martedì 31 dicembre 2013

Questo è quel che scrissi l'anno scorso, alle 6 del mattino del 1 gennaio 2013, dopo il turno di notte.


Finito anche questo turno di notte, i vandali hanno scorrazzato per la via, che ora è una discarica a cielo aperto.
Dipendesse da me, sarebbero a festeggiare nel gulag, a meno 30. In bermuda.
Renzi, mannaggia la miseria, basta concerti di fine d'anno! Coi soldi che si risparmia per le pulizie delle strade la mattina dell'1 gennaio, ci si faceva lo stadio novo.





 

Solidarietà ai colleghi che si sciropperanno la notte del 31 in turno (quest'anno sono libero). Non è per il giorno in sè, in fondo è una notte come un'altra. E' per il disastro che si verifica durante la notte.

Morte a vandalizzatori. E buon anno.

lunedì 30 dicembre 2013

Russi.
Strafatti.
Porta chiusa.
Anche invertendo i fattori il risultato non cambia: tentativo di aprire la porta con la forza.
Campanello? In russia i campanelli non esistono. Sparano una raffica di ak-47 in aria e chi è all'interno va ad aprire. Ivan, tovarich, tu puortato vuodka, da?
Lui: classico russo biondiccio slavo, manca solo il l'elmetto ssh40 con stella rossa e simbolo divisionale del 4° corpo meccanizzato della guardia. La vodka è già al sicuro: nello stomaco. Spero ci rimanga. Almeno finchè non raggiunge il bagno della camera.
Lei: incredibilmente, una russa che fa apparire femminile un transessuale argentino. Forse è quello il motivo per cui beve: ha una delle poche russe per niente belle del pianeta. 
O forse no, berrebbe uguale. L'attrazione dei russi per l'alcool pesante è direttamente proporzionale a quella di un buco nero quando si passa l'orizzonte degli eventi: fatale ed ineluttabile.
Entrano. Lui si stravacca sulla poltrona dell'albergo, biascicando qualcosa. Non capisco neanche se è russo, da quanto parla male.
Lei, incredibilmente, appare lucida. Tracce d'inglese. Vuole un caffè. Facciamo 'sto caffè.
Bar.
Caffè pronto.
Si, potete portarvelo in camera.
Lei si avvia all'ascensore.
Lui si appoggia con le terga con bancone del bar, ma non si smuove.
Ti levi dai 3 passi?
Fermo lì, piantato come la Concordia sullo scoglio.
Mi guarda.
Biascica. La traduttrice è all'ascensore. 
Poi mi prende a braccetto.
Mi tocca fare da cane guida.
Lo porto al'ascensore, dove lei nel frattempo ha versato mezzo caffè. Allora anche tu ci hai dato dentro di vodka.
Salgono in camera, io vado a prendere lo straccio.
E meno male che è solo caffè.

venerdì 27 dicembre 2013

Faccio il portiere d'albergo, sono un turnante.
Turnante significa che, ogni settimana, ho 3 turni di giorno, due notti e poi due riposi. Ma se il portiere di notte è in ferie, diventano 5 notti a settimana. E se alcuni colleghi sono malati, anche qualcuna in più. Ma chiarisco subito: non intendo affatto lamentarmi di ciò, anzi. E' un lavoro che mi piace, anche se ammetto che preferisco maggiormente i turni di giorno che quelli di notte. Ma tant'è, ho un lavoro e pure retribuito, e di questi tempi ciò mi trasforma in uno degli elementi più invidiati dal 90% della popolazione.
Come in tutti i lavori, ci sono delle responsabilità. Di notte sono l'unico addetto al ricevimento presente. Anzi, sono proprio l'unico di tutta la ditta, almeno fino all'arrivo dei ragazzi/e della sala colazioni. Ma fino ad allora, dalle 23 alle 6 del mattino, sono solo. Ed ho l'obbligo di rispondere delle esigenze della clientela.
La richiesta maggiore riguarda i cuscini. Il cliente chiama al ricevimento, ed a quel punto gli chiedo di scendere a prenderseli, perchè non posso assentarmi dal bancone. Molti ne rimangono contrariati, ma se possibile, li faccio scendere. Il problema capita quando finisco i cuscini che teniamo nel deposito della hall. In quel caso devo salire a prenderli. Ecco la procedura:
-chiusura cassa e chiavi infilate in tasca;
-chiusura albergo, se qualcuno rientra dovrà aspettare; ovviamente, come sempre in questi casi, qualcuno rientrerà. E' sempre così al ricevimento: a volte non vedi nessuno anche per un paio d'ore, poi come ti assenti per farti un caffè, bere un bicchiere d'acqua o fare la pipì, arriva il mondo.
-salita delle scale fino allo stanzino biancheria (al terzo piano!); l'ascensore in questo caso è assolutamente verboten, non posso in alcun modo rischiare di rimanere chiuso dentro. Chi mai verrebbe a liberarmi, John Mcclane? La legge di Murphy è sempre in agguato, e la presenza del portiere all'interno aumenta la probabilità di guasti del 475 %.
Perciò via di corsa fino allo stanzino (5'' e 3 decimi, record mondiale), afferro i cuscini, afferro le federe pulite, infilo i cuscini nelle federe e poi tutto di corsa (ma non troppo o si fa rumore) per altre scale e/o il corridoio fino alla camera del cliente. Arrivo con un principio di enfisema, ma come dice il dottor Jones, non sono gli anni. Sono i chilometri.
Non mi resta che bussare.
Beh, tutto questo scalmanassi viene vanificato dal cliente, che se la prende molto comoda. Tranquillo, non sono al lavoro! Il mondo gira intorno a te, aspetterà! Che te ne importa se il portiere si prenderà i vaffa da parte di quello che aspetta fuori dall'ingresso, e se sono fortunato (ed io lo sono particolarmente) è il direttore che passava dal centro alle 23.30 e veniva a chiedermi come va! “Marcellino, ma perchè aveva chiuso? E dove era?” “Ma niente, lo sa che l'armadio della 107 è collegato a Narnia, ero andato a fare un saluto al leone ed alla strega.” (Devo servire un cliente, mica posso lasciare il portone aperto, no?)
Busso per la seconda volta.
-Chi è?-
-(tua nonna in carriola) Sono il portiere, le ho portato i cuscini-
Dopo di che, cala nuovamente il silenzio. Non odo rumori di sorta, non si sente neanche la tv, che di solito a quell'ora tutti tengono accesa al massimo volume possibile (e per fortuna c'è un limite impostato sui nostri apparecchi).
Attendo, impaziente, mentre il mio cervello rumina pensieri stragisti. Dai, posa il piedino giù dal letto, metti le ciabattine e vieni ad aprire e prenderti questi ca**o di cuscini, muoviti! Rapido, pedazo de burro! (da ciò deducetene che era di lingua spagnola).
Niente, nessun rumore. Busso nuovamente.
Non mi risponde neanche.
Notare che questa emerita fa*a mi aveva appena chiamato dalla camera sul centralino, ed ora non mi apre; ma chi ti aspettavi che bussasse? Il mostro di Milwaukee? Sono il portiere, no? Quello a cui, due minuti fa, hai chiesto “Posso avere due cuscini, per favore?” (puedo haber dos almoadas mas, por favor?)
Finalmente odo dei rumori, qualcuno si sta muovendo verso la porta. Ma con comodo, eh! Attendiamo pure che torni la cometa di Halley, così me la perdo perchè sono dentro un corridoio con due cuscini in mano!
Finalmente mi apre! Halleluia. Tiè, beccati 'sti cuscini, ora corro giù al bancone.
-Un momento, per favore-
Ed ora cosa c'è? Non me lo dice. Accosta la porta – Non vada via!- Ma io ho fretta, me la darai domani la mancia, va bene lo stesso, dai! Lui insiste, ma io telo. Devo tornare al ricevimento, non posso stare qui ad attendere lui che frughi nei sui bagagli alla ricerca di una monetina da 20 centesimi, col tempo che ci mette a trovarla fa a tempo a finire l'Olocene e cominciare la prossima era geologica.
Quindi mi faccio il percorso inverso, gettandomi a rotta di collo giù per le scale. Ovviamente, come sempre in questi casi, qualcuno sta suonando furiosamente il campanello. Arrivo trafelato alla porta ed apro. Il/la tipo/a in attesa avrà da lamentarsi neanche fosse lì da tutta la notte quando saranno passati si e no un paio di minuti.
“Ma dove ca**o era?”
“Scu...scusi...anf... per... l'a..attesa, ma.. anf... un cliente... anf.. mi ha chiesto... anf... un cuscino... e sono salito... anf”
“Ah... me ne porta uno anche a me?”
L'ho infilato nell'affettatrice e servito la mattina sul buffet delle colazioni al posto del prosciutto.

