia con una famiglia americana sparsa in tutto il loro paese (California, Chicago, Wisconsin, Miami & NY) che ogni anno, puntualissimi, piuttosto che ritrovarsi a casa di qualcuno di loro negli States, si ritrovano nell'albergo a Firenze, Italia. Perciò sabato era stata organizzata questa piccola festicciola nella hall, con i vari dipendenti che si sono presentati, con figli (sprattutto figlie: ben 6) in albergo benchè non fossero in turno, ed una discreta quantità di cibarie fatte in casa, in particolare un tiramisù preparato dalla Maura (reparto colazioni) che già al primo assaggio aveva il magico potere di risvegliare le papille gustative e fargli fare la ola.

Non voglio tediarvi con tutto quello di cui abbiamo parlato con queste bellissime persone: ho condiviso il mio fortissimo amore per i libri di Bill Bryson (che loro, ovviamente, conoscono), ed ho raccontato l'epica storia del Magnolia mall, suscitando quindi ilarità e curiosità verso Florence, South Carolina. Solo che, ad un certo punto, mi misi a cianare con la più anziana del gruppo, una signora dal magnifico e profetico nome di Florence che, già solo al sorriso iniziale, si vorrebbe abbracciare come si fa con l'amatissima nonna o zia che si incontra solo una volta l'anno, alla vigilia di Natale. E lei, parlando di noi e del nostro lavoro, se ne esce (ve lo scrivo in italiano) con queste meravigliose, stupende, fantastiche parole:

"Vedi, voi tutti, che lavorate qui (parlava in senso lato, sa che lavoro anche io in albergo, benchè un altro), voi siete l'espressione, la faccia, dell'albergo. Voi siete l'immagine stessa del posto, voi SIETE l'hotel, perchè i clienti identificano voi con la struttura. Voi create gli affari (the businness). I vostri capi dovrebbero baciare i vostri piedi (kiss your feet)"

Stavo per mettermi a piangere; non mi commuovevo così da quando nacquero Camilla e Gaia, o dopo il 4-2. Mi viene spontaneo voltarmi verso la Sara, che mi osservava con sguardo eloquente, palese considerazione che abbiamo di chi non apprezza i nostri sforzi come portieri. Di chi non ha mai lavorato seriamente ad un bancone di una struttura ricettiva, o comunque al contatto con il pubblico di un qualsiasi posto di lavoro che ha a che fare con i turisti, le persone che vengono a visitare i nostri splendidi, magnifici, incredibili monumenti. Di chi non si sforza neanche di immaginarsi un lavoro dove la tua faccia E' il lavoro. Lo fa una signora americana del '33, che non perde occasione di venire qui, nella città che ha il suo nome e per alloggiare nel solito posto, e che quelle persone a cui contribuisce a pagare lo stipendio l'hanno ripagata, per una volta, con un pomeriggio intero dedicato a lei anche se avevano giorno libero, parlando, mangiando dolci fatti in casa e bevendo vinsanto.

Grazie Florence, grazie infinte. Avrei voluto avere con me, in quel momento, uno scalpello ed una lastra in pietra per riportarci sopra, a beneficio dei posteri e del sottoscritto che lo avrebbe appeso alla parete del salotto, quei bellissimi apprezzamenti. Ma non li avevo. Certi oggetti dovrebbero essere come la frusta per gli avventureri, o gli occhiali da sole per gli uomini in nero, od i giubbotti in pelle della Gestapo: immancabili. Pazienza. Mi acocntenterò di riportarle, come faccio sempre, nel mio piccolo, inutile blog.

lunedì 7 marzo 2016

Come diceva un mio amico, fiorentino doc: "No... perché... vedi marce... l'importante, nella vita, e 'unn'è i' fa le 'ose bene o meno.... l'importante... gli'è credicci! Capito? E tu ci devi credè, senno' e 'un serve a nulla!"

Pure costui ci crede.

E voi?

ps. dopo la foto, ovviamente, ho premuto canc.
Poi sono andato in "posta eliminata"
Ho selezionato il messaggio
Canc di nuovo
"Vuoi eliminare definitivamente i messaggi selezionati?"
Vi lascio immaginare la risposta.


venerdì 4 marzo 2016

Non c'è molto da spiegare, car* cliente che capitasti qui l'anno scorso. Ti venne fatto un prezzaccio perchè era bassa stagione, quando le camere vengono svendute a tariffe vergognose, meno di un kalashinkov al mercato di Raqqa. Non puoi pretendere di volere la stessa tariffa in alta stagione, quando mezzo mondo si ricorda che esistono gli Uffizi e piomba a Firenze con mazzi di soldi che neanche un assessore lombardo alla sanità ha mai visto in vita sua. E' la legge del mercato, baby. Se ti vuoi vedere Firenze in quei giorni, paga l'importo adeguato.
 
ps. old client credo sia errato. La parola giusta sarebbe "former". Old vuol dire vecchio ma in senso letterale.
Ma forse, in questo caso, è proprio quello giusto.