venerdì 29 novembre 2013

Molti cari amici (e/o semplici conoscenti) mi domandano, dato che il mio lavoro prevede anche le notti, se ci sono clienti che chiedono la “coperta” (cioè, detto papale papale, la prostituta che sale in camera per “riscaldare” il cliente). E se è vero che abbiamo l’agendina segreta con i numeri di telefono di tali lavoratrici. E mi si domanda pure se prendo una percentuale, magari “in natura”…
So di darvi profonde delusioni (specialmente ai miei amici di sesso maschile) ma la risposta è no, su tutta la linea.
Il motivo è semplicissimo: questo non è un posto da prostitute.
Voglio dire: qui da noi vengono turisti visitare la città ed i monumenti più belli del mondo: Ponte Vecchio, palazzo della Signoria, Gli Uffizi, i’Davidde, gustarsi la Fiorentina, intesa come bistecca, abitante della città o squadra di calcio (4-2), eccetera. Quindi chi viene qui sono al 99% coppie o famiglie.
Ora, immaginatevi di essere con la vostra famiglia, magari con figli piccoli, a farvi la giusta e meritata colazione prima di partire all’assalto dei musei. E nel tavolino accanto va a sedersi un troione nella sua regolamentare divisa d’ordinanza da troione, e cioè:
-petto a balconcino. Ma più che balconcino, terrazza panoramica. Una roba che ci potrebbe apparecchiare con tanto di piatti, posate, bicchiere, megabottiglia da due litri di h2o marca Perrier (la più gasata al mondo) e vaso di fiori;
-minigonna uterina. Il modello visita ginecologica, quello che il ginecologo fa “si spogli signorina… ah, è già spogliata”
-Tacco 97, modello trampoli trafugati al circo Orfei.
Non credo che ne sareste contenti, magari se aveste anche voi figli/e nel periodo di età che guardano, indicano ed a 127 decibel esclamano “babbo, guarda, quella donna è nuda!”.
Tutti si domanderebbero “Ma in che razza di posto sono capitato?”
Mi rendo perfettamente conto che ci sono donne che si vestono così pur non essendo prostitute, o che un cliente potrebbe prenotare una matrimoniale e venire con una prostituta (ed avendo prenotato per due, non posso obiettare niente), ma di solito non succede. Non in alberghi come quelli dove lavoro io, almeno. Qui vengono i turisti. I turisti si vestono comodi. Insomma, non è che sia facile girare lemmi lemmi dentro gli Uffizi con un tacco 97.
L’altra principale ragione per cui è sempre bene evitare nel modo più assoluto prostitute in hotel è che possono succedere casini inimmaginabili. Poniamo che la tipa ed il cliente non si trovino per la “tariffa” e/o le “prestazioni”… ed immaginatevi un litigio furibondo in una camera alle 3 di notte.
Stiamo parlando di una persona che vende il proprio corpo ed una che compra un corpo. Non sono persone con tutte le rotelle al loro posto, alterchi fuori controllo sono altamente probabili. Vanno evitati assolutamente.
Insomma, chi vuole una prostituta non la porta qui. Va da lei e consuma da lei.
L’anno scorso mi capitò un tipo, italiano, della mia età. Cercava una singola, e dato che era quasi mezzanotte e diverse camere ancora libere, gliene offrii una ad un buonissimo prezzo.
“Bene, la prendo”
“Documenti e pagamento, grazie”
“Ed un po’ di compagnia me la può trovare?”
WTF?????
“Ehm… no, mi spiace, qui non è possibile, la direzione è contraria”
“Ma a noi che ce ne frega del direttore?”
Eh, già, bello, tanto NON E’ il tuo direttore. E’ il mio, ed il cazziatone me lo becco io, mica tu.
Il tipo se ne va sdegnato (cioè, se l’è anche presa perché io non ho rischiato la parte di merda per coprire uno che neanche conosco, signora mia in che mondo viviamo), ma dopo mezz’ora torna, potere delle tariffe super-scontate dell’ultimo minuto (pagamento prima di salire in camera, gracias. Vedere moneta comprare cammello). Verso l’una scende, si fa servire un whisky e mi chiede come può fare per trovare “compagnia”. Dove ti pare, prova a farti un giretto nei dintorni della stazione, basta che non la porti qui. Vai, consumi e quando torni mi suoni il campanello perché mi chiudo dentro per sicurezza. E così avvenne. In compenso mentre beveva il suo superalcolico fece in tempo a raccontarmi metà della sua vita di rappresentante di non-ricordo-cosa separato con figli più altri dati che ho prontamente rimosso dalla mia mente, e se non fosse avvenuto avrei accettato volentieri una lobotomia.
Però su una cosa vi ho mentito.
Ebbene si, numeri di telefono li ho avuti.
Anni ed anni fa, quando cominciai a lavorare qui ebbi l’occasione, per imparare a conoscere l’albergo ed il lavoro, di fare un paio di turni con il portiere di notte dell’epoca, mio omonimo. Un tipo simpatico e con il fisico non indifferente, ma la voglia di lavorare inversamente proporzionale a tale fisico. Questo è anche il motivo per cui venni ribattezzato “Marcellino”, proprio per distinguermi dall’altro “Marcello”. E tutt’ora sono conosciuto come tale qui dentro, benché lui non lavori più con noi.
Ovviamente l’uso di tale soprannome da parte di chi non è mio collega di lavoro è severamente proibito dal decreto presidenziale numero 127 del Luglio 2002, e chi ne contravvede andrà incontro a sanzioni penali e possibile (anzi, certa) pena capitale, e nessun avvocato potrà aiutarvi (vale per tutti gli avvocati che stiano leggendo).
Ok, non divaghiamo.