lunedì 23 dicembre 2013

La Sara lavora in uno degli alberghi più belli della città, un piccolo 3 stelle con una grande sala del ricevimento il cui soffitto è totalmente affrescato. Una meraviglia fiorentina che rende più piacevole il soggiorno per chi è turista e più piacevole il lavoro chi è dipendente. E pure più piacevoli i sonnellini per i lavoratori notturni (parlo con cognizione di causa: ci ho lavorato).
Diventa meno piacevole quando capitano clienti stracciamaroni, come un paio di giorni fa.
Coppia di amiche americane over 70 ed over truccate. Molto over truccate. Modello 5 cm di spessore di fondotinta e labbra rosso fuoco. Mantengono sul mercato una mezza dozzina di negozi di cosmetici (e di edilizia). Innalzano a defcon 5 la disperazione della cameriera e del lavandaio: la prima deve cambiare le lenzuola tutti i giorni perchè irrimediabilmente macchiate di fard e/o rossetto, il secondo perchè non manda via le suddette macchie neanche con lavaggio a temperatura da altoforno.
Il problema è che sono anche irrimediabilmente distratte. O forse sarebbe meglio dire irrimediabilmente anziane. Esempio: arrivano al ricevimento per chiedere orari di treni e/o bus da Firenze per qualche dozzina di cittadine (Siena, Pisa, Novosibirsk, Okazaki...), di solito accompagnando la richiesta da vezzeggitivi tipo “Honey” “Sweetie” “Darling”; la Sara (o la sua collega Cecile) trovano e stampano gli orari richiesti in 10'' 42, record mondiale tra i professionisti del bancone. Solo che, una volta fatto ciò, le signore si sono volatilizzate. Distratte dall'età avanzata, o semplicemente dall'assenza di materia grigia, sono uscite dimenticandosi della richiesta che avevano fatto, lasciando l'addetta al ricevimento con i fogli stampati in mano, che resta lì come un'allocca e con la domanda “ma perchè non ho accettato quel lavoro nella miniera di amianto del Congo Belga?”.
Ovviamente quando le signore tornano in albergo, l'addetta al ricevimento gli darà i fogli stampati precedentemente “Ecco gli orari dell'astronave per Omicron Persei 8 che mi avevate chiesto”, ma le signore replicheranno “Ah, ma noi non le volevamo! Noi vogliamo andare a ….” (inserite una località a caso). In totale passano al ricevimento ¾ del loro intero soggiorno. Ok, è un bellissimo ricevimento, ma se sei venuta a Firenze, visita Firenze, no?
Tre giorni fa scendono al bancone a chiedere informazioni: vogliono andare in gita a Capri. Una giornata.
Mia moglie, prima di perdere tempo a cercare i dati che servono sul motore di ricerca, chiede una conferma alle signore: siete sicure? Sapete che dovrete partire molto presto? Si tratta di passare ben 3 ore di treno fino a Napoli sola andata, poi in bus dalla stazione fino al porto della città partenopea (non ci siamo mai stati, ma ne deduciamo sia così) e poi in traghetto fino a Capri. E poi c'è tutto il viaggio di ritorno, in totale sono più di 8 ore solo su mezzi di trasporto, e...
le signore non comprendono...
...
why a boat?
.
REALLY? CAPRI IS AN ISLAND? OH MY GOOOOOOD!

venerdì 20 dicembre 2013

L'ho detto altre volte e lo ripeto: gli indiani che arrivano a chiedermi informazioni mi suscitano la stessa quantità di simpatia che mi dà vedere silvio nello studio di vespa, o galliani che festeggia il solito rigoretto.
Turno di mattina mattina, alle 10.30 (prendete nota dell'orario) arrivano questi clienti indiani (moglie, marito e figlia di 8 anni) a chiedermi di fare un tour pomeridiano del Chianti. Privato. Gielo richiedo: sicuro che volete un tour privato? Solo voi? Si, siamo sicuri. Ok, chiamo un'agenzia di tour, nello specifico la Ciao Florence (che sono carinissimi). Devono metterci un pò perchè, essendo sotto Pitti, non ci sono molti autisti disponibili, ma dopo 10 minuti mi richiamano: si può fare. 4 ore, auto privata con autista che li porta in giro, compresa degustazione di vini in una fattoria locale. Costo: 400 eurini.
Gli indiani, che erano tanto sicuri, se ne stanno 10 minuti a chiacchiera a decidere che fare. La figlia si spalla sul divano, mentre apprende come diventare pure lei una stracciamaroni di prima categoria, appena un livello sotto il presidente del kerala. Alla fine mi chiedono di avere gli orari per Pisa perchè in mattinata vogliono andare a vedere la torre pendente prima che questa si stufi anche lei degli indiani e decida di cadere per non dover osservare più questo strazio. Com'è ovvio, volendoci un'ora per andare ed una per tornare con il treno, non farebbero in tempo a vedere bene la torre, visto che il tour, se decidono di farlo, parte alle 13 (il primo treno, dall'ora che vi avevo indicato, parte alle 11, e mancavano ormai pochi minuti). Decidono, finalmente, che per oggi niente Pisa. Ma niente Chianti per ora, mi faranno sapere. Escono. Decido di aspettare un quarto d'ora e poi di chiamare la Ciao Florence per dirgli che non vanno, perchè non è possibile che tengano tutto in sospeso per i loro porci comodi, c'è gente che lavora, e so benissimo che questi sono capaci di non farmi sapere più niente; e nel frattempo l'agenzia e l'autista attenderebbero invano di sapere che vogliono fare della loro vita (il suicidio sarebbe l'opzione più preferibile).
Beh, dopo 10 minuti mi chiama la Ciao Florence dicendo che gli indiani stessi li avevano contattati da poco per chiedergli quanto costava un tour privato del Chianti. Lei gli aveva detto la stessa cifra, evidentemente i tipi sospettavano che avessi ricaricato il prezzo per lucrarci sopra. Invece non ci avevamo messo un centesimo in più (perchè comunque la Ciao Florence ci dà una commissione, oltre al fatto che sono una persona abbastanza onesta e non voglio crearmi casini dove non c'è ragione che ci siano). Gli indiani rientrano sorridenti, hanno trovato un italiano onesto, mi rendo conto che non siamo tanti ma sempre più numerosi degli indiani normali; vogliono fare il tour, ma non privato, costa troppo. Un tour normale, mischiati con altri turisti (ovviamente in inglese). Prima però mi chiedono se fosse possibile noleggiare un'auto ed avere una guida privata. E lì passo un quarto d'ora a dirgli che auto a noleggio adesso non se ne trovano, sono già le 11.30 (con Pitti poi), oltre al fatto che non conosco guide del Chianti e che comunque nessuna andrebbe in un'auto privata con gente sconosciuta. Quindi tour normale, dai che ce la possiamo fare!
Ci sono due tipi di tour: uno costa 42 euri a persona e l'altro 70 (la figlia paga la metà). Mi chiedono la differenza tra i due: come è scritto nel depliant (che non leggono, devo dirgli a voce tutto io) il primo è un semplice giro con sosta in fattoria per degustazione vini, partenza ore 14 rientro ore 19.30. Il secondo comprende anche la cena con rientro ore 22.30.
Il tipo ci pensa un pò, poi mi fa: perchè uno costa 42 e l'altro 70?
Molto pazientemente, glielo ridico per la seconda volta.
Il tipo si mette a chiacchierare con la moglie,dopo 10 minuti torna alla carica: che differenza c'è tra i due tour?
Maschero la mia forte volontà di estrarre il mio ak-47 (lo tengo sempre sotto al bancone, sappiatelo) ed innaffiarli di piombo, e gli ripeto la differenza. Altri 10 minuti di chiacchiere in indiano tra moglie e marito, poi alla fine la decisione finale: ok per il tour.
Chiamo subito la Ciao Florence prima che cambino di nuovo idea e mi chiedano un tour per gli anelli di Saturno. Preparo il voucher, mi faccio pagare subito in contanti (ed anche lì 10 minuti di chiacchiere) e finalmente se ne vanno.
Ma queste economie emergenti non vanno, stanno emergendo troppo. Urge un abbassamento del pil indiano. Di un -735 %.

