domenica 1 giugno 2025

Poco dopo l’una rientrano in albergo due ragazzone.

Faccio subito una premessa: io non sono assolutamente il tipo di maschio che fa “body shaming”. Non maltratto gli altri per il proprio corpo, la considero una cosa profondamente meschina.

Tuttavia, devo attenermi ai fatti e descrivere gli eventi. E i protagonisti.

Perciò: da questa parte del bancone il portiere, un quasi 55enne (il D-Day) che sta tornando sotto i 70 kg; dall’altra queste due tipe di una ventina d’anni in meno ma, scusate il body shaming, parecchi chili in più, oserei dire il doppio dei miei. Anche parecchi centimetri in più, praticamente sono due “piloni” da rugby.

Il seno è… avete presente la tabaccaia di “Amarcord” di Fellini? Al secolo Maria Antonietta Beluzzi? Ecco, se possibile, anche più grande e ancora più scollato.

La più giovane si avvicina al bancone e mi chiede, in inglese, se abbiamo un assorbente. Perché, dice con l’umore di un commerciante europeo quando capisce che non riuscirà più a vendere neanche uno spillo negli Usa, per lei è un momento critico.

Essendomi casualmente trovato a vivere in mezzo a donne, posso immaginare di cosa si tratti. Ma mi domando perché non si porti dietro un assorbente d’emergenza, proprio come ho visto fare in tanti anni alle tipe che gironzolano per casa.

La ragazzona appoggia i gomiti sul bancone mostrando il notevole décolleté di un seno che provoca perturbazioni nella forza di gravità terrestre e costringendomi a ricacciare al suo posto un testosterone che vorrebbe tornare all’adolescenza esuberante. Ma ci pensa lei stessa ad abbatterlo mostrando una forte dose di nervosismo. E un sarcasmo grande quanto la sua figura. Perché se ne esce con questa sola parola:

«Concierge?”

Io posso solo allargare le braccia e scusarmi: mi spiace signora, non ho assorbenti, qui al ricevimento. L’unica possibilità è prendere un taxi e andare alla stazione, dove c’è la farmacia aperta 24 ore. È difficile chiedere un servizio di concierge a quell’ora della notte, non è che se lei pronuncia quella parola, io le risolvo il problema plasmando un assorbente qui, sul momento.

Di andare alla stazione non ne ha la minima intenzione, rispondendomi con un certo disprezzo. E chiede se esiste un servizio di trasporto a domicilio. Boh, ma che ne so? Non avendo, sul mio telefono, nessuna delle numerose applicazioni sui servizi di “delivery”, provo a fare una ricerca sul computer, ma non esiste niente del genere. Non in tempi brevissimi.

Lei e l’altra gigantessa parlano in una lingua a me sconosciuta e se ne vanno altezzosamente in camera, affermando che “un albergo di questo livello deve avere questo servizio”. Facendomi pure sentire in colpa.

Io le guardo sconsolato, ma con la consapevolezza che mi d’ora in poi, nello zainetto, mi porterò dietro un assorbente. Per casi come questo.

Me lo avessero detto trent’anni fa, che mi sarei portato dietro un oggetto del genere, non ci avrei mai creduto.

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