venerdì 28 ottobre 2016

Quando io e quella che sarebbe diventata mia moglie abbiamo cominciato a vivere assieme, la difficoltà maggiore che incontravamo era di riuscire ad avere, nei rispettivi alberghi dove, tutt'ora, lavoriamo come portieri, un orario di lavoro che fosse abbastanza simile, in modo da avere più ore possibile per stare assieme: avere lo stesso turno pomeridiano, avere lo stesso turno mattutino, avere io il turno di notte e lei, il giorno dopo, quello di mattina (lei che lavora quando io dormo). E, conseguentemente, avere gli stessi giorni liberi, di solito mercoledì e giovedì. Ci facevamo i fine settimana così, quando la maggioranza del mondo era di turno (quelli che lavorano, ovvio). Il che presenta dei vantaggi indiscutibili in fatto di quantità di negozi aperti (tutti, effettivamente) e minor numero di auto presenti sull'autostrada. In particolare ricordo mercoledì primaverili di mare dove io, sul sedile totalmente reclinato del passeggero, me la dormivo e lei guidava sulla Fi-Pi-Li in direzione Tirreno, dove passavamo il resto del giorno a guazzo e poi a sbafare una luculliuana cena a base di pesce.

Poi sono arrivate due bambine, ed i giorni liberi sono diventati giorni effettivi di scuola per loro, mentre i fine settimana ci tocca "parcheggiarle" (è brutto dirlo, ma è così) presso i nonni perchè noi genitori abbiamo il turno di lavoro. E comunque cerchiamo di avere turni il più possibile dissimili, in modo che uno di noi sia sempre presente in casa. Quindi se lei è di pomeriggio, io devo essere di mattina o quanto meno di notte. Si fa i salti mortali insomma, e si comunica più con sms o post-it attaccati al frigo, ma alla fin fine è sempre andato tutto bene. Anzi, ora che cominciano ad essere grandi, riusciamo anche a lasciarle sole per molte ore, preparandogli i pasti il giorno prima, e che loro stesse provvedono a riscaldarsi in quella magnificenza di apparecchio elettrodomestico che va sotto il nome di microonde (lode, lode imperitura al suo inventore), e permette di evitare l'uso delle fiamme.
 
Perciò, quando ci capita, di solito ogni due mesi, di avere un fine settimana libero, sia a me che lei, l'evento viene esaltato all'ennesima potenza, festeggiato quasi come un 4-2: un fine settimana noi tutti, un fine settimana senza lavoro, un fine settimana dove la nostra famiglia fa quel che fanno le famiglie "normali", quelle dove i componenti hanno lavori che non impegnano nei festivi e/o notturni o, peggio ancora, nessun lavoro: godere del sabato e della domenica.

Per il sabato, il menù prevedeva una gita a Roma. Andata e ritorno lo stesso giorno in treno, che è un pò un massacro ma per una volta si fa volentieri. Così siamo andati a vedere quello che amo definire come "il primo, e quello venuto meglio, stadio di Roma": l'anfiteatro Flavio.

L'ingresso, malgrado la fila di gente, non promette bene: mentre sono al controllo borse, metto lo zaino nella macchina dei raggi x.

-Ao', controlla un pò questo, c'ha lo zaino daa' Fiorentina-

Sorrisino compiaciuto. Pensi di fregarmi, amico romano?

-Si, sono in trasferta. Settore ospiti-

Interviene il suo amico:

-Er settore ospiti è quello co'leoni-

-Si, l'avemo tenuti 'n cardo duemila anni, apposta per te-

Ed io lì, a bocca aperta. Ok, c'ho riso, ma sono anche stato signore e non gli ho ricordato di quanto Mario Gomez realizzò, contro di loro, la sua unica doppietta in Italia. Per non parlare dell'unico gol di Basanta.

Poi entriamo, e lì avrei desiderato essere mangiato davvero, dai leoni.

Perchè Gaia, anni 9, si ribella alla visita culturale, e ci massacra.

-Uffa, mi annoio!!!!- Ripetuto venti volte. A 300 decibel. Un vero disastro. Ma purtroppo lei è ancora la bambina che vorrebbe scalare strutture da giardinetti, ed il Colosseo non rientra in questa categoria (siamo stati anche ripresi da una guardia perchè lei era salita su una colonna, benchè tale colonna fosse distesa a terra, in svariati pezzi).

-Vedi Gaia- cerco di fargli capire -Qui una volta ci stavano le persone a vedere i leoni-

-Si, ma ora è un rottame!- con lo stesso pollice verso e lo stesso tono di un romano che, duemila anni fa, urlava -Infilzalo con il gladio!- E poi se ne esce fuori così: -Roma fa schifo- senza neanche conoscere l'omonimo blog. E meno male che, nel tragitto da Termini a lì non avevamo incontrati frigoriferi o materassi abbandonati a giro.

Molto meglio con Camilla, 11 anni, che ha apprezzato la visita, benchè non conosca i capolavori del cinema. Perchè quando gli dico "Vedi Cami, qui hanno girato un capolavoro del cinema", lei, piccola e tenera ingenua, se ne esce così:

-Il gladiatore-

-Ma nient'affatto. Mi riferisco a "L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente"-

Ma al di là delle battutine che facciano tra noi (anche se quest'ultima l'ho capita solo io) i monumenti dell'antica Roma rimangono una cosa splendida da vedere.