mercoledì 18 dicembre 2013

Caro Babbo Natale, intanto scusa se ti scrivo solo ora dopo 43 anni, ma sai che vengo da una famiglia di antichi retaggi staliniani, e dalle mie parti più che a te o Gesu Bambino si credeva al baffone che aveva da venì, e poi non è mai venuto, non so quanto bene o male, ma in fondo non m'interessa, anche perché più che il baffone venne il baffino di d'alema in barca, quindi puoi immaginare come ci siamo ridotti, ma mi hanno detto che dovrebbe finire la carriera in Qatar, come il Bati ed i fratelli DeBoer, e spero che non ce lo rimandino indietro quando smetterà. Caro Babbo Natale, la signora salsa di pomodoro speziata (utente di Crazy Hotel) dice che devo scriverti io, e la cosa mi onora tantissimo, perciò parto con le richieste, mettiti comodo e fatti un caffeino che la lista è lunga. Innanzitutto vorremmo dei clienti che dicono sempre buongiorno e buonasera, dei clienti rilassati e felici di essere in vacanza e/o in congresso e/o day user all'insaputa dei rispettivi consorti o qualsiasi sia il motivo del loro soggiorno presso le nostre strutture purché non siano nervosi. Ci vanno bene anche dei clienti pretenziosi, basta che non pretendano di avere il tutto e subito e l'upgrade gratuito, ma capiscano che si, ci facciamo in quattro per aiutarli ma che se desiderano una camera più grande un sovraprezzo devono pagarlo. E comunque sorridano e siano tranquilli. Poi vorremmo che tu allontanassi la sfiga dai nostri alberghi in modo che le caldaie funzionino sempre e forniscano l'h2o calda alla temperatura di fusione del piombo come richiesto dagli asiatici, che l'aria condizionata sia direttamente collegata con il buran siberiano, anche qui come richiesto dai clienti asiatici, e che gli ascensori siano sempre in perfettissima efficienza facendosi trovare al piano quando il cliente preme il pulsantino. Anzi, pure se non premono il pulsantino che molti non lo fanno e poi chiedono "The lift is not working". Mi rendo conto che allontanare la sfiga è estremamente più complesso che non procurarsi pupazzetti di giuseppa maiala made in China da 1,50 € l'uno, ma ti prego di fare un piccolo sforzo. In ultimo vorremmo che i clienti pagassero in anticipo e non facessero storie per le carte di credito, e si rendessero conto che è stressante per noi portieri dover temere una partenza senza pagamento modello Conte Mascetti (quello del film, non l'utente diversamenteastemia di Crazy Hotel), perché poi siamo noi a rimetterci i soldi, di tasca nostra. E lo sai che io sono toscano, poi Gesu Bambino piange perchè urlo a a 200 decibel quello che dissi dopo lo 0-5.
Caro Babbo Natale, spero tu ci comprenda e ci possa accontentare, anche un minimo, tu sei bravo, buono e sorridi sempre, contagia un po' tutto il mondo, specialmente quella parte di mondo che va per alberghi, purtroppo una parte sempre più piccola. E se proprio non ce la fai, potresti sterminare gli amministratori di trippa. Va bene che tu sei buono, ma, come dihano a Roma, quanno ce vo ce vo!

lunedì 16 dicembre 2013

Un pomeriggio estivo scende un cliente italo-americano di mezza età: sandalo, pantaloncini avana e canotta fantozziana con tanto di regolamentare macchia d'unto sul panzone prominente. 
Un tamarrone di quelli unici. 
Ha in braccio un enorme pacco stracolmo di biancheria. Si stravacca sul divano della hall neanche avesse portato il masso di Sisifo:
"Lei parlare ingles?"
"Yes" 
"E dimmi... dove stare qui laundry?"
Non sapevo se rispondergli in inglese od in italiano, alla fine ho fatto anche io un mix di italenglish che se mi sentiva una qualsiasi delle mie insegnanti mi moriva di crepacuore. Oppure mi saltava alla gola modello Homer sul figlio Bart.
Va alla lavanderia automatica e rientra dopo aver lavato la sua roba. Dopo una mezz'oretta esce con la moglie: lei una signora distinta, anche vestita abbastanza elegantemente. Lui sempre con la canotta macchiata ed un particolare che mi ha riempito di gioia: sigaretta appoggiata sull'orecchio. Mi ha salutato con l'occhiolino "Noi andiamo mangiare".
Un mito!

mercoledì 11 dicembre 2013

Io e mia moglie facciamo i portieri d’albergo. Si, mia moglie fa il mio stesso lavoro, ma preciso subito: non si tratta dello stesso hotel. Lavoriamo in due posti diversi. Diciamo che siamo concorrenti, ma questo non ci impedisce di raccontarci tutti gli aneddoti sui turisti che vengono a soggiornare in queste strutture per visitare la capitale del Rinascimento.
Lo so, siamo dei pettegoli incalliti. Ci piace cianare sui clienti e raccontarci gli aneddoti su di loro, siamo peggio di studio aperto.
Coppia di amiche afroamericane, due donnone di colore sovralimentate a grassi idrogenati e bibite zuccherate. Sapete, quelle tipe parecchio sovrappeso che ondeggiano a destra e sinistra come oche francesi da fois gras, o come una nave della costa crociere in prossimità del Giglio. Si presentano al bancone.
“I want to go to pompiii”
Ora, la Sara è brava e buona, mica un buzzurro come suo marito, ma capirete benissimo che "pompiii" può dare adito a parecchie controversie. Ma è ovvio che il contesto è molto diverso, senza contare che le signore usano il verbo "andare" e non "fare"...
Quindi, alla domanda "May you repeat, please?", le signore ripetono, imperterrite e convinte: “pompiii”
Lei allontana dalla mente l'idea che queste signore afroamericane vogliano andare a trovare Rocco Siffredi, e prova ad immaginarsi qualche cittadina toscana a distanza di un'ora da Firenze che abbia un minimo di assonanza con quel nome, e l'unica che gli viene in mente è Pisa. Volete vedere la torre storta?
“No, pompiiiiii”
Proprio non ci siamo. La Sara è sempre più perplessa, non riesce a decifrare il terribile accento cardassiano delle signore, ma a quel punto la cliente dà l'indicazione suprema:
“The town with the vulcan”
Ora, la Sara non è una nerd come me. Alla parola Vulcan avrei subito chiesto alle signore che al momento non ci sono tour fino al pianeta natale del dottor Spock; una grave mancanza da parte della Ciao Florence ed altre agenzie di tour della città, un pulmann GT con motore a curvatura potrebbero anche approntarlo. Ma lei è donna pratica, sveglia ed intelligente, e capì subito che le sue clienti si riferivano a Pompei. E qui vorrei citare Paolo del blog “Servitevi da soli” con la sua epica battuta “Vah, che fuochi che ha organizzato la pro loco quest'anno”.
Ma a questo punto le donnone fanno la richiesta chiave:
“I want to go at 10 am and come back at 6 pm”
E qui la Sara ha pensato ad un WTF??? di dimensioni storiche.
Pazientemente, spiega alle signore che 8 ore non bastano assolutamente. Ci sono 500 chilometri da Firenze a Pompei. Solo col treno veloce fino a Napoli sono 3 ore sola andata, quindi 6 in totale di viaggio. Poi c'è da trovare il bus per la cittadina sepolta dalla cenere del Vesuvio, ed anche lì almeno un'ora di viaggio A/R ce li spendi. Almeno un 2-3 ore al sito archeologico non ce le vuoi passare? Il totale fa più di 8.
Insomma, si può anche fare, ma a patto di partire molto presto la mattina e tornare tardi la sera. Non certo 10-18.
Le signore si guardano con espressione interrogativa, poi una di loro esordisce con l'affermazione epica:
“Oh, but Italy is so small"




lunedì 9 dicembre 2013

sabato 7 dicembre 2013

Capolavori del cinema: Ghandi, 1982. Ben Kinglsey ottiene l'oscar ed il titolo di Sir per la sua interpretazione del Mahatma.
Un indiano piccolino, smunto e magro, con un faccino sorridente. Ispirava tanta simpatia, comprensione per la loro condizione di colonizzati e biasimo verso gli inglesi.

