venerdì 29 novembre 2013

Molti cari amici (e/o semplici conoscenti) mi domandano, dato che il mio lavoro prevede anche le notti, se ci sono clienti che chiedono la “coperta” (cioè, detto papale papale, la prostituta che sale in camera per “riscaldare” il cliente). E se è vero che abbiamo l’agendina segreta con i numeri di telefono di tali lavoratrici. E mi si domanda pure se prendo una percentuale, magari “in natura”…
So di darvi profonde delusioni (specialmente ai miei amici di sesso maschile) ma la risposta è no, su tutta la linea.
Il motivo è semplicissimo: questo non è un posto da prostitute.
Voglio dire: qui da noi vengono turisti visitare la città ed i monumenti più belli del mondo: Ponte Vecchio, palazzo della Signoria, Gli Uffizi, i’Davidde, gustarsi la Fiorentina, intesa come bistecca, abitante della città o squadra di calcio (4-2), eccetera. Quindi chi viene qui sono al 99% coppie o famiglie.
Ora, immaginatevi di essere con la vostra famiglia, magari con figli piccoli, a farvi la giusta e meritata colazione prima di partire all’assalto dei musei. E nel tavolino accanto va a sedersi un troione nella sua regolamentare divisa d’ordinanza da troione, e cioè:
-petto a balconcino. Ma più che balconcino, terrazza panoramica. Una roba che ci potrebbe apparecchiare con tanto di piatti, posate, bicchiere, megabottiglia da due litri di h2o marca Perrier (la più gasata al mondo) e vaso di fiori;
-minigonna uterina. Il modello visita ginecologica, quello che il ginecologo fa “si spogli signorina… ah, è già spogliata”
-Tacco 97, modello trampoli trafugati al circo Orfei.
Non credo che ne sareste contenti, magari se aveste anche voi figli/e nel periodo di età che guardano, indicano ed a 127 decibel esclamano “babbo, guarda, quella donna è nuda!”.
Tutti si domanderebbero “Ma in che razza di posto sono capitato?”
Mi rendo perfettamente conto che ci sono donne che si vestono così pur non essendo prostitute, o che un cliente potrebbe prenotare una matrimoniale e venire con una prostituta (ed avendo prenotato per due, non posso obiettare niente), ma di solito non succede. Non in alberghi come quelli dove lavoro io, almeno. Qui vengono i turisti. I turisti si vestono comodi. Insomma, non è che sia facile girare lemmi lemmi dentro gli Uffizi con un tacco 97.
L’altra principale ragione per cui è sempre bene evitare nel modo più assoluto prostitute in hotel è che possono succedere casini inimmaginabili. Poniamo che la tipa ed il cliente non si trovino per la “tariffa” e/o le “prestazioni”… ed immaginatevi un litigio furibondo in una camera alle 3 di notte.
Stiamo parlando di una persona che vende il proprio corpo ed una che compra un corpo. Non sono persone con tutte le rotelle al loro posto, alterchi fuori controllo sono altamente probabili. Vanno evitati assolutamente.
Insomma, chi vuole una prostituta non la porta qui. Va da lei e consuma da lei.
L’anno scorso mi capitò un tipo, italiano, della mia età. Cercava una singola, e dato che era quasi mezzanotte e diverse camere ancora libere, gliene offrii una ad un buonissimo prezzo.
“Bene, la prendo”
“Documenti e pagamento, grazie”
“Ed un po’ di compagnia me la può trovare?”
WTF?????
“Ehm… no, mi spiace, qui non è possibile, la direzione è contraria”
“Ma a noi che ce ne frega del direttore?”
Eh, già, bello, tanto NON E’ il tuo direttore. E’ il mio, ed il cazziatone me lo becco io, mica tu.
Il tipo se ne va sdegnato (cioè, se l’è anche presa perché io non ho rischiato la parte di merda per coprire uno che neanche conosco, signora mia in che mondo viviamo), ma dopo mezz’ora torna, potere delle tariffe super-scontate dell’ultimo minuto (pagamento prima di salire in camera, gracias. Vedere moneta comprare cammello). Verso l’una scende, si fa servire un whisky e mi chiede come può fare per trovare “compagnia”. Dove ti pare, prova a farti un giretto nei dintorni della stazione, basta che non la porti qui. Vai, consumi e quando torni mi suoni il campanello perché mi chiudo dentro per sicurezza. E così avvenne. In compenso mentre beveva il suo superalcolico fece in tempo a raccontarmi metà della sua vita di rappresentante di non-ricordo-cosa separato con figli più altri dati che ho prontamente rimosso dalla mia mente, e se non fosse avvenuto avrei accettato volentieri una lobotomia.
Però su una cosa vi ho mentito.
