domenica 29 dicembre 2024

Voglio fare gli auguri di buon anno.

Li voglio fare a tutti quelli che, come il sottoscritto, lavorano in albergo, nelle strutture ricettive. I grandi alberghi, i B&B, i motel.

Auguri alle cameriere, che svolgono un lavoro duro, pesante, faticoso. Con camere ridotte a immondezzai da gente che l’avrà pure pagata, ma perché imbrattarla o riempirla di spazzatura o lordare ovunque? E queste colleghe che si danno da fare a igienizzare bagni e rifare letti per finire il turno distrutte dalla stanchezza con paghe veramente misere (che poi, da dove viene questa cosa per cui solo le donne rifanno le camere? Anche noi maschietti siamo capaci)

Auguri a facchini e manutentori, che devono pulire le zone comuni e buttare chili di spazzatura, oltre che effettuare le piccole riparazioni, imbiancature, tutte quelle piccole attenzioni necessarie.

Auguri al personale di sala. Quelli delle colazioni, che devono alzarsi molto presto per fare apertura, e poi devono continuamente rifornire il buffet per soddisfare uno sciame di cavallette. Clienti che spesso afferrano chili di roba che poi lascia nel piatto, cibo sprecato solo perché si può prendere liberamente. Auguri a quelli del ristorante, per gli alberghi che lo hanno. E quindi anche ai cuochi, aiuto-cuochi, lavapiatti e inservienti vari. Che oltre a preparare pietanze devono anche fare attenzione all’igiene e alla pulizia della cucina.

Auguri al personale del ricevimento, che fanno capo a tutto l’albergo e devono gestire prenotazioni, contare incassi e a volte accogliendo clienti che spesso fanno richieste strambe o lamentele gratuite, con atteggiamento musone e ostico.

Auguri a capiricevimento e direttori, che devono coordinare tutti questi reparti. Stabilire orari, venire incontro alle richieste di ferie o le malattie del personale, oltre a coprire turni, se necessario. E magari dare un po' di soddisfazione, se qualcuno fa bene il proprio dovere.

Auguri a caldaie, macchine dell’aria condizionata, ascensori, frigoriferi, macchine del caffè. Si, faccio gli auguri ai macchinari. Perché gli vogliamo bene e non sia mai che non se la prendano a male. Sono aggeggi permalosi, capaci di guastarsi il sabato alle 19, in un periodo di ponte. Non lo fate, ve ne prego. Funzionate sempre.

Ma soprattutto auguri ai miei colleghi pipistrelli, i notturni. Quelli come me che, essendo in un posto con il ristorante, brinderò con i colleghi, ma non posso dimenticare che per vent’anni ho lavorato in una struttura dove il notturno è solo. L’unico dipendente della ditta, l’unico responsabile in turno. Che neanche fa troppo caso al tempo che scorre e si accorge della mezzanotte solo quando i botti all’esterno aumentano d’intensità.

Che si possano sempre trovare clienti simpatici e sorridenti. Quelli per cui vale la pena di fare questo lavoro.

Oltre al vile denaro, naturalmente.


domenica 22 dicembre 2024

La scrivo adesso, di getto. Prima che me ne dimentichi. Perché l’ho proprio freddato.

Si tratta del solito, vecchio classico della portineria alberghiera: lo scherzo telefonico.

Sono le 3 e arriva una chiamata esterna sul centralino. Guardo il display, che mostra un numero di cellulare italiano. Sarà qualcuno che chiede una camera? Sono pronto a elencare tipologia e prezzi per la notte; tariffe scontate per l’ora e il periodo, abbastanza basso.

Perciò alzo la cornetta e sciorino la formuletta solita: «Hotel ****** buonasera sono Marcello. Come posso aiutarla?»

Mi risponde una voce adolescenziale condita da risatine di sottofondo. Tutto quello che riesco a capire sono “prenotare” “camere” “5 e 6 gennaio”

Non mi va di perdere tempo con ragazzetti che, alle 3 di mattina della domenica, si divertono a chiamare un albergo di Firenze per fare lo scherzo telefonico a uno sconosciuto portiere di notte. Probabilmente staranno anche registrando la chiamata perché sperano che lo sconosciuto -io- vada in escandescenze e urli improperi e bestemmie da mettere su qualche forum sociale. No grazie, non sono il tipo. Semplicemente, riattacco. Sciò, via dalla mia esistenza.

E invece, il tempo di contare fino a 3 che richiamano.