Bene, scordatevelo.

Gli indiani sono fisicamente prestanti e/o grassi il triplo delle vacche che allevano nelle loro strade, ed infondono la stessa simpatia di Jack lo squartatore appena incontrato in una buia strada londinese, e siete vestiti in minigonna.
Hanno con sé una perenne faccia incazzata tipo “mi ha appena mollato il/la ragazzo/a con un tweet” oppure “silvio ha rivinto le elezioni” od anche “abbiamo beccato 5 gol dai gobbi in casa”. O tutte e 3 le cose assieme.
Voglio dire: sei in vacanza, in un altro continente. Rilassati, goditi il soggiorno, tantopiù che ti sorrido pure io.
Macchè, niente. Neanche avessero ancora gli inglesi in casa. O magari è perchè non ce li hanno più e quei pochi che arrivano sono ex cantanti/musicisti in cerca di spiritualità.

Comunque.

Famiglia indiana, 4 persone, alti, carnagione scura, fisicamente prestanti e completamente l'opposto del Mahatma. La moglie è veramente una bella donna, non fosse per lo sguardo perennemente imbronciato. Il marito sfoggia i baffoni neri tipo anni '70 (gli anni '70 in India durano da sempre, li hanno inventati loro 5000 anni fa) e faccia da celerino in attesa di scattare in cieca violenza contro studentelli delle superiori. Hanno due figlie, 14 e 12 anni e già più alte di me, che mi ispirerebbero simpatia solo per il fatto che tra loro c'è la stessa differenza di età che hanno le mie figlie, ma con l'espressione facciale da “tra un paio d'anni saremo al concorso di miss mondo ed entreremo nel dorato mondo di Bollywood, chi cazzo sei tu?”
La signora si piazza con i gomiti appoggiati al banco senza un buongiorno, condizione che già di per sé mi spinge pericolosamente verso la tentazione di riprodurre la scena finale di “Once were warriors”. Ai lati le due figlie, come due leoni ai lati della scalinata, o due fregate di scorta all'ammiraglia, mentre il marito se ne sta in disparte, attendendo che le femmine della famiglia decidano cosa fare nei prossimi secoli a venire, condizione in cui effettivamente mi ritrovo spesso anche a casa mia.
“I want to go to the Magnolia mall”.
Magnolia mall. Ci metto qualche nanosecondo a rendermi conto che non l'ho mai sentito nominare. Ripasso mentalmente tutti gli outlet ed i centri commerciali vicino Firenze: i Gigli, che ha almeno il richiamo floreale nel nome; il Barberino Outlet; The Mall, pieno zeppo di borse in pelle cinese da 10 euri con attaccato marchio italiano da 500. Un'altra mezza dozzina nei dintorni. Ma 'sto Magnolia non l'ho mai sentito.
Provo a dire alla signora questi altri nomi.
“I want to go to the Magnolia mall, it's here in Florence. I found it on internet, give me the indication to go there. Please check”. E comincia a picchiettare sullo schermo del pc con le lunghe unghie laccate di rosso, mentre le figlie mi guardano con un'espressione che dice “vediamo quanto ci mette questo occidentale a soddisfare le nostre aspettative da economia emergente”.
Sopprimo mentalmente la mia rabbia, anche perchè comincio a sospettare qualcosa, ed apro google. Ovviamente trovo subito il centro commerciale Magnolia, ne apro la pagina e la signora giù a picchiettare sullo schermo “You see? I want to go there”.
Allora capisco tutto. Il mio sospetto era giusto, e posso rendere giustizia a secoli di dominazione inglese, a corti di giustizia lente come vecchi centrocampisti bolliti dall'età e da troppe partite, ad enormi grattacieli accanto ai quali sorgono squallide baraccopoli.
“Yes madame, you are right: the Magnolia mall is in Florence. But Florence in South Carolina, Usa”

Ora, io non ho mai visto l'espressione di un condannato alla sedia elettrica nel momento in cui si becca il 50mila volts, ma doveva essere proprio come quella della signora quando le riferii la notizia. In quell'istante lungo un'eternità si rese conto che, come diceva Nanni, le parole sono importanti. E pure la loro traduzione. E che Firenze non è Florence, specialmente quando sul pianeta esistono gli Stati Uniti, dove è di moda dare i nomi di città europee a piccoli paeselli o giovani baldracche nel caso della Ville Lumiere.
La signora, senza dire una parola, esce dall'hotel con le cucciole al seguito. E lì arriva la scena più bella.
Il marito apre i baffoni e mi sfoggia un sorriso a 32 denti.
Al che comprendo anni di sopportazione paziente da parte delle 3 tiranne di casa, che ho bellamente vendicato, e mi sento finalmente in pace con quest'omone indiano.
Per il resto del soggiorno la signora e le figlie non mi degneranno di uno sguardo (per loro sventura in quei giorni sono in turno di giorno, e quindi mi troveranno sempre al bancone), lasciando il marito il compito di prendere la chiave della camera e chiedere informazioni. Cosa che farà sempre sorridendo amabilmente.
Sorriso pienamente contraccambiato.

ps. www.shopmagnoliamall.com Si trova in McLeod Boulevard: cioè, a Florence c'è una via che si chiama McLeod, come l'Highlander dell'omonimo film. Non è fantastico? E dopo un paio d'anni da questa piccola vicenda, ho scoperto che hanno pure una newsletter, a cui sono seriamente tentato di iscrivermi. Giuro, se mai andrò negli States, sarà l'unico centro commerciale in cui andrò. Vorrei dirvi "Vi adoro, yankees", ma non posso perchè sono del South Carolina, perciò intonerò Dixieland.

ps 2. una vicenda simile capitò anche a mia moglie (che come sapete - e se non lo sapete lo saprete ora - fa il mio stesso lavoro), stavolta con due clienti americane. Le quali, quando la Sara gli riferì l'esatta ubicazione del Magnolia mall, scoppiarono in un "Oh my gooood!" e poi in fragorosa risata. Reazione ironica e divertita, ben diversa da quella della signora indiana che toccò al sottoscritto.

giovedì 5 dicembre 2013

Lavoro in albergo, sono un portiere.

Mi piacerebbe poter dire: lavoro in una società calcistica, sono un portiere. Ma non è così. E comunque, anche lì, dipende sempre. Fosse la Fiorentina, ad esempio, potrei accettare un patto col diavolo. Fosse la Nocerina, sarei un po' meno contento. Ma tant'è, mi consolo pensando che la mia mancanza di talento calcistico è condivisa con un buon 99% della popolazione del pianeta, e malgrado ciò qualcuno gioca comunque nella massima serie. Un paio di miei amici giallorossi, ad esempio, pensano che sia molto meglio di Goicoechea. E nella mia modestia sono lieto di dire che si, hanno pienamente ragione.

L'albergo dove lavoro si trova nel centro di Firenze. Ci si può arrivare con l'auto ma è, eufemisticamente parlando, un casino. Bisogna stare attenti alle corsie preferenziali, alle telecamere che il comune pone entusiasticamente un po' ovunque, cessi compresi, alle stradine piccole e non percorribili, e malgrado ciò tanti non arrivano a capire che no, questa non è una città da auto. Ho avuto clienti che mi hanno chiesto come fare ad andare in auto dall'hotel agli Uffizi, come se avesse un parcheggio da Disneyland di Los Angeles, e che purtroppo non accettano la frase “Non è possibile”. Eppure siamo a 10 minuti 10 a piedi dai musei. Non comprendono che l'unica maniera per muoversi in auto qui è convincere il Dottore a farsi prestare il Tardis, andare indietro alla Firenze di 1500 anni fa e convincere l'assessore all'urbanistica di allora ad edificare strade a 4 corsie con relativi parcheggi. Una volta lo dissi pure ad un cliente. Mi guardò come se gli avessi detto che ero la reincarnazione dell'autista di Lady D, e che avevo finalmente imparato a percorrere il tunnel dell'Alma.

E tutto ciò senza tenere conto degli imprevisti, e non sto parlando di quelli del Monopoli. Mi riferisco alla coincidenza tra i clienti convinti che il mondo si muova intorno a loro e l'evento mondiale che tutto travolge. In quel caso otteniamo lo scontro di titani. E nel mezzo purtroppo c'è il portiere.