Ebbene si, numeri di telefono li ho avuti.
Anni ed anni fa, quando cominciai a lavorare qui ebbi l’occasione, per imparare a conoscere l’albergo ed il lavoro, di fare un paio di turni con il portiere di notte dell’epoca, mio omonimo. Un tipo simpatico e con il fisico non indifferente, ma la voglia di lavorare inversamente proporzionale a tale fisico. Questo è anche il motivo per cui venni ribattezzato “Marcellino”, proprio per distinguermi dall’altro “Marcello”. E tutt’ora sono conosciuto come tale qui dentro, benché lui non lavori più con noi.
Ovviamente l’uso di tale soprannome da parte di chi non è mio collega di lavoro è severamente proibito dal decreto presidenziale numero 127 del Luglio 2002, e chi ne contravvede andrà incontro a sanzioni penali e possibile (anzi, certa) pena capitale, e nessun avvocato potrà aiutarvi (vale per tutti gli avvocati che stiano leggendo).
Ok, non divaghiamo.
Il mio omonimo mi fornì i numeri di telefono di alcune donnine che bazzicavano nei dintorni (per essere più precisi: il marciapiede qui di fronte). Li usai anche in un paio di casi a chi me li chiedeva, ma tengo a precisare: tali donnine avevano il loro appartamento nei dintorni, ed il cliente andava a consumare lì. Trattavasi di sudamericane attempate, che vennero pure a presentarsi (si sai, le public relations sono fondamentali per stare sul mercato) e dato che non ero un cliente si presentarono con i loro veri nomi (scoprii che con la clientela usano nomi falsi. Nomi d’arte, diciamo.…) e mi confidarono (senza che lo chiedessi) il 99,9 % della loro vita: ex mariti, figli piccoli rimasti dai nonni in qualche baraccopoli sudamericana e qualcuno in età adulta con vita indipendente che ovviamente non sapeva dell’attività lavorativa della madre, pettegolezzi sui clienti e sulle loro richieste di prestazioni… fa un po’ strano vedersi arrivare queste signore che si presentano ed esordiscono con un “sai, ieri notte ho avuto una nottataccia, un cliente voleva il c**o ma aveva un ca**o troppo grosso, una cosa enorme, gli ho detto di no ma lui insisteva e ci ho anche litigato e bla bla bla, ah, qui ho la foto dei miei figli, abitano a Montevideo” intanto la mia mascella sbatacchiava per tutta la hall. Può anche darsi che mi raccontassero un sacco di balle, non lo so (e non mi interessa), ma almeno una foto di ragazzi adolescenti in compagnia di una signora molto anziana me la ricordo. Presumo che non vi fossero molte occasioni di lavoro “normale” per madri single nelle degradate periferie sudamericane. La cosa più triste era comunque vedere queste signore passeggiare sul marciapiede della via durante la notte, ma devo spendere un punto a favore dell’attuale amministrazione comunale, visto che da qualche anno sono sparite, e spero ardentemente che abbiano anche smesso di praticare invece di spostarsi semplicemente in qualche periferia bronxiana fiorentina. Anche perché da quando le conobbi sono già passati 10 anni, e due di loro erano abbondantemente sopra la sessantina….
Una notte di parecchi anni fa, proprio di fronte ed a pochi metri dalle sudamericane, si mise a “battere” un transessuale (malgrado le tette enormi si vedeva lontano un miglio che era un uomo). La cosa ovviamente non fu presa bene dalle signore che cominciarono a dirgli di andarsene, e quindi ad alzare la voce. Il trans si mise a parlare al telefono, e dopo un po’ ne apparve un altro, tanto per aggiungere un urlo (da baritono) in più, e si era già formato un capannello di gente che osservava. Non andò a finire molto bene: i due trans presero a menare una delle sudamericane, la più agguerrita, un donnone 50enne che era un po’ la capopopolo della combriccola; le sue amiche si volatilizzarono in un nanosecondo; lei, essendo ovviamente picchiata da quelli che, in fin dei conti, sono comunque due uomini, non trovò di meglio che attraversare la strada ed infilarsi nel mio albergo. Io fui abbastanza pronto a fiondarmi sulla porta e chiuderla a chiave, quindi alzare la cornetta e chiamare i caramba. I trans, visto che la porta dell’albergo era chiusa e dalla vetrata potevano vedere il portiere osservarli minacciosamente (veder menata una donna da due uomini mi aveva fatto inca**are di brutto) si erano allontanati, perciò avevo riaperto la porta ed eravamo usciti ad aspettare i carabinieri, mentre la gente intorno ed il portiere di notte dell’albergo di fronte ci