lunedì 15 luglio 2024

In occasione della loro sconfitta in finale di Coppa Europa, ripropongo questa lista che scrissi quando persero la finale di quattro anni fa.

Cose che mi piacciono degli inglesi:

- I Rolling Stones, i Who, i Jethro Tull, i Queen, i Blur, gli Oasis, i Rootjoose e tutto il brit pop;

- il loro accento, così differente dall'inglese sguaiato delle ex colonie;

- i Remainers;

- l'Hard left del partito laburista;

- l'Imperial War Museum e la Belfast ancorata sul Tamigi;

- Sheakspeare, Conan Doyle, H.G. Wells, George Orwell, B.H. Liddell Hart, A.J.P. Taylor, e Douglas Adams;

- il loro umorismo;

- i pittori preraffaelliti;

- Gli autobus rossi a due piani;

- Harry Potter;

- I "Bobbies" che sorridevano quando chiedevo spiegazioni per strada a Londra;

- Peter Sellers, Michael Caine, Colin Firth, Kenneth Branagh, Hellen Mirren, Emma Thompson ed Helena Bonham Carter;

- Il museo di storia naturale;

- Mary Quant e l'invenzione della minigonna, che ha definitivamente messo in crisi i nostri mononeuroni maschili;

- "Mind the gap";

- La passione per i treni;

- Notthing Hill (il quartiere);

- La vittoria del Leicester City Football Club in Premier League;

- Cats;

- Ken Loach.

- Il Gran Tour, la loro passione per i viaggi e l'amore per la Toscana.

Oggi niente cattiverie.

Oggi solo cose belle.

domenica 14 luglio 2024

Nella piazza antistante l’albergo, di solito il venerdì sera, si ritrova un monte di gente con musica a tutto volume.

Da dove mi trovo, anche affacciandomi sulla soglia, non riesco a capire se c’è qualche locale -anche se mi è sempre parso di no- oppure si portano la musica per conto loro. Quel che so, è che è ad un volume che soggiogherebbe il rumore di un airbus in fase di decollo. Di solito è continuo di unz-unz-unz spesso intervallato da musica disco con parole spagnole e qualche remix della Carrà. In quest’ultimo caso sento urla di ragazzine declamare quanto è bello far l’amore da Trieste in giù.

A ridosso dei 54 anni, la vedo dura andare a sud di Trieste, ormai. Ma il vero problema è il casino assurdo che combinano.

Superfluo aggiungere che, molto spesso, arrivano chiamate interne di clienti che si lamentano. Non riescono a dormire a causa del rumore, se hanno una delle camere affacciate sulla piazza.

Giocoforza è chiamare il numero delle emergenze e spiegagli il problema. Poi loro mi mettono in contatto con la polizia o i carabinieri, devo rispiegare nuovamente il problema e mi assicurano che faranno passare, di lì, una volante. Perché nel vederla, spengono la musica.

La volante arriva, la musica s’interrompe, la volante prosegue, la musica riprende.

Tutto quello che posso dire, al cliente che tempesta di chiamate il centralino, è che tutto ciò è la normalità di questo paese.

Alcuni venerdì fa, l’apoteosi:

All’ennesima rimostranza del cliente che non riesce a dormire, chiamo il 112.

Mi risponde una signorina probabilmente intenta, dalla voce, a limarsi le unghie o compilare le facilitate della settimana enigmistica e a cui tocca, ogni tanto, rispondere a quel centralino. Mi presento con nome e ruolo -portiere di notte dell’hotel ****** in piazza ********** angolo via ******- e gli spiego il problema.

«Il suo cognome?» con un’intonazione che denota fastidio profondo.

«Mugnai»

«Come????»

«MilanoUrbinoGenovaNapoliAnconaImola»

«Un attimo, le passo le forze dell’ordine»

Parte una musichetta d’attesa che definire svernante è poco. Una nenia ininterrotta realizzata con una pianola da bambini, come quella che usavano le mie figlie tre lustri fa -tre lustri!- e che demolirebbe la pace interiore di un buddista prossimo al Nirvana. Dopo 10 minuti 10 -che sembrano pochi, ma con quella musichetta all’orecchio sono un’eternità da VI cerchio, canto X- finalmente mi rispondono:

«******* mi dica»

Sono talmente incacchiato per la musica continua e l’attesa musicale che neanche ricordo se mi hanno risposto quelli con la striscia rossa o gli altri. Spiego, a un’altra voce terribilmente annoiata ma stavolta maschile, il problema, non dopo avergli riferito le mie generalità -e ripetuto i nomi di sei città-