Un venerdì, turno di pomeriggio. Arrivo di clienti in auto. Auto ovviamente noleggiata, sono sudamericani. Scaricano i bagagli e si presentano al check-in. Come sempre, gli spiego le tariffe del garage con cui lavoriamo. Dico loro, piantina alla mano, che non hanno bisogno dell'auto per girare in città, ma loro insistono. Domenica prendiamo l'auto. Assolutamente.
Niente e nessuno gli farà cambiare idea.
Domenica.


Settembre del 490 a.c.
Un oplite, scansando centinaia di corpi di persiani in putrefazione, si presenta davanti al suo generale.
-Mi aveva fatto chiamare, generale Milziade?
-Ah, Filippide, eccoti qui. Senti 'n po', te c'hai campo?
-Come dice, generale?
-O che tu sei? Sordo? T'ho chiesto se tu c'hai campo. Qui e 'un si becca nulla, 'cidentamme e quando ho fatto i'contratto 'olla 'oppe voce.
-Ma... io... veramente...
-'Scorta, e c'ho da chiama' Atene e dinni 'he s'è vinto, ma 'un si piglia; c'ho bisogno tu mi ci vada te, via.
-Ma... generale... sono 42 chilometri e 195 metri!
-Tessaglia maiala, e lo so anch'io quanto c'è da qui ad Atene, ma tu ci devi andare, pohe storie! Piglia e parti, vai.
-Se proprio insiste...
-E insisto si, moviti! E ci 'orsa!
E così Filippide si sciroppò tutto di corsa fino ad Atene per dire che i greci avevano battuto i persiani a Maratona. 4-2.


Richiamo i clienti prima che salgano in camera.
Voi, domenica, non andate da nessuna parte.
Domenica, a Firenze, c'è la maratona. La città è off-limits. Imposible. Verboten. No way. できません .
Mi ci vuole una mezz'ora buona per fargli capire che il 90% delle strade è chiuso perchè ci corrono a piedi; devo pure aprire la pagina wikipedia alla voce “maratona” in più lingue, ma alla fine lo comprendono. Almeno così penso.
Illuso.
La moglie ci ripensa un attimo e torna al bancone.
“Usted no puede llamar e pedir de hacerla otro dia?”

