domenica 30 novembre 2014

La distrazione è parte di noi, delle nostre vite.


Tu puoi essere come la sturmtruppen che ha appena finito di sotterrare le mine ma, ach distrazionen, ha toppato in pieno dimenticandosi di segnarne la posizione sulla mappa. E sei proprio nel bel mezzo del campo minato.


Noi ci ridiamo su, a questi eventi. Come diceva Paolo Rossi in un suo monologo: il comico scivola sulla buccia di banana e cade all'indietro. Non importa se il comico batte la testa e muore: il pubblico ride lo stesso.


Poi ti può anche capitare che ti riprendano perchè il mondo è pieno di videocamere, ma ancora più numerosi sono gli stronzi che lo manovrano, ed inviino il filmato ad uno stupidissimo programma dove una strafiga brasiliana da urlo ed un deficiente addobbato di rosso lo mostrano al mondo intero, dove tutti rideranno di te, anche se magari ti fa pure piacere, benchè stia smaltendo i postumi della botta ed urli dal dolore perchè sei sotto trazione.


Non so se qualcuno ha ripreso l'evento, ma io non ci riderei per niente. O forse si, perchè se ci penso mi inquieto. Mi inquieto parecchio.




Signora giapponese. Camera singola.


Allegra, gioviale, piena di brio. Scende puntualissima per la colazione alle 7 del mattino (le galline dicono: andare a letto come i giapponesi per alzarsi al sol levante) e parte all'assalto dei musei e tutto ciò che c'è da vedere a Fi. Cioè tanto. Tantissimo.


Pure troppo.


Rientra verso le 13, e non posso fare a meno di notare qualcosa che mi raggela il sangue.


Due vistosi ematomi, uno sullo zigomo ed uno sulla fronte.


E poiché penso sempre al peggio, mi immagino un rapporto violento con un qualche maschio locale.


Le chiedo cosa è successo.


E questa, con la migliore tranquillità del pianeta, se ne viene fuori ridendo che ha sbattuto conto un muro mentre osservava il campanile di Giotto.


Al 99% è così, questa si è distratta ed ha sbattuto contro un palazzo od un palo mentre, completamente inebetita da quel bischero di Stendhal, teneva gli occhi al cielo ad osservare uno dei più bei campanili di questo quadrante stellare. O magari è inciampata ed ha sbattuto bene la faccia sui lastroni della piazza, il suo inglese non era il massimo ed in giapponese non sono riuscito a capire un paio di vocaboli. 


Ma assicurava di aver fatto tutto da sola.


Mi sono offerto di darle del medicamento, ma ha declinato. Se n'è andata su in camera ridendo, come se niente fosse.


Ma l'inquietudine, quella m'è rimasta.




domenica 23 novembre 2014

A Firenze si dice “bischero”.

Cosa che mi ripete spesso anche mia moglie e figlia grande. Figlia piccola, per fortuna, sta ancora dietro a Crepuscolo Scintillante e Giacomina Mela. Od, in subordine, Giuseppa Maiala.

Alla mia età, giocare al pallone, non risulta più tanto produttivo e soddisfacente.

Non è solo il leggere le note gara e scoprire che tra la mia data di nascita e quella di tutti gli altri giocatori ci sono vent'anni, se non di più, di differenza.

Non è solo lo scoprire che, alla mia età, saltare da un palo all'altro e bloccare palloni in presa sicura non è difficile o complesso. E' semplicemente impossibile.

Non è neanche il raccattare il pallone dalla rete più volte di quanto non faccia il portiere avversario.

Non è la “segata” totalmente gratuita che mi ha dato il numero 9 avversario (vista l'età potrebbe essere mio figlio. Anzi, è sicuramente figlio di tutta Firenze e buona parte della provincia), e mi ha lasciato a terra con una caviglia devastata che Pepito mi ha fatto preparare un posto accanto al suo al CTO di Careggi. E l'arbitro che, mentre mi contorcevo a terra sotto gli effetti di un dolore primordiale, continuava a dire “Non è niente, su, si rialzi”, che invece del calcio a 7 “csen” sul campo della Sales, mi sembrava di giocare contro colei-che-non-deve-essere-nominata. In effetti quel 9 era altrettanto brutto.

Non è tutto questo.

