venerdì 3 giugno 2016


Fare il portiere è un lavoro da ingrati.

Da duri.

Da solitari.

Da matti.

Il portiere è quello che tiene su tutta la baracca. Perchè l'attaccante ha la gloria, ma è il portiere che mantiene il risultato, esattamente come in hotel tiene le chiavi delle camere e la situazione della giornata.

Questa non è la storia di un turno di lavoro come portiere d'albergo. Questa è la storia di un gruppo di amici fiorentini e della loro stupefacente vittoria. Questa è la storia di quando la favola del Leicester era di là da venire, e la cenerentola si chiamava Coverciano '88.

Maggio 1992. Torneo estivo amatoriale di calcio a cinque.

Uno dei tanti, a Firenze. Uno di quelli organizzati da una delle molte associazioni sportive, numerose quanto gli enti statali sul commercio con l'estero. Con arbitri della stazza approssimativa di un triceratopo, ed età simile, su campi che non conoscevano la gloria dell'erba sintetica, ed a farla da padrone era ancora la nuda ed elementare terra: i campi di Fantozzi, buche e dossi a metà campo, foreste pluviali ai lati, specialmente le zone d'angolo, e tempeste sahariane che si alzano al minimo alito di vento, in direzione della porta.

In particolare, e non ho mai capito perchè, quella difesa dal sottoscritto.

Ci ritroviamo a fare questo torneino estivo in quell'amena frazioncina di Firenze sud detta Cascine del Riccio: il luogo più umido non solo della provincia di Firenze, ma dell'intero globo terracqueo, appena un pelo sotto la Birmania durante il Monsone. Ma con temperature percepite solo da Scott ed Amudsen. Pure in piena estate, Cascine del Riccio è afflitta da un microclima tutto suo, una cosa inspegabile e scientificamente mai abbastanza studiata (o forse, come per la natura degli elettroni, semplicemente hanno smesso di studiarlo, ed accettano i postulati di Borh ed Heisenberg: esistono, tanto basta). Tuttavia, ha un campo da 11, uno da 7 ed uno da 5, e spogliatoi con h2o calda. Per maschi dell'età compresa dai 15 ai 50, è appena un pelo sotto al paradiso coranico delle 72 vergini. Per qualcuno, anche di più.

Cominciamo qundi il torneo con il botto: il DLF. Dopolavoro ferroviario. A Firenze, all'interno di quel mondo piccolo che è il calcio a 5 amatoriale, è come dire colei-che-non-deve-essere-nominata in serie A e B: una potenza del calcio. In questo caso, calcio locale a 5, ma sempre una potenza.

Raccatto il pallone in fondo al sacco 5 volte, a fronte di un solo gol da parte nostra.

Come si dice in questi casi: chi ben comincia...

Ma bene o male, picchia e mena, andiamo avanti: prima una vittoria striminizita, poi un pareggino all'ultimo secondo, e passiamo il turno. Troviamo la prima classificata dell'altro girone, in semifinale.

Ma non si dimostrano forti come pensavamo. Li battiamo. Lottando, ma vinciamo noi.

3 Giugno 1992, la finale. Si, sono passati 24 anni.

Ed ovviamente, ritroviamo il DLF. Che, da brava macchina schiacciasassi, aveva vinto tutti gli incontri. Persino, con appena 4 gol al passivo. Il titolare coi guanti, mio corrispettivo, quello che vedo solo due minuti prima all'inizio dell'incontro, per augurarsi in bocca al lupo e dopo ci osserviamo a distanza da una porta all'altra, non arriva alle dita di una mano, in quanto a gol subiti. Ne ho presi più io nel primo incontro.

In finale non siamo soli.

Un piccolo bazar di persone, svariati maschi e femmine dell'età poco superiore alla pubertà ed il cervelletto ancora fermo ai cartoni giapponesi, sono presenti a bordo campo.

Hanno chiamato gli amici, per festeggiare una vittoria scontata e prevedibile. Seguirà buffet. O, quanto meno, una pizzata offerta dal presidente.

Dulcis in fundo, c'è pure un fotografo, ad immortalare il lieto evento.

Noi siamo gli agnelli sacrificali. Le vittime del rito Azteco. A cui aprire il petto ed estrarne il cuore.

Ci cambiamo, nello spogliatoio, con un atteggiamento che va dal fatalista al rassegnato passando dallo scocciato andante con brio. Non è mai bello fare da sparring partner, ma eravamo consapevoli che ci erano superiori. Eppure, mentre indossiamo l'equipaggiamento di gioco, ci sale, pian piano, la voglia di fare comunque la nostra partita. Di provarci in ogni modo. Di gettare il cuore oltre l'ostacolo. Di non mollare mai, a nessun costo. Di non cedere. Di sputare sangue, se necessario.

