venerdì 27 maggio 2016

Vi avverto, ho scritto un monte. Ma un monte davvero. M'è preso il matto ed ho cominciato a digitare sulla tastiera senza soluzione di continuità. Perciò userò un vecchio stratagemma: se volete leggere un piccolo aneddoto dell'albergo, oggi riguardante uno sfondone linguistico, andate a DA QUI.

E se mi venite a dire che DA QUI è già stato utilizzato, ricordate che si dice “citare”. Non copiare.




Un 3-4 di millenni fa, una popolazione di origine polinesiana giunse in un arcipelago. Decise che il posto gli piaceva, e vi si stabilirono.

Parlavano una loro lingua, ma non avevano ancora una scrittura. Poi, dalla costa del continente, giunsero dei tipi che disponevano, oltre che d'un linguaggio, pure di una scrittura.

-Nooo, bada ganzo! Adottiamolo anche noi!-

-Alla grande! Dai!-

E così gli antenati dei giapponesi adottarono gli ideogrammi cinesi. Solo che, ad un certo punto, sortì fuori un problemino:

-Ma... a me 'un mi riesce di coniugare i verbi e gli aggettivi (in giapponese gli aggettivi si coniugano). O come si fa?-

-Mmmmhhh.... gli'è un bel problema...-

-O se si facesse un alfabeto apposta per le coniugazioni?-

-Genio!-

E così i giappi crearono l'Hiragana, alfabeto sillabico. Ogni suono corrisponde ad una sillaba.

Poi arrivarono anche i gaijin occidentali, ed i nipponici, per giapponesizzare quei nomi e parole nuove, crearono un ulteriore alfabeto chiamato Katakana. Ma questo ci interessa meno.

Il punto è: quando sono stato in Giappone a studiare questa straordinaria, stupefacente, meravigliosa lingua, mi rifiutai, fin dall'inizio, di imparare qualsivoglia ideogramma. Gli scarabocchi, io, li ho gà fatti da piccolo, vade retro. Mi limitai ai soli due alfabeti: hiragana e katakana. Eliminai, al principio di tutto, qualsiasi altro sistema. Io, coi giappi, ci devo parlare al bancone. Non ci devo scrivere un trattato. Non dobbiamo mandarci letterine amorose. Vabbè, è successo. Ma tengo a precisare che la Sara non la conoscevo ancora. Fatto sta che, in quei due mesi di Sol Levante, le mie difficoltà linguistiche le ho trovate. Eccome.




Nara, Luglio 1999

Vagabondano per la città.

Li trovi ad ogni angolo, a dozzine.

Non lavorano.

Non parlano la nostra lingua.

Elemosinano cibo.

Sono la piaga di questa cittadina.

Si chiamano しか. Shika.

Il termine giapponese per daino.

Il sogno proibito di mio padre: branchi di daini che girellano paciosamente tra le case, incuranti dei bipedi e delle loro automobili. Probabilmente perchè, tra i giapponesi, c'è una tremenda carenza, se non proprio totale mancanza, di cacciatori toscani quale è, appunto, mio padre.

Mi fermo a sedere in un chiosco di souvenir, proprio fuori dal Toda-ji (a chi interessasse, è la costruzione in legno più grande al mondo). Pervaso dalla fame atavica che colpisce i maschi italici dopo un paio d'ore di astinenza da cibo (ed il sottoscritto in particolare), provo a cercare qualcosa da mangiare, ma tutto quel che si trova all'interno sono oggetti riguardanti il Toda-ji, altri tempi di Nara o tutto il Giappone. Ogni cosa a beneficio dei turisti, il 90% dei quali sono giapponesi. Prima che il locale venga invaso dal contenuto di un pullman delle dimensioni dell'Arkadia che si era appena fermato nel vicino parcheggio, esco e mi metto a sedere su una panchina.

E lì, accanto, magia delle magie, una macchina venditrice. Una delle decine di migliaia di cui è pervaso il paese, e che in quel momento non trovavo, probabilmente nascoste per farmi patire ancora più fame. Invece, eccola. Piccola, strana, diversa dalla altre, contiene solo un tipo di cibo, degli strani biscotti rotondi, ed una sola scritta.

しか の たべもの

Ma io ho fame, importassai dei tuoi ideogrammi. Eccoti i maledetti 100 yen, dammi i biscotti.