E' che, se si esce da sotto la doccia poco coperto, senza adeguato supporto filamentoso da apporre al collo detto “sciarpa”, e si corre in scooter verso un turno notturno alberghiero di un martedì novembrino umido come solo a Firenze sa essere, si ottiene un unico risultato logico:

un febbrone a 38 di 4-5 giorni.

Perchè di peggio al lavorare il fine settimana c'è solo lo stare chiuso in casa mentre una tempesta perfetta imperversa nel mio cervello, e due diavolette giocano a fare le principesse sorelle, ed io al massimo posso aspirare ad interpretare Sven.

E' questo che rende il sottoscritto una persona poco attenta, poco scrupolosa, poco sveglia.

Ragion per cui, ecco una vecchia storia che scrissi per la pagina fb “Crazy Hotel” la bellezza di due anni fa, e che mi sembra giusto e doveroso riproporre:


A Firenze si dice “se ‘un so' bischeri, ‘un si vogliano”
Beh, stavolta il bischero sono stato io.
Occorre ammetterlo, quando uno sbaglia, sbaglia. Oh, mica siamo perfetti, no?

6 clienti finlandesi, mi chiedono come possono noleggiare un’auto per andare a vedere Siena e San Gimignano.

Normalmente la procedura è semplice: basta andare sui motori di ricerca e spulciare tra le offerte delle varie agenzie. E qui c’è la prima difficoltà: non riesco a trovare un’auto a 6 posti. Dopo le auto a 5, si passa direttamente ai furgoni per trasporto merci. Possibile che non vi sia l’opzione per prenotare, che so, una Multipla? Magari c’è e sono io che sono impedito (opzione che non mi sento di scartare, conoscendomi) ma non la trovo.

Così chiamo il numero verde di qualche agenzia: maggiore, hertz, avis.

E qui arriva la seconda difficoltà: i clienti vogliono l’auto per un giorno solo, per riconsegnarla il pomeriggio inoltrato. Ma trattandosi di un sabato, l’agenzia nei pressi della Stazione di Santa Maria Novella è chiusa. Ora, io so, avendolo altri clienti già fatto in passato, che è comunque possibile riconsegnare l’auto ad un garage nella stessa via dell’autonoleggio, lasciando le chiavi al personale. Ma quelli del numero verde non ne sanno niente, essendo di fuori Firenze (se non di fuori Italia), e mi danno solo come unica possibilità di riconsegnarla all’aeroporto, che oltre ad essere fuori dal centro ha pure il difetto di richiedere un supplemento perché è un altro ufficio. Così cerco direttamente il numero dell’agenzia in centro a Fi per chiamare loro.

Provo con la Hertz: mi dà solo il numero verde.

Provo la maggiore: idem come sopra.

Provo la avis: miracolo, c’è uno 055. Chiamo di corsa. Troppo di corsa.

“Pronto?”

“Pronto, buongiorno, sono Marcello dell’hotel xxxxxx, ho 6 clienti che vorrebbero noleggiare un’auto domani per una giornata, volevo sapere se avete un’auto a 6 posti e come possono riconsegnarla in serata dai voi in centro”

“Ma, senta, auto a noleggio non ne abbiamo, ma a 6 persone possiamo prendere un po’ di sangue, lei ha chiamato l’avis donatori”


Ora, se ci riflettete un attimo, dobbiamo ammettere che il cervello è veramente una macchina complessa ma estremamente efficiente. Immaginatevi i neuroni che, muovendosi lungo le connessioni nervose a velocità curvatura, si allineano nella materia grigia fino a formare la parola “bischero!” (si, comprensiva di punto esclamativo).

Sia io che quello dall’altra parte della cornetta siamo scoppiati in una fragorosa risata. Bisogna prenderla così, anche perché c’è il rischio mi facciano un prepensionamento per Alzheimer, alla faccia della Fornero (anzi, è capace che se lo viene a sapere verrebbe lei stessa qui a dirmi “non puoi continuare così, stai a casa e curati a beneficio dello Stato, ne hai bisogno. Ne hai parecchio bisogno”).

