giovedì 8 giugno 2017


A me, lo sport in tv, non piace.

Ma punto. Punto proprio.

Io lo devo vedere dal vivo. Sul serio, in tv mi fa l'identico effetto di Insinna ed i suoi scatoloni. Di più, lo stesso ribrezzo del programma di Ricci ed i suoi inviati simpatici come un brufolo su una chiappa (striscia la notizia è uno dei programmi più stronzi che vi sia. E' una delle cose più insopportabili della tv, lo sopprimerei per decreto presidenziale). Quindi no, non guardo le partite di calcio in tv. Non lo faccio per la Fiorentina, figuriamoci per la finale di colei-che-non-deve-essere-nominata.

Coerentemente, mi sono rifiutato anche di postare, sul mio diario, le facili immagini a presa in giro sulla loro sconfitta. Dopo di che, come mi ha scritto un amico privatamente, non posso non ammettere che fa piacere vedere una squadra in maglia Viola, come aveva il Real in finale, fare gol proprio a loro. Ma in fondo in fondo, non è la stessa maglia, dai. Due battute, poi basta. C'è un limite pure alla perfidia. Anche se tutta privata.

Prima di mettermi a fare questo lavoro e trovarmi con i fine settimana occupati dai turisti che vengono a soggiornare nell'albergo e visitare i nostri monumenti, passavo parecchie domeniche sugli spalti del Franchi. Vidi l'epico 1-0 del 6 Aprile '91 dalla Fiesole, con la punizione perfetta di Fuser e la parata di GianMatteo Mareggini sul rigore calciato da non-ricordo-chi, ma fu quello che non volle battere Baggio. Soprattutto ero parte di quell'incredibile coreografia che riproduceva, guarda caso, i nostri monumenti: la migliore di sempre, in qualsiasi tempo, qualsiasi ambientazione.

Vidi anche i due incontri delle stagioni successive, entrambi vinti 2-0 da noi, con il Bati che dominava le aree di rigore altrui. Vidi anche la nostra sconfitta 1-4, peraltro dallo "spicchio" dei tifosi avversari perchè ci andai con un amico che tifa loro.... lo so, pare assurdo: tifare colei-che-non-deve-essere-nominata a Firenze è come apprezzare gli AC/DC quando il cantante è Axel Rose, ma è e rimane un amico. Peraltro anche più appassionato di me, visto che una volta, quando le partite erano alle 15 e non a questi orari strambi sparsi ovunque nel giorno e nella settimana, prendeva il treno ed andava a Torino. Io, al Franchi, ci metto una mezz'ora a piedi.

In passato andavo spesso a Bellariva a vedere la Rari Nantes, pallanuoto. Firenze aveva una delle squadre più forti, a quei tempi ci si divertiva, ed a parte contro Savona e Napoli, era tutta una vittoria. Ora è sparita, forse in A2, forse non c'è neanche più una società. Le cose belle, in questa città, durano solo se sono fatte di marmo o pietra serena.

E poi c'era la pallacanestro: ricordo di quando, nella stessa giornata, andavo prima al Franchi per la Viola, ore 15, e dopo al palazzetto a vedere la Pallacanestro Firenze, ore 18. E avevamo il giocatore più forte che abbia mai calcato i parquet italiani se non europei: quel JJ Anderson che, anche se arrivammo ultimi in A1 vincendo appena 3 o 4 partite, vinse la classifica come miglior marcatore. Incredibile, stupefacente, straordinario giocatore che ancora oggi mi pone l'interrogativo: ma com'è che non era nell'NBA? Invece era da noi, e ricordo, come fosse ieri, un incredibile movimento con cui superò due avversari e tirò da 3 all'ultimo secondo contro Milano, permettendoci di vincere di 1 punto. Venne giù il palazzetto. Un delirio.

C'erano, in quei campionati, ben 5 squadre toscane: noi, Montecatini, le due di Livorno (una vinse anche il campionato. Non date retta all'albo d'oro. Era canestro, vinse Livorno) e Pistoia.
Ancora non lo sapevo, e non la conoscevo, ma mentre io ero a esaltare i miei colori, una persona faceva lo stesso per i suoi.
Una di Pistoia. Una tipa che poi sarebbe diventata mia moglie.

