sabato 10 maggio 2025

Le strade di Firenze sono piccole e strette, frutto di un periodo durante il quale non esistevano le automobili e chi non poteva permettersi il cavallo andava a piedi. Per questo motivo il trasporto delle merci risulta problematico, ancora di più se si tratta di materiale voluminoso e pesante. Tanto per crearci ulteriori problemi, noi fiorentini le strade le abbiamo pure lastricate con le pietre; e ce le teniamo perché ci piacciono pure, il catrame proprio non ci garba. Salvo poi lamentarci. Siamo strani forte.

La via dove si affaccia l’ingresso merci è, appunto, stretta e lastricata. Magari si potrebbe obiettare che il lastricato potrebbe essere rimesso a nuovo, ma per ora c’è questo: un po' sconnesso. A passarci con auto e furgoni succede, le pietre si smuovono.

Quando arriva un fornitore, ad esempio quello di latte e yogurt, o i croissant, parcheggia nella piazza antistante e porta la merce a mano o con un piccolo carrello. Sono venti metri per arrivare all’ingresso fornitori. Ma per certe merci non si può fare.

La lavanderia degli alberghi arriva sempre a notte fonda. O, se preferite, la mattina molto presto.

I sacchi della lavanderia, che contengano roba sporca da caricare sul furgone o pulita da portare dentro l’albergo, pesano come macigni. Per questo motivo si caricano su grandi carrelli, alti quanto un James LeBront, da spingere. Ma quei venti metri dalla piazza all’ingresso apposito per le merci, sulla strada lastricata di pietre sconnesse, sono impossibili da fare. I furgoni della lavanderia, tutti, parcheggiano davanti all’ingresso fornitori. Qualsiasi sia la struttura ricettiva da servire.

Va da sé, occupano tutta la strada.

Per questo motivo tale trasporto avviene alle 4 o 5 del mattino, per non creare troppo disagio. È così, non ci si può fare niente. I tassisti lo sanno, si affacciano cautamente e, se notano il camion, prendono la parallela, sono pochi metri.

Poi capitano TdC assurde che creano la polemica futile.

Arrivato il furgone, chiamo il collega -qui dove lavoro c’è anche il facchino notturno- affinché vada ad aiutarlo. Lui apre la grande porta dell’ingresso fornitori e gli spinge fuori i carrelli con lo sporco, l’autista abbassa il pianale e scarica i carrelli con il pulito.

In quel momento arriva questo genio del male, in scooter, che si piazza dietro al furgone. E fa partire la polemica che occupiamo la strada.

Ovviamente, sentendo questo pazzerello sbraitare e, per contro, anche il mio collega e il lavandaio, apro l’ingresso principale e accorro. E ho subito il mio bel daffare perché il tipo s’è messo a riprendere con il cellulare e l’autista cerca di prenderglielo con la forza. Insomma, stava per nascerci una colluttazione, ma mi interpongo subito:

«Vai via, te!» dico all’autista, poi mi rivolgo al folle «Guarda, riprendi me, piuttosto»

«Io sono un giornalista, dimmi che albergo è questo!»

«Il millantato credito è un reato penale, non credo proprio che tu abbia il tesserino di giornalista. Comunque è scritto sull’ingresso»

«Io sono veramente un giornalista e ora questo camion deve sparire!»

«E i sacchi della lavanderia come li portano dentro? Con la bacchetta di Harry Potter?»

«Ah, questo non mi riguarda, problema vostro!»

«Tipico, a trovare i problemi sono bravi tutti, le soluzioni le lasciamo a qualcun altro!»

«Io devo passare, Basta con questa dittatura degli alberghi! Non è possibile che venga bloccata tutta una strada!»

«Non ci si può fare niente, le strade qui sono fatte in questo modo. Dove vive? Su Marte?»

«Io sono di Firenze!»

«Pure io, e quindi? E comunque sono le 4 del mattino, eh! Mica c’è tutto questo traffico, su! Può passare dalla parallela»

Adesso la sua voce si fa piccola: «Ma in piazza ci sono i vigili, non posso fare il senso unico» In effetti, nella piazza, c’è una macchina dei vigili ferma con i militi all’esterno. Che avrebbero anche udito e visto la nostra concitazione, ma si guardano bene dall’intervenire.

