sabato 24 marzo 2018

Essere sicuri, certi, convinti, di quel che si vuole. Di quel che si pretende. Di quel che ci si può permettere e si merita.

Sempre e comunque.

Perchè il problema non sono, nè mai saranno, i desideri incontestabili di ognuno di noi.

Desiderare una Ferrari. Prodotto italiano assoluto. Eccellenza italiana eccetera eccetera. Ma dal costo proibitivo per la stragrande maggioranza degli abitanti della penisola. Prodotta "da noi", ci piace dire, come se ogni italiano lavorasse alle catene di montaggio di Maranello. Niente di più falso. La Ferrari non è più vicina a noi di un kenyota o un peruviano che pascolano le proprie greggi rispettivamente nella savana o sull'altopiano andino. Ma un desiderio non si nega a nessuno. Tutti, noi, il kenyota e il peruviano, possiamo sognare di premere il piede sull'accelleratore e sentire il rombo del motore. Poi magari ce la possiamo anche fare; avere successo o, come diceva quel tizio, essere folli e affamati: diventare ricchi e comprarsela. Però, nella stragrande maggioranza dei casi, rimarrà tale: un desiderio inarrivabile. Ma va bene così. Sognare è gratis.

No, il problema non è il sogno.

Il problema sono quelli che potrebbero permettersi la Ferrari ma si comprano un'utilitaria convinti che gli doni le stesse emozioni di una vettura marcata cavallino rampante.

Quelli sono i peggio.

Perchè rendono la vita infernale al resto del mondo.

Coppia russa.

I russi arricchiti. I russi di successo. I russi con i soldi che gli escono dalle orecchie. I russi che "come siamo ganzi, come siamo ricchi, come siamo capitalisti, viva Apputin".

Prenotano una camera standard per una fraccata tale di notti che più che chiedergli la tariffa del soggiorno, gli si vorrebbe far pagare la rata condominiale. Ma purtroppo già il giorno dopo arrivano i nodi al pettine.

Si presentano ad un metro di distanza dal bancone e se ne stanno lì, piantati fermi come difensori davanti alla linea di scrimmage. In completo silenzio.

Provimo a chiedergli qualcosa, e loro neanche ci rispondono, neanche ci guardano, neanche ci degnano della minima attenzione.

Attendiamo, consapevoli di ciò che questo significa. E infatti, dopo pochi minuti, si palesa una signora russa italiano-parlante, una che vive qui e, in luogo della badante, riesce a vivere facendo la guida turistica per i suoi connazionali danarosi.

Parla con i ricconi e ci informa di quel che già sospettavamo: non gli piace la camera. E vorrebbero cambiare albergo.

Chiediamo cosa non gli piace, se c'è qualcosa che non va e come possiamo rimediare, e la guida riferisce, ma loro insistono: non vogliono restare qui.

Ok, se proprio insistono... e gli presentiamo la ricevuta. Per tutto il soggiorno.

Anche senza parlare altra lingua all'infuori di quella scritta in cirillico, leggono benissimo l'importo totale, e pare che non gli vada affatto giù. Vorrebbero pagare solo la notte che hanno trascorso qui.

Propongo di accompagnarli a vedere un'altra camera. Anzi, in questi casi è bene non chiedere e portare la gente direttamente su, perciò sguardo d'intesa alla collega che comprende al volo che dovrà tenere il forte da sola per qualche minuto, afferro la chiave, dico alla guida di seguirmi e chiamo l'ascensore. I 3, piuttosto straniti, mi seguono come topolini dietro al pifferaio. La guida prova ad accennare un "veramente loro vorrebbero..." ma la zittisco subito con un "prima possiamo vedere un'altra stanza, no?". Li facci entrare in ascensore e li porto su.

La camera, malgrado siano solo le 10 del mattino, è già pronta. Gli occupanti della notte precedente erano partiti la mattina presto, e la cameriera l'aveva pulita subito. Esco dall'ascensore e mi dirigo a passo sicuro verso la porta, attento a controllare che il russame mi stia alle calcagna. Infilo la chiave nella toppa, giro, spingo, entro, mi sfilo dall'ingresso e, tenendo la porta aperta, allargo il braccio sinistro per un tacito "prego, entrate".

Entrano. Mezzo metro di ingresso che si aprono in una bella stanza con parquet nuovo, lucido, brillante oserei dire. Sul fondo, un comodo divano rivestito di un colore caldo che invita a sedersi e rilassarsi. Di lato, l'ingresso ad un bagno nuovo, splendido, grande, con mobile in marmo ed una cabina doccia accogliente. Di fianco, un passaggio per accedere alla camera da letto, gradevole e comoda.