Anche lei, come me, non faceva ancora questo lavoro che impegna i fine settimana. E non avevamo ancora due figlie. Quindi andava con le amiche al PalaCarrara a vedere la pallacanestro. Soprattutto quando giocava conro di noi o Montecatini (i termali), perchè non c'è cosa più bella di battere gli altri toscani. E solo chi nasce in questa regione può capirlo.
Come succede spesso, le cose cambiano. La vita si evolve, cambia le abitudini, modifica tutto, ci travolge, ci porta su binari ben precisi. Lei è venuta qui a Firenze, e ci siamo accorti, quasi con stupore e profondo rammarico, che entrambe le squadre erano fallite e ripartite da più in basso.

Poi succede qualcosa di bello, una di quelle storie piacevoli di sport: Pistoia rinasce. Riparte, costruisce una nuova società, una nuova squadra, riaccende la passione in una città molto spesso ignorata dal grande turismo che invade l'ingombrante ed opprimente vicina gigliata, e nominata più per treni, vivai ed il Blues che per i suoi luoghi. Pistoia è una cittadina d'una bellezza speciale, unica, particolare. L'ho sempre apprezzata molto, a cominciare da piazza Duomo, dove sono stato spesso per il Blues (30 chilometri a/r con il vecchio vespone 200) e, un giorno d'Epifania, in occasione della discesa della Befana dalla torre (un pompiere appositamente abbigliato ed appeso a lunghi e resistenti cavi) che le nostre figlie, ancora piccole, osservavano con stupore fino a che non arrivò giù e gli donò molto caramelle (peraltro questa cosa la fanno anche a Prato, ed anche lì grande festa dei bambini per i dolci zuccherati). E lì accanto vi è un'altra piazza, una delle più belle e straordinarie d'Italia: quella piazza della Sala con i caratteristici negozietti e dove sul pozzo posto al centro c'è ancora il simbolo della città (lo scudo a scacchiera) con sopra, messo appositamente da 500 anni, il Marzocco. Piazzato lì dai fiorentini ad indicare la dominazione di Firenze su Pistoia, ottenuta dopo un lungo assedio.

Non sono stato io, eh. Precisiamo.

Così ci viene l'idea: un fine settimana libero a Marzo ci tocca; prendiamo le ragazze ed andiamo a vedere la pallacanestro. Gioca contro Venezia, una delle più forti della serie A.
L'ingresso è stato, per me, un tuffo al cuore: l'emozione di rivedere la palla rimbalzante ed il cesto che fruscia. I giocatori lì, a due metri di distanza, il play che chiama lo schema, le schiacciate, i tiri da tre, i fischi quando gli avversari vanno al tiro libero.
Soprattutto sentivamo le urla dell'intero palazzetto quando la palla la teneva uno dei giocatori di Venezia.
Afferro un giornaletto lì per terra, sui gradini. Rapida lettura durante un time-out.
La partita dell'ex: Filloy, guardia, argentino, militava con Pistoia l'anno prima. Gioca straordinariamente, infilando un canestro dietro l'altro.
Accanto a noi, un paio di vecchi pistoiesi, dall'età direi che dovevano essere già in pensione quando Naismith inventava questo sport, lo infamano con qualsiasi termine offensivo inventato su questo continente perchè "E 'un tu giohavi così, quando tu eri da noi!" per poi mandare apprezzamenti sull'antichissimo mestiere praticato dalla madre del giocatore. Mi rivedo quando andavo a vedere la Fiorentina: guarda caso, i nostri sembravano tutte pippe clamorose e gli avversari apparivano come 11 CR7, soprattutto quelli che la stagione prima indossavano la maglia Viola. Non si sa come ma, una volta cambiata casacca, diventano tutti fenomeni. Dev'essere così un pò dappertutto.
In quel momento tutto quel che mi sento di fare è tifare Pistoia e supportare i colori biancorossi. Non va bene, vince anzi no, fa più punti Venezia, che peraltro, proprio in questi giorni, è in finale di campionato contro Trento. Quindi tanto scarsa non è.

Mestamente, all'uscita, salutiamo prima uno dei cugini della Sara, poi la Barbara, una delle sue migliori amiche. Due chiacchiere e poi tutti a casa.
Due giorni fa, qualche battuta con la Barbara su FB:
-La prossima stagione torniamo a vedere qualche partita-
E lei: -Le ragazze si, tutte e tre.
Te no.
Quando sei venuto s'è perso-

Così ora l'unico posto dove mi accettano, a Pistoia, è a casa dei miei suoceri.

Che ingiustizia.
 

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