Questi i gocatori:

1-Mugnai
2-Cecchi
3-Banti
4-Di Ferdinando
5-Monnecchi
6-Porciani
7-Fiore
8-Tozzi
9-Picchi
10-Novelli. Quest'ultimo in versione mister Ranieri causa infortunio.

Prima di uscire dagli spogliatoi, il mister ci guarda tutti negli occhi e ci dice, semplicemente "Non diamogliela vinta. Che se la sudino, la 'oppa"

Quindi, scend.... mmmmh, no.

Andiamo in campo.

Il primo tempo, complice la nostra furia agonistica ed un'evidente rilassatezza avversaria che equivale un pò ad un "S'è bell'è vinto, non sudiamo troppo, che ci si stanca", finisce 0-0.

Qualcuno degli amici invitati a godere della prevedibile e scontata vittoria si lascia sfuggire un "Oh, ma quando vu segnate?", mentre una delle ragazze, evidentemente classica tipa per cui la regola del fuorigioco è facile da comprendere come lo studio applcato delle equazioni integrali di 4° grado, se ne esce con "Quanto dura la partita? Voglio andà a mangià la pizza"

Si riparte. Stesso copione del primo: noi a correre come matti in tutto il campo, a lottare su ogni pallone, a non tirare mai indietro la gamba; loro a palleggiare con fare un pò svogliato, da tiki-taka ante-litteram.

Fino a metà della ripresa.

Banti, difensore roccioso ed arcigno ma la cui tecnica di gioco si può rissumere in "la parte migliore del piede per controllare il pallone è la punta: colpire con tutta la forza", un qualcosa che avrebbe avuto l'approvazione di Nereo Rocco sullo studio della difesa, si ritrova la palla tra i piedi al limite dell'area avversaria. E, circondato da giocatori con un colore della maglia diverso dal suo, si prodiga in un colpo di tacco che non riuscirebbe neanche ad un qualsiasi numero 10 della nazionale Argentina. Ma che lui, in quel preciso momento, compie con incredibile quanto stupefacente maestria.

E smarca quello che era in attacco in quei minuti, il Cecchi. Che, con una freddezza che non aveva neanche i'Bati ai tempi d'oro in maglia Viola, caracolla con il corpo tutto inclinato di 70° sulla sinistra, attende l'uscita del portiere e lo fredda col piattone destro all'angolino opposto.

Siamo in vantaggio.

Fu come fosse esploso, nella testa dei nostri avversari, un vero big bang: di colpo gli si aprì un inedito, inverosimile, inesplorato universo. Un viaggio verso un nuovo, strano mondo.

Un viaggio senza ritorno.

Si riversarono in massa nella nostra età campo, alla disperata ricerca del pareggio. Ma, vuoi difensori pronti e decisi ad immolarare faccia ed attributi sulle pallonate avversarie, vuoi un portiere (si, incredibile, ma ero io) a cui prende il matto e, incurante di fracassare le ginocchia sul terreno, si lancia su tutti i palloni e vuoi, dulcis in fundo, un clamoroso palo su cui si infranse l'ultima disperata conclusione, il risultato non cambiò fino al triplice fischio finale.

Coverciano 88 - D.L.F 1-0

Senza neanche capire come, ci ritroviamo soli in mezzo al campo: i nostri avversari spariscono, nel giro di due nanosecondi, negli spogliatoi, e pure i loro amici ad assistere svicolano direttamente nel parcheggio (con la solita ragazzetta calcisticamente ignorante che se ne viene fuori con un involontariamente sarcastico "O come hanno perso? O 'un dovean vincè? O icchè gli'è successo?")

Poi realizziamo

Abbiamo vinto

Scopriamo la bellezza di una fresca serata poco fuori Firenze, in un ambiente che, anche a Giugno, sembra Novembre inoltrato a Novosibirsk. Di un arbitro, con la pancia di una rotondità che sembra un dipinto di Giotto, che ci viene incontro con una stupenda, fantasmagorica, meravigliosa coppa, ed il sorriso di chi ha appena assistito ad uno di quei rarissimi miracoli calcistici, quelli che non avvengono mai, ma quando avvengono, li ricordi per tutta la vita. Di un fotografo che si ritrova circondato da quelli che non gli hanno pagato il servizio, e gli chiedono uno scatto. Accetta. Un solo semplice, banale, normalissimo scatto di una vittoria unica ed irripetibile. Quella che ci ha tolto lo "zero tituli" dalla pagina wikipedia (se ne avessimo una, ovvio).

Sono passati 24 anni, ma quel giorno me lo ricordo come fosse ieri. Il giorno più bello della mia vita, poi declassato negli anni dopo l'incontro con quella che sarebbe diventata mia moglie e la nascita delle nostre due bambine.

Ed anche se, nel corso di questi anni, ho perso un pò i contatti con gli altri membri della squadra, rimane il fatto che quella squadra fu vincente. Ed io ne ero il portiere.

E lo sono tutt'oggi.

Anche se di un altro tipo.



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