chiedevano come stava la signora. E proprio in quel momento i trans sbucarono fuori per attaccare di nuovo la sudamericana. Io, il collega ed un paio di ragazzi che erano lì ad osservare ci mettemmo di fronte a protezione della donna; uno dei trans, nel tentativo di colpirla, prese uno dei ragazzi in faccia, il quale andò in totale berserk cominciando a menare furiosamente il trans: una serie di stonfi che avrebbero messo ko pure il Tyson dei tempi migliori, e che il trans assorbì senza battere ciglio (potere della plastica), mentre la sua ragazza lo teneva per l’altro braccio (“Nooo! Amore fermo, vieni via, ‘un ti ‘onfondè!”). A quel punto ci toccò allontanare il ragazzo (esimio collega che lavoravi nell’albergo di fronte: grazie, grazie di esistere e di avermi assistito quella notte. Non sarai mai dimenticato), che si dileguò non appena arrivarono i caramba. Effettivamente a parte io l’altro portiere ed i due trans, tutti gli altri si dileguarono; in un nanosecondo eravamo rimasti solo in 4. Prontamente rispedii il collega nel suo albergo (vai pure, ora me la vedo io), ed ai caramba mi presentai subito come quello che aveva chiamato, spiegandogli la situazione. Non fecero tanti discorsi: due chiacchiere con i trans lì per strada, documentos, prego salite in auto e puf, spariti anche loro. Fortunatamente, per sempre. Dopo di chè tornai dentro a recuperare la signora, che se l’era svignata di nuovo all’interno, chiusa dentro il bagno della hall. Che almeno per quella notte pensò bene di tornarsene a casa.
Ma se pensate che le disavventure di marce vs. i trans siano finite vi sbagliate di grosso. Mettetevi comodi che ora arriva l’aneddoto più grosso (anzi, diciamo il più imbarazzante, che grosso è un termine che è meglio non usare in quest’occasione…).
Turno di notte (che altro poteva essere?): la mia collega del pomeriggio aveva preso passanti 5 ragazzi, pagamento anticipato in contanti, una tripla ed una doppia. Escono durante la notte. Fin qui, niente di che: ragazzi giovani in gita fuori porta che fanno la loro brava sortita nella Florence by night. Rientrano più tardi, vado ad aprire la porta che avevo chiuso e… non sono soli. Sono in compagnia di 3 transessuali purtroppo from brazil (a quel punto sarebbe stato meglio from transylvania, ma tant’è…), probabilmente raccattati da un locale brasiliano a 100 metri da qui (ora chiuso da un 5-6 anni, ma allora – ahimè – in piena attività). Mi trovo in una situazione imbarazzante, e non so come reagire. Balbetto e chiedo i documenti ai trans, i quali, ovviamente, non ce li hanno. Nel frattempo i 5 ragazzi parlano tra loro e mi rendo conto di non capire niente di ciò che dicono: napoletano stretto. Anzi, puro. Parente prossimo del cardassiano. Comprendo molto di più il dialetto di Osaka. E lì mi azzardo a dire che “senza documenti non posso far salire nessuno che non sia cliente….”
L’avessi mai fatto.
Il più grosso dei 5 mi si piazza davanti.
E’ una cosa enorme, potrebbe essere il linebaker dei New England Patriots, e probabilmente lo è. Al posto delle braccia ha due obici da campagna crucchi, quelli che martellavano Verdun giusto un secolo fa; in più pancia prominente sotto due pettorali da culturista: gli addominali per lui non esistono, solo bilancieri e manubri. Ho come la sensazione di stare per diventare uno di quegli attrezzi ed in un attimo il mio imbarazzo iniziale diventa terrore puro; perdo 170 cm così, in un secondo, e comprendo quel che provò il Dottor Lemuel Gulliver quando arrivò nel paese di Brobdignag. Sono praticamente congelato di fronte al capo ultras del San Paolo, e pare anche dell’umore di quando il Napoli di Maradona perse dal Milan di Sacchi.
Poi, nella mia lingua madre, mi dice, in tono imperioso da non ammettere repliche:
“Le ragazze sono con noi”
“V…v….v…..va…b….b….be…be…bene….”
Ma non mi muovo di lì. Mi è impossibile fare anche un centimetro in qua o là, sono totalmente paralizzato. Lui tira fuori dalla tasca un rotolone di banconote, centinaia di fogli arrotolati a cilindro, tutti di colore giallo. Sfila una della banconote, mi prende la mano, me la apre con il palmo rivolto all’insù, ci appoggia sopra questi 50 euri e la richiude. Mi do un buffetto sulla guancia, poi, con un gesto deciso, mi sposta di lato.
Una barbie avrebbe avuto più vitalità.
Mi passa davanti tutta l’allegra comitiva, e gli unici che mi salutano sono i brasiliani.