«Sono solo venti metri, lo sanno che a quest’ora viene la lavanderia, essù!»

«Comunque non va affatto bene che blocchiate la strada e…»

«Senta, io faccio il portiere di notte. Ho delle disposizioni e mi attengo. Vada a parlare coi vigili oppure, visto che Palazzo Vecchio è qui a due passi, aspetta che apra e va dentro a parlare con qualcuno. Adesso, per favore, lasci che i loro finiscano di lavorare, grazie. Arrivederci»

Torno verso l’ingresso principale e rientro dentro. Dopo qualche minuto il pazzo si rende conto che è inutile stare ad aspettare, quindi rimonta sullo scooter, torna indietro e prende un’altra strada.

Però che piaga, questi fiorentini rancorosi che girano per la città alle 4 del mattino. Non mi stupisce che l’Alighieri li abbia messi tutti nel V cerchio, immersi nello Stige.

domenica 20 aprile 2025

Ti becchi quel che c'è.

Alle volte è così, prendere o lasciare. Non avete possibilità di scelta, non ci sono pillole blu o rosse, non esistono sliding doors, non c'è nessun arbitro che ti chieda "palla o campo?". Niente di tutto ciò. Hai un'unica, singola, obbligatoria opzione.

E ringrazia che c'è almeno quella.

Irlanda, 1996.

A giro per l'isola verde, con poche idee e la tacita nonché inconfessabile volontà di non fare un bel niente. Un vago, stentato, presuntuoso progetto di cominciare lassù una nuova vita senza la reale intenzione di cercare un lavoro. Qualche colloquio, un po’ di vaghe domande, il sorriso e la gentilezza del personale ai centri per l'impiego di fronte ad un caso disperato, ma anche un'incredibile svogliatezza e la tremenda difficoltà con una lingua parlata così male che a confronto pure il napoletano stretto diventa italiano perfettamente comprensibile. Il dialetto irlandese si assimila solo dopo un paio di pinte di Guinness. Il che potrebbe spiegare perché, al mio ritorno dall'isola, pesassi decisamente di più.

Rientro a Dublino dopo una gita di qualche giorno sulla costa occidentale nella segreta e inconfessabile speranza di visitare Skelling Michael e rimanerci per il resto dell'esistenza salvo scoprire che a) bisognava prenotare con largo anticipo, tipo un paio di generazioni prima e b) il tempo era così inclemente che l'unico modo per attraversare il mare in tempesta era a bordo dell'Ottobre Rosso, a 500 metri di profondità.

Ma arriva il maledettissimo intoppo. Quello del viaggiatore che non fa i conti con l'oste: la finale di Hurling.

L'Hurling è lo sport più folle, assurdo, pazzesco inventato dagli irlandesi, quasi certamente in un pub e sotto gli effluvi di moltissimo alcool. Un mix di rugby e golf dove si colpisce una pallina con una mazza che pure Thor avrebbe difficoltà a trascinare, ma che agli irlandesi piace da matti e non esiste casa, nell'isola, che non abbia un equipaggiamento di gioco. E in occasione della finale il Croke Park, 80 mila posti, è stracolmo fino all'inverosimile. Irlandesi che provengono da ogni angolo dell'isola per assistere. Va da sé, arrivo al Brewery Hostel che sono stracolmi. Pieni zeppi. Prenotati da settimane, con una marea di pel di carota tutti muscoli e pancione (maschi e femmine indistintamente) arrivati lì per la loro straca**o di finale.

Mi ritrovo senza sapere dove andare, con la reale possibilità di girovagare per Dublino tutta la notte.

Non un posto per dormire.

Ma a quel punto, il viso e l'espressione angelica della ragazzona australiana che lavorava all'ostello, mi appare in tutta la sua grandiosità, e mi assicura che mi trovava dove stare. Pure, senza pagare nulla. Ho ancora davanti ai miei occhi il bellissimo viso rubicondo, dolce e premuroso, di questa ragazza alta e meravigliosamente rotonda che mi assicura che "non preoccuparti, stasera potrai dormire". Non so il motivo per cui non mi dichiarai a lei subito. Lì, sull'istante. Ci stava, davvero. Perché era un sorriso che avrebbe meritato un'intera esistenza. Perso, come tante cose belle della vita, che spesso sfuggono di mano con un nonnulla, per un attimo di esitazione. Pazienza, è andata così.

