sabato 6 dicembre 2025

Stavolta non so neanche da dove cominciare.

Ore 4.00 del mattino. Sono nel retro ad archiviare fogli vari, quando sento il “ding” della campanella che metto, tutte le notti, sul bancone.

Smollo i fogli e accorro. Una signora indiana di aspetto giovanile, bassina ma dai lineamenti dolci e e aggraziati, si scusa per il disturbo -a cui ovviamente rispondo che non disturba affatto, è il mio lavoro- ma è preoccupata perché il figlio, 23enne, era uscito dopo cena e sembrerebbe non ancora rientrato in albergo.

Mi chiede quindi la chiave della camera dove dormono i due figli, per essere sicura che sia rientrato a dormire nel suo letto, accanto alla sorella. Gli preparo dunque la chiave elettronica. La signora sale con una fiammella di speranza dentro di sé, e un po' anche io.

Ma il ragazzo, in camera, non c’è. Lei scende nella hall ed esce. Vuole andare a cercarlo, con il suo telefono può vedere dove si trovava il ragazzo una mezz’ora fa, prima che il cellulare si scaricasse. Un quarto d’ora a piedi, nei pressi di Ponte Santa Trinita. Preoccupata come tutte le madri di questo quadrante stellare.

Il marito, e padre del giovane, non è affatto spaventato. Esce anche lui ma solo per fumare. Con una faccetta che potrebbe passare come l’Alvaro Vitali indiano, ride e dice “Ha 23 anni, è grande!” “Noi viviamo a Singapore che è molto più grande di Firenze” “Ai nostri tempi non c’erano i cellulari ma siamo sopravvissuti” “Le donne si preoccupano sempre”.

Io ridevo un po' di circostanza, ma mi sembravano frasi un po' banali e anche ingiuste. In fondo tuo figlio è in una città sconosciuta e di cui non parla la lingua. Ma comunque non posso fare molto. Rientro in albergo.

Dopo una mezz’ora vedo, in mezzo alla piazza, l’ometto indiano con un ragazzo giovane. Apro e, sorridendo, saluto questo ragazzo che si è ricongiunto con la famiglia -anche se la madre deve ancora tornare, avvertita via telefono dal marito-

Ma c’è qualcosa che non va, che sul momento non capisco.

Ci sono anche tre nostri concittadini, ragazzi dell’età del giovane, che discutono con il padre. Non riesco a capire cosa si stiano dicendo ma pare una discussione animata. Si avvicinano verso l’ingresso dell’albergo e solo a quel punto capisco che parlano di denaro, che il padre del ragazzo dice che gli darà. Penso, molto convintamente, che voglia dargli un piccolo premio per aver riportato il figlio all’ovile familiare.

Invece, quando sono davanti a me, viene fuori la realtà: il ragazzo, disperato per essersi perso nel centro di Firenze e col cellulare scarico, aveva chiesto aiuto a questi tre promettendogli denaro. E questi ora lo pretendono. Io sono esterrefatto.

Mi trovo coinvolto nella discussione perché i tre non parlano inglese e quindi devo fare da interprete. Il padre gli lascerà dei soldi domani perché ora, nottetempo, non li ha con sé e non vuole andare a fare prelievi. E questi matti si arrabbiano perché “non ci fidiamo, non ci lascia niente e suo figlio ce li aveva promessi!”

Mi viene assolutamente spontaneo dirgli che, in fondo, hanno fatto una buona azione e aiutato una persona in difficoltà -il giovane indiano appare molto provato, tiene gli occhi bassi e singhiozza sommessamente- ma uno dei tre s’incacchia ancora di più urlando che “ma a me che ca**o me ne frega delle buona azioni, io voglio i soldi!”

A quel punto, per evitare di mandarli dove meritavano, ho cercato di chiudere la discussione affinché i miei clienti potessero tornare in camera. I tre stron*etti -avrei altri termini per definirli ma non voglio essere troppo volgare- se ne vanno lanciando improperi. Una volta richiuso la porta dico all’Alvaro Vitali indiano che non deve dargli un centesimo perché non è affatto giusto. Lui mi ringrazia sentitamente stringendomi la mano e distruggendomi il metacarpo.