Ci sono altri motivi, oltre allo stipendio, se lavoro qui da anni.

I russi, che probabilmente il mio stipendio lo userebbero per uno spuntino da Paskowski, osservano la camera con apparente snobbismo e superficialità. Faccio notare tutti i particolari, che la guida ripete, e che si tratta di una camera superiore.

Usciamo. Mentre ci avviamo all'ascensore, riferisco che possono lasciare i bagagli pronti nella loro precedente camera, e avremmo provveduto noi, a spostarli in questa nuova. Che sarebbero stati benissimo. Che non avrebbero affatto rimpianto la scelta.

la guida traduce, e loro le dicono che hanno già prenotato un altro albergo.

-Come, hanno già prenotato?-

-Si. Al Baglioni-

Pietrificato. Rimango completamente pietrificato.

Il Baglioni. Il superlusso storico della città, a pochi passi da qui. Uno di quegli alberghi dove ci si dà del lei anche tra colleghi dello stesso reparto e il direttore ha la poltrona foderata in pelle umana. Dove i clienti sono persone che, come minimo, possiedono squadre di calcio di prima serie e osservano il personale con lo stesso sguardo che un leghista darebbe al più miserevole degli immigrati. Dove il pernottamento della più minima delle camere singole ha lo stesso importo di svariate rate del mutuo. La domanda percorre, disperata, su ogni neurone del mio cervello: se possono permettersi un posto del genere, che diamine ci sono venuti a fare, qui?

La guida parlotta con loro e poi mi riferisce, mentre la mia mascella è ormai a livello pavimento, che noi non siamo "alla loro altezza". E quindi hanno prenotato lì. Appena mezz'ora prima.

Cerco, alquanto difficilmente, di sopprimere l'ira funesta ed evitare di balzargli addosso e farne spezzatino come farebbe Pugacioff. Gli spiego che l'errore non è assolutamente da imputare a noi. Erano stati loro medesimi, molto tempo prima, a prenotare e bloccare una camera in questo albergo. Che per quel lungo soggiorno godevano anche di uno sconto. E se non l'avessero fatta, una prenotazione, quella stessa camera poteva essere andata presa da qualcuno che invece poteva, e voleva, permettersi un normale 3 stelle. Semplice, decoroso, pulito e alla sua altezza. Ma non aveva potuto farlo perchè se l'erano presa loro, e quindi niente sconto/rimborso/cancellazione: pagare tutto e poi potevano fare quel che gli pareva: restare qui nella camera che gli avevo mostrato, o andare al Baglioni (ed evito le rime).

Hanno pagato.

Lo sguardo imbronciato di chi pensa di essere nel giusto. La supponenza di chi domanda, ieri come oggi, "quante divisioni avete, in Europa?" La convinzione che un modesto 3 stelle gli debba assolutamente dare lo stesso piacere, nel soggiorno, di uno dei più lussuosi alberghi di Firenze. E se non ci riesce, è colpa dell'albergo.

Gli avrei dato altri 70 anni di comunismo.

La parte siberiana.

Lì, sul momento.

Seduta stante.

lunedì 5 marzo 2018


Tu sei una cameriera ai piani.

Hai il dovere di pulire, riassettare, spolverare, insomma tutto il cucuzzaro, le camere d'albergo. E' un compito importante e delicato, non è un lavoro da "se non ti va bene tanto fuori c'è la fila". Le pulizie occorre saperle fare. Si vede subito se delle lenzuola sono state messe da chi sa come si rifà un letto o meno. Se un bagno è lindo e sterilizzato a dovere. E' un lavoro duro e faticoso, e mai abbastanza valorizzato. Ma questo è un altro discorso.

Tu, dicevo, se una cameriera. Hai un pass e, davanti a te, la porta di una camera "in partenza". I clienti, li hai visti con la coda dell'occhio mentre eri in un'altra camera, sono usciti portandosi dietro i trolley. Quindi ora la "stonza", come diceva un epico personaggio cinematografico, è libera. Infili il pass nella toppa, giri, spingi, entri.

Senti un rumore. Una specie di piccolo "bzzz", come un cellulare in vibrazione su un ripiano di legno. Ma è un rumore continuo, senza interruzioni.

Ti avvicini a uno dei comodini di fianco al letto. Il rumore proviene da lì dentro. Non sarebbe la prima volta che i clienti lasciano oggetti nelle camere. Non sarebbe la prima volta che chiami al ricevimento per descrivere ciò che hai trovato, affinchè l'oggetto venga "registrato" in un apposito quaderno con tanto di data e giorno del ritrovamento. Non sarebbe la prima volta che riponi tali oggetti in un sacchetto e chiami il facchino affinchè lo porti in "deposito". Un luogo apposito per riporvi tali oggetti. In paziente attesa che il proprietario lo reclami. O del cassonetto.