Ps. I clienti poi si sono presi l’auto (6 posti. Trovata) per tutta la giornata, e riportarla all’aeroporto il giorno dopo, tanto avevano il volo per Helsinki stamani. Tra pagare un taxi o pagare il supplemento dell’autonoleggio era più o meno la stessa cosa (per questo apprezzo gli scandinavi: sono in vacanza e se c’è da spendere non stanno a guardare troppo al centesimo. Altri clienti mi avrebbero chiesto preventivi precisi al centesimo per poi dire “ohhhh, ma qui spendiamo ben 0,53 € in più! Decisamente scegliamo l’altra opzione. Anzi, andiamo all’aeroporto con l’autobus, anche se siamo 6 risparmiamo ben 4,27 € e pazienza se dobbiamo portare 3 valigie di 20 chili l’una sotto la pioggia torrenziale…”)

venerdì 21 novembre 2014

Allora, diciamo le cose come stanno.
 
Verità nuda e cruda.
 
C'è uno scopo di lucro.
 
E' di poco più di 1€ a copia.
 
Quindi, a meno che non venda le copie che ha venduto l'intera saga del maghetto, sarà difficile che diventi ricco quanto la sua autrice.
 
Tra l'altro ho anche contribuito.
 
Nel mio campo, l'unico modo che si ha per diventare ricchi è entrare alla Hilton e sperare di beccare la nipote del titolare.
 
E sposarla.
 
Poi uno si ritroverebbe più corna di un cesto di lumache, ma almeno vivrebbe negli agi e negli ozi, e potrebbe schiavizzare i poveri portieri diventati, con un semplice si, suoi dipendenti.
 
Quindi è uno scopo di lucro fino ad un certo punto.
 
Ho voluto realizzare una cosa tutta mia.
 
Che ovviamente viene dopo Camilla e Gaia.
 
In fondo basta poco: una casa editrice a basso costo che realizza un GRANDE lavoro, e ti crea questo.
 
Ma non il contenuto. Quello ce l'ho dovuto mettere io.
 
Oh, mai che si trovi qualcuno che faccia tutto al posto tuo.
 
Comunque, questo è il capo di lavoro.






martedì 11 novembre 2014

Lavorando al bancone di un 3 stelle a due passi dalla Stazione, sono abituato alle persone che entrano e mi chiedono informazioni.

 

Intendiamoci, non mi lamento della cosa. Sono turisti nella mia città, aiutarli per me è quasi un dovere civico. Certo, dicessero “buonasera” e “mi può aiutare per favore” sarei più contento. A parte gli anglosassoni ed alcuni europei, tutti gli altri entrano e chiedono senza una forma qualsiasi di cortesia. A volte senza neanche tenere conto del fatto che sto parlando ad altra gente.

 

Ma il brutto è che non ci sono solo gli stranieri. Ci sono anche gli italiani.

 

Anzi, i miei concittadini.

 

Ed a volte uno si chiede cosa s'è fatto per meritarsi di vince' 4-2.

 

7 del mattino, finisco il turno e mi appresto a tornare a casa. C'è gente che la mattina tira su la saracinesca ed apre il negozio; io non devo aprire e chiudere niente, solo andare a casina, dove le lenzuola mi attendono. Perciò una bella mattina primaverile fresca e serena (sono otto mesi che ho scritto 'sta storia ed ancora non l'avevo pubblicata, scusate, ma lo sapete che sono bradipo in tutto) mi si avvicina 'sto tizio che sembra Crozza truccato da Briatore, con tanto di occhiali a specchio, ma anche un impermiabile da maniaco e sacchetto con dicitura “Ipercoop Ponte a Buggiano”:

 

-Lei lavora qui?-

 

A partre la mancanza di un "Buondì messere,  mi perdon l'ardire, ma poscia gradirei porle una questione" sono appena uscito da un albergo, in giacca e cravatta che si capisce benissimo essere parte di una divisa aziendale, ed ho appena appoggiato, sul selciato della strada, due paletti bianco-rossi collegati da catenella di egual colore, a delimitare il posto auto davanti all'ingresso. Ma non ho la prontezza di spirito di dirgli che sono la guardia del corpo di Obama che ha dovuto soggiornare qui perchè non c'era posto al Villa Medici di Fiesole, e domani incontra i'Matte a Palazzo Vecchio. Un giorno lo devo fare.

 

-Per oggi ho finito di lavorare, ora vado a nanna. Ma dica pure-

 

-Ah, lei fa la notte?-

 

Alle 7 del mattino l'ultima cosa che voglio fare è parlare con un elemento del genere sulle problematiche della mia vita, magari pure dovergli spiegare la differenza tra notturno e turnante, perchè non lo conosco, perchè sono stanco morto e perchè molto probabilmente non capirebbe, sia per mancanza di lucidità mia dopo 8 ore di turno notturno sia per mancanza di materia cerebrale sua. Perciò lascio perdere.

