venerdì 27 novembre 2015

La gente è strana. Ma strana forte.
Ci sono clienti che arrivano per 4, a volte 5 notti di soggiorno. Che siano turisti, congressisti o commerciali, poco importa. Arrivano con solo una borsa, neanche tanto grande. E li vedi con gli stessi vestiti addosso per tutta la durata del soggiorno.
Non voglio farmi domande. Basta che non piantino storie sulla camera, poi mi va bene tutto. Oddio, colleghe cameriere ai piani avrebbero da ridire, soprattutto se i suddetti clienti, oltre a non avere molto ricambio vestiario, sono anche poco avvezzi all'uso dell'h2o, ma in fondo sono affari di costoro. Quel che hanno gli basta.
Poi c'è l'estremo opposto.


In un turno pomeridiano di qualche mese fa, mi appare, quasi dal nulla, un ometto semplice, con musetto a topo tipo Alvaro Vitali, ed un bel sorriso cordiale.
-Avez-vous une chambre pour une nuit?-
Ah, la Francia. Io amo la Francia, adoro tutto di lei. Vado pazzo per la loro campagna, per le coste della Normandia ed i carri armati nelle piazze dei paesini, per la Grandeur, per Nizza, Tolosa, Caen, la Ville Lumiere. Il vino e le baguette. Una lingua sublime, adorabile, passionale.
Ok, lo ammetto: i franzosi, a volte, sono un po' stracciamaroni. Piantano storie, pretendono.... ma a parte che gli perdono tutto proprio perchè vengono dall'Hexagone, dopo aver provato molte volte gli indiani, i francesi ormai sono acqua fresca.
Chiamo “er libanese” aka Matteo. La Cinzia invece è “er freddo”. Matteo e Cinzia si sono dati i soprannomi. Si salutano così, quando cominciano il turno: “Ah freddo” “Ah libanese”. Bisogna riuscire a scherzare, ogni tanto, se non si vuole sclerare.
Dicevo
chiamo er libanese affinchè mostri la camera al francese. Non un granchè, una camera semplice, senza tanti fronzoli. Ma al cliente piace. Scende e chiede una notte. Ed estrae la carta di credito.
American express oro.
Minchia.
Mentre mi appresto ad effettuare la transazione, mi informa che esce per portare qui davanti l'auto, la moglie ed i bagagli. Dopo pochi minuti arriva.
Una Jaguar.
Minchia col punto esclamativo!
I due francesi (peraltro anche la signora si dimostra sorridente e cordiale) cominciano a trasbordare i loro bagagli dalla Jaguar fin dentro la hall.
E lì prendo la foto che vedete.
I bagagli che ritenevano necessari per una notte.
E non erano tutti, perchè nel momento della foto, erano tornati all'auto a prenderne altri.
Gli avevo ben garantito che il garage è sicuro e custodito. Tant'è che quando rientrano con gli ultimi vestiti, per darmi la chiave della Jaguar affinchè il garagista venga a parcheggiarla, mi dicono che non avevano preso tutto, e molta roba era ancora dentro.
Praticamente, per una notte, avevano la quantità di bagaglio di un'intera armata. Anche er libanese guardava e mi chiedeva “Ma quanto ci stanno, un mese?”
La gente, come dicevo, è strana.


ps. ad onor del vero devo dire che dopo un'ora sono scesi a chiedermi se potevano stare per altre due notti perchè “ormai quasi tutti i bagagli sono in camera”. Avrei preferito mi avesse detto che voleva restare altre due notti per visitare bene la mia città, ma non importa. Gli ho detto di si, gli ho confermato la tariffa e mi ha reso la solita amexco oro per un secondo addebito.