«Un attimo, le passo l’anti-degrado»

Ecco, ora scopro che esiste anche l’anti-degrado. Se fossimo ancora negli anni ‘70 ci farebbero un film con l’ispettore Giraldi: “squadra anti-degrado”. Mentre penso a quest’assurdità, mi ritrovo nuovamente in attesa ma purtroppo stavolta, in luogo della pianola, c’è una voce che ripete “per favore attendere please hold on”. Continuamente, senza soluzione di continuità. 10 minuti di “per favore attendere please hold on” che forse sono pure peggio; nel frattempo, nella piazza, avrebbero potuto demolire il palazzo a furia di onde sonore; infine sento il “tu-tu-tu” di linea caduta. Oppure mi hanno riattaccato.

Non so neanche se essere arrabbiato o sconsolato. In quel momento arriva anche il cliente che ha la camera con affaccio sulla piazza. Posso solo allargare le braccia e sperare che la finiscano presto. Per fortuna è così, la musica d’interrompe. Alle due di notte.

Però basta con questa “movida”. Perché non vanno in qualche casolare in campagna o dentro un locale insonorizzato?

La prossima volta vengo a lavorare con un Mosin-Nagant dotato di mirino telescopico.

Ve la do io, la movida notturna!

domenica 30 giugno 2024

Come tutti quelli che lavorano i fine settimana, i giorni liberi capitano nei feriali. I miei sono, solitamente, lunedì e martedì. Ma poiché la domenica sono in turno, il lunedì dormo. Quindi occorre spostare tutto di un giorno in avanti. Noi notturni -che sia un turno alberghiero o qualsiasi altro lavoro di notte- viviamo in un perenne "jet lag"

Mercoledì quindi, anche se è un giorno di lavoro, è praticamente un giorno libero, visto che inizio alle 23. Perciò ho deciso di farmi una gita. Sveglia presto, tazzone gigantesco di caffè e partenza. Destinazione: villa Marlia, presso Lucca. In auto. Vorrei usare i mezzi pubblici, ma la villa è a un quarto d’ora dalla città.

Probabilmente avreste preferito un video, ma io non sono bravo, in queste cose. Non ho neanche il canale youtube. Preferisco scrivere, io funziono così. Poi non voglio scimmiottare wikipedro, che in queste cose è geniale. Prima o poi sarà lui, a farci un video. Io mi sono limitato a metterci una foto -i selfie ve li risparmio-

Marlia venne edificata dai Margravi della Tuscia. Era il loro luogo del “buen retiro”, dove si riposavano tra un placito e l’altro nel governo della Marca. Si sa per certo che ci passarono anche gli imperatori ottoniani, ospiti di Ugo di Toscana. Ovviamente, rispetto a mille anni fa, è completamente diversa.

La villa passò per le mani di varie famiglie nobili lucchesi, a inizio ottocento fu di Elisa Bonaparte e nel novecento della famiglia Pecci-Blunt. Ognuno apportò modifiche e ingrandimenti al parco, davvero magnifico. Indubbiamente la parte migliore in assoluto.

Le due palazzine sono notevoli, anche se non hanno lo splendore delle ville medicee fuori Firenze -e vabbè, un po' di campanilismo, via, altrimenti che toscano sarei?- ma sono paragoni sciocchi, mi rendo conto.

Perciò oggi niente storie d’albergo. Avevo necessità di staccare la spina per una giornata -con l’augurio che ci riusciate tutti- e vi lascio con una delle più belle immagini della Tuscia. Perché come giustamente dice Stanis La Rochelle: “I toscani hanno devastato questo paese”




domenica 9 giugno 2024

Purtroppo, s’incontrano persone che sono completamente matte. Fuori di testa. Totalmente.

Verso le 5 del mattino, suonano il campanello dell’albergo. Accorro ad aprire e mi appare una signora americana piccoletta sulla settantina, con una valigia e un bel sorriso, che mi chiede, con molta gentilezza, di chiamarle un taxi. Aveva alloggiato in uno dei numerosi affittacamere della zona che non hanno portineria notturna, quindi nessuno a cui chiedere questo servizio. E al telefono, a quell’ora, nessuna compagnia risponde mai.

Ovviamente rispondi affermativamente, quindi vado al computer a cliccare sull’apposita applicazione. La signora mi chiede il costo fino all’aeroporto e io rispondo «25 € più il bagaglio, 2 € a pezzo». A lei va benissimo, d’altro canto non ci sono molte altre possibilità, a meno che non voglia andare a piedi fino alla stazione e attendere che parta il primo tram della linea T2. Non le va, preferisce stare comoda. L’applicazione fornisce il codice del taxi e, non appena arrivo, saluto la signora e richiudo, ma non a chiave.