Di lì a poco torna anche la signora che si mette le mani sulla bocca e inizia a piangere, mentre il figlio gli si para davanti con la testa china. Il marito mi spara un’altra delle sue battute un po' sprezzanti sulle donne troppo sentimentali, ma sono assolutamente convinto che fosse contento di aver ritrovato il ragazzo sano e salvo.
Voglio convincermi che il 99% di chi vive in questa penisola avrebbe aiutato il giovane indiano a ritrovare l’albergo dove era alloggiato senza chiedere niente in cambio, tanto meno soldi, semplicemente perché è giusto così. Ma purtroppo qui ci vivono anche quelle persone. Quell’1% che pensa solo a sé stesso.

E a me fanno davvero fastidio.

martedì 25 novembre 2025

Ricordo che una volta, tanti e tanti anni fa che ancora neppure lavoravo, ero un semplice studentello e non sono neanche sicuro che fossero le superiori, una volta, dicevo, morì una persona che i miei conoscevano.

«Bene che è schiattato! Ha fatto passare una vita d'inferno, a quella povera donna!»

Questa era la frase che sentii dire. Che mi colpì. Oltre a tutta una serie di epiteti nei confronti del deceduto. Credo che sia l'unica forma di vera rivalsa che possiamo permetterci nei confronti dei violenti, delle persone cattive, degli autori di insopportabili soprusi: essere contenti del loro decesso. Perché è bene non essere ipocriti: se lo meritano, di schiattare. In questi anni ho assistito ad altri casi simili, tra cui due ragazze giovani aggredite da “bestie” che vivono a poca distanza. Ho dovuto ricorrere a un avvocato, ma la tentazione di scendere di casa con un paio di coltelli e infilzarli come tordi allo spiedo ce l’ho ancora.

Episodio lavorativo di diversi anni fa, tornatomi alla mente proprio oggi, 25 Novembre.

Ero di notte quando vidi piombare giù dalle scale, come una furia, una ragazza abbastanza giovane. Era letteralmente sconvolta. Fece praticamente volare giù la valigia dalla rampa. Ma quel che mi colpì fu un ben altro particolare: un forte rossore su una delle guance.

Mi disse che doveva andare via subito.

Io le proposi di chiamare la polizia, ma lei disse subito di no. Voleva solo scappare, fuggire lontano.

Le proposi la stazione, dove avrebbe potuto prendere un treno, benché al momento ancora fosse notte fonda e il primo treno del giorno non ci sarebbe stato per almeno un'ora. Lei disse di no: se lui esce e mi cerca? Aveva una paura folle. Il terrore puro dipinto negli occhi.

Allora vada alla stazione di Campo di Marte. Dalle 5 in poi ci sono treni che vanno a Roma. O Arezzo. O comunque a sud. È lontana, le chiamo il taxi.

Mi chiese la conferma, titubante e sospettosa, e non potevo darle torto. Uscì e aspettò, un po’ tranquillizzata. Chiami subito il taxi sperando che lui non scendesse proprio in quel momento. Mi preparai anche a un eventuale scontro fisico, non avevo intenzione di farlo avvicinare a lei. Ma il taxi arrivò prima. Usciì e spiegai la destinazione al tassista -la ragazza parlava solo la sua lingua- poi le augurai buona fortuna. Non potei non notare le lacrime che le scorrevano, solo in quel momento, lungo le guance. La tensione stava sparendo, cominciava a sentirsi al sicuro; soprattutto comprese che poteva fidarsi di quello sconosciuto portiere notturno

Pochi minuti e scese lui. Con la valigia.