 

-Quando proprio non se ne può fare a meno. Mi dica-

 

-Ehhh... sentà, una 'uriosità, ma qui, più avanti, 'un c'era un elettrodomestici?-

 

Dice proprio così, “un elettrodomestici”. Il termine negozio è dato per non pervenuto. E comunque “elettrodomestici” è un tantino aggressivo; da che mi ricordo non gli ho mai visto in vetrina roba più grande di un tostapane. Il nome corretto sarebbe “casalinghi”.

 

-Si, me lo ricordo. C'era, ha chiuso. Da un bel po', anche-

 

Incassa il colpo. E non sembra affatto contento.

 

-Ma è sihuro?-

 

-Eccome. Ora c'è un negozio di abbigliamento-

 

Viene giù tutto il cielo. E non c'è l'ombra di una nuvola. Una sequela di bestemmie che mi rievoca pessimi e tristi momenti: tiri di dado notevolmente disastrosi, la tipa che mi mollò al telefono, lo 0-5.

 

-Abbigliamento- Ripete un paio di volte compulsivamente.

 

-Si, uno di quelli gestiti dai cinesi-

 

Parte una serie di epiteti verso il popolo asiatico davanti al quale pure un ufficiale delle SS avrebbe detto – No, dai, così esageri, basta con questo razzismo gratuito-

 

Agita le mani davanti a sé: -Mi garbava tanto, c'andavo spesso, C'HO PURE HOMPRATO UN FRULLATORE POHO TEMPO FA- Ed alza il sacchetto della coop, che intuisco contenere l'artefatto.

 

-Poco tempo fa-

 

-Si, sarà APPENA UN ANNO FA-

 

-E ne voleva comprare un altro?-

 

-No, mi s'era guastato e volevo chiedigni se me lo hambiavano, SONO UN CLIENTE-

 

-Alle 7 del mattino!-

 

-Noooo, gli'è che... e passavo di qui... tanto quanto ci metteranno ad aprire, via... TRENTA MINUTI, NO?-

 

-Assolutamente! Ma io adesso vado a dormire, arrivederci-

 

-Mi garbava tanto qui'negozio, CI PASSAVO SEMPRE, è proprio sihuro che è chiuso?-

 

-Sicuro come il fatto che casco dal sonno, buona notte-

 

Mi allontano e proseguo verso casa, passando proprio davanti a questo negozio di abbigliamento che ha preso il posto dell'”elettrodomestici” di cui il tipo era tanto affezionato.

 

Di cui lui è cliente.

 

Che un anno fa ci ha comprato un frullatore.

 

E ci passava sempre.

 

Quel casalinghi chiuse più o meno nell'anno in cui nacque Gaia.

 

Che ora ha 7 anni.

 

Ci passavo sempre”. Si, 7 anni fa.

 

Forse.


giovedì 6 novembre 2014

Come ho detto altre volte, e non mi stancherò mai di ripetere, i clienti che si presentano al bancone del ricevimento non sono idioti o deficienti; sono semplici turisti svagati. 

Gente che ha completamente staccato la spina, in estremo relax mentale. Meno dal punto di vista fisico, dato che devono passare ore su e giù per musei, ma con la testa sono più che in vacanza. Sono oltre. Capaci quindi di sfondoni intellettuali enormi, anche se nella vita sono ricercatori scientifici con QI simile a quello di Sheldon.

Perciò si, mi piace ridere e scherzare di chi mi chiede informazioni assurde come il tipo che, al check-out, mi chiedeva se conoscevo Venezia e che strada doveva prendere per arrivare al suo hotel in San Marco perchè il navigatore non glielo trovava (io non oso neanche lontanamente immaginare come sono messi i miei colleghi della città lagunare, che questioni del genere ne ricevono ogni settimana). Rido si, di queste domande, ma più che ridere di loro, mi piace pensare che rido CON loro. Ok, qualcuno se la prende, ma diamine, sei in vacanza. Sei rilassato, è normale sparare qualche sfondone, dire una stupidità, un discorso totalmente privo di senso. Ma che te frega, dai, un po' d'autoironia.

La deficienza, la stupidità, l'idiozia, non sono dentro l'albergo. Sono fuori.