Domenica invece abbiamo fatto una visita nella nostra città: un luogo tra i più unici e straordinari dell'intero quadrante stellare, che in 46 anni non avevo ancora mai visto, e con una prenotazione fatta due mesi prima ed un costo decisamente salato ma che valeva assolutamente tutta la spesa, fino all'ultimo centesimo: il Corridoio Vasariano.

E' davvero complicato descrivere adeguatamente questo luogo: è così straordinario, incredibile, stupefacente, che qualsiasi parola è futile: va visitato. Punto. Occorre trovarsi dentro, per capire la magnificenza di un posto del genere, nel quale si comincia, dopo aver percorso gli Uffizi (già di per sè IL luogo per eccellenza, il centro dell'universo senza se e senza ma) e ci si trova nel primo atrio, dove vi sono alcuni dei quadri ricostruiti dopo l'attentato del '93. Quei pochi quadri che, in parte, si sono salvati, di quell'evento dolorosissimo che ha provocato morti (tra cui una bambina di 56 giorni), e che dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, che il 41 bis è anche troppo leggero, e le bestie a due zampe non avrebbero diritto neanche all'ora d'aria: morire in isolamento, per poi passare l'eternità a bruciare all'inferno, direttamente nel Cocito.

Ma poi cammmini sopra Lungarno Archibugieri e Ponte Vecchio, e la prospettiva, improvvisamente, cambia di 360 gradi. Ed osservi gli autoritratti degli artisti. Uno si sente quasi libero, senza le costrizioni a cui ti costringe una folla di turisti. Libero come i partigiani che lo percorrevano quando andavano, in direzione opposta a quella della visita, a combattere i fascisti rimasti asserragliati nella parte settentrionale della città. E getti lo sguardo dalle finestrelle, ad osservare il popolino che cammina sul lastricato. Ed uno si sente veramente un signore che guarda i "poracci" sotto i suoi piedi, un privilegio che, per quanto si sforzi, neanche il principino George mai gusterà.

Tu, che leggi queste righe, lo devi provare. Per quanto ci provi a digitare furiosamente su questa tastiera e dare fondo a tutto il mio vocabolario in questo stupido e modesto blog, non puoi capire, amica/a mia/o: vai e prova. E non dare retta a quegli imbecilli che ne danno solo un pallino su trippa. E' un sito di *erda, e lo sai benissimo. Costa, ma ne vale la pena. Ed assicurati che la visita abbia una guida appassionata come quella che avevamo noi. E pazienza se finisce nel giardino di Boboli, invece che dentro Palazzo Pitti. Solo il tratto su Palazzo Vecchio è, appunto, il centro dell'Universo.

Dopo esserci gustato questo superbo privilegio, decidiamo di prenderci un altro lusso, ed andare in una cioccolateria in via Porta Rossa, davanti al mercato del Porcellino, e gustarci una cioccolata calda: ormai che abbiamo fatto 30, facciamo 31 e facciamoci servire ad un tavolo.

Dentro, una discreta fila di gente, mentre dietro al bancone una mezza dozzina di ragazzi giovani frullano come palline da flipper per servire a destra e manca. Ci mettiamo all'ingresso della scala che porta alla saletta superiore, in attesa, perchè così recita un cartello e così ci dice uno dei ragazzi: si deve aspettare che ci sia un tavolo libero.

Ma alla faccia del cartello, dei commessi e soprattutto di noi in attesa, una signora ci sorpassa come se fosse una cosa normalissima, e sale su.

E dopo qualche minuto, una delle ragazze scende chiedendo se era stato detto, ad una signora, che poteva salire. Al che gli diciamo noi che questa se n'era salita su bypassandoci.

la ragazza confabula con i colleghi, e tutti giungono alla conclusione che costei si è bellamente fatta gli affaracci suoi e saltato la linea, una cosa che capita spesso anche da noi in albergo, quando siamo a dare informazioni al bancone quando, come spuntata dal nulla, si presenta una persona che, con vocina stridula, se ne viene fuori che "ho una prenotazione", e qunidi pretende di passare avanti. Si, lei ha una prenotazione. E da ora anche un vaffan*ulo. Ma questo rimane nella mia testa. Però è chiaro che il servizio che offro a questo tipo di persone è minimo.

Nel frattempo è arrivato anche il marito (un tipo sul quintale) che chiede della moglie. Ma lo stoppano subito dicendo ch coste se ne deve scendere, ed attendere il suo turno.

Solo che non avviene. Come i tavoli, di sopra, si liberano, la signora si rifiuta di scendere. la ragazza di prima torna giù, furiosa, che costei si è pure messa a sedere in un tavolo da 4. Quando finalmente si libera un altro tavolo da 4, la ragazza ci fa salire. A quel punto vediamo questa tipa bellamente a sedere, con due tavoli da due liberi. Ovviamente il marito, quando arriva, non la invita a cambiare tavolo.

Ma qui devo fare una ola ai ragazzi che lavorano lì. Perchè prima di servire questa coppia (ah, erano francesi. Quel tipo di francesi che si meritano la Wermacht in casa, anche se questo tipo di maleducazione è universale) servono tutti gli altri tavoli, noi compresi. Quando finiamo di gustarci le nostre cioccolate calde, quei due stavano cominciando a mangiare la loro consumazione. Ben vi sta, e complimenti ai ragazzi della cioccolateria, che spero abbiano un buon e giusto contratto (non come quelli che lavorano a eataly, o nella tenuta di Sting), che si sono dimostrati attenti e premurosi, e ci hanno sorriso quando siamo usciti. Bravi.




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