E mentre mi sto godendo questo frugale pasto, ecco che i turisti giapponesi venuti da Tokyo, o Fukuoka, o l'Hokkaido, per quel che ne so, allo scopo di vedere Nara esattamente come farebbero milanesi e siciliani con Firenze (almeno fino a che i lungarni reggono...), escono dal negozio colmi di souvenir appena acquistati, mi guardano e scoppiano, letteralmente, a ridere. Tutti nessuno escluso. E mi stanno praticamente dando del bischero. ばかがいじん. Una parte che, a me, è sempre riuscita benissimo, non solo in Giappone.

Rifletti marce, ce la puoi fare. E' hiragana.

たべもの = cibo

しかの たべもの = cibo per daini.

.

Mi sto pappando il mangime dei quadrupedi.

Ok, va bene. La mia figura a bischero l'ho fatta. Diamo i biscotti ai legittimi, poi mi metterò a cercare un posto che venda mangiare vero.

In quel momento passa uno dei quadrupedi, e gli allungo un biscottino. E lui, o lei, non sono stato a sottilizzare, si fionda e, delicatamente, lo addenta. Avevo paura si mangiasse anche la mano che lo stava sfamando. Invece no. Era un bravo daino, ormai avvezzo al sistema, che azzannava solo l'estremità scoperta, non quella tenuta dal bipede dotato di pollici opponibili.

Solo che un altro daino, a distanza, vede la scena. Cibo. Gratis. E si fionda, a velocità warp, verso lo stolto umano che offre nutrimento senza niente in cambio se non una carezza sulla testa pezzata. E poi un altro. Ed un altro. Escono dalle fottute pareti! Mi trovo circondato, senza neanche accorgermene, da una mandria di daini. Belli, carini quanto lo si voglia, ma fottutamente insistenti. Vogliono il loro cibo, il loro たべもの. Ma perchè non ve ne tornate a casa vostra, cioè nel bosco, a pascolare e procurarvelo per conto vostro? Ve ne approfittate perchè sapete che non ho il porto d'armi come il mi'babbo.

Scappo, perchè ho finito i biscottini. E non ho voglia di spendere altre monetine da 100 yen per questi fannulloni pezzati. Peccato che sono anche dei deficienti, e non capiscono che non ho più niente, perciò vengo inseguito da tutta la mandria desiderosa di altro mangime, neanche stessi suonando un piffero magico. E dietro di me, un'altra mandria, i giapponesi del torpedone gigante, cominciano a ridere a crepapelle della scenetta offerta dallo stupido イタリア. E, per rendere la cosa più umiliante, a ridere si aggiungono anche i gestori del negozio di souvenir.

E' stato il momento in cui ho odiato il Giappone con tutte le mie forze. Almeno, fino a che non ho compreso l'assurdità della situazione, e ci ho riso anche io.




Kyoto, Luglio 1999.

Descrivere i templi di Kyoto in due righe è come voler parlare dei monumenti di Firenze in 10 minuti: futile ed impossibile. Sono qualcosa di così meraviglioso che si finisce nello scadere nel mieloso. Quando ci si trova di fronte all'incredibile bellezza del Kinkaku-ji, dopo aver percorso una leggera salita, si rimane così estasiati che qualsiasi parola non rende giustizia. E' stupendo. Punto. Stai lì, lo guardi e ti assale una pace interiore che non hai provato, e mai proverai, per il resto della tua esistenza. Mi manca. Mi manca così tanto, quella meravigliosa pagoda dorata.

Ma non sono i monumenti il punto focale di questo racconto.

Alla faccia della mia mania del risparmio, arrivato a Kyoto in tardissima serata, provo ad andare in uno degli alberghi nei pressi della stazione. Per una volta niente ostello, come l'anno scorso (sono stato in Giappone due mesi: Luglio '98 e '99). E' tardi, è lontano... entriamo e facciamo quel che fanno i turisti con me: vorrei una camera. Quanto costa?

Ebbene, non costava tanto. La banconista, di cui ricordo il bellissimo e soave sorriso, mi propone, per una sola notte, due possibilità: la camera in stile occidentale e quella in stile giapponese.

Neanche a pensarci: quella giappa. Voglio il futon, la cosa migliore inventata da voi nipponici dopo i robottoni e MarioBros. Sborsai subito gli yen necessari e mi profusi in un inchino neanche fossi stato al cospetto dell'Imperatore. Ovviamente, gli detti anche la brochure dell'albergo dove lavoravo. Due chiacchiere con questa collega, e salii in camera.

Le camere in stile giapponese sono, brutalmente, così:

il pavimento.

basta.

Minimalismo totalitario.