Il posto era un divano nella stanzetta riservata ai dipendenti, tutti ragazzi non irlandesi che lavoravano lì per raggranellare qualche spicciolo e inteneriti dalle difficoltà di quell'italiano che andava e veniva da due mesi in quell'ostello e si ritrovava senza un posto dove dormire perché non sapeva dell'amore irlandese per gli sport con le mazze. Il problema è che "divano" era una definizione molto azzardata. Forse era valido nell'era geologica precedente. Il termine migliore poteva essere "allevamento intensivo di acari" o semplicemente "coltura batterica", e anche lì si era parecchio distanti dalle reali condizioni. Ma l'unica altra opzione -perché una seconda opzione è comunque sempre presente, ma da non prendere neanche in considerazione- era girovagare tutta la notte per la città. Accettai il divano. E dormii pure saporitamente. Credo che gli acari abbiano ancora un ricordo leggendario di me e della mia pelle e cantino tutt'ora Venditti. Io, sicuramente, ce l'ho della ragazza australiana, della tedesca con la golf targata Colonia con cui andammo a Galway, il brasiliano, il madrileño e il danese secco allampanato con cui scolavamo ettolitri di birra -alla Guinness devono avere le nostre foto appese al muro, migliori clienti del 1996-, dei Rootjoose visti dal vivo in un locale poco più grande di una cabina telefonica a Temple bar, dei proprietari dell'ostello che ridevano delle mie difficoltà ma che comunque furono proprio loro, a dire alla ragazzona aussie: "Dai, per stanotte fallo dormire lì, quel disgraziato". Meravigliosi ricordi di quei mesi a Dublino. Tutti tranne quelle ore in cui mi sentii perso perché erano completi, prima del magico annuncio australiano. Il giorno dopo la finale l'ostello, magicamente, si svuotò, e potei tornare a dormire in un letto normale. Per le settimane a seguire la tv mostrava solo ed esclusivamente le immagini della partita, vinta dal Wexford County Board su Limerick, con il baffuto capitano che alza la coppa al cielo. Un particolare rimasto impresso nella mia mente soprattutto perché la maglia del Wexford è Viola-oro. Visto che un paio di mesi prima, a Firenze, avevamo vinto la coppa Italia, quello fu un anno magico per le squadre Viola nel mondo. E comunque era meglio rivedere quello sport assurdo che qualsiasi altra cosa, sulla tv irlandese. Come nell'ostello cambiavano e mettevano il canale musicale, si poteva star certi che veniva mostrato il video della Spice girls che cantavano "Wannabe". Un continuo, perenne, martellante ritornello che udivi ovunque, a qualsiasi angolo delle strade, alla faccia dei rapporti non proprio idilliaci tra Irlanda e Inghilterra. E voi vi lamentate dei tormentoni estivi di Tananai.

Come sempre, quando comincio a scrivere, non la smetto più.

Turno di notte.

Una sola camera libera. Ore 23 e qualcosa, neanche il tempo di controllare la situazione a inizio turno che entra una prenotazione. Doppia. Per l'appunto, l'ultima camera disponibile. Albergo completo, alla via così, la proprietà può essere fiera dei suoi dipendenti e dell’ottimo lavoro svolto. Nome spagnolo, attendiamo questi iberici.

I tipi si presentano di lì a qualche minuto: due omoni grandi e grossi che diresti “ecco chi dobbiamo naturalizzare per evitare l’ennesimo cucchiaio di legno”. Ma purtroppo modi bruschi, niente saluti o convenevoli, lo sguardo truce e malevolo di persone che diresti parte del ramo spagnolo di Jenny 'a carogna. Mi smollano sul banco documenti, carta di credito (che comunque è sempre un bel vedere) e l'intestazione per una ditta iberica. Ti verrebbe poca voglia di sorridere, con persone così, ma devo farlo, è' il lavoro. Se lo meritano loro come i giapponesi.