Pps. Durante i 3 giorni di permanenza, la Jaguar è rimasta in garage. Ma ogni tanto andavano lì a prendere qualche altra borsa. Evidentemente, quel che avevano in camera, non era abbastanza...

un bacio a tutti da vostro marce. E ricordate: come dice Aragorn, viaggiate leggeri.
Ma non troppo...




lunedì 23 novembre 2015

Ecco una cliente che quando è delusa, piuttosto che scrivere pessimi commenti su trippa, lancia un pietrificus al portiere.


Ma m'è andata bene. Quando arriverà il sig. Riddle, prendo ferie. O mi dò malato. 



venerdì 20 novembre 2015

Chiedo scusa se non mi metto a fare tanti preamboli, ma questa settimana non è stata quel che si suol dire “il non plus ultra dell'entusiasmo”. Non arriva una gran voglia di scrivere, quando si sentono notizie su una caterva di morti ammazzati.


Episodio di qualche anno fa.


Coppia francese, sui 40.
Alti, distinti, portamento signorile.
Alain Delon e Catherine Denevue a braccetto. Lavorare ad un bancone di un ricevimento alberghiero, a volte, rende mille volte meglio di un qualsiasi 3D.
Intendiamoci: non somigliavano per niente a loro, ma lo sguardo era uguale spiccicato: quell'espressione severa e passionale al tempo stesso, e che rivedi solo in una Marianne che guida i rivoltosi alla Bastiglia, un Bonaparte alla testa delle sue truppe, un De Gaulle che parla ai suoi concittadini da radio Londra e, appunto, i due attori in uno qualsiasi dei loro film. Ben vestiti e curati, che pensi siano lì per sbaglio, e la loro vera destinazione sia il Savoy in piazza della Repubblica, piuttosto un semplice 3 stelle nei pressi della Stazione. E non avevano neanche una gran camera.
Ma a loro non importava. Si presentarono al bancone con un accuratissimo e dettagliato programma della loro tanto bramata vacanza toscana: un giorno intero dedicato a Siena ed il Chianti, un altro per Fiesole o Pisa, un altro per... oh, beh, non me lo ricordo. Di quel foglio a4 completamente riempito di scritte a penna con un carattere che anche una formica avrebbe faticato a decifrare, un particolare spiccava su tutti: un intero giorno dedicato ai principali musei fiorentini: gli Uffizi e l'Accademia.
Un giorno che noi italiani avevamo completamente dedicato ad uno degli sport nazionali, di cui siamo campioni mondiali.
Lo sciopero.
Come pronuncio la parola “Greve” (e non si riferisce al paesino del Chianti, ma al termine francese per sciopero, che si pronuncia senza la e finale) il francese prima strabuzza gli occhi, poi se ne esce con una serie di “merde” che non si sentiva echeggiare sul pianeta dalla vittoria di Bartali sull'Izoard.
Parte in quarta con una serie di improperi verso di “noi”. Un anno intero a programmare questa tanto desiderata visita e “noi” scioperiamo.
E mentre è lì che si incazza come la classica iena a cui viene portata via la carcassa da sgranocchiare, lei gli tocca la mano.
E lui si blocca.
E lei lo guarda, negli occhi.
Un phaser settato alla massima potenza non riuscirebbe a fondere l'acciaio meglio di quello sguardo.
-Ecoute moi, ascoltami. Siamo in vacanza. Sei qui con me. Ensamble. C'est pas grave, non è poi così importante-
Per qualche secondo magico, irreale, impossibile da descrivere, in quella hall alberghiera non si sentì volare la classica mosca. Il telefono dell'albergo non squillò. Non entrò, o scese dalle scale, nessun cliente. Nessuna auto passò davanti all'ingresso. C'erano solo lui e lei che si fissavano negli occhi, di quegli sguardi che si capiscono senza parlare, per un'intera vita. Un'eternità di silenzi complici, di comprensioni che solo le vere coppie hanno, e la Piaf che canta in sottofondo.
Ed io lì, con le pupille che voltano prima su di lei, poi lui, poi di nuovo lei.
Spettatore unico di un film che mai nessun altro avrà il privilegio di vedere.
Poi il momento magico ha termine, e si passa alla farsa da commediola con Depardieu; lui volta lo sguardo nuovamente verso il portiere e, alzando le spalle, pronuncia un “C'est la vie”. Ma purtroppo rovina tutto cominciando con un “Mais ce n'est pas possible” mentre sbuffa come un mantice, con quella boriosità così antipatica, quel voler a tutti i costi insegnare a noialtri come si vive e ci si comporta, antipatici cugini d'oltralpe, abbozzatela con questa prosopopea, ricordatevi di Berlino e di chi ha alzato la coppa, ed abbassate un po' la cresta di galletti spennati.
Vieni a me a dire che non è possibile? Io ci vivo qui; queste situazioni me le trovo tutti i giorni, bello. E non sono musei: sono scuole, mezzi pubblici, servizi ... Eh, dici bene te “Il faut changer...” a parole, tutti hanno cambiato tutto. Della dozzina di governi che abbiamo avuto negli ultimi vent'anni, il nuovo è già arrivato più e più volte. E non voglio pensare a quello che sta per arrivare.
Allora intervenne nuovamente lei, che con voce dolce e suadente, dice che comunque sono in vacanza e vogliono stare bene, e mi chiese un posto per mangiare. Poi dicono che siamo noi italiani, quelli che si godono la vita.
Quando rientrarono erano mano nella mano, con quel sorriso che hanno solo le coppie serene e felici, e dopo avermi chiesto la chiave, lui mi guarda e mi fa:
Florence est magnifique. Bravò”
Bravò, come se fosse merito mio, di essere nato e cresciuto qui.
E mentre se ne salgono in camera, sempre mano nella mano, e sguardo fisso l'uno nell'altra in ascensore, penso che quando sono così, io li adoro, i francesi.