Il mio omonimo mi fornì i numeri di telefono di alcune donnine che bazzicavano nei dintorni (per essere più precisi: il marciapiede qui di fronte). Li usai anche in un paio di casi a chi me li chiedeva, ma tengo a precisare: tali donnine avevano il loro appartamento nei dintorni, ed il cliente andava a consumare lì. Trattavasi di sudamericane attempate, che vennero pure a presentarsi (si sai, le public relations sono fondamentali per stare sul mercato) e dato che non ero un cliente si presentarono con i loro veri nomi (scoprii che con la clientela usano nomi falsi. Nomi d’arte, diciamo.…) e mi confidarono (senza che lo chiedessi) il 99,9 % della loro vita: ex mariti, figli piccoli rimasti dai nonni in qualche baraccopoli sudamericana e qualcuno in età adulta con vita indipendente che ovviamente non sapeva dell’attività lavorativa della madre, pettegolezzi sui clienti e sulle loro richieste di prestazioni… fa un po’ strano vedersi arrivare queste signore che si presentano ed esordiscono con un “sai, ieri notte ho avuto una nottataccia, un cliente voleva il c**o ma aveva un ca**o troppo grosso, una cosa enorme, gli ho detto di no ma lui insisteva e ci ho anche litigato e bla bla bla, ah, qui ho la foto dei miei figli, abitano a Montevideo” intanto la mia mascella sbatacchiava per tutta la hall. Può anche darsi che mi raccontassero un sacco di balle, non lo so (e non mi interessa), ma almeno una foto di ragazzi adolescenti in compagnia di una signora molto anziana me la ricordo. Presumo che non vi fossero molte occasioni di lavoro “normale” per madri single nelle degradate periferie sudamericane. La cosa più triste era comunque vedere queste signore passeggiare sul marciapiede della via durante la notte, ma devo spendere un punto a favore dell’attuale amministrazione comunale, visto che da qualche anno sono sparite, e spero ardentemente che abbiano anche smesso di praticare invece di spostarsi semplicemente in qualche periferia bronxiana fiorentina. Anche perché da quando le conobbi sono già passati 10 anni, e due di loro erano abbondantemente sopra la sessantina….
Una notte di parecchi anni fa, proprio di fronte ed a pochi metri dalle sudamericane, si mise a “battere” un transessuale (malgrado le tette enormi si vedeva lontano un miglio che era un uomo). La cosa ovviamente non fu presa bene dalle signore che cominciarono a dirgli di andarsene, e quindi ad alzare la voce. Il trans si mise a parlare al telefono, e dopo un po’ ne apparve un altro, tanto per aggiungere un urlo (da baritono) in più, e si era già formato un capannello di gente che osservava. Non andò a finire molto bene: i due trans presero a menare una delle sudamericane, la più agguerrita, un donnone 50enne che era un po’ la capopopolo della combriccola; le sue amiche si volatilizzarono in un nanosecondo; lei, essendo ovviamente picchiata da quelli che, in fin dei conti, sono comunque due uomini, non trovò di meglio che attraversare la strada ed infilarsi nel mio albergo. Io fui abbastanza pronto a fiondarmi sulla porta e chiuderla a chiave, quindi alzare la cornetta e chiamare i caramba. I trans, visto che la porta dell’albergo era chiusa e dalla vetrata potevano vedere il portiere osservarli minacciosamente (veder menata una donna da due uomini mi aveva fatto inca**are di brutto) si erano allontanati, perciò avevo riaperto la porta ed eravamo usciti ad aspettare i carabinieri, mentre la gente intorno ed il portiere di notte dell’albergo di fronte ci chiedevano come stava la signora. E proprio in quel momento i trans sbucarono fuori per attaccare di nuovo la sudamericana. Io, il collega ed un paio di ragazzi che erano lì ad osservare ci mettemmo di fronte a protezione della donna; uno dei trans, nel tentativo di colpirla, prese uno dei ragazzi in faccia, il quale andò in totale berserk cominciando a menare furiosamente il trans: una serie di stonfi che avrebbero messo ko pure il Tyson dei tempi migliori, e che il trans assorbì senza battere ciglio (potere della plastica), mentre la sua ragazza lo teneva per l’altro braccio (“Nooo! Amore fermo, vieni via, ‘un ti ‘onfondè!”). A quel punto ci toccò allontanare il ragazzo (esimio collega che lavoravi nell’albergo di fronte: grazie, grazie di esistere e di avermi assistito quella notte. Non sarai mai dimenticato), che si dileguò non appena arrivarono i caramba. Effettivamente a parte io l’altro portiere ed i due trans, tutti gli altri si dileguarono; in un nanosecondo eravamo rimasti solo in 4. Prontamente rispedii il collega nel suo albergo (vai pure, ora me la vedo io), ed ai caramba mi presentai subito come quello che aveva chiamato, spiegandogli la situazione. Non fecero tanti discorsi: due chiacchiere con i trans lì per strada, documentos, prego salite in auto e puf, spariti anche loro. Fortunatamente, per sempre. Dopo di chè tornai dentro a recuperare la signora, che se l’era svignata di nuovo all’interno, chiusa dentro il bagno della hall. Che almeno per quella notte pensò bene di tornarsene a casa.
Ma se pensate che le disavventure di marce vs. i trans siano finite vi sbagliate di grosso. Mettetevi comodi che ora arriva l’aneddoto più grosso (anzi, diciamo il più imbarazzante, che grosso è un termine che è meglio non usare in quest’occasione…).
Turno di notte (che altro poteva essere?): la mia collega del pomeriggio aveva preso passanti 5 ragazzi, pagamento anticipato in contanti, una tripla ed una doppia. Escono durante la notte. Fin qui, niente di che: ragazzi giovani in gita fuori porta che fanno la loro brava sortita nella Florence by night. Rientrano più tardi, vado ad aprire la porta che avevo chiuso e… non sono soli. Sono in compagnia di 3 transessuali purtroppo from brazil (a quel punto sarebbe stato meglio from transylvania, ma tant’è…), probabilmente raccattati da un locale brasiliano a 100 metri da qui (ora chiuso da un 5-6 anni, ma allora – ahimè – in piena attività). Mi trovo in una situazione imbarazzante, e non so come reagire. Balbetto e chiedo i documenti ai trans, i quali, ovviamente, non ce li hanno. Nel frattempo i 5 ragazzi parlano tra loro e mi rendo conto di non capire niente di ciò che dicono: napoletano stretto. Anzi, puro. Parente prossimo del cardassiano. Comprendo molto di più il dialetto di Osaka. E lì mi azzardo a dire che “senza documenti non posso far salire nessuno che non sia cliente….”