Ho come un sospetto, che ci sia qualcosa che non va, che le cose non siano così semplici come i fatti me li vogliano mostrare. Prendo i documenti e l'intestazione ma respingo la carta, che comunque è sulla prenotazione. Gli dò la chiave e li mando su in camera: una delle migliori, dei quelle ristrutturate più di recente.

Comincio a contare. Non arrivo a 10 che me li ritrovo davanti. Proprio come sospettavo, intuivo, subdoravo.

La camera è matrimoniale, e la vogliono a due letti.

Non sono uno che fa polemiche. Non mi importa se due fratelli (hanno lo stesso cognome, al massimo saranno cugini ma comunque parenti, come direbbe il conte Mascetti, da parte di fava) non vogliono dormire tra le stesse lenzuola. Gli faccio notare che la prenotazione è per una doppia . Loro, in maniera così educata che vorresti riportarli a Madrid del '36 e additarli alla folla repubblicana come membri della falange così da ottenerne l'immediato linciaggio, insistono che hanno indicato, in fase di prenotazione, "dos camas": due letti.

Tralasciamo un attimo il ragionamento per cui, se sulla pagina di un sito di prenotazioni alberghiere tizio indichi che la vuole a due letti questa sia assolutamente tale, come se aprire un menù a tendina facesse magicamente apparire le cose come uno le desidera. Non è affatto detto che sia così. È già tanto che hai trovato la tipologia che ti interessa (doppia, tripla, ecc.), non puoi pretendere che sia proprio con i letti del tipo desiderato, o con vasca piuttosto che doccia, se arrivi dopo 10 minuti 10 che hai prenotato e poco prima della mezzanotte. Se la vuoi come richiesto devi prenotare molte ore prima, quando c’è il personale e il tempo per organizzare il lavoro. Ma sarebbe inutile. Fiato sprecato. Persone così non comprendono. Non arrivano a capire che, a orari del genere e con così poco (anzi, assente) preavviso, non si può avere tutto. Ci si becca quel che c'è, come dicevo all'inizio del racconto. Quindi tralascio.

Loro, testardi come "burro" (in spagnolo vuole dire mulo) insistono: abbiamo specificatamente richiesto due letti. Io allargo le braccia: che altro potrei fare? Semplicemente, ho solo questa camera. Avete prenotato per due persone e questa ne può contenere due.

In realtà sono parecchio scocciato anche io. Perché queste due fave, con la loro prenotazione, hanno bloccato la camera. Per il mondo intero è venduta; per tutti coloro che visitassero il nostro sito o qualsiasi altra pagina di prenotazioni alberghiere, in quel preciso momento, troverebbe che l'albergo ha esaurito la disponibilità, è al completo. Invece non è affatto così. Ovviamente io avrei tutto il diritto di addebitare sulla loro carta di credito, visto che hanno pure fatto una non rimborsabile, ma è chiaro che costoro farebbero partire una polemica senza fine. Chiamerebbero il circuito di cui fa parte la carta per bloccare il pagamento, e altre simili amenità. Meglio lasciar perdere. Vado sul maledetto sito di prenotazioni per segnalare e cancellare. E vedere se, almeno in quei pochi minuti prima -o anche dopo- la mezzanotte, riesco a rivendere.

E a quel punto il più grande dei due, che intuisco essere il maschio alfa della situazione, afferra il cellulare, digita e telefona. Presumo in Spagna. Immagino a una collaboratrice, perché la chiama per nome. E si mette a inveire, contro di lei, lì nella hall. Infarcendo la conversazione unilaterale (lui urla, lei ascolta, presumo piccola piccola che tiene il telefono a distanza) di parolacce iberiche. Che lui voleva "puta dos camas" (fottuti due letti). Se ne frega dei miei inviti ad abbassare i decibel. E intanto il fratellino minore (molto minore) se ne viene al bancone e mi rimprovera che non dovrebbe apparire, sul sito delle prenotazioni, il menù a tendina per la scelta tra due letti o matrimoniale, se non è possibile. Al che mi viene proprio spontaneo dire che "io faccio il portiere di notte, non sono il proprietario di quel sito web" e capita l'antifona, si ritira. Finalmente l'altro la smette di urlare e se ne vanno.

Pensate sia finita? Ora arriva il meglio.

