sabato 25 novembre 2017

In occasione dell'immancabile, puntalissima, irrefenabile maratona di Firenze e della meravigliosa disponibilità che indica "zeru camere" perchè abbiamo venduto tutto già da eoni a prezzi che rasentano il reato di concussione, riscriverò uno dei miei racconti più vecchi, nati dall'incredibile, assurda, pazzesca domanda rivoltami da una cliente argentina anni fa. E che stavolta riscriverò in italiano e non in spagnolo.
 
Lavoro in albergo, sono un portiere.
 
Mi piacerebbe poter dire: lavoro in una società calcistica, sono un portiere. Ma non è così. E comunque, anche lì, dipende sempre. Fosse la Fiorentina, ad esempio, potrei accettare un patto col diavolo. Fosse il povero Benevento lo sarei un po' meno. Ma tant'è, mi consolo pensando che la mia mancanza di talento calcistico è condivisa con un buon 99% della popolazione del pianeta, e malgrado ciò qualcuno gioca comunque nella massima serie. Un paio di miei amici giallorossi, ad esempio, pensano che sia molto meglio dell'indimenticabile Goicoechea. E nella mia modestia sono lieto di dire che si, hanno pienamente ragione.
 
L'albergo dove lavoro si trova nel centro di Firenze. Ci si può arrivare con l'auto ma è, eufemisticamente parlando, un casino. Bisogna stare attenti alle corsie preferenziali, alle telecamere che il comune pone entusiasticamente un po' ovunque, cessi compresi, alle stradine piccole e non percorribili, e malgrado ciò tanti non arrivano a capire che no, questa non è una città da auto. Ho avuto clienti che mi hanno chiesto come fare ad andare in auto dall'hotel agli Uffizi, come se avesse un parcheggio da Disneyland di Los Angeles, e che purtroppo non accettano la frase “Non è possibile”. Eppure siamo a 10 minuti 10 a piedi dai musei. Non comprendono che l'unica maniera per muoversi in auto qui è convincere il Dottore a farsi prestare il Tardis, andare indietro alla Firenze di 1500 anni fa e convincere l'assessore all'urbanistica di allora ad edificare strade a 4 corsie con relativi parcheggi. Una volta lo dissi pure ad un cliente. Mi guardò come se gli avessi detto che ero la reincarnazione dell'autista di Lady D, e che avevo finalmente imparato a percorrere il tunnel dell'Alma.
 
E tutto ciò senza tenere conto degli imprevisti, e non sto parlando di quelli del Monopoli. Mi riferisco alla coincidenza tra i clienti convinti che il mondo si muova intorno a loro e l'evento mondiale che tutto travolge. In quel caso otteniamo lo scontro di titani. E nel mezzo purtroppo c'è il portiere.
 
Un venerdì, turno di pomeriggio. Arrivo di clienti in auto. Auto ovviamente noleggiata, sono sudamericani. Scaricano i bagagli e si presentano al check-in. Come sempre, gli spiego le tariffe del garage con cui lavoriamo. Dico loro, piantina alla mano, che non hanno bisogno dell'auto per girare in città, ma loro insistono. Domenica prendiamo l'auto. Assolutamente.
 
Niente e nessuno gli farà cambiare idea.
 
Domenica.
 
Settembre del 490 a.c.
 
Un oplite, scansando centinaia di corpi di persiani in putrefazione, si presenta davanti al suo generale.
 
-Mi aveva fatto chiamare, generale Milziade?
 
-Ah, Filippide, eccoti qui. Senti 'n po', te c'hai campo?
 
-Come dice, generale?
 
-O che tu sei? Sordo? T'ho chiesto se tu c'hai campo. Qui e 'un si becca nulla, 'cidentamme e quando ho fatto i'contratto 'olla 'oppe voce.
 
-Ma... io... veramente...
 
-'Scorta, e c'ho da chiama' Atene e dinni 'he s'è vinto, ma 'un si piglia; c'ho bisogno tu mi ci vada te, via.
 
-Ma... generale... sono 42 chilometri e 195 metri!
 