lunedì 2 dicembre 2013

Oggi parlerò di due argomenti diversi tra loro: la tassa di soggiorno e la Finlandia.
Il 14 Marzo 2011, con decreto legislativo n° 23, il governo dell’epoca, guidato da un partito che si è sempre proclamato contrario alle tasse (sapete, quel politico brianzolo che prometteva “basta tasse” più altri miracoli made in italietta), dette la possibilità ai comuni di istituire, a loro discrezione, l’imposta di soggiorno (per la serie: noi non le aumentiamo, ma se lo fanno gli altri non è più responsabilità nostra. Un po’ come Capitan Barbossa che getta a mare uno e gli dice “non sono io che ti uccido, ma gli squali che ti mangiano”). Il nostro comune è stato entusiasticamente uno dei primi a farlo, nel Luglio dello stesso anno.
Per noi portieri è una vera rottura di scatole.
Intendiamoci: non è che sia contrario al fatto che i turisti paghino un po’ di tasse (in fondo sporcano ed a noi tocca pagare le pulizie); il problema è che a riscuotere la tassa siamo noi. Dobbiamo chiedere ‘sti quattrini ai turisti, personalmente. Non è che viene qui il sindaco, un qualsiasi addetto al comune, un funzionario governativo apposito; niente di tutto questo: hanno delegato la cosa ai portieri. In pratica siamo agenti di equitalia senza averne lo stipendio. E con l’aggravante che se un cliente parte senza pagarla, dobbiamo rimettercela noi. Di tasca nostra. Quando accade si ottiene una sequela di parolacce qui intrascrivibili. Le stesse che i’ mi’ babbo ed i suoi amici sparano quando il compagno di carte, su ai’barre di Borgopiano, cala il carico senza l’adeguata protezione della briscola. O quando hanno un cinghiale inquadrato nel mirino a venti metri di distanza, tirano e lo padellano di brutto.
La contabilità dell’azienda per cui lavoro ci chiede di riscuotere la tassa in contanti. Il motivo di questa richiesta è semplice e nient’affatto errato: il comune non ci rende le commissioni del pos quando un cliente ci paga con la carta. Quindi siamo becchi e bastonati due volte: il portiere deve riscuotere, e l’azienda pagarci le commissioni bancarie.
Che ganzata, eh? Roba che uno quasi preferirebbe uno 0-5. Od incontrare un affamato dottor Lecter in una stradina buia.
Ovviamente, se il cliente arriva e pretende di pagare la tassa in carta, non possiamo dirgli di no: è un suo pieno diritto scegliere il metodo di pagamento. Noi dobbiamo solo adeguarci. Ma di solito pagano quasi tutti in contanti. Semplicemente avvertiamo i clienti direttamente al check-in che devono pagare in tale metodo. Quindi il cliente si organizza e va a prelevare al bancomat con anticipo.
Chiaramente, non tutti lo fanno.
Ad esempio, se un cliente americano mi parte la mattina e mi dà la carta adducendo che ha solo 25 euri contanti e gli servono per il taxi che lo porterà al’aeroporto, mica posso chiedergli di uscire a prelevare al bancomat. Non sarebbe cortese e gentile, anzi. E di solito gli americani fanno così: alla partenza si preparano solo i 25 euri per il taxi. Così tornano negli Usa senza troppi soldi europei, che da loro non possono spendere (soprattutto gli spiccioli, che in banca non te li cambiano).
Ed ora passiamo ai finnici.
Sono, senza ombra di dubbio, tra i migliori clienti che ci siano. Come tutti quelli della penisola scandinava sono cordiali ed educati, salutano sempre ed adorano l’arte fiorentina. Pagano e non creano problemi. Ed in più hanno nomi buffi come Lekakhula, Kakavonen, Muukka, Pirikkunen Kakkula, insomma, una roba che va dai racconti per bambini alla Gianni Rodari ai film scurrili alla Alvaro Vitali: in ogni caso ci si fanno due risate tra colleghi.
Ma ovviamente, anche con loro non mancano casini di vario genere.
Un paio d’anni fa avevo un gruppo di finnici, una trentina di persone, quasi tutti belli anzianotti, anche sopra gli 80 anni. Probabilmente reduci della guerra d’inverno coi sovietici. Insomma, duri ma col sorriso. Rientrano la sera dopo cena, e mi chiedono dei bicchieri in vetro perché hanno comprato del chianti e non è carino berlo nei bicchieri di plastica. Così gli indico il bar, e mi avvio a prenderli. Mi giro per vedere se mi seguono, ed infatti uno di loro mi viene dietro, uno dei più anziani.
Troppo anziano.
Inciampa e va a sbattere la testa conto lo spigolo del cassapanca di legno all’ingresso del bar. E’ una bella cassapanca, avrà un paio di secoli. Legno duro, massiccio, ci teniamo dentro la carta intestata. E’ ovvio che tra una capoccia finlandese ed una cassapanca toscana abbiamo lo stesso confronto che c’è tra una nave della costa crociere ed una roccia del Giglio: vince la Toscana, è chiaro. A subire son sempre gli altri.
Essendomi girato, mi sono visto tutta la scena, ce l’ho ancora in testa al rallentatore: il vecchietto di Helsinki che incrocia le gambe e va giù di testa come Magnini quando si tuffa in piscina (o sulla Pellegrini), e la capocciata sulla cassapanca.
Mi rendo subito conto che s’è fatto male di brutto. Lui si rialza e dice “Ok, ok!” Ma ok un tubo, grondi sangue che sembri appena uscito da un episodio di Band of Brothers! Lo costringo a mettersi a sedere e gli osservo la testa: tra i radi capelli bianchi si nota un bel taglio profondo, con il sangue che scorre copioso. Lui fa per rialzarsi ma io lo inchiodo subito alla sedia: ma te sei matto! Hai scansato i proiettili russi, lassù in Lapponia nel ’40, e ti fai dissanguare qui da una cassapanca toscana? Nel mio hotel??? Ma te sei fuori! Ordino alla moglie, che da brava nordica ascolta disciplinatamente senza interrompermi, che il marito non deve alzarsi, quindi gli appoggia la mano sulla spalla; e lui lì fermo e zitto, chiaro indice di sottomissione alla parte femminile della famiglia (cosa che peraltro avviene spesso anche a casa mia…). A quel punto mi fiondo alla cassetta del pronto soccorso; inzuppo il cotone di disinfettante e torno dal finnico; appoggio il cotone sulla ferita ed ordino alla moglie di tenercelo bene, premendo con forza, cosa che fa subito (il marito ormai è rassegnato e subisce in silenzio. O forse si è reso finalmente conto che trattasi di cosa seria, visto che quel che gli cola lungo la guancia e gli macchia i vestiti non è sudore ma sangue). Quindi corro al telefono per chiamare il 118. Ovviamente comunico subito all’operatrice il problema: il taglio sulla testa che perde sangue, ma che il soggetto sta bene e non è in pericolo di vita. La tipa mi dice ok bravo ora non lo tocchi più ed aspetti l’ambulanza. Bene, mi tranquillizzo. Io, il mio, l’ho fatto. Ora devo solo attendere gli esperti del settore, affinchè compiano il loro dovere.
L’ambulanza arriva in pochi minuti, ed i soccorritori si precipitano dentro… smollando l’ambulanza nel mezzo alla strada. Ovviamente bloccando il traffico. Dopo neanche 3 secondi che i paramedici sono al capezzale del finnico, arriva dentro un tassista che si lamenta del parcheggio selvaggio dell’ambulanza. Al che il paramedico ribatte che lui ha un’urgenza e quando ci sono le urgenze non sta a sottilizzare e gli altri si attaccano perché può esserci un pericolo di vita, e la vita viene prima della fretta di un tassista… non ha tutti i torti, ma io avevo detto all’operatrice che non era urgente. Vabbè, dopo il breve battibecco (ed ho il mio daffare a calmarli, perché avevano già cominciato ad alzare la voce tutt’eddue, e quando due fiorentini alzano la voce si possono superare i 200 decibel), il paramedico torna sull’ambulanza e la parcheggia… meglio (con una ruota sul marciapiede, di traverso… ma comunque le auto ed i pedoni passano… più o meno…) e torna dentro ad assistere la collega paramedica che sta esaminando la ferita. Si portano via il danneggiato, che tornerà in albergo dopo un paio d’ore, con un’evidente fasciatura in testa a coprire i punti che gli avevano applicato. Li mostrò orgoglioso a tutta la combriccola, il giorno dopo alle colazioni, ed io notavo interessato che tutti lo guardavano con una strana ammirazione… un italiano sarebbe stato additato come un pirla. Ah, particolare interessante: la moglie non seguì il marito nell’ambulanza fino all’ospedale. Smollò il marito ai paramedici ed andò a dormirsela in camera. Non so se fosse freddezza tra coniugi o freddezza nordica; sulle prime propendevo per la seconda, ma poi mia moglie mi fece notare che molto probabilmente la signora finnica voleva bersi il famoso chianti con gli altri componenti della gita. Evidentemente sopra i 60 conta più l’alcool dei rapporti tra coniugi. Spero solo in quel di Helsinki.
Ma passiamo al secondo aneddoto: finnici + tassa di soggiorno:
Turno di mattina, coppia lappone sui 60 in partenza. Camera prenotata con agenzia, devono pagare solo la tassa di soggiorno.
Arrivano con la carta di credito.
Gli chiedo gentilmente se hanno i contanti.
No, abbiamo solo la carta di credito perché i contanti ci servono per il taxi.
Mi prendi in giro? In Finlandia avete l’euro, non è che se ti avanzano degli spiccioli ti rimangono i saccoccia, come è successo a me per gli yen e le vecchie sterline irlandesi.
Ma tant’è, non posso mica rivolgermi così alla cliente. Sorrisone. Benissimo, signora, può pagarla con la carta.
Mi allunga la tessera, e la infilo dalla parte del chip nella macchinetta. Digito l’importo e porgo il pos alla signora affinchè digiti il pin.
Bip. Esce il cedolino. Transazione rifiutata, pin errato.
La signora mostra subito segni d’impazienza. Ho fatto il numero giusto.
Ok, vabbene, riproviamo, ma in cuor mio so benissimo che è una perdita di tempo: la signora sta digitando il pin errato. Ed infatti…. Bip… transazione rifiutata.
Nuova carta, la signora è sempre più impaziente. Nuovo pin, e, indovinate un po’? Neanche questo è giusto, terzo cedolino del pos, altra transazione rifiutata.
La signora emette il suo verdetto: il suo pos non funziona. Eccerto, la colpa è sempre degli altri, è sicura di non avere parenti italiani? Ma non posso dirglielo, tocca subire ‘sta pantomima in silenzio.
Il marito, molto più tranquillo, mi dà la sua carta, la terza. Non posso fare a meno di notare come tutte e 3 le carte siano pressoché uguali, identiche. Stesso colore, stesso disegno, stessa banca finnica… so già come andrà a finire. Il marito digita il pin e…bip. Transazione rifiutata.
La signora punta il dito sulla macchinetta, la sentenza è inderogabile, direttamente dalla corte suprema di Helsinki, gemellata con quella indiana del Kerala: il suo pos non funziona, non è buono. E’ ovvio, ha funzionato bene tutta la mattina ma ora che è arrivata lei si è guastato.
Immaginate la mia faccia: sorriso accondiscendente fuori, giramento di balle sotto; questa cosa sta facendo perdere tempo a tutti, ed innervosisce inutilmente la cliente, che per colpa sua si finisce anche per rimetterci noi, perchè se sa usare internet e qualche social forum del ca**o ci lascia anche un pessimo commento. E’ il momento di tirare fuori il classico coniglio dal cilindro: estraggo la carta dalla macchinetta del pos e sul tastierino vado al menù per selezionare l’opzione per digitare il numero di carta. Inserisco le 16 cifre, la data di scadenza e l’importo. In 3 secondi netti il pos compie il suo bravo dovere e sputa fuori il cedolino della transazione andata a buon fine; a quel punto devo solo chiedere al cliente la firma, invece di digitare pin errati. Cosa che fa in silenzio ma con sorrisetto malizioso. La moglie invece zitta, non emette un fiato, forse si sta rendendo conto che è un po’ pirla, perché se la macchinetta ha funzionato in un modo doveva funzionare anche nell’altro, ma a quel punto, come direbbero a Roma, “nun me ne po’ frega de meno”. Ha pagato, tanto basta. Si va avanti: sorrisone, emetto la ricevuta, ecco a lei (al marito ovviamente), apro il sito della compagnia taxi e gliene chiamo uno, tempo due minuti e saranno solo un semplice aneddoto. Uno dei pochi sui finlandesi.
Ma se tanto mi dà tanto, non ne mancheranno altri.
Stay tuned.