venerdì 13 novembre 2015

42 non è solo una risposta.


42 era anche il numero di partenze che avevo domenica mattina. Da solo. E tutti italiani, perchè gli italiani prenotano all'ultimo momento, per una notte. Ad inizio settimana avevamo mezzo albergo vuoto. Il venerdì sera eravamo già pieni zeppi.


Farsi 42 partenze di domenica mattina senza un supporto può essere un'esperienza devastante, una raffica di check-out a ritmo continuo, uno dietro l'altro. A quel punto tutti i rapporti con il cliente saltano. Non si sta a chiedere “Si è trovato bene? Piaciuta Firenze?”. Si chiede la camera si stampa la ricevuta e si incassa. Non è più lavoro d'albergo. E' catena di montaggio modello Tempi Moderni. E con gli italiani capita che “Faccia carta. Anzi no, scusi, meglio bancomat... ah, ha già fatto carta? Era meglio bancomat, ma non importa però.... si può tornare indietro?”
Bip, transazione annullata. Si ricomincia da capo. Bancomat. Il pos chiede il codice pin. Si passa la macchinetta alla cliente, che se ne esce fuori così:
Ah, il pin, quale era?”
Comincia la ricerca del codice pin nel suo cellulare, ma il tempo scade ed il pos annulla la transazione, e mi fa risputare fuori la carta. Si riparte da capo. Nel frattempo, dietro alla signora dimentichina si è formata una fila che sembra l'ultimo giorno dell'expo.


Ma stavolta non sono qui a parlare dei problemi con la clientela italiana. Sono qui a parlare di due stupendi, meravigliosi, fantasmagorici clienti che ho avuto domenica. Accomunati dal numero 3.
Oggi vi parlo di Riccardo e Livia.