Sabato sera sono andato a lavoro in scooter. Non lo faccio molto spesso perchè ho l'enorme ed invidiabile vantaggio di vivere abbastanza vicino al posto di lavoro da potermi permettere di andarci camminando. Che sia estate od inverno, caldo o freddo, pioggia o vento, Caro Emerald in cuffia e via a piedi, e mi piace il fatto di passare dall'interno della stazione anche se non sono un pendolare e posso permettermi di snobbare i disastrosi treni italioti.

Sabato no.

Ero fuori per una cena e per essere sicuro di arrivare in tempo, sono andato a quest'incontro in scooter e già vestito da lavoro, in modo da proseguire direttamente in albergo per il turno 23-7.

Verso le 4 del mattino mi rientrano due italiani, fuori per non so quale motivo e che giustamente non mi interessa perchè non sono fatti miei. Uno dei due è a cercare un parcheggio, che come tutti i sabati notte, nel centro di Fi, è libero e selvaggio; l'altro sta fumando davanti all'ingresso.

Ad un certo punto passa un gruppetto di adolescenti stranieri. Un momento rapido, sfuggente. Li noto appena con la coda dell'occhio. Dopo un paio di minuti odo urla belluine, grida sparate nella quiete della notte del centro fiorentino, senza apparente motivo. Anzi, togliete pure l'apparente: urlano perchè sono fatti da una qualche sostanza, o solo per deficienza da materia grigia. Od entrambi i motivi.

Poi, un gran fracasso, un rumore metallico.

Un brutto presentimento. Un orribile pensiero. Quella sensazione angosciosa da “No, fai che non sia capitato a me. No, ca**o, dai”.

Esco. Davanti all'ingresso, con la bocca aperta e la sigaretta fumante sull'angolo della stessa, il cliente italiano osserva abbastanza sconcertato la scena che mi si presenta, davanti, in tutto il suo orrore.

A pochi metri dall'hotel, nel parcheggio apposito, vedo lo scooter a terra, disteso in una posa innaturale, per un mezzo a due ruote.

Più avanti, che si allontanano velocemente, il gruppo di strunz che avevo notato poco prima, e si era felicemente data alle grida selvagge da Fred Flinstone con la clava. Peccato che siamo nel XXI secolo. Evidentemente qualcuno è rimasto al Neolitico.Ora, è brutto che lo dica, ma per un nanosecondo i desideri più orrendi si sono affollati nella mia testa. Una roba che riguarda persone denutrite in pigiama a righe dentro luoghi dove le docce non gettano h2o ed i forni non sono usati per cuocere il pane.

Cercate di capirmi: ero preda della rabbia furibonda che ti assale quando ti accorgi che gente che non conosci ha così poco rispetto degli oggetti altrui. Delle persone altrui. Che se la loro vita terminasse in quel preciso momento, non solo non ti dispiacerebbe, ma ne saresti pure lieto.

E' una sciocchezza, perchè ci si rende subito conto che con persone di quella nazionalità ci vivi fianco a fianco ogni giorno; che alcuni sono pure colleghi di lavoro, od hanno figli/e che vanno nella stessa scuola dei tuoi, di figli. Pure nella stessa classe.

La verità è che non è la nazionalità a fare gli strunz, ma l'età. Perchè un adolescente ubriaco o strafatto di roba uscita da un laboratorio chimico clandestino, sarà sempre un pericolo per chiunque. E non c'è sesso, nazionalità o religione che lo renderà migliore, se sente il bisogno di sfogare i suoi istinti animaleschi su qualcosa. O, peggio ancora, su qualcuno.

Un secondo dopo questa scena un ragazzetto americano della stessa età, anche lui in evidentissimo stato alterato, corre verso il gruppetto di coetanei che ha commesso il danno nei confronti del mio mezzo a motore, e che continua ad urlare e discutere molto, molto animatamente, in chiarissimo disaccordo per un qualche motivo indubbiamente futile. Ci guarda, tutto sorridente e sguaiato, ed alzando le braccia al cielo urla “YUUUU, COMBAT!!!”, tutto felice di poter osservare un fight club nel pieno centro di Firenze. Incurante della possibilità che costoro decidano di allearsi contro un ragazzetto yankee che non vuole farsi i fatti suoi, e sfogare i loro istinti animaleschi su un soggetto in carne ed ossa, che su un pezzo di ferro.