Rispondo ma stavolta mi risparmio la formuletta, dico semplicemente “pronto”.

«È cascata la linea. Avete una camera per…»

«Senti, giovane Jedi, se proprio vuoi fare uno scherzo telefonico, ti consiglio di mettere “anonimo” perché qui, sul display del centralino, mi appare il tuo numero: 328…»

Il centralino mostra la dicitura “fine chiamata”. L’ho pizzicato e freddato.

Ero quasi tentato di fare il “richiama numero” ma ho lasciato perdere. Non vale la pena di spendere ulteriore tempo per ragazzetti che non hanno neanche la furbizia di nascondersi abbastanza e non riescono a trovare altro divertimento di questo.

Però scriverci una storiella, quello ci sta.

"Un Jedi usa Forza per saggezza e difesa, mai per attaccare"

giovedì 19 dicembre 2024

Ci sono eventi, momenti, piccoli fatti, che proprio non riesco a descrivere. A ricamarci sopra una storia, magari con qualche metafora particolare, come piace a me. Proprio non ce la faccio.

Sono de Roma, lui qualche anno in più di me, lei quasi venti più giovane. Rientrano alle quattro dopo che lui gli ha dato, parole di lei "na pizza in faccia". Io basito, incapace di proferire verbo. Lei ridacchia, attende che lui salga in ascensore, poi prende la via delle scale e inizia a singhiozzare.

Poco dopo lei scende, con la sua roba e lasciando numerose lacrime dietro di sé, come i sassolini di Pollicino. Si scusa della situazione. Lei, si scusa.

Neanche ora riesco a descrivere i miei sentimenti. Mi sentivo addosso una pena enorme. Cosa posso fare io, portiere notturno, in un caso del genere? 

Le ho chiamato un taxi ed è andata. Ma prima ha fatto in tempo a mettermi una mano sul petto, intuendo la mia impotenza di fronte a tale dramma privato. Ha trovato la forza di dare un piccolo segnale di consolazione a uno sconosciuto. Ne avrebbe bisogno lei, invece lo ha dato a me.

Mi dispiace, ragazza. Ti auguro con tutto me stesso di ritrovare la serenità.

Non posso fare altro.

venerdì 13 dicembre 2024

Un portiere d’albergo che si dica tale non può non temere una delle richieste più deleterie. Quella che proprio ti lascia senza parole, incapace di dare una risposta adeguata.

A mezzanotte e mezza entra una telefonata da un interno. Rispondo, come sempre, con una voce squillante e decisa (buonasera, qui il ricevimento, come posso aiutarla?) e sento, dall’altro capo, una voce maschile in inglese stentato.

«Buonasera. Abbiamo un problema»

«Vediamo se possiamo risolverlo. Mi dica»

«Non funziona l’aria condizionata»

«L’a—l’aria condizionata?»

«Si, esatto. Non fa»

«Ehm… signore, siamo a novembre. L’aria condizionata, in questo periodo, è spenta. Abbiamo solo il riscaldamento»

«Ah… quindi non ce l’avete?»

«Viene riaccesa in Aprile, mi spiace»

«Capisco. Arrivederci»

Riattacco. Ma ho la forte impressione che le cose non siano così semplici. Il tempo di far passare pochi secondi che arriva una seconda telefonata. Sempre dalla stessa camera. E stavolta la voce, benché sempre in un inglese stentato, è femminile. Che non mi dà neanche il tempo di rispondere

«Io voglio l’aria condizionata! PRETENDO l’aria condizionata!»

Ecco, questa è una di quelle richieste a cui proprio, noi portieri, non sappiamo come rispondere.

«Ehm… signora, capisco il suo disappunto, ma come stavo dicendo a suo marito, in questo periodo non l’abbiamo, è spenta in tutto l’albergo»

«Tutto ciò è INACCETTABILE!»

«Posso fare è farle portare su un ventilatore»

«Non capisco!»

«Un ventilatore, per avere fresco, un… aspetti un momento» penso che potrei provare a cercare, su un traduttore in rete, come si chiama un ventilatore nella lingua della signora, visto che non comprende il termine in inglese “fan”. Poi decido che la cosa migliore è chiamare il mio collega e farglielo portare su. Comunico alla cliente che provvediamo a risolvere il problema. Lei grugnisce e riattacca.

