venerdì 29 giugno 2018

Ok, niente a che vedere con il lavoro.

Ma prima una premessa: cercate di capirmi.

Ne metto un'altra: cercate di capirmi. Ma stavolta ve lo chiedo per favore.

Rientro dal lavoro.

Ho finito un turno alberghiero abbastanza agile: una domenica pomeriggio dove il massimo del fastidio era rispondere a richieste di questo tipo: "Io voglio una camera doppia con terzo letto aggiunto, terrazza, vista sul Duomo, vasca idromassaggio e paggetti che sventolano foglie di palma", e avevano prenotato una singola standard.

E si tratta sempre di quelle persone che NON vogliono neanche sentir parlare di supplementi e costi aggiuntivi.

Ma ora sono a casa.

Infilo la chiave nella toppa, giro, spingo.

"Ciao papi!"

All'unisono, entrambe.

Ho rinunciato a insistere, con le ragazze, nell'uso del giusto e corretto termine del mondo civilizzato "babbo". L'importante è che crescano brave ragazze sveglie, studiose, intelligenti, tifose del Giglio.

E' una giornata uggiosa, con pioggia e vento come solo Firenze sa essere, quando vuole. Non me la sento di stravaccarmi sul divano. Sono certo che, qualsiasi cosa metta sotto gli occhi, che sia un libro, il regolamento di un gioco o il telefono, cadrei tra le braccia di Morfeo. Sopraffatto da noia e stanchezza.

Quindi devo reagire. Fare qualcosa di valido. Efficiente. Costruttivo.

-Ragazze, giochiamo a qualcosa?-

Ottengo, per mia somma felicità, una doppia risposta affermativa.

Filo verso il contenitore ludico, l'armadio colmo di preziose scatole di giochi. Ancora in divisa da portiere d'albergo, estraggo l'ultima perla. Il nuovo, recente gioco acquistato a Stratagemma, mio personale e fidato pusher di giochi da tavolo.

Porto la scatola al tavolo di cucina, dove Camilla e Gaia, rispettivamente 13 e 11 anni, sono già piazzate. Adoro quando agiscono da brave soldatine. Le vorrei sempre così: precise e attente a eseguire ordini marziali.

-A cosa giochiamo?-

Mostro, orgogliosamente, il nuovo acquisto:

-Agricola versione "Per famiglie"-

-Ma allora dobbiamo allargare il tavolo! Agricola non è quello grande, con il tabellone enorme e tantissimi pezzi?-

-Non questo, Cami, non questo-

Agricola è il capolavoro di Uwe Rosenberg. Il non-plus-ultra del piazzamento lavoratori, dove bisogna mandare i contadini a raccogliere il materiale per edificare meglio la casa, coltivare i campi, fare i pascoli, e così via. Un giocone da almeno due ore di puro piacere ludico e regole complicatissime.

Ma ora è uscita la versione semplificata. Quella a cui possono giocare anche i ragazzi dagli 8 anni in su (almeno stando al regolamento).

Perciò cominciamo: una breve spiegazione delle regole e partiamo a piazzare i lavoratori.

Agricola, che sia la versione "grande", che sia quella "per famiglie", è il tipico gioco "chi primo arriva primo alloggia": le varie zone della plancia sono cioè esclusive di chi ha messo per primo un suo lavoratore. Gli altri non ci possono andare per il resto del turno.

Chiaramente le ragazze, che agognano da sempre ad avere animali per casa, in particolare gli zampettanti e pelosi felini, partono a testa bassa verso la raccolta di bestie varie: pecore, cinghiali, mucche. Che in questo caso sono semplici "meeple", cioè pedine dalla caratteristica forma animalesca stilizzata, ma per loro sono tutto. Nella fervida immaginazione delle loro testoline ancora un pò bambinesche e non del tutto adolescenziali, sono le simpatiche bestiole da accarezzare e coccolare senza il problema dell'odore di selvatico tipico di tali creature.

Ad un certo punto, mi rendo conto che non stanno accumulando abbastanza cibo. In Agricola bisogna, in determinati momenti, nutrire i propri lavoratori, altrimenti si finisce per accumulare punti negativi; a colpi di -3 a volta.

-Ragazze, ricordate che dovete anche nutrire i vostri contadini-

-E come? Non c'è abbastanza cibo!-

-Ma avete gli animali-

Mi osservano come fossi un alieno appena sceso dall'astronave e avessi pronunciato quelle 3 magiche e incomprese parole di pace.