L’avessi mai fatto.
Il più grosso dei 5 mi si piazza davanti.
E’ una cosa enorme, potrebbe essere il linebaker dei New England Patriots, e probabilmente lo è. Al posto delle braccia ha due obici da campagna crucchi, quelli che martellavano Verdun giusto un secolo fa; in più pancia prominente sotto due pettorali da culturista: gli addominali per lui non esistono, solo bilancieri e manubri. Ho come la sensazione di stare per diventare uno di quegli attrezzi ed in un attimo il mio imbarazzo iniziale diventa terrore puro; perdo 170 cm così, in un secondo, e comprendo quel che provò il Dottor Lemuel Gulliver quando arrivò nel paese di Brobdignag. Sono praticamente congelato di fronte al capo ultras del San Paolo, e pare anche dell’umore di quando il Napoli di Maradona perse dal Milan di Sacchi.
Poi, nella mia lingua madre, mi dice, in tono imperioso da non ammettere repliche:
“Le ragazze sono con noi”
“V…v….v…..va…b….b….be…be…bene….”
Ma non mi muovo di lì. Mi è impossibile fare anche un centimetro in qua o là, sono totalmente paralizzato. Lui tira fuori dalla tasca un rotolone di banconote, centinaia di fogli arrotolati a cilindro, tutti di colore giallo. Sfila una della banconote, mi prende la mano, me la apre con il palmo rivolto all’insù, ci appoggia sopra questi 50 euri e la richiude. Mi do un buffetto sulla guancia, poi, con un gesto deciso, mi sposta di lato.
Una barbie avrebbe avuto più vitalità.
Mi passa davanti tutta l’allegra comitiva, e gli unici che mi salutano sono i brasiliani.
Tono languido. Baritonale.
“Ciaaaao”
Io resto lì come un baccalà per una decina di minuti, incapace di intendere e volere, poi lentamente mi riprendo dal torpore. Rientro nell'albergo, chiudo a chiave ed inizio il mantra del portiere di notte: speriamononsuccedanientesperiamononsuccedanientesperiamononsuccedaniente…
Si sente un po’ di viavai per i corridoi e porte che si aprono e chiudono, ma nessun rumore trascendentale, tutto sembra andare piuttosto bene, fino a che non sento chiacchiericcio (maschile) in portoghese. Salgo: due trans si sono messi a chiacchierare sui divani nel pianerottolo davanti all’ascensore. Gli chiedo se possono scendere nella hall (che non mi sembra il caso che se ne stiano lì, dato che ci sono camere vicino ed il chiacchiericcio si può sentire). Molto gentilmente, acconsentono. Chiedono anche scusa per il rumore. Persone tranquille. La cosa mi rincuora profondamente, anche se manca all’appello ancora un trans. Per il momento questi li metto in sicurezza dabbasso, e li invito ad entrare nel bar, che la notte è al buio assoluto perchè spengo ogni luce.
“Prego, se vi mettete qui in silenzio vi offro un caffè”.
L’avessi mai fatto.
“Obrigado! Tu sei muito gentile…”
E mentre sono lì che preparo i caffè, uno di loro viene dietro il bancone del bar, mi si avvicina, mi guarda negli occhi (ed io che guardo senza capire, come un deficente) … ed allunga la mano verso il basso, direzione: il mio compagno di vita sessuale.
Mi risveglio dal torpore e, istintivamente, mi ritraggo. Schienata contro la macchina del caffè.
“Nonono, guarda, ti ringrazio, ma non mi interessa. Ti faccio tutto il caffè che vuoi, ma solo quello, davvero. Sono affetto da evidente e conclamata eterosessualità. Ma apprezzo l’interessamento, come avessimo già fatto”.
Lui (malgrado il trucco e gli ormoni, non riesco ad usare il pronome personale femminile, spero comprenda) è visibilmente deluso “Peccato, un così beu ragazzo…” Grazie delle belle parole, la mia ragazza (oggi moglie, nda) è d’accordo con te, riferirò questa uniformità di pensiero.
Era meglio di no, la Sara mi prende per il c**o ancora oggi (lei ha facoltà. Voi, no. Comma 3 del decreto presidenziale di cui sopra, nda).
Preparo i caffè e me la svigno al bancone.
In quel momento scendono dei clienti: partenza mattutina. Attimi di terrore, spero che non vedano i trans, che figuraccia ci si farebbe (e ci farei io). Ma i due brasiliani si infilano nell’angolo più buio del bar, in silenzio. Impossibile vederli dal bancone. Ho come la sensazione che non siano nuovi a questo tipo di situazione. Faccio il check-out ai clienti. Normalmente a chi parte presto la mattina e non può quindi usufruire della colazione offro sempre un caffè, ma con questi non mi azzardo. Loro non me lo chiedono. Pagano, gli chiamo il taxi per l’aeroporto ed alla via così.
Mi rilasso, dopo qualche minuto scende anche l’ultimo trans; ha due tette enormi, ed una voce più femminile degli altri due; indubbiamente non ha lesinato in quanto ad ormoni ed interventi chirurgici. Si mette a chiacchiera con i due amici, al che, essendo quasi le 5 e dato che a momenti sarebbe arrivata la ragazza delle colazioni, mi avvicino:
“Vi chiamo un taxi?”
Traduzione: “quando vi levate dai 3 passi?”.
Capiscono subito.
Vai col taxi, arriva in due minuti. I 3 escono. Li osservo dalla vetrata, e prima di salire sull’auto uno dei 3 mi guarda e si passa la lingua sulle labbra. Un gesto che mi ha sempre fatto ridere più che provare eccitazione, ma dopo una nottata del genere mi aiutò a rilassarmi, perché significava che anche quella disavventura era finita. Il taxi parte ed io mi sfogo nell’unico modo possibile in quel momento: un facepalm di dimensioni colossali.
Certo, rimane sempre mia moglie, che quando vuole prendermi in giro (un paio di volte al giorno) abbassa il tono di voce e mi fa “Ciaaao”, per poi passarsi la lingua sulle labbra, ma tant’è, questo è quel che mi tocca quando si deve condividere tutto con una donna come la Sara. Ma quello è il meno. L'importante è che non mi capitino più eventi del genere. Ma dato il mio lavoro, non ci giurerei.
Ciaaaaoooo.