Tono languido. Baritonale.
“Ciaaaao”
Io resto lì come un baccalà per una decina di minuti, incapace di intendere e volere, poi lentamente mi riprendo dal torpore. Rientro nell'albergo, chiudo a chiave ed inizio il mantra del portiere di notte: speriamononsuccedanientesperiamononsuccedanientesperiamononsuccedaniente…
Si sente un po’ di viavai per i corridoi e porte che si aprono e chiudono, ma nessun rumore trascendentale, tutto sembra andare piuttosto bene, fino a che non sento chiacchiericcio (maschile) in portoghese. Salgo: due trans si sono messi a chiacchierare sui divani nel pianerottolo davanti all’ascensore. Gli chiedo se possono scendere nella hall (che non mi sembra il caso che se ne stiano lì, dato che ci sono camere vicino ed il chiacchiericcio si può sentire). Molto gentilmente, acconsentono. Chiedono anche scusa per il rumore. Persone tranquille. La cosa mi rincuora profondamente, anche se manca all’appello ancora un trans. Per il momento questi li metto in sicurezza dabbasso, e li invito ad entrare nel bar, che la notte è al buio assoluto perchè spengo ogni luce.
“Prego, se vi mettete qui in silenzio vi offro un caffè”.
L’avessi mai fatto.
“Obrigado! Tu sei muito gentile…”
E mentre sono lì che preparo i caffè, uno di loro viene dietro il bancone del bar, mi si avvicina, mi guarda negli occhi (ed io che guardo senza capire, come un deficente) … ed allunga la mano verso il basso, direzione: il mio compagno di vita sessuale.
Mi risveglio dal torpore e, istintivamente, mi ritraggo. Schienata contro la macchina del caffè.
“Nonono, guarda, ti ringrazio, ma non mi interessa. Ti faccio tutto il caffè che vuoi, ma solo quello, davvero. Sono affetto da evidente e conclamata eterosessualità. Ma apprezzo l’interessamento, come avessimo già fatto”.
Lui (malgrado il trucco e gli ormoni, non riesco ad usare il pronome personale femminile, spero comprenda) è visibilmente deluso “Peccato, un così beu ragazzo…” Grazie delle belle parole, la mia ragazza (oggi moglie, nda) è d’accordo con te, riferirò questa uniformità di pensiero.
Era meglio di no, la Sara mi prende per il c**o ancora oggi (lei ha facoltà. Voi, no. Comma 3 del decreto presidenziale di cui sopra, nda).
Preparo i caffè e me la svigno al bancone.
In quel momento scendono dei clienti: partenza mattutina. Attimi di terrore, spero che non vedano i trans, che figuraccia ci si farebbe (e ci farei io). Ma i due brasiliani si infilano nell’angolo più buio del bar, in silenzio. Impossibile vederli dal bancone. Ho come la sensazione che non siano nuovi a questo tipo di situazione. Faccio il check-out ai clienti. Normalmente a chi parte presto la mattina e non può quindi usufruire della colazione offro sempre un caffè, ma con questi non mi azzardo. Loro non me lo chiedono. Pagano, gli chiamo il taxi per l’aeroporto ed alla via così.
Mi rilasso, dopo qualche minuto scende anche l’ultimo trans; ha due tette enormi, ed una voce più femminile degli altri due; indubbiamente non ha lesinato in quanto ad ormoni ed interventi chirurgici. Si mette a chiacchiera con i due amici, al che, essendo quasi le 5 e dato che a momenti sarebbe arrivata la ragazza delle colazioni, mi avvicino:
“Vi chiamo un taxi?”
Traduzione: “quando vi levate dai 3 passi?”.
Capiscono subito.
Vai col taxi, arriva in due minuti. I 3 escono. Li osservo dalla vetrata, e prima di salire sull’auto uno dei 3 mi guarda e si passa la lingua sulle labbra. Un gesto che mi ha sempre fatto ridere più che provare eccitazione, ma dopo una nottata del genere mi aiutò a rilassarmi, perché significava che anche quella disavventura era finita. Il taxi parte ed io mi sfogo nell’unico modo possibile in quel momento: un facepalm di dimensioni colossali.
Certo, rimane sempre mia moglie, che quando vuole prendermi in giro (un paio di volte al giorno) abbassa il tono di voce e mi fa “Ciaaao”, per poi passarsi la lingua sulle labbra, ma tant’è, questo è quel che mi tocca quando si deve condividere tutto con una donna come la Sara. Ma quello è il meno. L'importante è che non mi capitino più eventi del genere. Ma dato il mio lavoro, non ci giurerei.
Ciaaaaoooo.

Nessun commento:

Posta un commento