Dopo neanche due minuti, riapre la porta un energumeno che inizia a urlare:

«Vieni fuori! Forza, esci!»

Rimango basito, non riesco a spicciare parola, a osservare questo che mi inveisce contro.

«Ora devi dire alla signora che il prezzo non è 25 ma 28!»

«Io… non sapevo che era aumentato…»

«Ecco, allora vai a dirglielo, che io mi sono rotto il … di queste … » e via di parolacce che condisce con la completa distruzione del cristianesimo.

«Guardi che non c’è bisogno di urlare in questa maniera, basta solo….»

«IO URLO QUANTO …. MI PARE, CAPITO?!»

Ma non faccio in tempo a comunicare il mio errore alla signora. Come esco dall’albergo, vedo lei che apre il baule posteriore dell’auto e si riprende la sua valigia, perché è evidente che non ne vuole sapere, di salire su un taxi con quello. Nessuno lo vorrebbe, su questo pianeta, neanche un membro di Hamas o dell’estrema destra israeliana.

Il bestione me ne urla di tutti i colori, io sono completamente congelato. Mi sento mortificato, e sbaglio. Perché al di là dell’errore sulla tariffa, bastava questo essere non si mettesse a urlare belluinamente e spaventarci. Invece insiste, e a un certo punto fa:

«Solo la chiamata sono 10 €, ora faccio la ricevuta e me li dai!»

Ma a quel punto, anche in maniera un po' folle visto che il bestio è chiaramente fuori controllo, rispondo con un netto e deciso «No!»

Quel che è seguito dopo sono da annoverare tra i 30 secondi peggiori della mia misera esistenza. Ho seriamente pensato che fosse arrivata la fine.

Il bestione mi si avventa contro. Io mi ritraggo nell’ingresso ma non ho neanche la forza di scappare. Alzo le mani sulla testa -la prima cosa che ci si protegge, istintivamente, quando si sente arrivare un grave pericolo- ormai rassegnato alla morte. Perché non sono mai stato violento. Sbagliato in tantissime cose, ma violento mai.

Per fortuna, il bestio pensa che non valga la pena di essere condannati a trent’anni per omicidio, anche se non mi stupirei se fosse reiterazione di reato. Non so cosa mi abbia urlato a due centimetri dalla testa perché ero completamente paralizzato dal terrore, ma avrebbe potuto tranquillamente accartocciarmi come un foglio A4 da gettare nel cestino. Se ne va continuando nelle urla belluine, sbatte la portiera e parte sgommando.

La signora, anche lei paralizzata dal terrore, rientra nell’albergo e mi chiede come sto. Io, affrancato da quel breve e sincero sentimento di solidarietà, perché sto ancora tremando dal terrore, mi scuso per l’errore della tariffa, al che lei dice:

«Non è per il prezzo, ma per il modo di comportarsi. Una follia»

«Mi spiace, alcuni italiani sono così» uso proprio queste esatte parole.

«Mi spiace per lei, che ci deve convivere»

Chiamo un altro taxi, con l’altra compagnia. Stavolta il tassista è un tipo completamente diverso, secco allampanato e sorridente. Conferma la tariffa, la signora ringrazia e mi saluta con parole d’incoraggiamento. Almeno penso, perché stavo allentando la tensione e tremavo ancora.

Mi sono appuntato il codice del taxi. A parte che tenderò sempre a chiamare l’altra compagnia, se per caso, sull’applicazione, mi apparisse ancora quel taxi, premerò l’apposito pulsante e cancellerò la corsa.

Perché è totalmente fuori.

venerdì 31 maggio 2024

Vi chiedo preventivamente scusa.

So che questo è un blog dove parlo prevalentemente del mio lavoro di portiere d’albergo, e quindi vi aspettereste storie di vario tipo con la clientela. Oggi non è così. È una settimana che ci rimugino, ho bisogno di parlarne. Per esorcizzare il mio dolore.

Trent’anni fa, ben prima d’iniziare questo impiego, giocavo massicciamente ai giochi di ruolo.

D&D, Gurps, Vampiri, Mage. Un bellissimo gruppo che si ritrovava a lanciare dadi e interpretare ruoli. Sempre sotto l’egida di Stratagemma, il negozio dove ancora oggi acquistiamo giochi.