mercoledì 27 novembre 2013

Io non sono il tipo da mance. Le apprezzo, certo, ma non sono 10 o pure 20 euri che mi cambieranno la vita. Sono molto più felice quando mi regalano piccoli oggetti, come un pupazzetto di Koala da parte di clienti australiani (purtroppo divenuto preda delle bimbe), od una maglietta con il disegno di un B-17, spille varie, od un cavatappi con l'effige del Canada (che tutt'ora uso per aprire le bottiglie, benchè ne abbia già uno comprato alla cooppe). Oppure quando mi scrivono semplicemente due righe su un foglio per dire che hanno apprezzato il mio lavoro e che la loro vacanza a Firenze è stata bella e memorabile grazie al mio aiuto ed ai miei consigli. Ho tutta una serie di fogli di questo tipo che conservo gelosamente, ed ogni tanto scannerizzerò per metterle sul blog (perchè sono un maledetto narcisista e ci godo abbestia).
Ma quello che mi hanno lasciato dei clienti l'altro giorno è qualcosa di memorabile.
ps. ovviamente sul jpg ho cancellato numeri e nomi vari, ma se dal 7 gennaio scompaio, saprete dove sono: a Miami, Usa. 




lunedì 25 novembre 2013

Faccio il portiere d'albergo. Due volte a settimana mi tocca la notte (qualcuno deve pur farlo, direbbe John Barsad).
Scordatevi i luoghi comuni sui portieri di notte.
Non è vero che passiamo notti di fuoco con MILF yankees assatanate di rudi maschi italici.
Non è vero che ce la dormiamo nel retro.
Passiamo le notti a controllare i conti e vediamo passare davanti a noi la gggente. Spesso brutta gggente. Perchè passare la notte nel centro di una città d'arte italiana non vuol dire acculturarsi ed elevarsi spiritualmente. I pirla rimangono pirla, soprattutto se fanno di tutto per rimanere tali. E fanno venire una gran voglia di riattivare i treni per la Siberia, sola andata.

In questo albergo ci sono due ingressi, uno normale uno con il maniglione antipanico, sono uno di fianco all'altro. All'una chiudo l'ingresso principale con la chiave. Chi vuole rientrare basta che bussi o suoni il campanello.
Non lo fa mai nessuno.

Una coppia giovane, straniera. Alti, belli, hanno tutto il meglio della vita. Soprattutto lui. Perchè lei è ... come descrivervela?
La lama di luce di un faro in una notte di burrasca.
La fresca brezza che spira sui monti del Pratomagno in un giorno d'agosto.
Il tuffo di Gian Matteo Mareggini a deviare il rigore e regalarci la vittoria sulla juve.
Insomma, una bimba niente male, ecco.
Non suonano il campanello e tentano di aprire la porta principale. Sento i rumori ed arrivo, gli apro l'ingresso secondario. Lei entra. Minigonna uterina, il mio unico neurone lancia urla belluine. Lo accuccio nel mio maschio vuoto cerebrale rammentandogli che a) sono felicemente sposato e b) lui ha le spalle mooolto grosse.
Ma il proprietario delle spalle mooolto grosse non entra.
Fissa il portone principale. Non capisce perchè è chiuso.
Prova a riaprirlo. Niente. E' ovvio, bischero, è chiuso!
Ma lui riprova, si interstardisce, comincia a sbatacchiare la maniglia.
Lei esce, lo prende sottobraccio e lo fa entrare dall'ingresso secondario. Lui, completamente inebetito, osserva il mondo nuovo: un ingresso aperto, un angelo che lo guida all'interno, un portiere italiano che guarda sbigottito come si può ridurre chi ha cotante fortune.
Vengo investito dai vapori di una distilleria irlandese, talmente densi che il collega del mattino, al cambio turno, penserà che mi sia scolato tutto il bar nottetempo.
Loro entrano in ascensore, io, chiudendo la porta, continuo ad essere convinto del mio pensiero:
Siberia, sola andata.

venerdì 22 novembre 2013



Non ti vuoi lavare? Ok, ma se ti scappa la pipì?
Qualche mese fa avevamo in albergo la signora Miaomiao, dalla Cina con tante fusa (almeno così mi immagino). Così per curiosità ho controllato le pratiche delle vecchie prenotazioni, che da due decenni noi (soprattutto la mia collega Cinzia) mette da parte quando ci sono nomi “buffi”. Lo so che sarebbe leggermente contro la privacy, ma ci garba…
Quindi, in questi anni abbiamo avuto:
Segalovich (non ricordo se era cieco o meno);
Paniagua (sta a dieta);
Condom (safe sex);
Deogracias;
Fonzi (è stato da noi due volte, happy days in Florence);
Omogrosso;
Cehata (la ‘un ci vede bene);
Usami (se ne vali la pena…);
Kako (ai giappi piace informarci di queste cose, avevano anche una nave da guerra con questo nome);
Mehrdad;
Pirla;
Rompolas (pelotas?);
Trombitas;
Rock Yeh;
Killer (brrr...);
Favagrossa;
Tennis (sportivo);
Cazzin;
Scassa;
Bisker;
Lamorte (brrr2…)
Lekhakula (La Finlandia regala sempre delle gioie)
Ed il mitico signor Juve (sudamericano), sulla cui pratica l’ex direttore scrisse “gobbo, dare camera brutta!”.
Ma la cosa più bella sono i commenti che a volte scrive Gianni sulle pratiche, come quella su una ragazza americana venuta a Firenze a trovare delle amiche studentesse: accanto al nome aggiunse “tipa notevole, amiche notevoli”.