Il signore italiano, continuando a fumare, mi guarda e pronuncia una triste verità: “L'arcol fa dimorto male”

Io non ho neanche la forza di rispondere, sono troppo demoralizzato per poter replicare. Mi avvicino allo scooter con la stessa tristezza di Tex Willer che deve far fuori il cavallo azzoppato.

Il tipo, che mi ha seguito, assume uno sguardo attonito: “Ma... è er tuo?”

Mi volto verso di lui e faccio cenno di si con la testa, non riesco neanche a pronunciarlo, a far uscire parole distinte dalla bocca.

E lui, messasi la sigaretta tra le labbra, compie un gesto di solidarietà di cui lì per lì neanche mi accorgo: mi aiuta a sollevarlo. Una volta tornato sul cavalletto, lo osserviamo: lo specchietto di sinistra è piegato, e si vede il retro solo su un angolino. Anche la leva del freno è piegata, ma pare funzionare.

Il cliente, che ormai ho definito provenire dalla capitale o quantomeno dai dintorni, mi dice, cercando di rincuorarmi: “Beh, nun me sembra ce siano grandi danni, er parabrezza nun s'è rotto. Son sicuro riparte”.

Assorbo parzialmente l'amarezza per la violenza indiretta che ho subito. Allargo le braccia ed osservo in direzione del gruppo, ormai lontano “E' successo tutto così velocemente, anche a chiamare i carabinieri...”

“Tanto nun glie fanno niente” dice lui scuotendo la testa. E purtroppo penso abbia ragione, anche se nel paese dove viviamo alcuni tutori dell'ordine possono permettersi di ammazzare la gente e non subire giudizi.

In quel momento rientra anche il suo amico, e dopo avergli dato le chiavi delle camere, mi danno un ultimo messaggio di solidarietà. Che mi rincuora un poco sull'umanità ed i suoi problemi.

Però è bene non ci pensi, o la rabbia mi torna più montante che mai. E riguarda sempre campi racchiusi da filo spinato con guardie armate sule torrette. Possibilmente nell'estremo nord-est siberiano.

Mi verrebbe da dire che in fondo ho una moglie e due figlie bellissime, ma questo lo diceva più o meno anche un certo ragioniere. In ogni caso, evito di giocare a campana nei pressi dei tombini aperti.


Altro esempio di mancanza di rispetto:

proprio poco fa, turno pomeridiano.

L'albergo dove lavora la Sara ha il suo garage. Pochi posti, ma comunque ce l'hanno. Quando è pieno, chiamano un garage nelle vicinanze, stesso prezzo.

Alle 19 circa la Sara si accorge che un'auto è parcheggiata per metà davanti all'ingresso del garage. Non si può entrare né uscire.

Immediatamente, la Sara si attacca al telefono per chiamare i vigili urbani, ma data l'ora ed il tempo atmosferico, non vi sono pattuglie disponibili da mandare. Nel frattempo un furgone, che percorre dalla via, ha grosse difficoltà a passare, perchè il garage è nei pressi di una strozzatura della stessa. Dopo aver suonato per un po', è costretto a salire sul marciapiede, fare un pezzo di via contromano e proseguire per la traversa a retromarcia.

E nel frattempo che la Sara attende i vigili, dopo 3 quarti d'ora, arriva un cliente. Con l'auto. Mia moglie è costretta a chiamare il garage nei pressi dell'albergo, che quindi incasserà il costo del garage del cliente: 90 € (30 euro al giorno), in luogo dell'hotel. Ovviamente.

E mentre il garagista prende le chiavi dell'auto del cliente, l'auto rompiba**e parte. Dopo aver parcheggiato male ed aver costretto auto e furgoni vari a manovre assurde, ed un albergo a perdere un incasso, lo strunz se ne va; la speranza è che si schianti contro un albero, così potremo piangere perchè era un bellissimo platano.

Chiosa finale: praticamente nello stesso momento arrivano i vigili. Che avevano pure visto, dal fondo della via, l'auto dello strunz che se ne va.Il vigile entra nell'albergo; la Sara gli riferisce che l'auto se n'è andata e che l'albergo ha perso 90 € perchè loro sono arrivati quasi un'ora dopo.

“Glieli regalo, quei 90 €”.

Ma speriamo servano ai parenti dello strunz per la corona di fiori.


