martedì 21 luglio 2020

Cronache del portiere d'albergo in riposo forzato.

Il bosco ha una caratteristica speciale, unica, particolare.

Ovatta il suono.

In città non avviene. I suoi rumori assordanti come i clacson, i rombi dei bus, i treni che frenano all'entrata della stazione, i martelli pneumatici che aprono il selciato, ti arrivano alle orecchie anche a chilometri, amplificati dai muri dei palazzi.

Nel bosco non succede. Nel bosco cammini in una bolla di pochi metri di diametro.

Certo, in quei metri all'interno della bolla, si riesce a udire suoni nuovi, particolari: insetti che circolano attorno a te, le fronde degli alberi mosse dal vento, animaletti struscianti che filano nel sottobosco al tuo passaggio, il calpestio dei tuoi passi sul ghiaino della strada bianca, uccellini che cinguettano richiami d'amore, beati loro che gli basta quello, a parte costruire un nido con rametti sbavandoci sopra.

Ma basta girare una curva che si comincia a sentire, in lontananza, un suono acuto e costante: il torrente Solano, maggior affluente dell'Arno di questa parte del Casentino. Che si snoda tortuoso nella valle che si è scavato nel corso di milioni di anni.

Decido di andarci. Ho bisogno di sentire il frastuono della "chiare, fresche et dolci acque". E più mi avvicino, percorrendo un sentiero che il Cai si rifiuta assolutamente di segnare, più il rumore aumenta d'intensità. Alla fine c'è un discreto, e piacevole, frastuono.

Potrei guadare e proseguire nel sentiero sull'altro versante della vallata, decisamente più selvaggio che non questo, ma decido, d'impulso, di inoltrarmi nel torrente. Lo facevo con un amico, 36 anni fa. Ne avevamo 14, saltavamo come stambecchi da una roccia all'altra discendendo tutta la vallata. Lo chiamavamo "fiume Trophy", ma mi rendo conto presto che, a causa di quel malefico impiccio detto "fisico che perde colpi", ho grandi difficoltà a rifare le gesta di 36 anni fa. Pur avendo degli scarponi da trekking, rischio continuamente la rovinosa caduta. E sono sudato fradicio.

Dopo un'era geologica e una fatica di Sisifo arrivo alla mia meta: una grande, immensa, gigantesca roccia che degrada dolcemente verso il torrente, a formare una pozza. 36 anni fa mi pareva enorme, in realtà è poco più grande di altre dello stesso fiumiciattolo. Ma è un luogo che ha del magico. E ci si arriva solo dal torrente. Non ci sono sentieri.
Seduto su un piccolo rientro delle rocce che sembra scavato apposta per le mie delicate chiappe, mi godo una frescura incredibile e meravigliosa. 

Come si fa a descrivere un luogo così? Se uno si rilassa, neanche lo sente, il frastuono dell'acqua che scorre. Non ci si accorge nemmeno della durezza della roccia -uso la felpa, comunque- dalla pace interiore che prende. È magico, ecco. È un relax totale, assoluto, immenso. Scatto una foto, poi estraggo dallo zaino un libro e leggo un paio di capitoli. Che scorrono via rapidi e leggeri. 
Ci sono persone che si rilassano solo su spiagge arroventate dal sole. Oppure lanciandosi da ponti -o da un piazzale milanese- con una corda legata ai piedi. O ancora distendendosi sul divano a guardare il pallone. 
Io ho questa roccia che entra nel Solano.
E i piedi a mollo in un'acqua così gelida che non mi meraviglierei di vedere scorrere giù la zattera di Rose e Jack.

Ci passo quasi un'ora. Ma una delle ore più belle di sempre.

Tutti dovrebbero avere, a disposizione di quando in quando, di un luogo magico e tutto personale dove rilassarsi.


2 commenti:

  1. ....vedi che anche un periodo cosí strano come quello che stiamo vivendo regala momenti di vita nuovi o solo dimenticati....;)

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