Poi il gruppo si sciolse, senza volerlo; ognuno perso dietro ai fatti suoi, come canta Vasco: uno a Londra, una nei boschi del Trentino, qualcuno fa la spola tra qui e la Germania -e come il cinema insegna: non bisogna mai andare in Germania-

A Firenze, tra gli altri, siamo rimasti io e Alessandro. Iniziai quel devastante impiego del portiere d’albergo, che distrugge mezza vita sociale, senza contare la presenza di prole. Ma Ale non fu da meno, visto che entrò nel corpo dei vigili urbani. Anche quello mestiere che tarpa le ali a noi bipedi bisognosi di incontri ludici. Ok, lo fanno un po' tutti i mestieri, ma in particolare quelli che ti fanno finire la sera tardi o svolgere turni notturni. Poi ci sono anche altre passioni a cui diamo sempre una priorità: per me la palla rotonda, per lui l’Aikido.

Alessandro ha una splendida cultura “nerd”. Basta fare una battuta di una qualsiasi opera “culto” che la riconosce subito. Ci diverte dirle, quando c’incontriamo: “Fletto i muscoli e sono nel vuoto”; “Grande Giove”; “Avada Kedavra”; “Ti amo, mio feroce vichingo!”; “La parola d’ordine è Tampax”.

 Quando ci incontriamo, canticchio la canzone del vigile, presa da un film del Nuti. Famosissima, qui a Firenze.

E poi gridavamo “Arhhh!”. Perché, come è noto, più pirati ci sono, più si abbassa il riscaldamento globale.

Continuo a parlarne al presente, perché mi rifiuto ancora di credere che Ale manchi ormai da una settimana precisa. Proprio il giorno prima del giorno dell’asciugamano. Come ha scritto una nostra comune amica, hai preso un telo, hai alzato il pollice e sei stato raccolto dall’astronave. Ora sei da qualche parte dello spazio, a sorbirti una poesia Vogon.

Hai questo modo così adorabile di imprecare: porca paletta. Ecco, porca paletta, Ale! Questo proprio no!

Io mi aspetterò sempre che tu bussi a quella porta per salutarmi e prendere un caffè, tra le cinque e le sei del mattino, perché sei dislocato a Palazzo Vecchio e io lavoro a neanche 100 metri da lì.

Francesca, ancora un abbraccio.

domenica 19 maggio 2024

Interno, notte. Mentre sono lì a rileggermi un po' di cose -a volte scritte da altre persone, a volte sciocchezzuole opera del sottoscritto- sento che qualcuno vuole entrare. Perciò smollo la lettura e vado ad aprire.

Mi si presenta di fronte una bella ragazza, davvero notevole, con bellissimi capelli mossi e un dolce viso paffutello ma, aimè, troppo giovane -mai che trovi una coetanea- Dietro di sé, una bici rossa appoggiata al cavalletto.

«Ciao, scusami se ti disturbo ma…. Secondo te, se la mettessi lì?»

“Lì” è il palo della luce di fronte all’ingresso dell’hotel, sull’altro lato della strada.

L’unica risposta che mi viene, a bruciapelo è:

«Eh! Bella domanda!»

Assume un’espressione profondamente sconsolata.

«Ma la possono portare via? Sono solo due ore, poi me ne vado, te che ne pensi?»

«Guardi, è un terno al lotto. Non si può mai sapere chi può passare, a quest’ora di notte»

«Ma quindi che ne pensa? Rischio?»

Noto due cose:

La prima: non so proprio cosa dirle. Che ne so di quel che può accadere la notte? In quasi trent’anni di lavoro d’albergo, ne ho viste di tutte. La seconda: ha smesso con il tu ed è passata al lei, come preferisco. Il fatto che non voglia più farmi dare del tu, è significativo della mia età e del mio sentirmi ormai un uomo maturo e irrimediabilmente datato che tiene a mettere paletti e distanze.

Rassegnata, si avvia a legare la bici a quel palo della luce, con la possibilità che la catena venga distrutta e il prezioso velocipede, trafugato. Accenna a un vago «non c’è la possibilità di lasciarla lì dentro, vero?» a cui rispondo con un laconico cenno del capo: no, nella hall, non si può.

Sennonché, mosso a compassione, che molti definirebbero “coglionaggine”, mi lascio trasportare dai sentimenti.

«Senta.. c’è una porta, più avanti, nella via. Mi aspetti là»

Due occhi che si illuminano e rendono ancora più bello un viso dolce, con due fossette deliziose che si formano ai lati delle guance. Inizia una sequela di grazie mentre io richiudo la porta, mi avvio lungo la hall, supero il bar e vado nel retro, dove apro la porticina dell’ingresso dipendenti e fornitori.