mercoledì 20 novembre 2013

Qualche giorno fa espressi la mia critica più feroce nei confronti di due rappresentanti (troie) della popolazione russa del terzo pianeta (di classe M) della stella chiamata “Sole”.
Sabato ero di pomeriggio, e rientrò in albergo una biondina russa.
Carica di borse di ogni tipo.
Clienti del genere purtroppo esistono ad ogni latitudine, ma questa è di quel tipo che ti fa capire perchè abbiano perso la guerra fredda, e ti stupisce del fatto che siano riusciti a vincere quella precedente, creando i T-34 che Katyusha e la Nonna muovono contro la Oarai school. Proprio uno non se ne capacita.
Immaginatevi di veder arrivare in albergo la tipa ed il marito, con le valigie, pronti al check-in.
Tu li accogli con il sorriso a 68 denti, ed esprimi il tuo miglior “buongiorno”.
Silenzio tombale. Cespugli di paglia che rotolano.
Cos'è che vi rode? Per quale motivo apparite sempre così incazzosi?
Perchè avete scomesso per 70 anni in un'idea che ha miseramente fallito?
Perchè il vostro capo è ancora saldamente al comando e non avete una legge Severino che ve lo levi di torno?
Avete scoperto che la vostra vodka preferita è made in China?
Il CSKA ha preso 4 gol in 15 minuti dal Novosibirsk?
Poi ecco alcune parole nella lingua di Tolstoj: lui dice qualcosa a lei, lei fruga nella borsa. Oggetti di ogni tipo appaiono sul bancone: una mezza dozzina di cellulari/tablet, caramelle, fazzoletti (anche usati), fogli di ogni tipo con scritte in cirillico...
Tu non disperi: qualcosa arriverà: un sorriso, un “sorry, i don't find my reservation”, qualcosa che esprima un minimo di umanità... e quando sei lì per chiedergli “Under which name you made your reservation?” la tipa finalmente si esprime:
“Do you have free wi-fi?”
Ecco, lì i tuoi attributi crollano. Si sente il doppio “toc” della loro caduta sul pavimento. Ti rendi conto che mille anni di gloriosa storia culturale, di monumenti fantastici, di opere d'arte immortali sono appena stati buttati nel cesso, e neanche un 4-2 potrà risollevarti il morale.
Il succo di tutta la loro vacanza è avere il wi-fi.
E poi, ovviamente, lo shopping.
Mi rendo perfettamente conto che costoro contribuiscono a pagarmi lo stipendio, il mutuo e la pastasciutta a me, moglie e figlie, ma niente mi dà più piacere degli anglosassoni che arrivano e pur postando subito su internet “So excited to visit Florence” ti danno così tanta soddisfazione quando gli dai la mappa della città e gli chiedi “First time in Florence?” e loro dicono si, sorridendo felici perchè sono in meritata vacanza e pendendo dalle tue labbra in attesa di sapere cosa visitare. Se hanno vinto, ci sarà un perchè.
Ma questi proprio, soddisfazione zero. Sempre sorridendo gli smolli il codice wi-fi, la mappa e la chiave. Siete solo tra i tanti, mi scorderò di voi presto.
Ma questa alla fine no.
Stavo dicendo: la tipa mi rientra in albergo, con una dozzina almeno di borse per acquisti. Senza un buonasera od un per favore chiede la chiave e si avvia all'ascensore.
Quindi resta ferma lì dentro.
Sulla prime non ci faccio assolutamente caso, perchè sono intento ad inserire prenotazioni e/o controllare le pratiche di chi deve ancora arrivare, quando da dentro l'ascensore arriva un lamento:
“I don't understand”
?????
Mi avvicino all'ascensore. Signora, cos'è che non andestenda?
“I don't understand, what should i do?”
Posso umilmente consigliare un seppuku? Lei ha una chiave, è qui da un paio di giorni, sa a che piano si trova la sua camera ed ha davanti a lei tanti bottoncini corrispondenti ad ogni piano. Esistono gli ascensori in Russia? Ve la fate tutta a piedi? Usate i Vostok per salire ai piani superiori?
La tipa resta lì dentro come un'allocca per un istante lungo un'eternità, ed osserva scocciata la pulsantiera.
Il portiere, appena fuori dall'ascensore, la osserva e spera che l'ascensore si animi come nell'omonimo film.
Ma gli spiriti dei grandi russi, da Tolstoj a Tschostakovich, dal Maresciallo Zukov a Gagarin, decidono che ne hanno avuto abbastanza, e dall'aldilà penetrano nella mente della loro concittadina urlandogli “molla quelle stupide borse e premi quel ca**o di pulsante!!!”.
4 borse da shopping con la scritta Gucci cadono sul pavimento, il bottone viene premuto e le porte dell'ascensore finalmente si chiudono.
Ed allora il portiere può rilassare la faccia e porre la mano sul viso in un facepalm di dimensioni storiche.

lunedì 18 novembre 2013

C'è una cosa buona nell'assenza del reato di coglioneria acuta dal nostro codice penale: l'impossibilità di essere condannato per tale reato. Si, lo ribadisco al mio avvocato – che sta leggendo – non c'è speranza: la condanna sarebbe totale e definitiva, senza grazie presidenziali. Death man walking, sayonara al Vostro marce jap-po-rtiere. Anzi, sicuramente rinuncerebbe a difendermi. Probabilmente neanche l'avvocato di Priebke accetterebbe. Forse Ghedini e Taormina... mmh... no, neanche loro.
Fine settimana di centrale: non sono al bancone a servire i clienti, ma nel retro, a scaricare la posta e rispondere alle mail, stampare le prenotazioni, ricontrollare gli arrivi dei prossimi giorni, ed ovviamente rispondere alle telefonate di richieste di disponibilità. Personalmente preferisco stare al bancone a contatto con i clienti, ma mi piace anche avere l'opportunità di questo turno, dove sono in un ambiente decisamente più tranquillo, a sedere invece che in piedi e fare così un cambio di mansioni, un lavoro diverso, oltre al fatto che mi piace la sensazione di decisionismo che dà il poter modificare le tariffe dell'albergo su tutti i siti con un semplice click.
Arriva una telefonata, clienti abituali, che arrivano tutti gli anni per danza in fiera, rassegna delle ultime novità dei ballerini (non sono molto esperto nel settore, benchè le bimbe abbiano fatto gioco danza quando avevano 3 anni. Tutta la mia conoscenza di classica di ferma al lago dei Cigni del film Top Secret, mentre per quella moderna non vado oltre a Travolta e la Thurman di Pulp Fiction).
La signora dall'altro capo del telefono chiede disponibilità e tariffe, quindi vado a controllare.... WTF? Perchè non trovo queste date? Il programma è andato in tilt? Hanno dimenticato di inserirle? Il guaio è che la signora attende una mia risposta, e mi trovo in un grave momento di imbarazzo... non so che tariffa dirgli!
“Sa, noi parliamo ogni anno con Nadia”
Ecco l'appiglio che mi serviva, l'assist di Cuadrado per Pepito che insacca. Si chiama Nadia, risolve problemi.
“Benissimo signora, allora facciamo così: io prendo i suoi dati e lascio la comunicazione alla Nadia, così la contatta e le fa l'offerta migliore.” Alè, l'ho sgamata anche stavolta. Prendo il numero telefonico della cliente e scrivo tutto sul foglio prenotazioni, tutto in bella vista per la capa ricevimento che torna al lavoro lunedì. Riattacco e mi concentro sulla griglia tariffaria: perchè diamine ci sono dei quadrati neri sui giorni che mi chiedeva la clie....
La farò breve.
Non mi dilungherò troppo sul reato di coglionaggine acuta di cui sono stato protagonista.
Un errore capita a tutti.
Ok, forse tutti tutti no, ma ci sarà pur stato qualcun altro, su questo corpo celeste, che non si è reso subito conto che le tariffe non c'erano per il semplicissimo motivo che mancano proprio i giorni, a Febbraio.
Ora vado.
Il plotone di esecuzione mi attende.