-Tessaglia maiala, e lo so anch'io quanto c'è da qui ad Atene, ma tu ci devi andare, pohe storie! Piglia e parti, vai.
 
-Se proprio insiste...
 
-E insisto si, moviti! E ci 'orsa!
 
E così Filippide si sciroppò tutto di corsa fino ad Atene per dire che i greci avevano battuto i persiani a Maratona. 4-2.
 
Richiamo i clienti prima che salgano in camera.
 
Voi, domenica, non andate da nessuna parte.
 
Domenica, a Firenze, c'è la maratona. La città è off-limits. Imposible. Verboten. No way. できません .
 
Mi ci vuole una mezz'ora buona per fargli capire che il 90% delle strade è chiuso perchè ci corrono a piedi; devo pure aprire la pagina wikipedia alla voce “maratona” in più lingue, ma alla fine lo comprendono. Almeno così penso.
 
Illuso.
 
La moglie ci ripensa un attimo e torna al bancone:
 
"Ma lei non può chiamare e chiedere che la facciano un altro giorno?"
 

mercoledì 8 novembre 2017

Fallimento e C2.

"Noi storia finita. Torno Seoul mio ragazzo aspettare di me. Addio"

"A Babbo Natale chiederò...." segue lista di prodotti disney per un totale pari ad una mezza dozzina di rate del mutuo.

Il cantiere della tranvia aperto nottetempo che sbarra, a tradimento, la strada che percorrevi, ogni giorno, per andare e tornare a lavoro. E ti costringe ad una camminata che, nella storia dell'umanità, hanno percorso solo Lewis & Clark.

Quelli che partono senza pagare la tassa di soggiorno.

Grey's anatomy tutti i giorni, allo stesso orario dei Simpson e Futurama. E si sa chi detiene il potere del telecomando, ovunque sul pianeta. No, non sono uno di quelli.

Ci può essere qualcosa di peggio?

Purtroppo, si.

Questo:


Molto molto molto prima dell'ora X. Non sono presente.

Chiama. Vorrei una camera. Ce l'abbiamo. Costa tot. La prendo. Arriva. Come sarebbe a dire pagamento anticipato? Io non anticipo un bel niente. Allora arrivederci, rivendiamo la camera a qualcun altro. Questo è uno scandalo, voglio parlare con il direttore.

Fino a qui, può sembrare un classico di noi portieri. Ce li siamo trovati davanti spesso, elementi del genere.

Questo no. Questo è speciale.

Nel senso distruttivo del termine.

Millenni di supponenza, arroganza e presunzione condensati in un unico elemento bipede penisolano. Secoli di ottusità, sbruffonaggine, rabbia e, soprattutto, distruzione ed annichilamento verso sè stessi e tutto ciò che lo circonda riuniti in un singolo individuo. E moltitudini di italiani che, cervello o meno, fuggono all'estero.

Per evitare lui.

Ben vestito, barba di qualche giorno e, aimè, italiano.

Il mio sontuoso ed efficentissimo capo ricevimento, che io chiamo con il soprannome di Eva Kant, accorre a supporto della collega da noi denominata Signorina Rottelmeier. Entrambe ribadiscono: pagamento anticipato. Il tipo, che definiremo per comodità "Genny", sbraita ed urla, si dimena, si agita come un tirannosauro in astinenza da cibo quando riesce ad uscire dal recinto non più elettrificato, ma alla fine si convince che se non scuce non ottiene nessuna chiave.


Molto molto prima dell'ora x. Non sono presente.

Genny non è solo. Come l'originale, ha una "compagna", che chiameremo, guarda caso, Azzurra.

Una transuessuale

Lui rientra il giorno dopo con lei, e la presenta proprio come tale: "la mia ragazza"

Normalmente evitiamo le transessuali perchè al 90% sono professioniste del settore e si presentano abbigliate in "divisa da lavoro" (minigonna uterina e seno a balconcino). Da questo punto di vista lo facciamo anche per le vere donne. Non è una cosa da albergo rispettabile. Non proprio quel che si vuole mostrare quando scende a fare colazione, magari nel tavolo accanto a quello di un'allegra famigliola. Ma per una volta passiamo oltre perchè almeno lei è gentile, non urla e soprattutto è vestita normale.