Lo adoro da matti.

Buttai giù il megazaino e lo aprii per prendere il cambio di biancheria intima; quindi, scendere a lavarmi. Il bagno, in Giappone, è pubblico anche in albergo: prima ci si lava ben bene per eliminare ogni particella di sporco, ci si sciacqua per togliere il sapone, e poi ci si immerge nella mega vasca, accanto ad altri clienti dell'albergo, la cui acqua è alla temperatura di un forno Siemens in piena attività. Feci anche due chiacchiere, con questi altri clienti (ovviamente ero nel bagno maschile, quindi eravamo tra rudi omaccioni) che, come fanno tutti i giappi, si meravigliarono di trovare un italiano lì, e della mia capacità con la loro lingua (sono gentili all'inverosimile: lo sanno che sono un cane, ma diranno sempre じょずですね. Grazie per questa piccola bugia. Vi adoro).

Ma torniamo una attimo indietro. Sono ancora in camera. Prima di fare il bagno, ho bisogno del wc. Una stanzetta grande quanto quella delle barbie, ma è tutta per me.

Faccio scorrere la porta ed entro. Ci si sta appena. Da un lato, lavandino e specchio. Dall'altro, il wc.

La famiglia dove soggiornavo, durante la settimana, mi aveva avvertito che, in Giappone, avrei potuto trovare wc particolarmente tecnologici. Loro, per la propria magione, avevano preferito una cosa semplice, ma questa roba, mi dicevano, va alla grande qui.

Ora ce l'avevo davanti.

La sedia del capitano Kirk; solo, con la buca.

Mi siedo un momento: controlli a destra e sinistra.

Mancherebbe solo una cloche con un bottone per fare fuoco. Potrei stare qui ore a giocarci, urlando “Capo rosso a rosso3, ho un nemico in coda!”.

Torno in camera e, dallo zaino, ne estraggo un libro: kanji.

Tengo a precisare che non l'ho mai comprato: era un regalo di una ragazza cinese, compagna del corso di lingua. Gli spiegai che non era necessario, ma lei insistette. Qualcosa, sicuramente, gli regalai anche io.

Ora avevo il libro tra le mani. Ok, torno al wc.

Per prima cosa, lo uso per quello che è: un wc.

La carta igienica c'è, ok. Fino a qui, tutto bene. Ma lo diceva pure il tipo che cadeva. A quel punto, essendo questo il Giappone e mancando, come ovunque fuori dalla penisola, il bidet, vediamo come utilizzare i mega comandi.

Apro il libro e comincio a decifrare. Mi sembra di essere Howard Carter dentro la tomba di Tutankhamon.

Quando penso di aver capito, comincio a digitare sui comandi. A quel punto sento un “bzzzz” piuttosto inquietante, dopo di che caccio un urlo che deve avermi sentito anche la banconista giù al piano terra.

Un getto di acqua bollente mi aveva colpito proprio agli zebedei. Avevo sbagliato sia la temperatura che la direzione del getto.

Mi ritrovo spiaccicato contro la porta scorrevole del bagnetto, mentre l'acqua forma un arco che va a finire proprio sullo specchio del lavandino, di fronte al wc. Quando alla fine smette, il bagno è completamente allagato, ed io sono bagnato fradicio. E, sul volto, un'espressione di puro terrore.

Mai più.




DA QUI

Firenze, un paio di mesi fa.

Al bancone, la Caterina. Bionda proca... vabbè, più o meno. E' brava, ci sa fare. Ha solo il difetto di agitarsi come uno gnu quando sente la carica del leone. Ed il leone, nel suo mondo di terrore, è sempre all'attacco.

Io nel retro, ufficio prenotazioni. Ormai, sono fisso in castigo.

Betty, detta scendiluce, cameriera nigeriana. Chiamata anche Bob Marley, perchè racchiude il suo cesto di capelli ricci in un berrettino multicolore. 2 giorni fa venne a trovarci extra lavoro, nel marsupio la piccola: un pezzetto di fondente purissimo. Mi guardava con due pupille dello stesso colore, e la boccona aperta come mostravano le mie quando gli facevo i versetti a deficiente che solo gli adulti possono fare. Così bella che, se non sapessi che mi beccherei una manata in pieno viso, vorrei correre dalla Sara a proporle di farne un'altra, per vedere altri due occhioni che mi guardano in quel modo così magico, come solo le bambine di pochi mesi sono capaci di esprimere.

Quel giorno comunque era in turno, su ai piani, a pulire le camere.