Scusate, non erano storie divertenti, ma purtroppo nella vita capita anche questo.

sabato 1 novembre 2014


Il nostro lavoro di banconisti ci fa sembrare un po' simili al lampionaio, che accende e spegne il suo lampione per sempre, ogni minuto.

Un lavoro sempre uguale, continuato, ripetitivo.

Una frase in particolare.

La colazione è dalle 7 alle 10.

E pure peggio, perchè non abbiamo neanche un tramonto da osservare. Od un principino col fazzoletto di seta con cui parlare del perchè dobbiamo dire sempre e comunque frasi che nessuno ascolta.

Mais il n’y a rien à comprendre.

La consigne c’est la consigne.

Bonjour.


Ve le scrivo in italiano, ma potrebbero essere anche in altre lingue.


1.-La colazione è dalle 7 alle 10-

La cliente prende la chiave.

Si ferma.

Si volta verso di me.

E' trascorso 1 secondo e 27 decimi.

-A che ora è la colazione?-


2.Turno di pomeriggio. Stessa frase. E' la consegna.

Tre giorni dopo, turno di notte, 4 del mattino. Il cliente a cui riferii la frase succitata 3 giorni prima scende le scale e, senza degnarsi della mia presenza, si infila nella sala colazioni.

Io lì, fermo con lo sguardo allucinato di Ron di fronte all'ennesima ca**ata di Harry.

Accanto a me Sakurambo che mi annuncia “Questa per te sarà una pessima giornata”.

Il tipo, 40 anni gettati al vento senza remore, riemerge dall'oscurità ed appoggia le braccia sul bancone, manco fosse il padrone di casa. L'espressione scocciata dell'evento inaspettato, come se alle 4 del mattino fosse tutto imbandito ed apparecchiato solo ed esclusivamente per lui.

-Perchè è tutto spento?-

-Perchè le colazioni cominciano alle 7-

-Ma io ho l'aereo alle 6, devo fare colazione!-

-Posso farle un caffè io, al bar-

-Ed avete da mangiare?-

-Mi spiace, non ne abbiamo. Il personale delle colazioni arriva più tardi-

Questo mi guarda e pronuncia la frase che mi fa comprendere come certi cervelli siano perennemente spenti perchè inspiegabilmente assemblati senza l'interruttore “on”:

-Allora chiami e faccia arrivare qualcuno ora, che aspetta?-

Fu una pessima giornata.

E non dico altro.


3.Italiani. Check-in e salgono in camera. Ovviamente, stessa frase.

Alle 19 e qualcosa scendono e si infilano in sala colazioni.

Ok, come diceva quella scritta sull'aereo “Dont panic”. Magari gli servono dei piatti e delle forchette perchè hanno deciso di comprarsi un paio di pizze da asporto. Sono abituato all'eccentricità italica di comportarsi nei luoghi pubblici come se fosse casa loro: prendere senza chiedere. Lascio un attimo il bancone e mi affaccio in sala.

Questi escono dall'oscurità con la stessa espressione scocciata di Sheldon quando scopre che qualcuno si è seduto sulla sua parte del divano: -Perchè è tutto spento?-

-Perchè le colazioni iniziano tra 12 ore, alle 7 del mattino. Non abbiamo ristorante-

Mi guarda.

Lui la fa facile. Quasi banale.

-Vabbè, ma dove si scalda il latte si può scaldare anche l'acqua per la pasta, no?-

Ok, panic.


4.Famiglia argentina. Consegna per il sottoscritto che comincia il turno alle 23. Partono alle 6, chiedono caffè per tutti. Nessun problema. Come diceva quel tipo: ero lindo, pulito, ben sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Un po' bradipo forse, ma fa parte della dotazione standard del notturno. Gli farò il caffè.

Scocca l'ora x e quelli scendono. Tassa di soggiorno, poi li invito al bar.

Mie personali, testuali parole:

-Andiamo al bar e vi preparo i 4 caffè. La sala colazioni è ancora chiusa, ma posso chiedere se hanno degli yogurt. Ma devo andarci io, non si può entrare fino alle 7-

Non voglio passare come un poliglotta universale. Lavoro in un semplice 3 stelle. Sono spesso di notte. Ma credo di conoscere abbastanza bene lo spagnolo, e di essermi fatto capire.

Ma invece di seguirmi fino al bancone del bar, il capofamiglia, con la stessa tranquillità argentina nel torturare a morte i propri concittadini, si infila diretto in sala colazioni.