-Che vuoi dire?-

-Che rimuovete i vostri segnalini degli animali per avere il cibo-

-Dobbiamo far mangiare i nostri cuccioli ai contadini?-

-Si, è così che funziona: come nella vita reale. I contadini MACELLANO le bestie per mangiarle-

E lì scoppia la rivolta.

I contadini impugnano i forconi e assaltano il castello del signore feudale.

-Noi non vogliamo uccidere i nostri cuccioli!-

-... ma... ragazze... sono solo pedine di legno....e poi, nella vita reale, come pensate che si nutrissero dei contadini nel medioevo? MACELLAVANO le loro best....-

-NO! (all'unisono. Perchè litigano spesso, ma contro il loro babbo sono coalizzate come non mai. Fronte comune contro il nemico) Non vogliamo! Vuoi che diventiamo VEGANE?-

Panico.

Terrore.

Raccapriccio.

Con tutto il bene che posso volere all'umanità, MAI sopporterei una cosa del genere. I miei vengono da un villaggio sui monti casentinesi dove la carne rossa veniva mangiata un paio di volte l'anno, ed era sempre una festa. Dove al 90% l'alimentazione erano -e spesso lo sono tutt'ora- le patate. E parecchia polenta, soprattutto di farina dolce. E non per scelta alimentare, ma perchè non c'era altro. Dove, da piccolo, vedevo spesso i miei zii rompere il collo a polli e conigli e poi scannarli senza remore. Come fanno tutt'oggi. Come hanno sempre fatto da generazioni, quando quei luoghi erano ancora dimore dei conti Guidi.

L'idea che ora queste due smettano di mangiare la ciccia, non può che provocarmi profondi mal di pancia interiori.

Perciò, cercate di capirmi. Soprattutto se siete vegani. Sono carnivoro nel profondo, e niente mi darà mai più soddisfazione dell'odore di una bisteccona appena adagiata su una brace. Per quanto sia molto moderato nel consumo di carne (una volta a settimana quella rossa, due le altre, mai sforare) la proteina animale, per me, sarà sempre e comunque necessaria.

Decido che ho parlato abbastanza, e comincio a giocare "alla meno". Evito di raccogliere il cibo dove si trova. Mi metto ad arare campi -ad un certo punto ero circondato da campi coltivati, ero il signore del grano- e raccogliere materiale per edificare la casa o costruire miglioramenti, in modo da lasciare alle ragazze più risorse di cibo possibile. Anche se probabilmente un vero padre dovrebbe colpire le giocatrici avversarie là dove sono deboli per fargli perdere la partita e dargli una sonora lezione di gioco.

Alla fine io ho solo grano, mentre loro hanno accumulato enomi allevamenti di ovini, bovini e suini. Ovviamente, sono arrivato ultimo. E perculato per tale risultato.

Quindi, cari amici vegani, non fatemi paternali. Ho perso e nessun animale è stato maltrattato durante la partita. Che volete di più?

La prossima volta resto in albergo 4 ore in più. Straordinario gratis.


domenica 10 giugno 2018

***POLITICAMENTE SCORRETTO***ATTENZIONE***

 

Sei in una città straniera. Un continente e mezzo dal tuo, chiamato spesso e non stento a credere perchè, sub-continente.

Sei con tua moglie a visitare un luogo che è stato dimora di dinastie illuminate, se possiamo definire così persone che facevano squartare i loro nemici; artisti fantasmagorici, anche se erano dediti all'ubriacatura nelle bettole, al frequentare persone del loro stesso sesso (nel Rinascimento non esistevano i ministri dell'interno grillini. Fortunelli), all'uso facile del coltello e che oggi disegnerebbero fumetti; monumenti che hanno dello stupefacente e meraviglioso, e provocano raffiche di svenimenti agli scrittori francesi.

E tu, giovane indiano che ha gettato direttamente nelle fogne di Calcutta la dignità e frugalità del tuo eroe dell'indipendenza per sacrificarlo all'altare del benessere, invece di goderti una fresca serata primaverile in questa città europea mangiando una gloria culinaria dela storia di questa penisoletta, ritieni giusto che il miglior modo per passare il tempo sia entrare nel primo albergo che vedi e chiedere informazioni che non ti servono per niente.