E chiama al bancone, da una di queste camere.

La Cate risponde, e lei esordisce con queste incredibili parole:

-Manda su facchino qui sedere rotto-

..

-Co...come hai detto, Betty?-

-Tu manda su facchino qui sedere rotto-

Voi capirete che una dichiarazione del genere NON è proprio quel che uno si aspetta di sentirsi riferire da una cameriera.

La Betty insiste. Anche piccata, come ogni volta che gli si chiede di ripetere quel che sta dicendo, perchè il suo italiano, malgrado sia qui da anni, è tutt'ora così stentato che a confronto il mio giapponese è madre lingua. Ed a lei, questa cosa, indispettisce alquanto (a tutte le cameriere indispettisce alquanto il sentirsi dire “Cosa? Non ho capito”; e vale anche per le madrelingua italiane).

La Cate non capisce, ma poi ha l'illuminazione:

-Betty.... mi stai dicendo che è rotta la seggetta del water?-

-SII QUI SEDERE ROTTO, TU CHIAMA FACCHINO LUI SALE SU RIPARA CIAO- e riattacca.


Non credo ci sia altro da dire. Anzi, si, perchè sentendo la Cate ridere come una matta, sono andato al bancone a farmi riferire questo evento ilare. Provate ad immaginarvi due portieri ed un facchino dietro al banco, a ridere senza riuscire a smettere. E invitano il facchino a salire su a riparare il sedere rotto, e lui che, ridendo, controbatte “si, prendo il set da cucito e ci penso io”.


La Betty, se la 'un ci fosse, bisognerebbe inventalla.



venerdì 20 maggio 2016

Quel che dà fastidio, al lavoratore alberghiero, non sono i clienti scorbutici che non rispondono al sorriso del portere, ed al buongiorno/buonasera, qualsiasi sia la lingua in cui parlano

Non sono i clienti che chiedono continuamente informazioni inutili come gli orari per gli Uffizi ben sapendo che non ci andranno mai perchè non vogliono aspettare in coda due ore e non vogliono spendere il supplemento per una prenotazione che gli permetta di saltarla, quella coda.

Non è la signora napoletana che, al check-out, mi fa "Certo, però, il Viola porta male" e mi lascia di sasso. Fino a che non replico "In Giappone è un grande colore" "Ma qui siamo in Italia" "Lo so, è molto triste. Ma io tiferò Giappone sempre e comunque, anche quando gioca contro l'Italia" e la lascio di sasso io.

Non sono le clienti che "I wanna a bigga' room" con quel tono da "Io i marò li metterei dentro e getterei la chiave"; signora, lei e le sue amiche, laggiù da Mombay, avete prenotato una quadrupla e noi vi abbiamo dato una quadrupla. Non ci sono camere più grandi: è davvero la più grande. Ma la prossima volta vi dò una singola, così se me la chiedete più grande avrete una buona ragione per farlo

Ma tutto ciò, come dicevo, non ci disturba; perchè c'è di peggio.

  

Ultima camera, una singola. A pochi minuti dallo staccare dal lavoro e tornare a casina, entra una not ref (per i non lavoratori d'albergo, è una non rimborsabile). Vai, facciamo anche questa e completiamo, yeah! Uno ci sente, quando vende tutto. Sul serio. E' vero che, vendite o no, il nostro stipendio rimane invariato, ma siamo comunque lavoratori che devono compiere il proprio dovere, come bravi soldatini.

Direte voi: certo, è facile fare il completo con internet ed i sabati di ponte del 25 Aprile. E' come avere l'arbitro a favore, puoi pure vincere 5 scudetti di fila, in quel modo. Provaci a fare il completo il martedì 19 Dicembre, se ti riesce! Lo so, avete ragione. Tant'è che ricordo meglio di quando, benchè non riusciì a fare il completo, vendetti comunque 20 camere in un intero pomeriggio (anche lì vincevo facile a causa di un tremendo sciopero ferroviario). Un continuo di clienti che entravano a chiedere camere e, ricevuta risposta affermativa e prezzo, subito mi allungavano passaporti e carta di credito. Una soddisfazione, sul serio. Mi sentivo Vardy che scarica nella porta dello United.

In ogni caso, alle 17.00 e pochi minuti prima di staccare (facevo un 9-17, appunto), entra da internet una non rimborsabile per l'ultima camera disponibile della giornata, una singola, appunto, perchè era l'unica libera e di conseguenza l'unica in vendita ovunque. Splendido, magnifico, sublime. Stampo la prenotazione e mi fiondo al bancone per l'addebito sulla carta di cre...