Il problema non è lei. E' lui.

Perchè Genny esce e rientra in albergo sbraitando. Completamente ubriaco. Gli altri clienti si lamentano del frastuono, specialmente la notte. Fa storie per pagare anticipatamente la camera (perchè ogni giorno allunga il soggiorno di un'altra notte, ed ogni giorno i miei colleghi lo obbligano a scucire il dovuto).
In poche parole, un inferno per tutti, ospiti e colleghi.

Così ottiene lo splendido, puntale, immancabile risultato: la nostra direzione ordina di non rinnovargli il soggiorno. Domani deve sloggiare.


Poco prima dell'ora x.

Entro in turno pomeridiano e la signorina Rottelmeier mi informa sugli ordini di herr direktor: quando rientra nessun prolungamento. Ha pagato fino al giorno dopo, quindi domani deve fare il check-out. Nessuna eccezione. Nessuna pietà. Neanche se paga la camera 10 volte quanto l'ha pagata fin'ora. Neanche se si prostra in ginocchio. Neanche se estrae una Luger. Domani rauss. Adieu. Do Svidanjia. さよなら

Tocca a me affontarlo. Preferirei avere a che fare con una squadraccia di camicie nere, e sono convintissimo che se tornassimo agli anni venti ne farebbe entusiasticamente parte. Ma è da solo.


Ora x.

Giacca elegante, barba di qualche giorno, Genny mi appare con la sicurezza e la soddisfazione di un europarlamentare leghista all'ufficio paghe di Strasburgo. Prima ancora che mi accinga a informarlo della ferale notizia della sua prossima partenza da questo ameno luogo, lui parte subito in quarta:

-Allora, visto che volete essere pagati, ora vi anticipo le prossime 3 notti-

-Ehm... guardi, sono piacente ma domani siamo già al completo e non abbiamo più came...-

-COL CA**O, IO VI PAGO 3 NOTTI E RESTO QUI-

-No, senta, non alzi la voce perc...-

-VOGLIO PARLARE CON IL DIRETTORE, SUBITO!!!-

E lì, mi si apre la vena. Il bolscevico-stalinista che è dentro di me si agita compulsivamente ed emerge furioso con la ferrea vlontà di rinchiudere il nemico del popolo del suo gulag.

-Ecco, se la mette così, le dico subito che non c'è affatto bisogno di questo comportamente; lei qui dentro non è persona gradita e domani se ne va!-

-NO, LEI ORA CHIAMA IL DIRETTORE, IO NON ME NE VADO MANCO PER IL ..... -

-IO NON CHIAMO PROPRIO NESSUNO, LEI PRENDE LA SUA CHIAVE, STANOTTE DORME E DOMANI SLOGGIA, CHIARO?- (Dio, quanto ho desiderato urlarlo, in tutti questi anni)

Andiamo avanti così per qualche minuto, e fortuna che, in questo questo duello verbale su cui costui pensava di poter competere (sono toscano, come decibel posso tranquillamente sovrastare un airbus in pieno decollo) non passa nessun cliente e gli unici testimoni sono Niccolò, il facchino, che ha già notato la mia vena pulsante sul collo e ha il fondato timore che io scavalchi il bancone per fiondarmi sul tipo e praticargli un rito azteco con le forbici, e la transess....

Improvvisamente, ci accorgiamo che la "ragazza" è sparita.

L'essere si zittisce, si volta attorno, guarda pure a terra, forse immaginando che la sua amichetta si sia acquattata sotto al divano, ma quando si rende conto che lei l'ha piantata in asso, diventa ancora più belva.