venerdì 29 novembre 2013

Molti cari amici (e/o semplici conoscenti) mi domandano, dato che il mio lavoro prevede anche le notti, se ci sono clienti che chiedono la “coperta” (cioè, detto papale papale, la prostituta che sale in camera per “riscaldare” il cliente). E se è vero che abbiamo l’agendina segreta con i numeri di telefono di tali lavoratrici. E mi si domanda pure se prendo una percentuale, magari “in natura”…
So di darvi profonde delusioni (specialmente ai miei amici di sesso maschile) ma la risposta è no, su tutta la linea.
Il motivo è semplicissimo: questo non è un posto da prostitute.
Voglio dire: qui da noi vengono turisti visitare la città ed i monumenti più belli del mondo: Ponte Vecchio, palazzo della Signoria, Gli Uffizi, i’Davidde, gustarsi la Fiorentina, intesa come bistecca, abitante della città o squadra di calcio (4-2), eccetera. Quindi chi viene qui sono al 99% coppie o famiglie.
Ora, immaginatevi di essere con la vostra famiglia, magari con figli piccoli, a farvi la giusta e meritata colazione prima di partire all’assalto dei musei. E nel tavolino accanto va a sedersi un troione nella sua regolamentare divisa d’ordinanza da troione, e cioè:
-petto a balconcino. Ma più che balconcino, terrazza panoramica. Una roba che ci potrebbe apparecchiare con tanto di piatti, posate, bicchiere, megabottiglia da due litri di h2o marca Perrier (la più gasata al mondo) e vaso di fiori;
-minigonna uterina. Il modello visita ginecologica, quello che il ginecologo fa “si spogli signorina… ah, è già spogliata”
-Tacco 97, modello trampoli trafugati al circo Orfei.
Non credo che ne sareste contenti, magari se aveste anche voi figli/e nel periodo di età che guardano, indicano ed a 127 decibel esclamano “babbo, guarda, quella donna è nuda!”.
Tutti si domanderebbero “Ma in che razza di posto sono capitato?”
Mi rendo perfettamente conto che ci sono donne che si vestono così pur non essendo prostitute, o che un cliente potrebbe prenotare una matrimoniale e venire con una prostituta (ed avendo prenotato per due, non posso obiettare niente), ma di solito non succede. Non in alberghi come quelli dove lavoro io, almeno. Qui vengono i turisti. I turisti si vestono comodi. Insomma, non è che sia facile girare lemmi lemmi dentro gli Uffizi con un tacco 97.
L’altra principale ragione per cui è sempre bene evitare nel modo più assoluto prostitute in hotel è che possono succedere casini inimmaginabili. Poniamo che la tipa ed il cliente non si trovino per la “tariffa” e/o le “prestazioni”… ed immaginatevi un litigio furibondo in una camera alle 3 di notte.
Stiamo parlando di una persona che vende il proprio corpo ed una che compra un corpo. Non sono persone con tutte le rotelle al loro posto, alterchi fuori controllo sono altamente probabili. Vanno evitati assolutamente.
Insomma, chi vuole una prostituta non la porta qui. Va da lei e consuma da lei.
L’anno scorso mi capitò un tipo, italiano, della mia età. Cercava una singola, e dato che era quasi mezzanotte e diverse camere ancora libere, gliene offrii una ad un buonissimo prezzo.
“Bene, la prendo”
“Documenti e pagamento, grazie”
“Ed un po’ di compagnia me la può trovare?”
WTF?????
“Ehm… no, mi spiace, qui non è possibile, la direzione è contraria”
“Ma a noi che ce ne frega del direttore?”
Eh, già, bello, tanto NON E’ il tuo direttore. E’ il mio, ed il cazziatone me lo becco io, mica tu.
Il tipo se ne va sdegnato (cioè, se l’è anche presa perché io non ho rischiato la parte di merda per coprire uno che neanche conosco, signora mia in che mondo viviamo), ma dopo mezz’ora torna, potere delle tariffe super-scontate dell’ultimo minuto (pagamento prima di salire in camera, gracias. Vedere moneta comprare cammello). Verso l’una scende, si fa servire un whisky e mi chiede come può fare per trovare “compagnia”. Dove ti pare, prova a farti un giretto nei dintorni della stazione, basta che non la porti qui. Vai, consumi e quando torni mi suoni il campanello perché mi chiudo dentro per sicurezza. E così avvenne. In compenso mentre beveva il suo superalcolico fece in tempo a raccontarmi metà della sua vita di rappresentante di non-ricordo-cosa separato con figli più altri dati che ho prontamente rimosso dalla mia mente, e se non fosse avvenuto avrei accettato volentieri una lobotomia.
Però su una cosa vi ho mentito.
Ebbene si, numeri di telefono li ho avuti.
Anni ed anni fa, quando cominciai a lavorare qui ebbi l’occasione, per imparare a conoscere l’albergo ed il lavoro, di fare un paio di turni con il portiere di notte dell’epoca, mio omonimo. Un tipo simpatico e con il fisico non indifferente, ma la voglia di lavorare inversamente proporzionale a tale fisico. Questo è anche il motivo per cui venni ribattezzato “Marcellino”, proprio per distinguermi dall’altro “Marcello”. E tutt’ora sono conosciuto come tale qui dentro, benché lui non lavori più con noi.
Ovviamente l’uso di tale soprannome da parte di chi non è mio collega di lavoro è severamente proibito dal decreto presidenziale numero 127 del Luglio 2002, e chi ne contravvede andrà incontro a sanzioni penali e possibile (anzi, certa) pena capitale, e nessun avvocato potrà aiutarvi (vale per tutti gli avvocati che stiano leggendo).
Ok, non divaghiamo.
Il mio omonimo mi fornì i numeri di telefono di alcune donnine che bazzicavano nei dintorni (per essere più precisi: il marciapiede qui di fronte). Li usai anche in un paio di casi a chi me li chiedeva, ma tengo a precisare: tali donnine avevano il loro appartamento nei dintorni, ed il cliente andava a consumare lì. Trattavasi di sudamericane attempate, che vennero pure a presentarsi (si sai, le public relations sono fondamentali per stare sul mercato) e dato che non ero un cliente si presentarono con i loro veri nomi (scoprii che con la clientela usano nomi falsi. Nomi d’arte, diciamo.…) e mi confidarono (senza che lo chiedessi) il 99,9 % della loro vita: ex mariti, figli piccoli rimasti dai nonni in qualche baraccopoli sudamericana e qualcuno in età adulta con vita indipendente che ovviamente non sapeva dell’attività lavorativa della madre, pettegolezzi sui clienti e sulle loro richieste di prestazioni… fa un po’ strano vedersi arrivare queste signore che si presentano ed esordiscono con un “sai, ieri notte ho avuto una nottataccia, un cliente voleva il c**o ma aveva un ca**o troppo grosso, una cosa enorme, gli ho detto di no ma lui insisteva e ci ho anche litigato e bla bla bla, ah, qui ho la foto dei miei figli, abitano a Montevideo” intanto la mia mascella sbatacchiava per tutta la hall. Può anche darsi che mi raccontassero un sacco di balle, non lo so (e non mi interessa), ma almeno una foto di ragazzi adolescenti in compagnia di una signora molto anziana me la ricordo. Presumo che non vi fossero molte occasioni di lavoro “normale” per madri single nelle degradate periferie sudamericane. La cosa più triste era comunque vedere queste signore passeggiare sul marciapiede della via durante la notte, ma devo spendere un punto a favore dell’attuale amministrazione comunale, visto che da qualche anno sono sparite, e spero ardentemente che abbiano anche smesso di praticare invece di spostarsi semplicemente in qualche periferia bronxiana fiorentina. Anche perché da quando le conobbi sono già passati 10 anni, e due di loro erano abbondantemente sopra la sessantina….