Dopo una decina di minuti il facchino -che io ho soprannominato Massimo Decimo Meridio perché conosce tutte le battute del film- riscende in portineria. Allarga sconsolato le braccia, ma ha l’espressione del conte Vlad quando deve impalare i turchi:

«Io no capisco, questa no capisce un ca**o! Lei dice che ha caldo ma io detto “apri finestra” e suo ragazzo andato per aprire e lei urlato “no, io voglio aria condizionata”. Ma vaffan***o! Tu apre e vede che dopo pochi minuti chiude perché freddo!»

«Ci vuole tanta pazienza»

«Pazienza deve avere lui, con quella»

«Ma alla fine gli hai lasciato il ventilatore?»

«Si, ma non acceso perché alla fine lui andato finestra e aperto!»

Alle 7, all’arrivo di Paul Giamatti, il collega per il cambio turno -io, ai miei colleghi, dò soprannomi di attori o personaggi di manga- mi dice che «In teoria avrebbe ragione, dovremmo fornirla, come servizio»

Nella pratica però concordava che, visto che siamo in un periodo decisamente freddo, basta aprire la finestra per qualche minuto ed ecco che anche la temperatura delle camere diventa gradevole.

Però la richiesta dell’aria condizionata in inverno, solo perché si paga e quindi “si vuole il servizio” la trovo un tantino insensata.

domenica 17 novembre 2024

Primo sketch:

Accompagno figlia 2.0 dalla dottoressa. Visita, prescrizione, usciamo per rientrare a casa.

Passiamo di fronte al cinema, a pochi metri dall'ambulatorio. La ragazza apre la bocca, esterrefatta:

«Non posso crederci! Danno Interstellar! Quando?»

Allungo il braccio e punto il dito sul cartellone:

«Oggi. Primo spettacolo tra poco, il secondo stasera. E leggi un po' qui»

Lei sgrana gli occhi, ormai a livello manga giapponese:

«In lingua originale!!! Babbo, dobbiamo vederlo!»

«Ma cosa vuoi vedere, che hai la febbre a 39!»

Due giovani, che sono lì all'ingresso del cinema a fumare una sigaretta elettronica e in procinto di entrare al cinema, ci guardano ridendo:

«È bella vispa, per avere 39 di febbre»

Io, indicandola: «L'ho drogata di Tachipirina»

Ridiamo tutti. Mentre rientriamo a casa, lei cerca di farmi sentire in colpa: «Hai drogato tua figlia e le impedisci di vedere un film bellissimo in lingua originale, sei il babbo peggiore del mondo!»

E le ho pure preparato il brodino caldo.

 

Secondo sketch:

Urge fare una seconda visita dal dottore. “Drogo” la figlia del solito medicinale e, non appena fa effetto, la porto all’ambulatorio. Passiamo nuovamente di fronte al solito cinema.

Lei sgrana gli occhi, poi abbassa le braccia e si lascia andare a un’espressione delusa:

«Ecco, lo sapevo, hanno tolto Interstellar»

«Si, lo hanno tolto» le rispondo «ma guarda cosa c’è adesso»

L’espressione della giovincella si fa, se possibile, ancora più delusa.

«Ecco, mi perdo anche questo!»

«Macché, da qui a martedì ti sarà passata la febbre, no?»

Lei rimane in silenzio, ma noto che una piccola fiammella di speranza si è accesa nei suoi occhi. Io, perfidamente, rigiro il coltello nella piaga:

«Vedi, martedì è in lingua originale»

Voce decisa, autorevole:

«Devo, DEVO vederlo. Martedì starò bene! Perché lo voglio, è deciso»

«Lo hai già visto?»

«Solo in italiano e fino alla scena del ballo»

«Ti manca tutto il resto, soprattutto Mr. Wolf, che risolve problemi»

«Allora martedì veniamo a vederlo!»

Improvvisamente si fa ancora più seria. Lo sguardo su di me si fa accusatore, non le è sfuggito che sono entrato in profonda crisi. Balbetto:

«Ehrrr…. Il martedì è una delle mie serate di giochi da tavolo…»

Lei rimane un attimo in silenzio, poi prorompe nella sua arringa finale:

«Preferisci giocare ai giochini con i tuoi amici invece di portare tua figlia a vedere Pulp Fiction in lingua originale. Sei il babbo peggiore del mondo»

…..

Forse riesco a organizzare la serata gioco da tavolo per lunedì o mercoledì, che sono comunque libero.

Uffa però!

venerdì 1 novembre 2024

A me piace lavorare con gli americani. La maggioranza di quelli che viene a Firenze sono persone curiose, intelligenti, empatiche. Ma devo ammettere che a volte danno prova di un’ingenuità che mi sorprende sempre. E sì che faccio questo lavoro da 25 anni.