-SE N'E' ANDATA! QUELLA TR.... E' ANDATA VIA! GLI HO ANCHE ANTICIPATO 100 €-

Io e Nicco prima lo guardiamo stupefatti, poi voltiamo la testa e ci guardiamo con gli occhi fuori dalle orbite quando lui prende il cellulare, esce dall'albergo mentre demolisce l'intera religione monoteistica perchè dentro non gli prende e, una volta sul maciapiede, non appena lei risponde, gli urla:

-TI HO GIA' DATO 100 €, TR..., ORA TORNI SUBITO QUI, CHIARO!-

Un maciapiede molto affollato, colmo di persone. E sono sicuro che hanno capito tutti nel raggio di mezzo chilometro, indigeni e turisti.

E quando ha finito la chiamata e rientra, mentre mi preparo per il secondo round, lui si scusa profondamente!

-No, davvero, mi dispiace. Tu fai il tuo lavoro, ci mancherebbe. Domani parto, ora chiamo un altro albergo, tranquillo. Ma lei deve tornare, che ca...-

E quasi mi allunga la mano a volermi toccare sulla spalla. Un secondo prima non avrebbe esitato a rischiare un corpo a corpo nucleare con il sottoscritto e un attimo dopo è diventato un amicone.

Un campione del bipolarismo, come mi disse un mio amico quando gli riferii la disavventura.

Dopo pochi minuti lei arriva, chiacchierano un momento poi lei entra e si mette a sedere davanti al bancone mentre fuori lui chiama un altro albergo per il giorno dopo. Lei, che all'apparenza pare veramente una vera ragazza con tutte le forme al loro posto, mi osserva con sguardo sconsolato e poi, con una certa voce baritonale e accento sudamericano, se ne esce con scuse quasi sincere e la giustificazione che -Sai, lui ha questo problema del bere-

Al che la guardo, poso le mani sul bancone e, mi viene proprio spontaneo, pongo una domanda in fondo stupidissima:

-Ma non te ne potevi trovare uno normale?-

Ma lei si limita ad alzare gli occhi al cielo e sospirare.

E non poteva darmi una risposta più eloquente.

mercoledì 1 novembre 2017

Trent'anni.

Trenta anni possono essere il sunto una vita umana. Il concentrato di azioni di un singolo bipede.

In trenta anni puoi tirare su monumenti immensi destinati a resistere millenni.

In trenta anni puoi fare un'intera guerra. O portare a compimento 6 piani quinquennali. Trenta anni sono la durata di una dittatura in Africa e due conflitti mondiali in Europa.

In trenta anni puoi girare il mondo, anche più di una volta. Se hai i soldi. Oppure lavorare per permettersi di girarlo. Se si ha un lavoro adeguato, certo.

Trenta anni sono il tempo per realizzare mezzo chilometro della Salerno - Reggio, per avere una dozzina di legislature parlamentari ed una ventina di governi.

Trenta anni li bruci in un istante se possiedi un flusso canalizzatore.

Trenta anni fa ero alle medie.

I miei 3 anni di scuola media sono state abbastanza anonime. Il solito bulletto personale che ti tormenta, insegnanti totalmente privi di qualsiasi senso di comprensione o minima capacità educativa, compagni che ti deridono in massa ad ogni banalità, al più piccolo passo falso.

Ricordo Andrea, con cui facevamo finta di studiare, salvo poi giocare al pallone. In camera. Con una pallina di gomma piuma. Uno dei ricordi migliori.

Lo scudetto dell'82, terzo sul campo, ancora in attesa della restituzione.

Il coro della scuola, messo su dalla compianta insegnante di musica, l'unica che mi abbia trasmesso una passione per qualcosa in quei 3 anni e dove io e un anonimo -per me- tipo di un'altra sezione eravamo gli unici tenori, i soli uomini; rammento bene l'esibizione nella sala musica di fronte alle due classi (per me corrispondeva all'intera popolazione mondiale) e la preside che abbraccia e bacia sulle guancie l'altro ragazzetto, manco fosse stato un novello Beniamino Gigli. Io non venni minimamente considerato.