Neanche il tempo di contare fino a tre che Gesù Bambino piange. Perchè Marco “Grisù” urla come un ossesso quelle parole che noi toscani pronunciamo sempre quando accadono cose che non ci piacciono. Che nel caso di Marco è il 100% di quel che lo circonda.

Mi tocca entrare in sala colazioni, perchè un toscano ed un argentino che discutono superano abbondantemente il fracasso di una vettura di formula 1 nel rettilineo, invitare il cliente a levarsi dai 3 passi e tornare al bar; e mi toccò ripetergli ancora quel che gli avevo detto in precedenza: alle 6 il buffet non è pronto. Alle 6 non trovi paste e/o panini. Alle 6 ci sono solo io che ti faccio il caffè, al massimo uno yogurt, e non puoi pretendere di avere tutto e subito, se volevi fare colazione dovevi programmarti diversamente il viaggio e non scegliere un volo la mattina presto. Perchè parlo e si comportano tutti come Homer quando dice “avete la mia totale attenzione”?

Comunque alla fine andò tutto bene: il cliente capisce, torna al bar (dove il resto della famiglia invece era rimasto perchè aveva capito), e mi chiede i caffè/cappuccini vari. Mangiano gli yogurt, chiedono scusa e cominciano a raccontarmi il 90% del loro viaggio e della loro vita, e dell'emozione nel vedere un loro concittadino nuovo vescovo di Roma. Chissà se una volta a Buenos Aires avrà raccontato agli amici dei bestemmioni di Grisù nel vederselo apparire in sala nell'orario sbagliato.


5.Mia moglie, primo pomeriggio. Stessa frase a cliente australiana. E' la consegna.

E' facile, c'è un termine apposta. Scandirlo bene affinchè il cliente capisca: colazione, breakfast, desayuno, petit dejuner. E mia moglie sa scandire bene i termini affinchè clienti, figlie e marito capiscano.

Alle 19 la cliente scende e si infila diretta in sala. Al buio.

La Sara, com'è ovvio, lascia un attimo il bancone e si avvicina: “Signora, le serve qualcosa?”

Si, sto aspettando per mangiare”

Ma... signora.. la colazione comincia alle 7 del mattino (7am), non del pomeriggio!”

Ma io ho fame ora....”

ps. la signora comunque era cotta da quasi 20 ore di volo con svariati scali dall'Australia, con jet-leeg e fame fuori orario. Dopo un po' di spiegazioni, si rende conto che era ora di cena, e si prese una pizza in un locale fuori dall'albergo.


6.Clienti americani. Solita partenza delle 4 del mattino, per un aereo che parte alle 7 ma che li fa temere che “ci vorranno due ore di check-in”. Non si rendono conto che Peretola è una parodia di aeroporto. Che basta una mezz'ora prima, non ci sono voli ogni 5 minuti modello Heatrow ed un centinaio di gate. Ma tant'è: loro hanno deciso così.

Scendono per il check-out e mi chiedono un taxi. Sono comunque sorridenti e felici nonostante l'alzataccia perchè tornano a casa dopo una vacanza italica. E per fortuna, particolarmente fortunata.

Lo chiedo sempre, ai clienti che scendono prima delle colazioni e sono simpatici:

-Volete un caffè?-

Mi guardano come se fossi il messia. Ma ancora non capiscono.

-Ma le colazioni non cominciano alle 7?-

Se mi alzi la palla, io schiaccio, è chiaro.

-Le colazioni si, ma un caffè si può fare a qualsiasi ora. Hey, sono italiano, so come fare un caffè. E' nella Costituzione: gli italiani devono saper fare il caffè, o non sono italiani-

Mi avrebbero abbracciato.

Nei dieci minuti mentre gli preparavo il caffè, lo bevevano ed aspettavano il taxi, mi raccontarono i ¾ della loro vita. Ma non chiedetemi dettagli perchè TUTTI i clienti a cui offro questo servizio mi raccontano tutto in un fiume di parole ininterrotto. Gli americani in particolare. E quando salgono sul taxi, mi stringono la mano nel solito modo: con frattura multipla del metacarpo.

Ma quell'espressione sorridente mi ripaga di quelli che pretendono di avere tavolo apparecchiato, colazione competa e personale a sua totale disposizione alle 4 del mattino.