Non ricordo neanche la faccia, poteva avere l'espressione e i tratti delicati di Jake Gyllenhaal in Brokeback Mountain, gli avrei comunque offerto la mia accoglienza più gelida. Non mi alzai neanche in piedi, stavo seduto sul panchetto con il ginocchio appoggiato al bancone, digitando distrattamente sul computer e dandogli la minima attenzione. Stavo tentando di resistere alla tentazione di saltare il bancone e dargliene tante. Ma tante.

Chiese se una ragazza era passata di lì, come se io, in portineria, ci stessi per caso. Risposi di si, senza neanche guardarlo in faccia. Alla stazione, 5 minuti a piedi, poco più avanti dell'hotel.

Mi dette la chiave e stava per andare via, al che lo bloccai e, piuttosto rudemente, gli chiesi se avesse intenzione di restare ancora, visto che aveva comunque un'altra notte già pagata. Lui mi confermò che non sarebbe tornato. Io neanche risposi; presi la chiave e stavo per rimetterla a posto, al che lui mi chiese una conferma: questa stazione qui?

Gli risposi che Firenze è piccola, e non ci sono altre stazioni. E lei aveva detto che voleva andare a Milano, c'è un treno alle 6.

Se ne andò definitivamente, quasi di corsa, per una ricerca inutile. Addebitai una notte ulteriore, feci uscire il conto -non c'era ancora la tassa di soggiorno, erano davvero tanti anni fa- e lasciai la nota ai colleghi del giorno che la camera era partita in anticipo. Nel frattempo, speravo che, mentre correva da una piattaforma all'altra cercando lei, cascasse sul binario proprio quando stava sopraggiungendo il regionale da Empoli.

Perché se lo meritava tutto, di essere tagliato in vari pezzi sulle rotaie.

Buon 25 Novembre e buone scarpette rosse a tutte.

sabato 22 novembre 2025

Non è una storia dell’albergo, ma un esempio di certi comportamenti di noi italiani.

Quest’estate fa mi trovavo dai miei a Cetica, comune di Castel San Niccolò (AR). Ameno paesello di montagna patria della patata rossa e di un gruppetto di bifolchi -non tutti gli abitanti del paese, per fortuna- che appenderei volentieri a testa in giù in una piazzetta milanese.

Mi appresto a prendere il bus Bibbiena-Firenze che passa da Montemignaio; mi rilasso fuori casa, sotto la tettoia, osservando la pioggia che cade copiosa, finalmente un po' di fresco. Non mi rendo conto che quel breve acquazzone montano a Firenze era un vero e proprio nubifragio. Ma ormai è così e sarà sempre più così.

Causa pioggia, la Cami -figlia 1.0- mi accompagna in auto alla fermata. Questa cosa che le donne guidano mi perplime, vorranno mica pure il voto? (Ogni volta che guida lei mi diverto a prenderla in giro così. Ovviamente mi risponde a tono.)

Sul pullman mi metto sempre davanti, mi piace vedere la strada. L’autista del mezzi è un discreto chiacchierone. Parla soprattutto delle sue grandi capacità di cuoco, in particolare quando gli chiesero di cucinare per sessanta amici in una festa privata a Stia. Beato te che ti garba di cucinare, io lo faccio da più di vent’anni per tre tipe e tre gatti. Quando sono stato da solo in casa per due settimane, ho perso 5 chili. Ma il peggio deve ancora venire:

L’autista, tra una chiacchiera e l’altra, guida usano i gomiti così da avere le mani libere per il cellulare. Sui tornanti di una delle zone più scoscese del Pratomagno.

La strada è letteralmente scavata sul fianco della montagna. Da una parte un muro di roccia, dall’altro la scarpata. Penso, molto ottimisticamente, che se l’autista manca un tornante il pullman sarebbe bloccato dagli alberi, ma vista la mia sfiga, si sarebbe finiti dritti dritti nel torrente Scheggia, dopo un volo che fanno solo i cattivi quando inseguono Indiana Jones.

Il terrore è persistente dato che i tornanti sono pressoché continui, sia dopo Montemignaio che successivamente, nel lungo tratto che dalla Consuma scende a valle. Mi sento tranquillo solo arrivati a Pontassieve. Ma per poco.