Riccardo, 3 anni, arriva venerdì con mamma ed amica della mamma. Due belle donne distinte che provocano torcicolli in noi maschi sbavanti. La mattina di domenica, alla partenza, le signore e Riccardo rientrano dall'ultimo giro a riprendere i bagagli, saranno state le 13. Peraltro, in camera, avevano lasciato il berretto del bimbo. Quello della foto. Il ragazzo è istruito bene.
Ma Riccardo è inquieto, non gli interessano i bagagli ed il berretto. Vorrebbe uscire, vedere ancora il mondo. La madre lo richiama più volte mentre riprende borse e valigie. Lui si riavvicina, ma poi riparte verso la libertà e l'avventura, che possono essere intriganti in un luogo libero e selvaggio, ma devastanti nel caos di Firenze centro.
Riccardo, vieni qui”
Riccardo non ha paura degli sconosciuti, non si fa intimorire da quel portiere d'albergo che lo chiama. Entusiasta, corre dietro il bancone.
Prima cosa, via il ciuccio. Non si ciuccia in albergo” E lui, garibaldinamente, obbedisce.
Bravo, così mi piace, pronto ad eseguire gli ordini. Questa è la chiave che ci ha appena lasciato un cliente. Va rimessa al sui posto, cioè qui. Dai, rimettila”
Riccardo esegue il compitino con gioia e letizia, mentre la madre approfitta per rilassarsi sul divano, uozzappare e/o candycraschare.
E ora?”
Prendo una chiave
Che numero è questo?”
1!”
Bravo! Poi?”
Zero!”
E questo?”
Cinque!”
Ah-ah, attento”
Sei!”
Grande, dammi i'cinque!”
E Riccardo sbatte la sua mano sulla mia. Con tutte le sue forze. Notevoli, per la sua età.
E ora?”
Passo ad altra chiave, ed altro numero. E via un altro cinque. E così via per una mezza dozzina di chiavi e numeri. Nel frattempo madre ed amica prendono i bagagli e mi fanno:
Andiamo a mettere i bagagli in auto, Riccardo, te aspetta qui ma fai il bravo, mi raccomando”
Riccardo è tutto preso dal nuovo gioco di conta dei numeri. E' il portiere che comincia un po' a stufarsi, anche perchè deve piegarsi verso i suoi 30 centimetri scarsi d'altezza, e la schiena disapprova. Ciccio abbozzala. Hai smesso col calcetto, non sei più il portiere che si chinava a raccogliere la palla in fondo al sacco.
Ok, facciamo così” lo prendo sotto le spalle e lo sollevo a sedere sul bancone. Non posso fare a meno di notare come mamma ed amica della mamma siano sparite. Mi hanno lasciato solo con il bimbo.
Ed ora come fai?” Gli dico ridacchiando. E' su un bancone dall'altezza di più di mezzo metro. Per noi adulti è come stare seduti a due metri, forse più.
Riccardo non ha paura. Riccardo è temerario. Osa.
Si lancia giù come un elemento della 101esima aviotrasportata sopra la Normandia, manca solo urli Geronimo. Effettivamente, anche lanciandomi le braccia. Non posso non tentare di afferrarlo, un po' impaurito dalla possibilità che si faccia male.
Ancora, ancora!”
Come si dice?”
Per favore!”
Dai, un'altra volta. Ed un'altra. Ed ancora.
Mamma, amica, tornate presto, vi prego. Se tornate, ovviamente.
Tornano. Prendono gli ultimi bagagli, salutano, ringraziano per l'intrattenimento.
Andiamo Riccardo, saluta il signore”
Riccardo alza la mano aperta.
Porgo la mia con il palmo rivolto verso l'alto. Mi arriva un altro “cinque” dato con tutte le forze possibili. Per fortuna solo le forze di 3 anni. Poi mi urla “Ciao!”, si infila il ciuccio in bocca e corre via.