Ma è la prima volta che un oggetto dà questo rumore.

Un pò titubante, apri il cassetto.

Voli, letteralmente, all'esterno. Afferri, dal carrello portabiancheria, un guanto in lattice. Lo indossi. Ne indossi un altro. Forse è meglio un terzo ancora, Pasteur approverebbe. Poi prendi un sacchetto di plastica. Torni dentro e, cautamente, con la punta delle dita, mentre nella tua testa circola furiosa la parola "schifo!", prendi l'oggetto rumoreggiante e ce lo infili. E tenendo il sacchetto per un lembo della grandezza di un micron, voli giù al ricevimento.

Dissolvenza. Stacco. Nuova prospettiva.

Sei un'addetta al ricevimento. O portineria. O reception, come la vogliamo chiamare.

Hai la responsabilità degli arrivi. Delle partenze. Delle prenotazioni. Di parlare con i clienti e dargli le informazioni sulla visita della città. Di rispondere alle mail, di aprire e chiudere disponibilità, insomma tutto il cucuzzaro. Un lavoro di responsabilità che ha comportato un discreto studio del mondo alberghiero, sospesi, ricevute e fatture, lingue straniere.

Hai un momento di pausa. Uno stacco tra clienti in partenza e quelli in arrivo. Tra telefonate varie. Uno di quegli istanti di pace, così rari in un albergo al centro di una storica città rinascimentale, dove è un continuo via vai di clienti e chiamate.

Invece no. Ti appare, trafelata e sconvolta, una delle cameriere. Nel suo strano accento italo-balcanico, strilla isterica che ha trovato questo oggetto. Ti smolla, lì sul bancone, un sacchetto. Poi fugge, inorridita.

E il sacchetto sta vibrando.

Corri in caffetteria. Afferri un guanto in lattice. Lo indossi. Ne indossi un altro. Forse è meglio un terzo ancora, Pasteur approverebbe. Torni al bancone e, cautamente, con la punta delle dita, mentre nella tua testa eccheggiano furiosamente termini inenarrabili verso le cameriere balcaniche che pure quelli di caccapound direbbero "Dai, basta con questo razzismo gratuito", riesci a spegnere l'oggetto. Poi, tenendo il sacchetto all'estremita per un lembo delle dimensioni di un micron, lo voli giù in terra, sotto al bancone.

Poi, fai partire la risata irrefrenabile. E molto, molto malvagia.

Stacco, dissolvenza, nuova prospettiva.

Siete due clienti. Provenite da una nazioncina del nord Europa nota per città medioevali, istituzioni europee, invasioni dell'esercito tedesco. Siete in vacanza nella culla del Rinascimento, in visita ai musei, le statue, i dipinti, affreschi e cattedrale, insomma tutto il cucuzzaro.

Un'affiatata coppia di mezza età, con il vostro amore sincero e appassionato, ma anche le vostre piccole perversioni. I vostri personalissimi e segreti piaceri. Cose che condividete solo tra voi. O chi ritenete voi. Qual che vi pare. Non sono affari di nessun altro, in fondo.

Almeno fino a che non tornate all'albergo fiorentino che vi ha ospitato. Da cui avete fatto, qualche ora prima, il check-out. E dove avete lasciato i bagagli per un ulteriore giro di Firenze. Bagagli che, siete convinti, contengono il vostro personalissimo contenuto. E d'altra parte le valigie sono chiuse a chiave.

Vi accoglie, sorridente come sempre durante quel piacevole soggiorno fiorentino, la banconista del check-out. Una persona piacevole, dall'aspetto sereno, dolce, sincero.

Ma stavolta, con un sorriso un pò strano. Diverso. Quasi perfido.

E capite subito il motivo.

Perchè avete lasciato, e ve ne accorgete istantaneamente e contemporaneamente, come se le vostre menti fossero una sola, un vostro personalissimo oggetto in camera. Non l'avevate chiuso in valigia. Non l'avevate ficcato tra maglie e pantaloni. Era rimasto lì, nel comodino accanto al letto, dopo che lo avevate usato. Ed era stato trovato dal personale dell'albergo. E ora, quella banconista così gentile, vi ricorda del ritrovamento.

Balzate, come un sol uomo, nel deposito bagagli. Afferrate furosamente le vostre valigie e, letteralmente, scappate. Mentre quella banconista, con la risata sardonica di una Regan MacNeil posseduta dal demone Pazuzu, vi rincorre fino alla soglia dell'albergo sventolando un sacchetto contente il vostro oggetto. Invitandovi a riprendervelo.

Cosa che non farete mai.