Alle rotonde si lancia dentro ignorando le auto già sul percorso, che sono costrette a inchiodare repentinamente. Sono sicuro che gliene hanno dette di tutti i colori.

Ma mai quanto ho fatto io, nella mia mente.

A volte penso che bisognerebbe vietare totalmente i mezzi a motore, a noi italiani, e tornare alle carrozze coi cavalli.

sabato 15 novembre 2025

Come canta Alice nel paese delle meraviglie “Io mi so dar buoni consigli”, ma proprio come lei ho grandi difficoltà a metterli in atto. Qualcuno di voi che legge questo modesto blog dirà “Marce, fatti li ca**i tuoi!” ma io ci sto male lo stesso. Non sono il tipo da “me ne frego”; io “mi interesso”.

Turno pomeridiano di alcuni anni fa, abbiamo in casa una numerosa famiglia del sud-est asiatico, sono almeno otto persone e per viaggiare comodamente lungo la penisola hanno noleggiato un minivan. Gente ben messa economicamente, facente parte dell’élite facoltosa della propria nazione.

Si ritrovano davanti al bancone in attesa di uscire per cena. Uno degli adulti si presenta anche per saldare il conto delle camere e avvantaggiarsi nei tempi -e facilitare a noi il lavoro, è sempre una cosa che apprezziamo molto- coadiuvato dalla figlia adolescente che parla inglese. Poi la ragazza mi chiede la strada per  arrivare a Pisa, in modo da vedere la Torre pendente prima di recarsi a Roma, la loro prossima destinazione a cui seguirà il volo di ritorno. Da fiorentino assolutamente non campanilista gli fornisco con molto piacere le indicazioni da mettere sul navigatore. Ringraziano e si rimettono a discutere in attesa che altri membri dell’allegra famiglia scendano dalle camere.

A un certo punto però, la ragazza torna alla carica con una domanda che mi perplime non poco: dove si trova questo outlet?

Riconosco bene l’immagine che lei ha sul suo telefono. Gli spiego quindi, essendo mio dovere, la posizione di codesto luogo. Ma a quel punto segue la richiesta d’informazione sulla distanza che intercorre con Pisa. Che non è poca: l’outlet è nei pressi dell’autostrada, in direzione opposta.

Sentendo approssimarsi il patatrac, ma spiego alla ragazza che “pazienza per l’outlet. Da Pisa potete prendere questa strada che costeggia la costa ed arrivare quindi a Roma”.

L’adolescente asiatica non dice niente. Si limita a riferire, agli altri, le difficoltà di vedere due luoghi così distanti tra loro prima di intraprendere il cammino verso l’Urbe. Lo fa nella loro lingua, ma capisco che stanno decidendo cosa andare a visitare la mattina successiva, o l’una o l’altra cosa. E quando sono finalmente tutti riuniti, la decisione è unanime:

L’outlet.

Lo so, non sono affari miei: questa famiglia aveva prenotato delle camere e contribuito ai nostri stipendi, ma io ci sto male lo stesso. Così tanta bellezza scartata per due pezzi di pelle incollati assieme.

Presa quindi questa scellerata -scusate, ma non riesco proprio a vederla diversamente- scelta, se ne escono tutti insieme per mangiare, mentre io rimango lì a rimuginare.

Con la morte nel cuore.

venerdì 7 novembre 2025

Noi italiani abbiamo un retaggio culturale stratosferico. Un qualcosa che dovrebbe rendere tutti orgogliosi e costringerci a sapere bene la nostra grammatica, il lessico, le opere redatte in questi secoli. Ma soprattutto tenere certi comportamenti decorosi.

Ma quando mai?