Livia.
3 mesi.
Genitori giovani, poco più di vent'anni, molto carini e simpatici, con spiccato accento romanesco.
Anche loro hanno bagagli da mettere in auto, ed escono.
Lasciando la piccola Livia nell'ovetto, sul divano della hall.
Io non l'avrei mai fatto, per le mie. La mamma sarebbe stata a guardia della piccola, l'altro (io) portava i bagagli in auto. Il lavoro faticoso sempre all'uomo. Questi due no. Escono entrambi. Si fidano del portiere.
Non c'è nessuno in albergo, in quel momento. Giro attorno al bancone e mi avvicino.
Livia è sveglia, e mi osserva protetta anche lei, come Riccardo, dal potentissimo scudo magico capace di alzare di millanta punti la classe d'armatura, e che passa anche con il nome di “ciuccio”.
Ciao piccolina! Ma lo sai che sei bellissima?”
E lei sorride.
Da dietro il ciuccio, che è trasparente, sorride.
Ed io mi sciolgo come Olaf sotto al cocente sole estivo.
In una hall alberghiera, la domenica mattina a Firenze, dopo 42 partenze ed il fisico che comincia a dire “Ci si riposa? Ci si mette un pochino a sedere? Che s'abbozza di sta' in piedi?” mi commuovo a vedere questa bellissima creaturina sorridente. Dovrei saperlo, come funziona.
Non è così. Ogni volta è come la prima volta.
I due genitori non tornano.
Passano 10 minuti buoni, e, giuro, non tornano.
Senti, io, se babbo e mamma non vengono a riprenderti, ti porto a casa. Avrai due sorelle maggiori dolcissime, che ti faranno giocare a tanti bei giochi divertenti. Ti vestiranno da principessina. Ci vieni a casa mia? Ti ci porto, eh”
E lei sorride. E m'immagino già mia moglie che “Ora la riporti dove l'hai trovata!” “ma mi ha seguito fin qui...” “Te lo scordi s pensi che io ricominci con le pappette!” Ma io tengo duro, Livia resta con noi.
Invece, anche se dopo ben 10 minuti 10, i genitori tornano a riprendersela. Mi ero ormai convinto di potermela tenere, che costoro se ne fossero tornati a Roma dimenticandosela completamente. La gente, in albergo, dimentica veramente di tutto. Anche se questa sarebbe stata davvero una dimenticanza storica. Per fortuna, Livia era nei loro pensieri. Avevano solo difficoltà nel chiudere il passeggino e profonda stime a fiducia nel portiere. Fiducia, posso assicurare, ben riposta. Livia è stata bravissima.
Ma per quei 10 minuti è stata tutta mia. Per quei 10 minuti, insieme a Sara, Camilla e Gaia, c'era anche Livia.
Spero lei ed i genitori tornino a trovarmi. Mi manca già.




lunedì 9 novembre 2015

Se uno ci pensa, sembra l'inizio di una barzelletta:
Ci sono un polacco, un tedesco ed un argentino”
E che fanno?”
Niente, tanto decidono sempre e solo gli italiani”
Che infatti hanno i cardinali con le mani in pasta e l'attico rifinito col parquet. Quello buono, non il laminato in offerta a pochi euro al metro quadro da Leroy Marlin.
Quindi, che ci sia un papa che se ne venga fuori con “E' immorale che vi siano preti che vivono come faraoni”, cioè un'affermazione che sembra appena uscita dalle labbra di Peppone, di un segretario del PCI degli anni '50, fa abbastanza ridere. Diamine, se uno vuol veramente cambiare qualcosa, ed è al vertice del potere, deve cominciare a far rotolare un po' di teste di quelli che sono sotto di lui. A “buttà fori” quelli che non sono capaci. Che si crogiolano col potere ed i quattrini di cui possono usufruire. A parlare son boni tutti. A parole siamo la prima economia mondiale (e qui ci sarebbe molto da dire sui presidenti del consiglio che s'è avuto negli ultimi vent'anni).
Sono tutti “chiacchiere e distintivo”.
E domani, arriva a Firenze. Od oggi, non me lo ricordo. Oggi sono libero. La mia domenica è il lunedì. La mia settimana è disastrata come viale Guidoni sottoposta ai lavori della tranvia con annessa caduta di una gru sul cantiere. Ma tant'è, questo è il mio lavoro, me lo sono scelto io. Me la canto e me la suono da solo, come per questa città. Arriva il papa ed andiamo tutti nel panico, noi che ci viviamo e giunta comunale che deve gestire l'evento. Sventriamo la città per i nostri trenini e ci accolliamo anche la visita dell'argentino. Saremo poho bischeri? Sarà per quello che danno per pretendenti allo scudetto tutte le 19 altre squadre di serie A tranne noi.
L'unica è riderci sopra.