La giovincella arriva con il fidato mezzo di trasporto riprendendo la sequela di grazie da dove si era interrotta. Io metto la bici all’interno.

«Devo legarla?»

«Non importa, tanto qui ora chiudo e non entra nessuno. C’è anche la bici del mio collega, qui accanto alle casse di bottiglie d’acqua. Poi, se mi va, faccio un giretto»

Ride e riprende la sequela di ringraziamenti, aggiungendo che sarebbe ripassata in un paio d’ore soltanto.

Più o meno dopo quel periodo di tempo, sento bussare alla porta d’ingresso.

Senza che vada ad aprire, indico la direzione -porta vetrata- e la ragazza annuisce. Ripercorro quindi la hall e torno nel retro, riaprendo nuovamente la porticina. La giovinetta arriva e riprende a ringraziare, mentre io le passo la bici.

«Spero di non averle dato problemi»

«Ma no, è una brava bici, se n’è stata qui tranquilla e non ha dato fastidio»

Apprezza l’umorismo ma poi rovina tutto uscendosene fuori con questa domanda:

«Ti posso abbracciare?»

E lì viene fuori il misogino che sono diventato, a pochi giorni dai 54 (il prossimo D-Day): metto le mani avanti e dico semplicemente di no.

Lei capisce e si sente palesemente imbarazzata della richiesta, ma ringrazia sentitamente e se ne va pedalando.

Poi m’è spiaciuto, d’essere stato brusco. Ma almeno il favore l’ha apprezzato.

Probabilmente avrà pensato “i portieri notturni sono davvero tipi strani”

Non so dargli torto.

venerdì 3 maggio 2024

Antefatto:

quattro anni fa, il terribile morbo ci costringeva a una difficilissima prova. Terminata la quarantena, chi poteva lavorava in pigiama da casa, ma noi che siamo negli alberghi -portieri, cameriere, facchini e quant’altro- non poteva certo demandare da casa. Bisogna essere lì, sul posto. E quindi, alberghi chiusi e cassa integrazione.

Però, una volta usciti fuori, approfittai del tempo. Che altro potevo fare?

A parte diverse camminate -sono stato sul Falterona, sotto la neve e con le ciaspole, ricordo che il Falterona è un ottomila, l’unico mai scalato da Messner- una delle cose che facevo più volentieri era leggere. Libri su libri, almeno due volte a settimana andavo e venivo dalle biblioteche della città, sia quelle comunali che la nazionale, a prendere tomi che terminavo in pochi giorni.

Essendo un grande appassionato di storia, tra i miei libri preferiti c’erano ovviamente quelli del professor Barbero, ma anche volumi epici come la Nova cronica di Giovanni Villani e i romanzi di Carla Maria Russo, in particolare Il cavaliere del Giglio.

E lì scoprii delle storie bellissime. E pensavo “Ma guarda, ci verrebbe fuori un romanzo storico”

Perché no? Perché non scriverlo? (lo so che state pensando al meme di Bilbo Baggins)

Eccolo qua. Dopo lunghe ed elaborate ricerche da parte mia e scrittura a tratti folle -sono molto incostante, passo mesi senza toccare penna o tastiera, poi butto giù 3 capitoli in una giornata- un’attenta revisione e impaginazione da parte della bravissima Marina Cappelli di Libriamo e la splendida copertina di Roberto Rog Gigli, il mio pri--- anzi, diciamola meglio: ho il grande onore di presentare il mio primo romanzo storico. Ovviamente ambientato in Toscana, nel XII secolo.

C’è la guerra, certo. Duri e feroci scontri tra cittadine toscane -come ci garba menarci tra di noi, a fare peggio ci sono solo gli scozzesi, hanno rovinato la Scozia- ma anche contro Roma e Milano. Amicizie intense, profonde rivalità e contrasti duri, eventi storici famosi, l’Imperatore. E un orgoglio comunale smisurato.

Come sempre, è un’autoproduzione; io, i soldi, me li spendo così: libri. O li compro o me li pubblico. Per chi lo desiderasse, lo può trovare tramite il sito della Marina -deve ancora finire la pagina, un pò di pazienza- che peraltro questo fine settimana lo porta alla fiera di Dicomano (Fi). Oppure il fine settimana 1 e 2 Giugno a Castello Comix a Castelfiorentino, sempre Fi (ho preso il fine settimana libero).

Per chi vuole -e puote- mi troverà lì.

Il vostro marce :)