Perché anche se a Firenze non ci sono le finali di Hurling, abbiamo comunque incredibili, magnifici, splendidi monumenti e strepitose opere d'arte. Una percentuale in doppia cifra dei capolavori più grandiosi mai creati a memoria d'uomo è qui, in riva all'Arno, meraviglie che non possono essere fermate neanche dai dazi. Quindi la città è al completo più totale, non si trova una camera libera da nessuna parte.

Dopo neanche 10 minuti i due colossi spagnoli, loro sì battuti, si ripresentano al bancone. Perché avrebbero dovuto girovagare tutta la notte per la città. E quindi devono farsi andare bene quel che c'è, la sola alternativa, l'unica opzione possibile: la camera matrimoniale nell'albergo dove lavoro io. Grande, spaziosa, pulita, ristrutturata di recente e soprattutto senza l'ombra di un acaro. Mica come il mio divano irlandese. E loro che facevano tante storie, poveri cuccioli. Zitti e muti. Mi faccio rendere la "tarjeta" (la carta di credito) che, stavolta si, "infilo" (scusate il doppio senso) nel pos per un gustosissimo addebito nel loro più completo silenzio.

E, credetemi, fu una grande soddisfazione.

sabato 29 marzo 2025

1-Sono da poco entrato in turno e noto un cliente che mi si avvicina. Elegante, con un fazzoletto colorato al collo, sbarbato e pochi capelli in testa, magro, sessant’anni portati magnificamente e un sorriso che sembra emettere luminosità; un dandy arrivato direttamente dalla seconda metà del XX secolo.

Ho sempre un certo timore dei clienti che hanno necessità d’interazione. Nella maggior parte dei casi sono persone che parlano soprattutto di loro stessi e hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Cosa che, con noi notturni, riesce meglio che con i colleghi del giorno, impegnati con tutti i clienti presenti, le telefonate, le pratiche da sbrigare. Ma stare sempre ad ascoltare gli altri, a volte, può risultare pesante -e io sono uno che ascolta molto-

Ma per fortuna, costui non vuole parlare solo di sé stesso. Con quel magnifico accento che solo i londinesi hanno mi chiede se sono davvero di Firenze e cosa si prova a vivere qui. Dell'avere il gusto e il piacere di stare con i turisti, desiderosi di conoscere l’arte fiorentina. Lui che non ricordava molto essendoci stato, la prima volta, negli anni settanta con la scuola.

Mi chiede se sono stato nella sua Londra, e non posso non accennare al museo più bello di tutti: l’Imperial War Museum.

«Oh, bene, io ci lavoro»

«Veramente?» Dire che sono stupefatto è poco.

«In realtà io mi occupo delle sale del consiglio di guerra, dove si dirigevano le operazioni militari. Sa, con le vecchie apparecchiature usate durante la battaglia d’Inghilterra»

Da amante della storia militare e soprattutto dei giochi di strategia, sono estasiato ad ascoltare le descrizioni di un luogo storico che ho visto solo nei film.

«Adesso organizziamo gite di scolaresche sulla Belfast, la conosce?»

Come possono non conoscere l’incrociatore oggi ancorato sul Tamigi?

«Proprio l’altra settimana abbiamo avuto dei ragazzi che hanno dormito sulla nave. Lo sa che ci sono quattro metri tra la chiglia dell’incrociatore e il fondo del fiume?»
Insomma, sarei stato a parlarci per ore della storia dei mezzi militari, ma la moglie voleva andare a dormire.

Lo so che il periodo non è l’ideale, per parlare di guerra, ma adoro troppo la storia. È più forte di me.

2-Una coppia americana di mezza età rientra in albergo e saluta calorosamente. Poi rimangono a parlottare tra loro. Penso che vogliano chiedermi qualche informazione, invece si danno un bacetto e lui esce. Prima che sparisca nella notte fiorentina, gli dico che mi chiuderò a chiave dentro e quindi bussare o suonare il campanello quando tornerà.

Dopo tre ore torna e accorro ad aprirgli. Stavolta non sembra molto sorridente, anzi. Rimane un momento fermo nella hall.

«Sono stato a vedere la pallacanestro, in un bar qui vicino»

«NBA?»

«NCAA. Il collage»

«Avete vinto?» mi rendo subito conto che la domanda è stupida. La sua espressione è già una risposta.