sabato 16 novembre 2013

Oggi, sabato 16 Novembre, per la XXVII edizione di giochi senza frontiere, è partita la gara di “facciamo confusione davanti al bancone e rendiamo sordo il portiere”. Ecco le nazioni in gara ed i loro partecipanti:
Spagna: 4 signore attempate che appoggiano 4 mappe aperte su tutto il bancone a mò di lenzuolo con tanto di briciole degli avanzi delle colazioni e macchie di caffè: “Estamos acquì? Done hay la plaza Michelangel? Y esto, que es? Mire, niñas, tenemos que ir a los Uffizi, coño!” un quarto d’ora di berci tra loro a chi grida più forte su dove andare e cosa visitare, ed un quarto d’ora a segnare sulle mappe la posizione dell’albergo e dei monumenti che vogliono visitare su ogni mappa. Faticavo meno a scrivere a mano l’intera Divina Commedia. Eccole, le vere “furie rosse”, altro che Iniesta & co. Ma perdono punti in classifica perché sono cortesi, ringraziano e sorridono. Meritano la spesa delle camere ed il sorriso del portiere.
Brasile: “Florencia, muito linda!” 7 persone che fanno casino per 70. Anche per loro, punto di ritrovo al bancone: manca una persona, in che camera è il signor Joao? Ehm, signore, mi dovrebbe dire il cognome, la lista clienti è ordinata per cognomi. Il cognome è Pereira (inventato, nda). Ovviamente non risulta nessun Pereira nella lista. Si prende la lista e si controlla tutti i cognomi, su un centinaio di presenti in hotel. Alla fine si trova, ovviamente era un altro cognome. Uno dei brasiliani chiama in camera, ma nessuno risponde. Il signore cercato improvvisamente appare: era fuori a fumare, davanti all’ingresso. Ma nel frattempo una delle componenti del gruppo è risalita a prendere qualcosa che aveva dimenticato in camera (la macchina fotografica, un ombrello, un panzerfaust). La ricerca ricomincia daccapo. Ma anche loro non sono primi perché sorridono e dicono buongiorno.
Regno Unito: il solitario giocatore arabo-inglese si piazza davanti al bancone e comincia a parlare in arabo per mezz’ora. Ora, a me importerebbeunariccasega; è che non sorride e non dice buongiorno. Quindi si piazza al secondo posto, ma prima c’è la
Grecia: i greci giocano il “fil rouge” con la bellezza di 10 camere ed una ventina di opliti/e a cui non va bene niente: questa camera non mi piace. La cambiano. Il giorno dopo: neanche questa mi piace. Altro cambio. Stessa cosa il terzo giorno. Stessa cosa per altre due camere. Ovviamente, anche per loro vale il punto di ritrovo di cui sopra, con persone che entrano ed escono in continuazione per uscire a fumare, oltre a dare la chiave salvo poi riprenderla per tornare in camera, anche loro a riprendere qualcosa lasciata su (dai la chiave, rendi la chiave). La gara di urla si fa serrata: “Efkarisos, endaxi, kalimera, parakalo” urla la madre a 164 decibel in direzione della figlia che sta risalendo in camera a prendere un discobolo o la torcia olimpica o la chitarra per suonare il sirtaki, o forse gli sta solo riconrdando che “This is Sparta!”, tanto non li capisco. Probabilmente mi hanno preso per Serse. Ma avrei preferito Cosmi, nell’interpretazione che ne dà Crozza, chiaramente. Anche loro poco educati, perennemente musoni, casinari incredibili. Forse il fatto che non riescano più a mantenere l’ordine di quando marciavano per il mondo in falange serrata spiega perché non siano più la potenza di un tempo. Ma può esserci di peggio: sono in arrivo 4 camere dei loro perenni nemici: i turchi.
Ma tanto ho staccato alle 15. Tiè!

venerdì 15 novembre 2013

Ci sono dei momenti durante i quali il comunismo mi manca. Ma non tanto a me personalmente, quanto vorrei rivederlo in russia (minuscolo intenzionale). Ma in generale, qualsiasi cosa che costringa i russi a starsene entro i confini del loro immenso paese, impedendogli di uscire a fare danni e soprattutto stracciare i maroni.

Turno di notte, ore 3. Aprono la porta. Cioè, tentano di aprire la porta, chiaramente chiusa per sicurezza. Il campanello, ovviamente, è un’opzione ininfluente, ma dato che non dormo sul lavoro e sono sempre al bancone, gli apro subito.
Entrano due russe, mezza età ma vestite molto appariscenti, con gonna sopra il ginocchio e stivaletto tacco 27, forse più. Soprattutto, moine da femme fatale modello “su 654 miliardi di donne di questo quadrante stellare, ce l’ho solo io”. In mano porta un cesto di rose delle dimensioni di un modellino dell’astronave Enteprise in scala 1:1.
Fuori, a salutarle, due italiani, gli acquirenti delle rose. Quasi certamente l’ambulante da cui le hanno acquistate avrà telefonato a sua moglie in Bangladesh “Mia adorata Viippura, sono tuo marito Kumar! Abbiamo i soldi per l’operazione alla bambina ed aprire la nostra rosticceria indiana, ti ho spedito i biglietti aerei, ci vediamo ad Amburgo tra due settimane, dove cominceremo la nostra nuova vita”. Spero che questa spesa ne sia valsa la pena, pensavo mentre richiudevo la porta d’ingresso lasciando fuori i due miei connazionali. Bona cisi, ma secondo me trovavate di meglio.
Le signore russe entrano nella hall chiacchierando nel loro idioma con fare civettuolo. A me importaunariccasegac’hodafare. Torno nell’ufficio nel retro a sbrigare le pratiche della notte: inserire prenotazioni, emettere fatture, fotocopiare, archiviare, ecc (alla faccia di chi pensa che di notte ‘un si lavora).
Ma le nipotine di Putin (anzi, le zie, data l’età) non salgono in camera a dormirsela. Girellano per la hall chiacchierando: TukachevskiRokossovksiComefosse’antanoskiScappellamentovadestroski… ci passano una buona mezz’ora, mentre io apro e chiudo faldoni. Finalmente la piantano e si levano dai 3 passi, e me le vedo passare davanti mentre vanno all’ascensore.
“Buonanotte”
Neanche esisto. In compenso la tipa con i fiori si appoggia sulla porta dell’ascensore e si mette in posa; l’amica la fotografa, ne viene fuori un’immagine da copertina del dvd “Rocco e la carica delle 101 milf russe”; ecco che facevano a giro della hall: si fotografano con il mazzone di rose. Evvabbè, ognuno a le sue manie, che male c’è? Poi la hall è bella, divani in pelle, pavimenti in marmo… gran gusto, diciamolo. Il portiere apprezza. Lavoro in un bel posticino.
Eppure c’è qualcosa che non capisco. Quel mazzo mi sembrava più grande, quando sono entrate….
E’ notte, sono stanco e cotto come un fegatello, sounasega.
Dopo qualche minuto che le signore sono salite, mi prendo una pausa per caldo e bollente liquido nero. Mi dirigo verso la macchina del caffè, passo per la hall e….
….
Ira funesta che mi sale al cervello.
Mi attacco al telefono. Mi passi la cancelleria di Berlino, ORA! Frau Merkel? Mi riattivi le fabbriche Krupp, all’istante, e metta in produzione carri Tigre, Panther ed pure i Maus. E riapra gli arruolamenti per la Wermacht, voglio 10 milioni di suoi concittadini per un altro Barbarossa, ma stavolta non ci si ferma che a Vladivostok, non fino a Stalingrado come la volta precedente. E si asfalta tutto quel che c’è nel mezzo!!!!