1-Una collega di un albergo vicino.
Viene a trovarci in pausa pranzo per un caffè. Lavorare in albergo significa mangiare un boccone o bere un caffè in assoluta solitudine, perchè è molto raro che si sia in 3 o più. Spesso non ci riesce neanche quello. Uno dei due si prende una pausa ma poi arrivano clienti e telefonate. Perciò si interrompe di mangiare e si accorre in aiuto. E ci si dà da fare. E quando passa la buriana, il caffè è freddo come dopo che lo ha toccato la regina Elsa. Ma ogni tanto i 5 minuti di ciana si riesce a ritagliarseli.
La ciana, ovviamente, verte sul papa argentino, ed il suo imminente arrivo, con annessa conferenza episcopale, o qualcosa del genere. Che suona un po' come “assemblea generale del partito”.
E questa nostra collega non è una che non le mandi a dire. Una fiorentina vecchio stile.
-Allora senti: m'han chiamato dalla [agenzia] pe' raccomandassi: “Allora, ai'monsignore dategli una bella 'amera, una “king size bed”, trattaelo bene....” ma vai in ****, vai! Te la darei ni'capo, i “kinghe saize bedde” Ma perchè 'un vai nella 'amerata co' poeri?
-Tanti discorsi sulla povertà, e poi prenotano l'albergoni, la suitte, i' ristorante...-
-Sai icchè? E gli'hanno paura 'he alla mensa de' poeri gli freghino l'anelli! Ma poi la 'amera coi'matrimoniale, a icche ni serve? Si porta la perpetua?-
-Appunto, c'avrà la suorina di 'ompagnia-
-La suorina... o i'chierichetto. E quello prediha la povertà! O bischero, o 'un lo vedi che tanto fanno 'ome gli pare? Ma vaiva! In dumila anni c'hanno rovinato-
5 minuti, ma ero piegato in due dai'ridè.


2-Chiamano dall'agenzia, perchè in ogni albergo dove sono alloggiati i partecipanti alla conferenza si preparerà un punto ospitalità (hospitality desk, in gergo). Gestito da volontari. Ci chiedono se gli possiamo preparare qualcosa da mangiare perchè questi volontari no avranno il tempo di comprare qualcosa da mettere sotto i denti.
-Ok, ma al massimo due panini avanzati delle colazioni, perchè non abbiamo ristorante, c'è solo la caffetteria-
-E voi del personale come fate?- chiedono piuttosto stupefatti e pure un po' piccati.
-Il personale si organizza a casa, ovviamente!-
Non si capisce perchè non debbano farlo dei volontari, se ci riescono gli “strutturati”.


3-Nell'albergo dove lavora mia moglie, arriva un tipo con del materiale per un partecipante alla conferenza. Mia moglie chiede come si chiama costui. L'incredibile risposta del corriere è:
-Non lo so-
-E noi come facciamo a consegnare il materiale a questa persona, se non sappiamo chi è?
-Boh. Ve lo chiederà lui-
-Ok,per noi va bene, ma se non lo chiede, questa roba rimane qui, poi la buttiamo-
Ma al tipo che fa da corriere non interessa, a lui basta fare la consegna.
Mia moglie butta un occhio sul contenuto di questa borsa. Libri di teologia. La sera mi riferisce la cosa, dicendo che c'erano cose su “sacro e profano”.
Io rimango decisamente sorpreso.
-Mi stai dicendo che c'era il fumetto?-
-Ma no, sciocco! Era un libro serio-
Effettivamente avrei dovuto capirlo. Dare “Sacro e profano” ad un teologo, o gli fa prendere un colpo apoplettico, o lo fa andare in bestia e bruciare il fumetto lì nella hall.