A parte la maleducazione in sala colazioni, dove molti nostri concittadini si comportano al livello di una mandria di bufali scofanandosi tonnellate di cibo come se non ci fosse un domani, ecco tre esempi di comportamenti da bestie in calore:

1-Turno di mattina. coppia giovane che scende in sala colazioni. Dopo essersi riempita la pancia di tutto il possibile -lasciando molto cibo sul tavolo, spesso con un solo morso-, la ragazza si attarda ad un tavolino dove si trovano i depliant di ogni tour in città e dintorni. Lui si avvicina da dietro e l’abbranca con le mani che vanno a posarsi sul seno. Lei non solo non lo respinge, ma mostra pure di gradire. Io, al banco, distolgo lo sguardo ma come provo a puntare l’occhio li vedo ancora lì, in quella posa; ci restano una buona decina di minuti, sotto gli sguardi increduli delle persone che entrano ed escono dalla sala colazioni.

2-Altro turno di mattina, coppia matura più o meno sulla cinquantina: lui in jeans ma con giacca e cravatta, quindi una certa eleganza e pure portamento, a parte una non indifferente panzetta fantozziana; lei, abbigliata con gonna sopra il ginocchio, zeppe di venti centimetri e balconcino che ci si potrebbe apparecchiare, si siede…anzi, si stravacca sul divanetto davanti al bancone. Devo distogliere attentamente lo sguardo perché tiene le gambe così aperte che potrei farle una visita ginecologica anche dal bancone. Ma per fortuna altri clienti, che ovviamente osservano con curiosità quella posizione decisamente poco elegante, si avvicinano al bancone per chiedere informazioni.

Lui però decide di mettere in atto la cafonaggine: allarga le gambe in modo che quelle di lei stiano proprio nel mezzo, poi inizia un balletto col bacino, con l’inguine all’altezza della sua faccia. Lei mostra di apprezzare molto, i clienti che sono al bancone prima osservano allibiti, poi voltano le teste verso di me e si trattengono a stento dal ridere perché sto affondando la faccia nel palmo della mia mano. Chissà se hanno percepito il mio imbarazzo di italiano per questi miei “delicatissimi” concittadini.

3-Turno pomeridiano, c’è una coppia su uno dei divanetti al bar. A un certo punto non li vedo più ma percepisco, anche con l’andirivieni di persone fuori e dentro, delle risatine; Presumo che si siano messi su due poltroncine che si trovano lì dietro, non visibili dal bancone.

Poi arriva il silenzio. Un momento strano perché non entra o esce nessuno. E non sento più neanche loro due.

Faccio una cosa un po' irrituale: decido che è ora del caffè e mi avvio verso il bar. Faccio comunque del rumore, canticchio un pezzo che ho nella testa, ci metto qualche secondo in più camminando con una certa flemma.

Non guardo direttamente loro, ma posso osservarli con la coda dell’occhio: lei è inclinata su di lui, con il mento sulla sua spalla, lui è praticamente disteso sulla poltrona e ha il giubbotto sopra il bacino ma non ci vuole molto a capire che ha i pantaloni slacciati.

Stavo seriamente per dirgli «Che diamine, avete la vostra camera, andate su!»

A me piacciono le coppie che si tengono per mano e si danno bacini, qualsiasi sia il loro sesso. Ma si ponessero dei limiti, perbaccolina!

sabato 11 ottobre 2025

E poi capita che un gruppo di 5-6 maschi colmi come zampogne di tutta la produzione vinicola della Rufina, si fermi nella piazza antistante l’albergo e inizi a parlare a voce sempre più sostenuta nella lingua del presidente più smargiasso di questo quadrante stellare fino a che il più deficiente della combriccola non parte con il cantare, con il suo accento, quella che pensa sia la miglior canzone italiana di sempre:

«È UNA CANZONE, SARÀ PERCHÈ TI AMO!»

Ovviamente con il tono di un airbus in pieno decollo!

Mi avvicino all’ingresso; l’ugola canterina è voltata di spalle ma uno dei suoi amici no, è proprio di fronte a lui e quindi anche della porta. Mi nota dalla vetrata e mi indica. Il bel madrigalista moderno di questo ca**o si volta e scoppia a ridere, ma almeno ha smesso di cantare.