Sono in mezzo alla hall.
Ovunque, sia per terra che sui divani, dozzine di foglie e petali di rosa. A centinaia. Si sono fatte le foto con i petali.
Lascio perdere il caffè, sono già abbastanza nervoso. Sacco della spazzatura. Vuoto, ma dopo un venti minuti sarà pieno zeppo. Comincio la ripulitura. Anche questo è lavoro di notte, non posso mica lasciare questo zozzume russo a giro. Il facchino arriva alle 7 ed alle 7 c’è già chi scende per le colazioni. O per partenze. Che figura ci si farebbe? Quindi: il portiere di notte pulisce. Il portiere di notte maledice la russia. Il portiere di notte vorrebbe essere Obama per premere il bottone di attacco termonucleare globale, e la commissione di Oslo che assegna il premio nobel della pace comprenderebbe.

Poi mi passa, ma intanto per stasera il paese più grande del pianeta è stato polverizzato. Nella mia mente è terra bruciata, i suoi abitanti sterminati senza pietà. A cominciare dalle milf civettuole.
Portate rose sulle loro tombe. Un intero sacco.

giovedì 14 novembre 2013

L’amore è una cosa meravigliosa.
L’amore può accecare, farti perdere il senno, farti vedere bellissime cose orribili.
Ma l’amore bisogna anche meritarselo.
Quando qualcuno vi ama con tutto il suo cuore, chiedetevi: cosa ho fatto per meritarmi tanto? Quali incredibili qualità sono emerse dalla mia mediocrità per avere questa dimostrazione di affetto?

Ultimo arrivo della giornata. Coppia danese di mezza età. Booking NR.

Entra il marito, un po’ agitato.
No.
Un po’ TANTO agitato.
Ok, lei ha la prenotazione. Si, una bella camera con magnifica vista, quinto piano. Si vede San Lorenzo ed i’cupolone (il Duomo, nda). Sorride, ma rimane agitato. Oh, ma sei in vacanza, camomillati. Macchè, niente. Mi agito anch’io. Ora gli dico della tassa di soggiorno, vedraì s’incacchia. Mi preparo.

Your room is payed, but you still have the city tax. 3 euro per person per night…”

E lui, sfoderando finalmente un enorme sorriso, fa partire un vocione nordico da tenore wagneriano.

“Everything to support Italy!”

Meritiamocelo, ragazzi. Meritiamocelo.