Come diceva Michele Serra: “Io non sono contro il papa. Sono senza”
M'è sempre piaciuto, questo aforisma. Il problema è che non sono più senza. Da domani, per due giorni, il papa ce l'avrò in casa.

Ma siamo ancora capolisti.

domenica 8 novembre 2015

にほんじんぼくほくろしたい...
Ormai è ufficiale:
le clienti giapponesi hanno deciso di uccidermi.
Di colesterolo.
Ma le colleghe di lavoro Georgiana e Caterina si sono prodigate in mio aiuto, condividendo con me questa fine triste e lungamente dolorosa.
Anche se, a dirla tutta, sarei andato incontro la mio destino anche da solo.



venerdì 6 novembre 2015

Chi sono i clienti più stracciamaroni di un battaglione di russi, una compagnia di indiani od un plotone di israeliani?
Le vecchie carampane olandesi che vengono al congresso di egittologia di Firenze, è ovvio.
Una ventina di vecchie mummie dall'età approssimativa delle piramidi, ma che, non essendo nate secoli fa nell'antico Egitto ma nel paese dei tulipani, non ce le hanno potute seppellire dentro come era auspicabile avvenisse. La loro contemporaneità con il sito funebre egizio è il vero motivo del loro interesse all'argomento e presenza al congresso.
Un po' meno la loro presenza a stracciare i maroni in albergo.


1-due ore due di assoluta calma. Non un check-in, non una telefonata.
Quei momenti di pace che pensi sia l'inizio di un dozzinale filmettino hollywoodiano su morte & distruzione colmo di effettacci speciali.
Ed invece, è solo un effetto di curiose coincidenze per cui non capita nessuno al bancone per un tempo che per noi banconisti equivale alla durata del Triassico.
Ma poi
Un check-in
Mentre la banconista sta dando spiegazioni ai nuovi arrivati, l'immancabile telefonata di richiesta di informazioni.
E lì, puntuale come il germe della la peste nera che se ne sta lì zitto zitto sulla pelle del ratto ad attendere il suo momento per saltare addosso al povero contadino medioevale, la vecchia si alza dal divano su cui, da un paio d'ore, posava le sue chiappe raggrinzite e va a chiedere dove si trova, per la quarta volta quel solo giorno, quello straca**o di museo con la statua del tipo con il pisello di fuori.
Chiederlo prima quando la banconista era sola, no, eh? Dovevi proprio aspettare il check-in e la telefonata, eh? Vecchia strunz!