«Purtroppo no»

Allargo le braccia. Purtroppo non ho il potere di cambiare le cose.

«Pazienza» continua lui «Ma non importa, oggi è stata comunque una bella giornata. Grazie e buona notte»

Prenderla con filosofia, bravo. In fondo sei in vacanza.

3-Alle due di notte, un cliente chiama da una camera.

«Abbiamo un problema, non riusciamo ad aprire la porta del bagno. Sembra bloccata»

«Mando subito il mio collega»

Chiamo Massimo Decimo Meridio -il soprannome che ho dato al mio collega- il quale si reca alla camera a scoprire l’arcano-

Scende dopo pochi minuti con la stessa espressione incacchiata del gladiatore dentro il Colosseo, in procinto di affrontare l’intero esercito romano.

«Questo no capisce un ca**o! Lui ha porta scorrevole, di bagno! Invece provava a spingere!»

Rido. Ma mi sento anche un po' in colpa per non ricordare che quella camera ha quel tipo di porta e potevo suggerirlo al cliente. Ma chi s’immaginava che costui insistesse a spingere, invece di farla scorrere?

E anche per questa settimana il portiere notturno ha fatto i suoi incontri interessanti.

Dai, poteva andare peggio.

domenica 9 marzo 2025

Qualcuno può pensare che la gratificazione maggiore, per chi lavora al pubblico nel settore dell’accoglienza, siano le mance. E senza dubbio per molti miei colleghi è così. Ecco, per me lo è fino a un certo punto. Perché 5 o financo 10 € non cambiano la vita. Ma certi oggetti sì.

Era un turno di mattina, di molti anni fa. Arriva questa famiglia guatemalteca. Moglie, marito e due figli (maschio e femmina) adolescenti. Sorridenti e felici di stare in vacanza. Camera quadrupla che hanno la fortuna essere già pronta perché gli occupanti erano partiti presto e la cameriera l'aveva rifatta subito, appena entrata in turno. Sono appena le 10 del mattino e li posso mandare su.

Sono sorpresi. Piacevolmente. Mi chiedono come sia possibile, visto che il check-in è alle 14. Controbatto che "se è possibile fare un favore, lo si fa". E volentieri. Ovviamente non è la norma. Chiaramente è questione di fortuna; se i clienti precedenti fossero partiti proprio alle 12, voi avreste dovuto lasciare i bagagli in deposito e tornare dopo. Camere con 4 posti letto -in questo caso matrimoniale più due letti singoli- non ne abbiamo molte. Ma questa è pronta. Perché farvi aspettare? Approfittate.

In fondo era un check-in normale, come tanti altri, con la stessa tecnica, lo stesso stile, lo stesso modus operandi: orario colazione, mappa della città con indicazioni su dove si trovano gli Uffizi e l'Accademia... il mio solito lavoro, insomma. Dove la maggior parte dei clienti ascolta distrattamente, o non ascolta proprio. Loro no. Loro ascoltano. Se ne stanno lì a sentire attentamente quel che dico, tutti e quattro. Genitori della mia età e figli con l'età delle mie -oggi saranno maggiorenni anche loro- assorbono ogni mia informazione su come muoversi nel centro di Firenze. Che può sembrare anche facile ma se non la conosci, rischi di perderti. Specialmente se finisci nei chiassi.

Scendono dopo una mezz'ora e mi fanno questo stupendo regalo: un segnalibro in stoffa. Non un cartoncino che si sgualcisce. Non un oggettino che poi finisce nella pattumiera della carta causa l'usura, come hanno rischiato quelli creati da Camilla e Gaia alla materna (e che infatti conservo gelosamente intatti).  Questo è un vero segnalibro di stoffa con tanto di omino stilizzato e la scritta "Guatemala". Io, che amo la storia e ho studiato le terribili sofferenze patite dai guatemaltechi quando al potere avevano gente che da noi fa il “sovranista” duro e puro, vedo il Guatemala sotto una nuova luce. Un luogo bellissimo dove la gente sorride sempre e si regala segnalibri in stoffa perché, a furia di leggere, gli si consumano pure quelli.