Una notte di parecchi anni fa, proprio di fronte ed a pochi metri dalle sudamericane, si mise a “battere” un transessuale (malgrado le tette enormi si vedeva lontano un miglio che era un uomo). La cosa ovviamente non fu presa bene dalle signore che cominciarono a dirgli di andarsene, e quindi ad alzare la voce. Il trans si mise a parlare al telefono, e dopo un po’ ne apparve un altro, tanto per aggiungere un urlo (da baritono) in più, e si era già formato un capannello di gente che osservava. Non andò a finire molto bene: i due trans presero a menare una delle sudamericane, la più agguerrita, un donnone 50enne che era un po’ la capopopolo della combriccola; le sue amiche si volatilizzarono in un nanosecondo; lei, essendo ovviamente picchiata da quelli che, in fin dei conti, sono comunque due uomini, non trovò di meglio che attraversare la strada ed infilarsi nel mio albergo. Io fui abbastanza pronto a fiondarmi sulla porta e chiuderla a chiave, quindi alzare la cornetta e chiamare i caramba. I trans, visto che la porta dell’albergo era chiusa e dalla vetrata potevano vedere il portiere osservarli minacciosamente (veder menata una donna da due uomini mi aveva fatto inca**are di brutto) si erano allontanati, perciò avevo riaperto la porta ed eravamo usciti ad aspettare i carabinieri, mentre la gente intorno ed il portiere di notte dell’albergo di fronte ci chiedevano come stava la signora. E proprio in quel momento i trans sbucarono fuori per attaccare di nuovo la sudamericana. Io, il collega ed un paio di ragazzi che erano lì ad osservare ci mettemmo di fronte a protezione della donna; uno dei trans, nel tentativo di colpirla, prese uno dei ragazzi in faccia, il quale andò in totale berserk cominciando a menare furiosamente il trans: una serie di stonfi che avrebbero messo ko pure il Tyson dei tempi migliori, e che il trans assorbì senza battere ciglio (potere della plastica), mentre la sua ragazza lo teneva per l’altro braccio (“Nooo! Amore fermo, vieni via, ‘un ti ‘onfondè!”). A quel punto ci toccò allontanare il ragazzo (esimio collega che lavoravi nell’albergo di fronte: grazie, grazie di esistere e di avermi assistito quella notte. Non sarai mai dimenticato), che si dileguò non appena arrivarono i caramba. Effettivamente a parte io l’altro portiere ed i due trans, tutti gli altri si dileguarono; in un nanosecondo eravamo rimasti solo in 4. Prontamente rispedii il collega nel suo albergo (vai pure, ora me la vedo io), ed ai caramba mi presentai subito come quello che aveva chiamato, spiegandogli la situazione. Non fecero tanti discorsi: due chiacchiere con i trans lì per strada, documentos, prego salite in auto e puf, spariti anche loro. Fortunatamente, per sempre. Dopo di chè tornai dentro a recuperare la signora, che se l’era svignata di nuovo all’interno, chiusa dentro il bagno della hall. Che almeno per quella notte pensò bene di tornarsene a casa.
Ma se pensate che le disavventure di marce vs. i trans siano finite vi sbagliate di grosso. Mettetevi comodi che ora arriva l’aneddoto più grosso (anzi, diciamo il più imbarazzante, che grosso è un termine che è meglio non usare in quest’occasione…).
Turno di notte (che altro poteva essere?): la mia collega del pomeriggio aveva preso passanti 5 ragazzi, pagamento anticipato in contanti, una tripla ed una doppia. Escono durante la notte. Fin qui, niente di che: ragazzi giovani in gita fuori porta che fanno la loro brava sortita nella Florence by night. Rientrano più tardi, vado ad aprire la porta che avevo chiuso e… non sono soli. Sono in compagnia di 3 transessuali purtroppo from brazil (a quel punto sarebbe stato meglio from transylvania, ma tant’è…), probabilmente raccattati da un locale brasiliano a 100 metri da qui (ora chiuso da un 5-6 anni, ma allora – ahimè – in piena attività). Mi trovo in una situazione imbarazzante, e non so come reagire. Balbetto e chiedo i documenti ai trans, i quali, ovviamente, non ce li hanno. Nel frattempo i 5 ragazzi parlano tra loro e mi rendo conto di non capire niente di ciò che dicono: napoletano stretto. Anzi, puro. Parente prossimo del cardassiano. Comprendo molto di più il dialetto di Osaka. E lì mi azzardo a dire che “senza documenti non posso far salire nessuno che non sia cliente….”
L’avessi mai fatto.
Il più grosso dei 5 mi si piazza davanti.
E’ una cosa enorme, potrebbe essere il linebaker dei New England Patriots, e probabilmente lo è. Al posto delle braccia ha due obici da campagna crucchi, quelli che martellavano Verdun giusto un secolo fa; in più pancia prominente sotto due pettorali da culturista: gli addominali per lui non esistono, solo bilancieri e manubri. Ho come la sensazione di stare per diventare uno di quegli attrezzi ed in un attimo il mio imbarazzo iniziale diventa terrore puro; perdo 170 cm così, in un secondo, e comprendo quel che provò il Dottor Lemuel Gulliver quando arrivò nel paese di Brobdignag. Sono praticamente congelato di fronte al capo ultras del San Paolo, e pare anche dell’umore di quando il Napoli di Maradona perse dal Milan di Sacchi.
Poi, nella mia lingua madre, mi dice, in tono imperioso da non ammettere repliche:
“Le ragazze sono con noi”
“V…v….v…..va…b….b….be…be…bene….”
Ma non mi muovo di lì. Mi è impossibile fare anche un centimetro in qua o là, sono totalmente paralizzato. Lui tira fuori dalla tasca un rotolone di banconote, centinaia di fogli arrotolati a cilindro, tutti di colore giallo. Sfila una della banconote, mi prende la mano, me la apre con il palmo rivolto all’insù, ci appoggia sopra questi 50 euri e la richiude. Mi do un buffetto sulla guancia, poi, con un gesto deciso, mi sposta di lato.
Una barbie avrebbe avuto più vitalità.
Mi passa davanti tutta l’allegra comitiva, e gli unici che mi salutano sono i brasiliani.
Tono languido. Baritonale.
“Ciaaaao”
Io resto lì come un baccalà per una decina di minuti, incapace di intendere e volere, poi lentamente mi riprendo dal torpore. Rientro nell'albergo, chiudo a chiave ed inizio il mantra del portiere di notte: speriamononsuccedanientesperiamononsuccedanientesperiamononsuccedaniente…
Si sente un po’ di viavai per i corridoi e porte che si aprono e chiudono, ma nessun rumore trascendentale, tutto sembra andare piuttosto bene, fino a che non sento chiacchiericcio (maschile) in portoghese. Salgo: due trans si sono messi a chiacchierare sui divani nel pianerottolo davanti all’ascensore. Gli chiedo se possono scendere nella hall (che non mi sembra il caso che se ne stiano lì, dato che ci sono camere vicino ed il chiacchiericcio si può sentire). Molto gentilmente, acconsentono. Chiedono anche scusa per il rumore. Persone tranquille. La cosa mi rincuora profondamente, anche se manca all’appello ancora un trans. Per il momento questi li metto in sicurezza dabbasso, e li invito ad entrare nel bar, che la notte è al buio assoluto perchè spengo ogni luce.
“Prego, se vi mettete qui in silenzio vi offro un caffè”.
L’avessi mai fatto.
“Obrigado! Tu sei muito gentile…”
E mentre sono lì che preparo i caffè, uno di loro viene dietro il bancone del bar, mi si avvicina, mi guarda negli occhi (ed io che guardo senza capire, come un deficente) … ed allunga la mano verso il basso, direzione: il mio compagno di vita sessuale.
Mi risveglio dal torpore e, istintivamente, mi ritraggo. Schienata contro la macchina del caffè.
“Nonono, guarda, ti ringrazio, ma non mi interessa. Ti faccio tutto il caffè che vuoi, ma solo quello, davvero. Sono affetto da evidente e conclamata eterosessualità. Ma apprezzo l’interessamento, come avessimo già fatto”.
Lui (malgrado il trucco e gli ormoni, non riesco ad usare il pronome personale femminile, spero comprenda) è visibilmente deluso “Peccato, un così beu ragazzo…” Grazie delle belle parole, la mia ragazza (oggi moglie, nda) è d’accordo con te, riferirò questa uniformità di pensiero.
Era meglio di no, la Sara mi prende per il c**o ancora oggi (lei ha facoltà. Voi, no. Comma 3 del decreto presidenziale di cui sopra, nda).
Preparo i caffè e me la svigno al bancone.
In quel momento scendono dei clienti: partenza mattutina. Attimi di terrore, spero che non vedano i trans, che figuraccia ci si farebbe (e ci farei io). Ma i due brasiliani si infilano nell’angolo più buio del bar, in silenzio. Impossibile vederli dal bancone. Ho come la sensazione che non siano nuovi a questo tipo di situazione. Faccio il check-out ai clienti. Normalmente a chi parte presto la mattina e non può quindi usufruire della colazione offro sempre un caffè, ma con questi non mi azzardo. Loro non me lo chiedono. Pagano, gli chiamo il taxi per l’aeroporto ed alla via così.
Mi rilasso, dopo qualche minuto scende anche l’ultimo trans; ha due tette enormi, ed una voce più femminile degli altri due; indubbiamente non ha lesinato in quanto ad ormoni ed interventi chirurgici. Si mette a chiacchiera con i due amici, al che, essendo quasi le 5 e dato che a momenti sarebbe arrivata la ragazza delle colazioni, mi avvicino:
“Vi chiamo un taxi?”
Traduzione: “quando vi levate dai 3 passi?”.
Capiscono subito.
Vai col taxi, arriva in due minuti. I 3 escono. Li osservo dalla vetrata, e prima di salire sull’auto uno dei 3 mi guarda e si passa la lingua sulle labbra. Un gesto che mi ha sempre fatto ridere più che provare eccitazione, ma dopo una nottata del genere mi aiutò a rilassarmi, perché significava che anche quella disavventura era finita. Il taxi parte ed io mi sfogo nell’unico modo possibile in quel momento: un facepalm di dimensioni colossali.
Certo, rimane sempre mia moglie, che quando vuole prendermi in giro (un paio di volte al giorno) abbassa il tono di voce e mi fa “Ciaaao”, per poi passarsi la lingua sulle labbra, ma tant’è, questo è quel che mi tocca quando si deve condividere tutto con una donna come la Sara. Ma quello è il meno. L'importante è che non mi capitino più eventi del genere. Ma dato il mio lavoro, non ci giurerei.
Ciaaaaoooo.