1. Famiglia di quattro persone, genitori e figli. La signora è in sedia a rotelle. Cammina con molta difficoltà, ma comunque all’ascensore vuole andarci a piedi, ovviamente sostenuta dalla figlia, quindi si alza ed entrambe si avviano verso l’ascensore. Hanno anche affittato una sedia con motore elettrico, ma ha le ruotine troppo piccole, per poter girare agevolmente a Firenze.

«Perché in questa città ci sono tutte queste pietre, per terra?»

«A noi italiani piace la tradizione, manteniamo la pavimentazione in stile, come era in origine»

«E poi alcune strade sono strette, il marciapiede è impossibile, per una sedia a rotelle»

Allargo le braccia. Che altro posso fare? La città è fatta così, da millenni. E lui se ne esce con:

«Dovete metterci l’asfalto»

 

2. Poco prima della mezzanotte, ho il check-in di una signora con nome coreano e cognome anglosassone, americana fino al midollo, della mia età. Entra sola, senza bagagli.

«Buonasera e benvenuta al ******. È in auto, scommetto»

Rimane piacevolmente sorpresa; è sempre una buona cosa far capire, ai clienti, che abbiamo già notizie su di loro perché si sentono rassicurati. In realtà sapevamo -ce lo aveva detto lei, tramite messaggio- che sarebbe atterrata tardi, a Firenze, e dalla vetrata avevo visto che era scesa da un’auto fresca fresca di noleggio. Afferro la prenotazione, le confermo le date del soggiorno, le ricordo della tassa relativa e chiamo il collega che, celere, scende per andare all’auto a prendere i bagagli. La signora esce con lui, poi torna con la borsa e la figlia, una quattordicenne profondamente taciturna e introversa. Il mio collega porta dentro le valigie e poi va a parcheggiare l’auto nel nostro garage.

Afferro il foglio con le informazioni del garage e la ragguaglio su come funziona, in particolare sul pagamento.

«Per arrivare qui ci ho messo tanto tempo! Ma voi come fate, a guidare così? Le strade sono tutte strette…»

«Aspetti di guidare di giorno e vedrà»

Spalanca la bocca, in un misto di incredulità, terrore e raccapriccio. La rassicuro che, in centro, non le servirà. Alla partenza, col navigatore, potrà raggiungere la meta -un agriturismo da qualche parte del Chianti, con piscina, il fatto è avvenuto quest’estate- e aggiungo:

«Vedrete che sarà divertente e molto bello. La nostra campagna offre scenari incantevoli»

Cambia espressione in un bel sorriso colmo di grandi aspettative e si volta verso la figlia.

«Hai sentito? Sarà una bella vacanza!»

E la quattordicenne la osserva con una faccia che dice “Ma perché mi hai portato con te?”

 

3. Mi chiamano da una camera. Alzo la cornetta e chiedo cosa posso fare per loro.

«Avete dell’acqua calda? Vogliamo farci un tè»

«Ehm… signore, dovreste avere il bollitore, sul tavolino, con tanto di bustine per il tè»

«Si, ce lo abbiamo»

«Bene, potete utilizzare quello»

«Ma… dobbiamo riempirlo d’acqua?»

«…ehm… ovviamente. Noi forniamo due bottigline d’acqua gratuite, a tutti i clienti ogni giorno. Se le avete finite, ve ne posso far portare su un’altra» Dovrebbero pagarle, le bottiglie in più, ma per una volta evitiamo i troppi sbatti. E poi voglio fare il gentile, essere cordiale, tanto più che il bar è chiuso.

«Aspetti, chiedo a mia moglie» colei che comanda e decide, ovviamente. Ma gli rispondo subito:

«Comunque l’acqua del rubinetto è potabile»

«Veramente?» Con il tono da incredulo. Mi sembra impossibile che questi siano andati sulla Luna. Poi mi ricordo che sono pure stati capaci di votare Trump.

«Le assicuro di sì» gli rispondo.

«Aspetti un attimo, per cortesia» Quindi si mette a parlare con la moglie. E sento lei, incredula, che dice «really?», ma almeno si fidano. Il tipo riprende la cornetta e mi comunica che faranno così: l’acqua della cannella e il tè di cortesia, che abbiamo in tutte le camere.

Su fidatevi, che in questa penisola abbiamo costruito gli acquedotti quando gli inglesi andavano nudi a caccia di marmotte.