Quasi mezzanotte, e mi entra questa giovane coppia indiana che si sta allegramente mangiando due coni gelato con i cucchiaini. Sono vestiti leggeri, non hanno bagagli. Sono chiaramente alloggiati altrove. Io, quando ho già un posto sicuro dove dormire, penserei a godermi il posto. A vedere com'è fatto questo angolo di mondo, sentirmi in pace con me stesso, godere di sapori e, se non estremi, odori. Questi no. Il massimo del loro svago è comparare prezzi.

Quindi entrano in albergo e, continuando a mangiare i loro gelati, mi chiedono nel loro classico inglese strascicato:

-Quanto costa una camera qui?-

Come sempre, in questi casi, sono già preparato ai prezzi da offrire in caso di richiesta diretta al banco. Gli dico la tariffa di una doppia. Che, essendo mezzanotte, è molto, molto scontata.

Ovviamente, parte il mantra indiano:

-Non ci sono sconti?-

-E' già scontata-

-Uno sconto ulteriore?-

-Meno di così? A quest'ora?-

-Si- (è serio. Maledettamente serio)

-Mi spiace, non è possibile-

Non è che non volessi fargli veramente uno sconto. E' che davvero era un prezzo scandalosamente basso. Un quinto del costo che aveva la camera due giorni fa. E ne avevammo vendute parecchie, in quei due giorni. Ora, a mezzanotte, ne erano comunque rimaste un paio. Anche abbassando gradualmente i prezzi durante la giornata non erano entrate prenotazioni.

Quel che mi dava profondamente fastidio erano due cose: a) l'insistenza nel chiedere lo sconto, che è davvero tremenda, specie fatta con quel tono pietoso, appositamente per far sentire in colpa il venditore e soprattutto b) quel chiederele cose mentre si sta mangiando, con la bocca aperta mentre all'interno sta sguazzando il cibo. Che in quel momento era un pastoso gelato in fase di scoglimento.

Capisco che esistano le differenze culturali, ma quel fastidio era più forte di me. Possibile che solo da noi consideriamo maleducazione parlare a bocca piena e soprattutto aperta verso l'interlocutore. Ma anche: solo io penserei, arrivato in una città nuova durante un viaggio, a cercare prima un alloggio e POI andare a mangiare un gelato? E' vero, ognuno vive il viaggio a modo suo, ma farlo mentre si mangia....

-Un prezzo più basso?- (con lo stesso tono di "ma voi inglesi, quando ve ne andate?")

Non sapevo cosa rispondergli. Cosa gli davo, per un prezzo più basso, il divano della hall? Non glielo propongo, potrebbe rispondermi di si.

-Mi spiace, il direttore mi ucciderebbe. E io non voglio morire-

E lì, alzo un pò la manina in un piccolo salutino romano ed esclamo "Heil manager".

Ovviamente scherzo. Sono e rimango di profondo retaggio comunista-stalinista. Favorevole alla riapertura dei gulag verso TUTTI i maleducati.

Ridono. Entrambi. Ma stanno facendo gli indiani. Perchè seriamente, ripartono a chiedere sconti.

Mezzanotte e mezza. Finalmente se ne vanno. Perchè hanno finito il gelato,probabilmente. E malgrado alla fine, preso dallo sfinimento, avessi proposto veramente un ulteriore sconto, non avevano comunque accettato nessuna camera.

In fin dei conti non ho fatto altro che il mio dovere: provare a vendere una camera. Ma rimane la profonda convizione che costoro avessero già una camera in un altro albergo della zona, e considerino il massimo dello svago l'entrare in altre strutture ricettive a chiedere prezzi, sconti e stressare l'impiegato di turno. Ma vabbè, è il lavoro. Mi piace anche dire che fa parte del gioco.

Ma dopo alcuni minuti che se ne sono andati, quasi all'una di notte, esco per prendere il paletti con catenella che delimitano il parcheggio dell'albergo, e ponerli dentro (ce ne hanno rubati diversi).

Poso lo sguardo a terra.

Due cucchiaini di plastica. Di quelli per mangiare i gelati. Due colori che riconosco subito.

Rientro. Vado al bar, prendo un tovagliolo di carta. Esco. Raccatto i cucchiaini di plastica. Rientro e li getto nel cestino. Mentre faccio questa operazione, ho l'irrefrenabile, incontenibile impulso all'arruolamento immediato in un corpo di spedizione britannico.

O, in subordine, nei marò.