Mmmmh.... nome cinese.... sta a vedere che....

ma no, dai, perchè penso sempre male? E' not ref per oggi, prenotata via telefonino pochi minuti fa, probabilmente questo cliente è alla stazione, e sicuramente la carta sarà buona e carica di sold...

Biiiip. Transazione rifiutata.

E' questo, come dicevo, che dà fastidio al lavoratore alberghiero. E' la perdita di tempo a cui ci costringono i clienti che prenotano con carte di credito vuote. Perchè dobbiamo segnalare la prenotazione sul sistema, cancellarla e rimettere in vendita la camera. Non vogliamo rischiare di tenerla invenduta. Non ci piace "averla sul groppone", come si dice in questi casi, in gergo. E' il nostro lavoro, vendere camere. E questi clienti ci costringono a lavoro extra.

Mentre sto mentalmente lanciando strali verso il miliardo e mezzo di mangiaTibet a tradimento, ecco che entrano.

No, non ho sbagliato a scrivere, così come voi non avete sbagliato a leggere: entrano, terza persona plurale.

Si presentano al bancone due cinesotte. Grandi che devono aver ingurgitato la fornitura annuale di involtini primavera di tutta Pechino, o del macrolotto di Prato. Ed una di costoro mi presenta il cellulare.

Con la prenotazione.

Ora, fossi stato cattivo, avrei dovuto chiedergli il pagamento. Subito, immediato, senza se e senza ma. Perchè ha prenotato una camera non rimborsable e la carta non va, quindi fuori un'altra carta valida od il contante. Schnell, los loooos!

Invece no. Gli chiedo cosa cercavano, e viene fuori quel che mi aspettavo.

Avevano prenotato una camera singola sperando di starci in due. Che il portiere chiudesse un occhio. Al limite fargli pagare un sovaprezzo ma dargli la singola. Per entrambe. Il classico modo di aggirare le regole. Farsele da sè. In questo, in Cina e paesi limitrofi, sono imbattibili, roba che a Napoli sono ancora in lega Pro.

No. E' l'unica risposta che posso dargli. La singola è per una ed una sola persona, non potete starci in due. E la cosa non gli piace per niente. Si innervosiscono, si agitano, si arrabbiano. Anche nel loro stentatissimo inglese, fanno ben capire che vogliono, anzi, pretendono, la singola per entrambe. Poi, se ne viene fuori con queste -tradotte- parole:

-Io non pago per una cosa che non ho-

-Lei non paga comunque, la carta è senza soldi-

-Lo so, ho un'altra carta per pagare-

-Allora mi paga la camera ma, essendo singola, ci sta una sola persona. La sua amica se la cerca altrove-

E ci rimane di sasso.

Poi si riprende e torna alla carica, ma ormai il disgusto ha preso il sopravvento sulla mia persona. E quando mi ripete che non vuole pagare se non possono stare in due in camera, mi viene spontaneo sparare -non tradotto- così:

-I will cancel the fuckin' reservation, goodbay-

Ma lo dico così veloce che non capisce. Se ne vanno, con il risentimento di chi crede di essere nel giusto, e portandosi dietro le loro ciccie, i trolley e le carte di credito farlocche. Ed il tempo perso dal sottoscritto.

Mi fiondo nel retro, deciso a cancellare. Dovrei aspettare le 18 per farlo (il maledetto [sito web] vuole così) e quindi lasciare il compito a Maurizio che ha il 15-23 al bancone (io avevo un 9-17), ma non ho nessuna voglia di tenere, per un'ora, una camera in sospeso a causa di due strunz che non vogliono seguire le regole. Tantopiù che se al bancone si affollano clienti a fare check-in o chiedere informazioni, il Mauri potrebbe non avere il tempo di fare tutto quel lavoro, e quindi la prenotazione resterebbe "in essere" per ulteriori minuti. E in quei minuti qualcuno potrebbe andare su internet a cercare la camera, e non comprarla a noi perchè tutti i siti web dicono che siamo al completo. Perciò chiamo subito [sito web] ed attendo in linea.

Mi aspetto, come sento di solito, la voce abbastanza squillante di chi pensa che, oggi giorno, pure lavorare in un call center sia comunque un lavoro dignitoso.

Invece mi risponde una voce scazzata, da schiavo telefonico che non si vergogna di apparire tale, e mostrare questa professione con quel che realmente è: appena un pelo sopra al tirare pietre angolari per piramidi, zappare nell'Europa del trecento tra un'espidemia di peste e l'altra, o l'assemblare smartphone nei sobborghi inquinati di Quanzhou.