 

Comunque, quando s’impegnano, sono strani forte.

Però sempre simpatici.

sabato 26 ottobre 2024

In piena notte, qualcuno cerca di aprire la porta. Accorro e apro.

«Buonasera, mi scusi se la disturbo» (dice in inglese)

Il fatto che si scusi del disturbo me lo rende già simpatico. La buona educazione prima di tutto.

«Buonasera a lei, nessun disturbo»

«Non sono di qui, sono inglese. Ho bisogno di un’informazione: il navigatore mi dice che qui in zona c’è il “parcheggio gratuito”, ma non lo trovo»

Al di là del fatto che specifichi che è inglese, cosa che mi interessa relativamente perché fornisco lo stesso credito a chiunque se mostra la dovuta gentilezza, strabuzzo gli occhi alle sue parole. Free parking, parcheggio gratuito? In centro a Firenze? Glielo richiedo, forse ho capito male.

«Si si, parcheggio gratuito, me lo dava il navigatore»

Rimango veramente interdetto e comincio a pormi domande assurde su come sia possibile. Forse la nuova sindaca è improvvisamente impazzita e distrutto le porte telematiche della ztl? Ho attraversato un universo parallelo dove esistono parcheggi gratuiti in pieno centro? Il navigatore di costui è settato per il 1954, quando si parcheggiava pure sotto all’ingresso del Duomo e a Hill Valley cadevano fulmini sul municipio?

«Mi sembra molto strano, signore. Siamo nel centro di Firenze, non esistono parcheggi gratuiti. I pochi posti disponibili sono riservati a chi ci vive e ha un permesso apposito, rilasciato dal Comune»

«Beh, mia moglie è italiana»

«Di Firenze? Allora deve sapere come funziona…»

«No, non è di Firenze, ma italiana»

«Ehm… non è sufficiente per parcheggiare in centro. Bisogna viverci, che si sia italiani o no»

«Lei abita qui vicino, in via ********»

«Se abita qui, in centro, dovrebbe sapere come funziona. Bisogna farsi rilasciare il permesso dal Comune, per i residenti nel centro»

«E quindi…. Se non ho il permesso non posso lasciare l’auto qui?» Il qui è la piazza davanti all’albergo.

«A suo rischio e pericolo»

«Possono… farmi la multa? Non è la mia, è a noleggio»

Annuisco con aria greve. Che altro posso fare? Potrebbe anche essere la batmobile, la multa te la becchi, eccome.

Se ne va, sconsolato. Io richiudo.

Mi rimane il sospetto che mi abbia raccontato un sacco di balle; che costui sperasse veramente che un anonimo portiere notturno gli mostrasse la luce: il free parking.

Mi spiace ciccio, non arrivo a tanto; non ho questi immensi poteri.

sabato 12 ottobre 2024

Ognuno di noi ha delle priorità.

Ero ancora al tre stelle nei pressi della stazione -dove ho speso 20 anni della mia vita lavorativa- e durante un turno pomeridiano avevo davanti a me una signora sudamericana che ascoltava, trepidante, la mia spiegazione sul percorso da seguire per arrivare alla sua tanto agognata meta: il mitico e strabordante museo degli Uffizi, pieno zeppo di epiche opere d’arte e fulgido esempio del Rinascimento, fiore all’occhiello di una città che a quei tempi, almeno culturalmente, dominava il mondo.

Dietro di lei stavano il marito e il figlio adolescente, belli massicci ma con visi rubicondi e sorridenti, in profondo e assoluto silenzio. In attesa che lei decida.

Ma improvvisamente, ecco che si palesa la ribellione. I due maschi coalizzati contro colei che, da sempre, porta i pantaloni. Via la revolucion, adelante compañeros! Stavolta la decisione la prendiamo noi.

Come la signora ringrazia sentitamente per le informazioni che le ho appena fornito, marito e figlio, come se fossero soldatini, fanno un passo avanti all’unisono e si piazzano di fronte a me. Lei, occhi sgranati, li osserva completamente sorpresa, come se subdorasse che i due stiano osando contravvenire ai suoi supremi e perentori ordini. Per la prima volta nella vita.

Padre e figlio, sempre sorridendo, si guardano negli occhi con grande complicità, poi il ragazzo esordisce con un tono di palese emozione:

«È vero che qui a Firenze c’è un museo del calcio?»