Ecco, quel segnalibro è tutt’ora al lavoro. Che svolge egregiamente. Avrà cambiato un centinaio di libri, in questi anni, ma c’è. E per sempre, nella mia memoria, rimarrà quella bellissima e sorridente famiglia. Ricordi che valgono più delle mance.

Il mondo, quando si impegna, sa essere bellissimo. Anche dietro il banco di una reception.



venerdì 14 febbraio 2025

Capita che, invece di scrivere storie, preferisca leggere. Se non ho un libro sottomano, vado a curiosare su vari blog, a vedere cosa scrivono le persone. Su una pagina dedicata alla scrittura, un tipo ha elencato i personaggi necessari in una storia:

1) l'eroe
2) la bella
3) l'antagonista
4) lo scudiero
5) il mentore
Questa è la mia versione:
1) l'eroe. In realtà non è un eroe, vuole solo i soldi. Solo che, per ottenere il vil denaro, deve far fuori il cattivo e i suoi scagnozzi, di solito in un massacro con fiumi di sangue. E quindi passa da eroe. Ma non gliene può fregare di meno, lui punta ai dollaroni.
2) la bella. Ce la immaginiamo come una leggiadra ragazza vestita di lustrini e con gli occhi sognanti verso i pettorali dell'eroe; invece è abbigliata con una lorica ed è capace di affettarti con uno zweihander. Però ha gli occhi verdi e porta la quarta.
3) l'antagonista. Indossa sempre una divisa impeccabile con tanto di schirnmutze o stahlhelm e può distruggere interi pianeti senza batter ciglio. Ha anche un lato "macchiettistico": quando si arrabbia sbatte fortissimo la mano sul tavolo urlando no in tedesco.
5) lo scudiero: la macchietta della storia, nel vero senso della parola. Cerca di portare allegria suonando un banjo che, all'occorrenza, diventa un'arma contundente. Fa lo stupido, e tutti lo trattano da tale, ma non lo è affatto. A volte, invece di essere un allegrone, è un tipo tetro che gestisce un anonimo bar, ma con una doppietta sotto al bancone. Ha sempre i baffoni e parla con accento spagnolo.
5) il mentore: è sempre un vecchio con la barba. Sempre. Appare a tutti un tipetto innocuo, più un umarel che una minaccia, ma al momento opportuno si rivela un super esperto di arti marziali, capace di massacrare un battaglione di nemici a mani nude. Se è un asiatico ha la faccina allegra e sardonica, un africano è musone e incacchiato, il caucasico ha l'espressione stanca e sfiduciata.

Ok, per stanotte ho scritto la mia dose di assurdità. Da domani torno con le storie dell'albergo. Giurin giuretta.

venerdì 7 febbraio 2025

Ogni anno viene a soggiornare, per quasi due settimane, una signora americana.

Ha un’età che non mi stupirei se avesse conosciuto direttamente qualcuno dei padri fondatori degli States. Cammina ingobbita, aiutandosi con un bastone nodoso.

Ogni anno fissa la partenza la mattina presto e, ogni anno, chiede la sveglia alle 1.30 del mattino.

Si fa portare su un cestino della colazione, preparato il pomeriggio dai miei colleghi del bar; dopo una mezz’ora chiama per farsi portare giù i bagagli. E poi resta a sedere in basso fino all’arrivo del taxi, alle 3.

I tassisti, puntualmente, mi chiedono «Ma perché parte così presto, se l’aeroporto è ancora chiuso?»

Allargo le braccia. Che ci posso fare? Si tratta di una persona ansiosa, deve presentarsi con largo anticipo, agli appuntamenti.

Perciò, la mattina della sua partenza, la chiamo in camera per darle la sveglia. Poi mando il collega a portarle il suo cestino colazione e, successivamente, lui torna dabbasso con le valigie: due gigantesche, una media e una borsa.

Lei arriva dopo qualche minuto e si mette seduta su una poltroncina ma, lo noto subito, è irrequieta. Fruga in qualsiasi punto nascosto della sua borsa. Mi avvicino e chiedo se posso aiutarla.

«Non trovo più il mio dente»

Sul momento non credo di aver capito. Sta proprio dicendo “tooth”, dente in inglese? Mi viene spontaneo pensare a un WTF (parolaccia).