2-La banconista è tranquilla che fa il suo lavoro, quando arriva un gruppetto di russi. Per una strana, assurda, imperscrutabile, coincidenza astrale, si tratta di russi simpatici. Da quale anfratto del più grande paese del mondo siano spuntati non è dato sapere, ma sono sorridenti ed ascoltano, in religioso silenzio, le informazioni che gli fornisce la banconista.
Ed in quel momento, una delle vecchie strumglublard olandesi si presenta al bancone.
Non aspetta, come sarebbe logico ed evidente in ogni luogo di questo quadrante stellare, che la banconista finisca con i clienti precedenti.
Parte in quarta con questa assurda, patetica, deficiente domanda:
-In che camera è la mia amica?-
..
No, davvero, seriamente. Uno avrebbe veramente voglia di chiederglielo.
Ma che ca**o di domanda è!!!!?
Siete una ventina di vecchiacce già pensionate quando i vostri connazionali compravano, per una mezza dozzina di perline, il territorio dove avrebbero fondato New Amsterdam (gran gioco, peraltro). Come cavolo faccio a sapere quale è la sua amica?
E la vecchia strega della vecchia Amsterdam cosa fa?
Si mette a dare una descrizione della sua amica.
Ma se assomigliate tutte allo scheletro che Indy trova dentro la caverna dell'idolo!
Ora lei aspetta che finisca con i russi, poi le cerchiamo la sua amica!
La vecchia olandese stronfia; pretenderebbe i servigi della banconista prima che costei abbia finito con gli Ivan. Che importanza ha se erano al banco da prima. L'olandese pretende l'esclusiva.
Una volta terminato con i sudditi di zar putino, la banconista comincia la penosa ricerca dell'amica della vecchia. Con la lista nomi in mano, le chiede:
-Mi può dire il nome della sua amica, per cortesia?-
E la vecchia se ne viene fuori così:
-Non me lo ricordo-
..
No, sinceramente, voi non saltereste il bancone per tirargli il collo come si fa con le vecchie galline da brodo?
La vecchia mummia ricorda solo che la sua amica sta al secondo piano. Ah, che notiziona epocale, che necessario indizio. L'ideale per trovarla.
Pure Sherlock direbbe “E sticazzi?”
Si prende la lista clienti e, dicendogli nome dopo nome, si prova a vedere se la vecchia ricorda il nome dell'amica. Bingo! E' lei! Bene, qui sul bancone c'è il telefono di servizio. Digiti il numero di camera e parlerà con la sua amica.
La vecchia parla, e poi, una volta riattaccato, se ne esce così:
-Era a dormire e l'ho svegliata. Era meglio se mi aiutava subito-
..
Non credo ci sia bisogno di commenti, giusto?


3-Partenza. Festa nazionale in albergo, le “vecie” si levano dai canonici 3 passi.
Una delle mummie olandesi arriva al bancone per il check-out, paga e consegna la chiave.
Ma solo di quella della camera. Non di quella della cassaforte (dove lavora mia moglie hanno le casseforti con la chiave. Noi abbiamo quelle elettroniche).
Mia moglie ferma la signora prima che esca: -Mi scusi, la chiave della cassaforte?-
La vecchia si ferma e si gira, e la guarda come se fosse una cosa che non la riguardasse: -E' su in camera-
E mia moglie, porgendogli di nuovo la chiave della camera, con enorme e motivatissima perfidia: -Può andare a riprenderla e portarla giù, grazie?-
Immaginate la faccia della vecchia, con le grinze che si allungano mentre la bocca si apre e resta così, aperta, per l'inaspettata ed imprevedibile richiesta.
-Io? Io devo salire a prenderla?-
-Certo. Se abbiamo offerto una chiave per un servizio gratuito, è il cliente che ha il dovere di riportarla giù-
La vecia è salita e riscesa con la chiave. Ha posato entrambe le chiavi sul bancone senza dire niente, con l'espressione di un tifoso del Feyenoord in piazza di Spagna a Roma.
Ma se lo meritava. Eccome, se se lo meritava!


ps. su una ventina di vecchiette olandesi, erano solo in due a rompere. Le più stagionate, peraltro. Tutte le altre no. Ma quelle due bastavano.

Eccome se bastavano.

martedì 3 novembre 2015

Ci sono clienti che, anche se gli fai vedere la camera più grande, più bella, più splendida, magari con terrazza e vista sul Cupolone, o quella con salottino privato, scenderà giù al bancone lamentandosi che non gli piace e la vuole migliore; malgrado nessun dottore gli avesse prescritto di prenotare da noi.

E poi c'è l'ometto uzbeko che, con una cameretta singola semplice semplice, scende per il check-out contento e sorridente e lascia questo foglietto.

Non esiste un selezionatore automatico che permetta di far passare le prenotazioni delle persone con il carattere di quest'uzbeko e rimbalzare quelle dei clienti strunz?