Ricordo orrendi filmetti francesi su quella cosa detta "adolescenza" e di cui io, da maschio appena approdato alla doppia cifra degli anni, ero ancora ignaro. Fissato perennemente sul pallone ed il sogno irrealizzabile di diventare un nuovo Antognoni, sui soldatini Atlantic di cui sono ancora fiero possessore, ed i cartoni giapponesi incentrati su robot che si combattono nel centro di Tokyo. Noi maschi arriviamo sempre dopo.

Le ragazze no. Loro erano già avanti. Anni luce.

Dietro di me, di due banchi, ricordo bene il sorrisetto malizioso di questa ragazzina. Già matura, già sveglia ed attenta al mondo che la circonda, già pronta ad osservare, studiare, capire chi le stava attorno. Ma sempre con il sorriso.

Ecco, quel sorriso è una delle cose che ricordo meglio delle medie.

Trenta anni dopo.

Uomini e donne maturi, adulti, che trascinano verso le elementari legioni di bambini. Qui, una volta consegnata la prole al meraviglioso mondo dell'istruzione italico, ci sono le inevitabili chiacchiere tra noi genitori: come va? Ci beviamo un caffeino? O come s'è fatto a perdè ieri sera coi'Chievo?

Poi, improvvisamente, tra la folla di genitori assiepati all'ingresso del luogo d'istruzione, mi appare davanti questa donna. Con i capelli non più lunghi ma lo stesso sorrisetto malizioso, lo stesso sguardo attento e scrutatore.

-Te sei Marcello. Il "mugna"-

La guardo così, intontito come solo io riesco benissimo a essere, anche se i neuroni hanno già realizzato il collegamento. Un collegamento di trenta anni, ma passato in un nanosecondo all'interno del mio cervello.

-Marta! La Marta Di Santo!-

E così ci siamo ritrovati. Compagni di classe delle medie d trenta anni fa, siamo rimasti a vivere nello stesso quartiere, abbiamo messo su le nostre rispettive famiglie e portiamo le/i figlie/i alle stesse elementari. E quindi le solite chiacchiere su cosa facciamo nella vita, come siamo cambiati, che abbiamo realizzato, o distrutto, in questi trenta anni, per poi cadere nell'amicizia su facebook.

Poi, qualche mese fa:

Proprio da facebook arriva questa richiesta: votami. Promuovi la mia candidatura. Che non è un'elezione politica, ma un concorso di una nota ditta di abbigliamento che porterà venti donne alla maratona di New York.

Come nella più classica tradizione italiana dai tempi delle preferenze, un voto non si nega a nessuno. Voto. E contribuisco. La Marta diventa una delle venti. Ed oggi parte per New York.

Ora, io non sono il tipo fanatico della corsa. Ho seguito -distrattamente lo confesso- i progressi di Marta che, pidessiquamente, postava su facebook. Lei e le altre allenate duramente da Gelindo Bordin, un nome che, per la corsa, viene ancora prima di quello di Filippide. Per uno come me, che pure nel pallone ha sempre scelto il ruolo più statico dove, al massimo, si cammina fino al limite dell'area o ci si butta a terra nel -spesso vano- tentativo di afferrare la sfera, la corsa rimane un qualcosa di totalmente incomprensibile. Innaturale, pure. Rimango convinto che noi esseri umani siamo fatti per il bipedismo lento: camminare e stop. Dove per camminare intendo sempre il percorso dal divano al frigorifero e viceversa. Non oltre.

La Marta no. Lei corre. E mi piace immaginarla mentre attraversa Central Park con lo stesso sorriso di quando percorre uno dei viali alberati dentro le Cascine.

E quindi, dopo tutto questo lungo prologo su come si cambia (Mannoia in sottofondo), l'unica cosa che mi sento di dirle sono i miei migliori in bocca al lupo. O, come direbbero di giapponesi, ganbatte kudasai. A lei e le altre donne che correranno, novelle Forrest Gump a piedi per le strade dell'America, anche se limitata a quelle della Grande Mela.

Divertitevi ragazze. Sarà una bella sfida.

Io sono impegnato in una ben più difficile e complessa:

alzarmi dal divano e raggiungere il frigorifero.