Lei apre la bocca e mi mostra un buchetto dove si dovrebbe trovare un incisivo. Aiuto quindi la signora nella ricerca. Nello specifico, prendo il trolley, lo deposito ai suoi piedi e lo apro. Lei inizia quindi a frugare. Mi sento un po' un intruso, un impiccione, quindi mi allontano leggermente mentre la ricerca prosegue. Apre varie borsette, fruga dentro ma le richiude sconsolata. Richiede il mio aiuto.

Accorro. Chiudo la valigia piccola, la scanso e passo a una di quelle grandi, praticamente un mezzo da sbarco della marina e dal peso simile. Anche lì tiro la zip e lo apro, e lei riparte per un’altra ricerca tra abiti vari e borsette con trucchi, saponi, spazzolini. A un certo punto mi mostra un portadentiera, spiegandomi che doveva trovarsi lì dentro.

La poveretta è sempre più sconsolata, ma decido di fare un tentativo. Chiamo il collega che rimane sorpreso, quando arriva, nel vederla ravanare tra le proprie cose. Ma capisce che lei sta cercando qualcosa. Gli spiego la situazione, così lui sale in camera e, dopo pochi minuti, ne scende con un fazzoletto di carta contenente l’apparecchio con attaccato il singolo dente. Era tra le lenzuola.

Percepiamo il sollievo dell’ottuagenaria alla vista del suo prezioso tesoro, che rimonta immediatamente nella bocca. Ringrazia sentitamente. All’arrivo del taxi, l’aiutiamo a caricare i bagagli -solito lamento dell’autista sull’orario e peso delle valigie- e salutiamo.

Anche per quella notte la ricerca dell’incisivo perduto andò a buon fine.

Speriamo di non vederne il sequel l’anno prossimo.

sabato 18 gennaio 2025

I giorni di Pitti, a Firenze, mi ricordano sempre dei clienti che venivano due volte l'anno, in occasione della fiera. Questo episodio però si riferisce a quella estiva. Era il Giugno del 2004. Contemporanea con gli europei di calcio.

Uno dei clienti che veniva assiduamente era un portoghese. Musone, serio, spesso agitato. Ma cliente fedelissimo, lui, moglie ed un paio di dipendenti. Fissi da noi tutte le volte che abbiamo questo immancabile evento modaiolo.

Poi una sera rientrano dalla fiera, vanno nel bar, prendono da bere e si mettono alla tv, con tanto di poltroncine spostate in mezzo alla saletta. Il Portogallo incontrava i loro poco amati vicini: le furie rosse. Gli spagnoli.

Dato che era un turno pomeridiano di Pitti, stavo quasi sempre al bancone con tanto lavoro da fare, ma ricordo benissimo prima le imprecazioni sul vantaggio della Spagna, poi le urla belluine al pareggio. Ai calci di rigore, visto non c'erano clienti in vista, feci qualcosa di irregolare per un portiere d'albergo serio: mi spostai al bar a vedere la tv. Il richiamo del mononeurone maschio-italico è fortissimo quando si ha a che fare con elementi di forma sferica. E non mi riferisco solo al pallone.

Al rigore decisivo venne giù l'albergo.

Mi ritrovai avvolto in un enorme drappo rosso-verde, letteralmente stritolato da questi 4 lusitani urlanti ed ebbri di gioia di cui capivo tutto benché il portoghese non l'abbia mai studiato; in particolare si comprendeva il manifestare le loro emozioni, soprattutto quando apparvero in tv le facce tristi degli sconfitti, a cui i miei clienti risposero con l'inequivocabile ed internazionale gesto dell'ombrello. Erano felici come bimbi sotto Natale, non li avevo mai visti così sorridenti. E pure per i due giorni a seguire era tutto un arrivare al bancone ed urlare “Portugal!”, e darmi il cinque, a me o chiunque fosse al bancone. Di colpo, dopo anni di espressioni serie, divennero super simpatici, pure con chiacchiere varie. Fortunatamente Pitti finì, e dico per fortuna perché non ebbi modo di vederli tristi dopo la sconfitta in finale ad opera degli ellenici.

Nota triste: purtroppo questo fedele cliente venne a mancare dopo poco tempo. Aveva la mia età.