Gli fornisco il numero di prenotazione chiedendogli di cancellarla. Mi chiede il perchè e glielo dico: perchè la carta di credito è vuota, e quindi mi raccomando: cancellate l'account della cinese, o continuerà a prenotare altrove con questo sistema a dir poco truffaldino.

-Mmmmh, sisi, certo, lo facciamo- con lo stesso tono di "Si, ricostruiremo tutto il centro dell'Aquila in meno di un anno, contateci"

Il giramento è ai massimi livelli. Ma almeno la cancellazione arriva, e rimetto in vendita la camera. Però, a parte questo, si trattò di mezz'ora buttata nel cesso. Anche se i miei capi me la pagano, è comunque buttata nel cesso.

Lieto fine: timbro e saluto Maurizio. La mattina dopo lo ritrovo al bancone, per il turno di domenica, e mi dà il lieto fine:

-Singola venduta! ieri sera, abbiamo fatto il completo!-

Alla facciaccia delle cinesotte!

venerdì 13 maggio 2016

Vent'anni. Vent'anni che faccio il portiere d'albergo.
Ed ogni giorno di più mi stupisco di questo mestiere.

marce


ps. che poi, se uno legge bene, al 99% il cliente vuole passare da una singola ad una matrimoniale perché ci viene con la moglie/ragazza/fidanzata.
Solo che l'agente di viaggio lo ha scritto in un modo a dir poco equivoco.
Ed io lo spero proprio, che sia equivoco.

Hotel Arrangiatevi, ex casa della sora Gina, via della Fontanella.



venerdì 6 maggio 2016

Svantaggi e vantaggi del turno 10-18.
 
Svantaggi:

1-Devo stare 8 ore seduto davanti al pc (al termine della giornata mi ci vuole un trapianto di occhi modello Tom Cruise in Minority Report);

2-non devo stare al bancone quando arrivano inglesi, spagnoli ed i miei adorati giapponesi;

3-posso essere interrogato da Herr Direktor, supremo capo dell'albergo, se ricordo come si vede, dal gestionale, il ricavo medio e la differenza di fatturato tra quest'anno e quello scorso. Una domanda che mi ha riportato alle superiori, quando la Mattolini mi interrogava sui racconti di maturi signorotti iberici che sognavano di bombarsi soavi fanciulle lombarde, salvo poi schiattare sotto i colpi della peste nera. Ed alla mia ennesima scena muta se ve usciva, tra una tirata di sigaretta e l'altra (si, fumava in classe), con queste piacevoli ed adorabili parole: "Mugna, te prendi 8 ai temi, ma non studi mai una sega! Quanto mi fai inca**are! Io ti sego, capito!". Io studiavo, professoressa. Sono le interrogazioni, che mi fregano, perchè tutti i libri che mi dava li leggevo (La Storia della Morante lo finii in 3 gorni). Però non se la prenda se considero le domande del direttore molto più importanti di quelle che mi poneva lei. Perché qui non si tratta di essere segati o meno. E' che se sbaglio una tariffa, posso far guadagnare, ma anche perdere, un migliaio di euro di fatturato. E' come essere un brooker si Wall Street, ma senza la buonuscita milionaria.
 
Vantaggi:

1-non devo stare 8 ore in piedi al bancone;

2-non devo stare al bancone quando arrivano indiani, russi, cinesi;

3-devo controllare la posta dell'albergo. Un lavoro dove il 90% del tempo si perde, letteralmente, a cestinare le mail farlocche, dove imperano gli inviti ad allungamenti dell'organo sessuale maschile, o soavi fanciulle californiane che mi invitano in notti lunghe e focose (la differenza tra lombarde e californiane è tutta qui). Ma che può dare soddisfazioni quando un cliente manda mail tipo "ecco i dati della mia carta di credito per la prenotazione" (anche se dà più soddisfazione il rumore del pos che sforna il cedolino di transazione avvenuta), perchè significa che ha risposto positivamente all'offerta che gli avevo inviato in precedenza.
E può anche capitare di ricevere prenotazioni come questa. Dove, oltre al nome del cliente, il canale di prenotazione e la tariffa della camera, appare anche l'agenzia che ha prenotato.
Ed allora, una bella risata distensiva aiuta anche il lavoro nel resto della giornata.

ps. Se aprono una filiale a Livorno, fanno il botto.