Potrebbe finire qui?

Una mezz’ora dopo, passano per la piazza dei nostri connazionali. Anzi, mettiamoci il carico da 11: miei concittadini. I quali si mettono a litigare fino a che uno di questi non parte con una serie di bestemmie selvagge urlate come un ossesso. Potessi, lo riporterei seduta stante nella Firenze del ‘300, affinché sia consegnato ai priori che ne facciano carne!

Anche in questo caso, mi affaccio all’ingresso. Mi notano e se ne vanno.

Farsi vedere, da questi urlatori notturni, è sempre un rischio. Non si sa mai come possono reagire: che siano ubriachi o meno, potrebbe anche trattarsi di esseri dall’indole violenta che non sopportano l’essere visti, e giudicati, per i loro comportamenti sguaiati; e quindi rivoltarsi verso il portiere. Ma io non riesco a fare finta di niente e non posso neanche accettarlo; ci sono camere, ai pieni sopra l’ingresso, da cui si sentono le urla della strada.

Comunque ‘sta gentaglia ha proprio scocciato. Anche a casa capita di sentire grida nella notte; gente che sente la necessità di squarciare l’oscurità con urla belluine: canzoni improbabili, bestemmie, nomi di persone.

E poi, non so perché, sono tutti maschi. Ma non si possono arruolare a forza nell’esercito ucraino e mandarli a sminare nel Donbass?

domenica 5 ottobre 2025

Benché venga da una famiglia non credente, ho dovuto studiare la religione. Ai miei tempi era obbligatorio. Alle medie, scuola Pieraccini,  a insegnare questa materia c’era un frate! Poi dicono che Firenze è una città rossa. Mai stata. Noi siamo quelli che hanno adottato il Savonarola, il tipo che ammoniva i passanti con “Ricordati che devi morire!” (segnatevelo). Alcuni fiorentini lo adoravano così tanto che giravano per la città prendendosi a scudisciate sulla schiena e lamentandosi del futuro incontro con il tristo mietitore; gli altri, quelli che si godevano la vita perché del doman non v’è certezza, li canzonavano definendoli “piagnoni”.

A Firenze siamo così, non abbiamo mezze misure.

A furia di studiare il vangelo, ho imparato l’amore verso il prossimo, chiunque esso sia. Ho cercato di trasmettere questo insegnamento alle ragazze e posso orgogliosamente affermare di esserci riuscito; perciò, venerdì mattina sono andate a manifestare -io ho dormito, ero troppo stanco- verso il popolo che più di ogni altro sta soffrendo, su questo pianeta, a causa di una forza politica che ha appreso perfettamente la lezione del partito nazionalsocialista: ditemi se Ben-Gvir non vi sembra la reincarnazione di Goebbels. È proprio lui. Se fosse nato dall’altra parte sarebbe stato un miliziano armato di AK-47. Lo so che la reincarnazione non è propriamente un’idea del cristianesimo, ma forse c’è anche un po' d’induismo.

Da persona veramente poco credente non so dire se c’è qualcosa dopo la morte, ma se c’è, sono arcisicuro che tutti coloro che denigrano azioni umanitarie finiranno giù, in basso. Lo so, un mio compaesano l’ha visto e ce l’ha descritto.


“…là dove l’ombre tutte eran coperte,

e traparien come festuca di vetro

Altre sono a giacere; altre stanno erte

quella col capo e quella con le piante

altra, com’arco, il volto a piè riverte."


Quindi occhio. I traditori dei benefattori finiscono nella Giudecca, il lago ghiacciato del Cocito. E lì c’è Lucifero in persona, mica pizza e fichi.

Foto della Cami. Non hanno fatto casino, sono brave ragazze. Mica come me. Ai miei vent’anni un po' di casino lo feci, e me ne vergogno un po', soprattutto per la motivazione. Ma sono cambiato. Come canta Ligabue “Nasci da incendiario, muori da pompiere”