Sorrido, perché mi mette sempre di buon umore la parola “pelota” che si usa, nello spagnolo, per indicare il gioco del calcio.

«Si, è proprio così»

Posso sentire due sciami di farfalle muoversi vorticosamente dentro i loro stomaci e urlare, in coro, “Ci siamo! Ci siamo!”. Senza dire altro, afferro un’altra piantina, anche se due occhi femminili ci trafiggono e sembrano dire “Non oserà!” verso di me e “Non oserete!” verso consorte e figlio. Ma ormai la solidarietà maschile è lanciata a mille e ho appena aperto, sul bancone, una piantina speciale, quella che contiene pure la periferia di Firenze e che, ai turisti, non serve a niente. Tranne in questo caso. Circolettare, con la penna, il centro tecnico federale di Coverciano, è un’operazione immediata. I due maschi sudamericani sono ormai in religioso silenzio, pendono letteralmente dalle mie labbra.

«Poiché non è in centro, dovrete prendere un autobus, il 10, che parte di fronte alla stazione, pochi metri dall’albergo» (oggi il capolinea è in piazza della Libertà) «La fermata si chiama “Centro Tecnico Federale”, dove si ritrova anche la Nazionale di calcio italiana»

La signora ha ormai assunto un atteggiamento altezzoso che Maria Antonietta scansati proprio. Il disprezzo verso i maschi plebei pallonari è ormai conclamato: «Io vado agli Uffizi» sibila con un tono che evidenzia la profonda seccatura dettata da questa ribellione.

I due maschi alzano la testa dalla piantina, si guardano dritto negli occhi e poi si voltano verso la moglie/madre:

«Ci vediamo a cena»

Non ho udito il “crash” nella testa della signora perché coperto dal coro di una curva da stadio. Lei, senza degnarli di una parola, alza la testa e, cartina alla mano, esce dall’albergo e svolta a destra. I due maschi della famiglia, con una felicità che provavo solo quando ero in Fiesole dopo un gol di Batistuta, vanno a sinistra.

Dopo alcune ore di turno, quando sta per approssimarsi il momento del cambio e sono in fremente attesa del mio collega notturno, la famigliola allegra per 2/3 rientra per il giusto e meritato riposo. In realtà sono convinto che anche la signora, dentro di sé e malgrado la fila e la lunga visita agli Uffizi, sia allegra e lieta, ma sul momento non lo mostra. Anzi, pare piuttosto seccata di essere stata lasciata sola. Chiede la chiave e sale le scale.

Ma i due maschi amanti della “pelota” erano al settimo cielo. Entusiasti, stettero mezz’ora davanti al bancone a descrivermi la bellezza di maglie in lana e palloni in cuoio marrone, come andavano decenni fa, l’emozione a vedere le coppe del mondo -copie, ovviamente-, le divise di tante squadre nazionali -compresa della loro- di tanti anni addietro e la commozione provata davanti a quelle del grande Torino.

Due bambini felici. Con la loro priorità, come dicevo all’inizio.

E sono sicuro che anche il caro Alessandro Filipepi, altrimenti detto Botticelli, avrebbe compreso.

Forse.

sabato 14 settembre 2024

Elegante

Ventiquattrore

L'uomo d'affari italico che parla infilando una parola d'inglese in mezzo a 3 italiane.

Ma quando è in giornata, riesce anche nel 50-50.

Si sofferma in portineria con collega abbigliato di egual divisa ed eguale valigetta. Gli uomini in nero, versione de noartri. E uno di loro ha pure un accento nordico che mi par di avere di fronte il mai abbastanza compianto Guido Nicheli. Ma poi si salutano. Il Nicheli esce, non dorme da noi, il nostro cliente mi chiede la chiave. La riceve insieme al sorriso del portiere.

Prende la chiave, il sorriso lo getta nella sua pattumiera mentale.

Pattumiera che riempie per intero la sua scatola cranica

Perché

Si ferma davanti all'ascensore

 Si gira

 Mi guarda

 E mi rivolge queste stupefacenti parole:

 «Il time limit per il FALL-OUT?»

 ….

 «Mezzogiorno» risponde la statua di sale che ha appena sostituito il portiere.

 Fa per alzare un dito. Anticipo la domanda:

 «Abbiamo uno stanzino bagagli, qui in basso, se deve partire nel pomeriggio»

 «Thank you my friend»

 Si volta ed entra nell'ascensore.

 La statua di sale continua a fissare un punto lontano come un 8 in posizione orizzontale.

 'unglielapossofà.