Riporto, orgogliosamente, queste parole di Monica, ex compagna delle elementari.
Mi dichiaro insegnante inopportuna.
Stamani, mentre andavo a piedi a scuola, avevo già in mente di leggere in classe la lettera della preside Annalisa Savino. Mi sembrava così ben scritta, così priva di retorica, così diretta, così pertinente non solo “ai fatti del Michelangiolo” ma anche a quello che significa stare ogni giorno in mezzo ai ragazzi e alle ragazze di una scuola superiore.
Quindi a me sembrava non solo bello leggerla (e non uso la parola “opportuno” perché quando una cosa mi piace molto, ho voglia di parlare di bellezza) ma soprattutto sentire cosa ne pensassero i ragazzi e le ragazze, di quella lettera.
Mentre ero lì, sulla strada per la scuola, mi sono anche detta: Ma non è che poi qualche genitore...?
Perché ultimamente, nella scuola, pare che ci si debba
sempre e solo difendere da un ipotetico genitore pronto a rimproverarci.
E mi sono risposta che, forse, era proprio il caso che la leggessero anche i genitori quella lettera e, anzi, così come ogni giorno scrivo gli argomenti delle mie lezioni, mi è sembrato giusto scrivere, sul registro elettronico, che avevo letto ai ragazzi la lettera della preside del liceo Leonardo da Vinci.
Perché quella lettera, secondo me, ha anche il pregio di aiutarci a capire come la pensiamo noi.
A volte non è così facile capire come la pensiamo. Io
non lo do mai per scontato.
Comunque, il tempo di una mattinata di lavoro, torno a casa, accendo la radio, e sento che la lettera che ho letto in classe era stata definita dal ministro dell’Istruzione un “atto improprio” e che “non compete a un preside lanciare messaggi di questo tipo”, e che se l’atteggiamento dovesse persistere “sarà necessario prendere misure”.
Ho pensato: forse ho capito male. Vado a leggere su Internet e le parole erano proprio quelle, riportate da tutti i quotidiani.
Allora, mi sono detta, io non solo oggi ho fatto un atto improprio. Ho letto la lettera. Ma sono più di vent’anni che faccio atti impropri. Perché insegno storia. E anche quella che viene chiamata Educazione Civica. E parlo di fascismo e di Costituzione. E quella lettera è quello che dico quando parlo di fascismo. E’ quello che dico quando parlo di Costituzione. I miei alunni lo sanno il tempo che dedico a parlare di come nasce il fascismo. Nasce in quella maniera lì, quella che dice la preside. Quando ci sono le adunate è già tardi. E’ lì che dobbiamo mettere tutta la nostra attenzione. Non sulla propaganda, non sulle leggi fascistissime, non sul colonialismo, non sulle alleanze internazionali. E’ sui marciapiedi, nelle campagne, nei luoghi di lavoro, nel silenzio, nelle notti stellate, nei giorni normali dell’indifferenza. E’ nella disattenzione che nasce.
E allora adesso io chi sono? Sono quella che fa
lezione di storia e parla di cose improprie o sono quella che si fa gli affari
suoi? Quando mi guardo allo specchio, cosa mi racconto? Che in classe parlo dei
professori che durante il fascismo non potevano più insegnare per le loro idee,
o per la loro appartenenza etnica, religiosa e culturale e poi devo aver paura
a leggere una lettera in classe? Devo sentirmi inopportuna?
Ho pensato a una cosa. Dostoevskij fu condannato a morte per aver letto in pubblico una lettera ritenuta inopportuna. Dostoevskij è riuscito a salvarsi e ha scritto i suoi capolavori.
Un anno fa è stato impedito, in una università italiana, di svolgere un ciclo di lezioni su Dostoevskij perché, data la situazione internazionale, era ritenuto inopportuno. Quelle lezioni si sono moltiplicate.
Allora, mi sono detta, forse bisogna avere il coraggio di essere inopportuni.
Cosa vuol dire essere inopportuni in questo momento? Vuol dire diventare quella lettera.
Ecco, noi insegnanti diventeremo quella lettera. Più
ci sentiremo sbagliati, disorientati, lacerati, e più saremo tutti quella
lettera.
[E poi, io dico che forse al ministero dovrebbero un po’ più interessarsi a cosa pensano i ragazzi, di quella lettera, e non a giudicare improprio averla scritta.]