mercoledì 13 novembre 2013

Voglio dirlo bene e concisamente, affinchè tutti voi capiate: io amo i turisti. Li adoro quando arrivano in albergo, sorridono, dicono “buongiorno” (perchè l'educazione è sempre e comunque il punto fondamentale del rapporto tra esseri umani) e pendono, letteralmente, dalle mie labbra: sono in attesa di sapere cosa visitare. E' questo che mi rende orgoglioso della mia città, felice di essere fiorentino: vengono a vedere i monumenti che i miei avi hanno creato. Ed io gli devo dire dove stanno e come fare per arrivarci. E' la cosa stupenda di questo lavoro; certo, ripetitivo (diciamo le stesse cose a tutti i clienti) ma è e rimane un privilegio assoluto.
Ok, d'accordo: noi loro pronipoti non siamo all'altezza. Lo ammetto. Loro hanno impiegato meno anni a tirare su monumenti o creare opere artistiche che noi a fare un paio di linee di tram. E poi a dirla tutta io non sarei neanche fiorentino al 100%: i miei avi vengono tutti dal Pratomagno, e lassù, più che creare monumenti, si creavano carbonaie. Ma vabbene, un po' di storia è passata anche da lì quando, nel 1289, l'esercito fiorentino si fece il passo della Consuma per andare a suonarle agli aretini a Campaldino. Qualche stupro ci sarà stato sicuramente. Dopo 8 secoli, eccomi qua, a decantare l'arte di queste merd... ehm... di questi Grandi Fiorentini.
Ma purtroppo ci sono anche i turisti che tali non vogliono essere, e pare che arrivino qui solo per un motivo: rompere il ca**o al portiere.
L'Incubo (con la i maiuscola) si è materializzato poco fa: americano 60enne. Esce dall'ascensore a mezzanotte. Alto, grosso, baffoni biondi, vestito elegante ed occhiali da sole. Non se li leva mai. Trascina i piedi ed ondeggia da un lato all'altro. Mi si avvicina e comincia a parlare.
Ora, io mi ritengo uno che parla abbastanza bene l'inglese, ma questo qui comunica in cardassiano.
Non capisco mezza parola.
Mi guarda (almeno penso, dato che porta gli occhiali da sole). Ricomincia a parlare.
Niente, non capisco cosa vuole dirmi. Biascica le parole come solo i texani sanno fare, quindi presumo venga dalle parti di Houston. Forse dovrei chiamarli: "Houston, abbiamo un problema. Venite a riprendervelo". Continuo a non capire che voglia dire. Ma lui insiste.
“I need booze”
Vuole bere. Ok, fin qui ci siamo. Ma non mi sembra ridotto tanto bene, barcolla che sembra stia per cadere da un momento all'altro. E' già mezzo sbronzo, puzza di alcool e tabacco, ha la bavetta agli angoli della bocca. Mi guardo bene dal dirgli che potrei servirgli il booze, non mi pare il caso che ne ingurgiti dell'altro. Lui insiste, ma non ho punta voglia di interagire; mi chiede un bar, così gli do una piantina e gli indico dove sta l'hotel e dove può trovare un pub. Lui prende la mappa e la rigira di 360°. No, non ci siamo ciccio, l'albergo è qui. Lui riprende la piantina: nuova rotazione, poi punta il dito su Santa Croce. Per 3 volte gli indico dove stiamo con l'evidenziatore, e lui continua a puntare il dito in posti diversi. Alla fine ci rinuncio: si, siamo dove più ti piace (wherever you wish). Esce. Secondo me non torna.
Invece rientra dopo mezz'ora. E si mette a chiacchierare al banco.
Ecco, l'Incubo. Il cliente mezzo matto che parla ed io non lo comprendo, e c'ho anche da lavorare. Allargo le braccia. Ma lui insiste, non demorde. Mi racconta ¾ della sua vita, ed io niente, capisco solo la parola “wife”, e quando la pronuncia indica in alto. La moglie l'ha portato in vacanza e lui non ci voleva venire, così ora lei è in camera che dorme mentre lui si annoia a morte, ma ha trovato lo sfogo: il sottoscritto.
Riesce, fuma un'altra sigaretta, rientra e biascica ancora in qualche lingua sconosciuta, mi sembra di essere in un film slovacco con sottotitoli in cirillico. Forse capirei di più.
Ad un certo punto decido di ignorarlo. Mi rimetto a lavorare. Lui resta lì e parla, parla, capisco solo “you know...”. No, ciccio, non nouo un bel niente! Ma te ne vai a dormire????
Si sposta vero la hall. Ondeggia a destra e sinistra, sembra che stia per perdere l'equilibrio da un momento all'altro, sembra una nave con Schettino al timone. Raggiunge un divano e si siede. Poi si rialza e torna a parlarmi. Poi riesce a fumare, e mi tocca tornare ad aprirgli la porta. E poi rientra. Così via una dozzina di volte, costringendomi a continue interruzioni sul lavoro. Giuro, se non fosse per il mutuo, mi licenzierei all'istante.
Cercate di capirmi: io gli americani (sopra i 20 anni) li adoro. Sono curiosi, aperti, grandi viaggiatori, le hanno suonate ai nazi. L'unica vera amicizia che ho fatto tra i miei clienti è Regina, una simpaticissima ed adorabile signora americana che viene da noi tutti gli anni (vuole sempre la stessa camera) e porta i mitici jelly belly per le mie bambine. Ma questo chi l'ha sciolto? E' lo zio scemo della Palin?
Purtroppo non è la prima volta che mi capita una cosa del genere. Un anno fa ci fu una russa, che se ne stette tutta la notte a parlarmi nell'idioma di Stalin senza che io capissi che voleva. Probabilmente voleva solo sfogarsi dei suoi problemi familiari, o forse mi diceva quel che mi avrebbe fatto sessualmente se non avessi dovuto stare alla reception, o forse sputava (sorridendo) tutto il disprezzo che provava verso noi italiani. Non lo so e non mi interessa, mi bastava che se ne andasse, ma lo fece solo quando arrivò la ragazza delle colazioni: le 6 del mattino. Io lavoravo, testa bassa sul computer, lei blablabla. Un incubo, appunto. Più carino certo, ma sempre incubo.
Un'altra occasione fu nel 2006, con un ragazzo giapponese, ma in quel caso ci potevo parlare, oltre al fatto che voleva discutere solo di calcio, e dopo un paio d'ore non ne potevo più, così lo piazzai al computer dove scoprì, su wikipedia giapponese, che la sua squadra del cuore, la juventusse, era in serie B per il calcio scommesse. Ma come: tifi per la juve e 'un tu sai neanche che venne retrocessa d'ufficio? Io lì per lì non glielo volevo dire, mi spiaceva, ma poi dopo due ore di discussione volevo levarmelo di torno. Ci rimase piuttosto male, ma ci restai peggio io s'alzo dal computer e venne a chiedermi la distanza da Firenze di tutte (tutte, proprio tutte!) le città delle squadre di B di quella stagione, perchè voleva andare a vedere i bianconeri. Raga, posso assicurarvi che quando un giapponese fanatico di calcio non capisce che da qui a Crotone sono parecchi chilometri, e non li si può fare andata-partita e ritorno in un giorno, non importa quanto uno studi il giapponese e glielo spieghi: non lo capirà. Ma per fortuna dopo quel turno ero di riposo, e non lo rividi mai più. Ma stracciò i maroni anche ai miei colleghi.
I migliori di tutti, come sempre, sono gli spagnoli. Una mezza dozzina di coppie bercianti che mi coinvolsero a mangiare queso e jamon tra risate sguaiate e “¡joder!” o “¡coňo!”, ed ovviamente vino rosso a fiumi. Alla fine del turno avevo la testa che pregava per provare la ghigliottina, ma almeno mi divertii.
Ne ho avuti altri di casi di persone che sono state ore a parlare con me, molto spesso americani soggetti al jet-leg, il cambio di fuso orario, ma persone simpatiche con inglese comprensibile, e comunque non tutta la notte. Ma questo...
Portatemelo via, vi prego!

martedì 12 novembre 2013

Personalmente non sono mai stato un “animalaro”, cioè un forte amante degli animali. Credo che occorra molta pazienza ed attenzione per starvi dietro, sia che si tratti di pesciolini che di tirannosauri (mi rendo conto che è piuttosto improbabile avere un t-rex come animale domestico, ma è per rendere l’idea…). Ho sulla coscienza almeno paio di pesci rossi, a cui rese giustizia il morso di un pastore crucco alla mia coscia sinistra, morso a sua volta vendicato dai 3 giorni a Seoul nel 1998 dove, con molta probabilità, mi venne servito il cane (ma non lo richiesi. Andavo a caso sui menù scritti in hangul).
Non fraintendetemi: mi piacciono gli animali, ma preferisco osservarli più che dovermene prendere cura, perché so che non ne sarei molto capace, oltre al fatto che poi mi ci affezionerei e mi dispiacerebbe quando arriverebbe l’ora del loro trapasso. Ricordo ancora quando morì Mao; non Tse-Tung, ma il gatto di mia moglie. Ricordo i numerosi viaggi dal veterinario quando stava male fino alla sua fine, e la sepoltura. Ora riposa in pace nell’orto di Getica, dentro una scatola da scarpe. Alla Sara viene il magone ancora oggi quando ci pensa, ed un po’ anch’io. Quando lei venne a vivere da me a Firenze il gatto rimase a Pistoia; a Fi lo portammo solo una volta che i miei suoceri andarono 3 giorni a Mortara dai genitori dell'Antonella. Il gatto vomitò nella gabbietta durante il viaggio, e la Sara lo ripulì con molta difficoltà nella doccia (Mao era piuttosto ribelle), urlandogli addosso “Stai fermo, sei sporco di vomito! Puzzi!”. Io in cucina ci ridevo un po' su, ma ripensandoci non posso fare a meno di credere che i vicini non capissero che la Sara si riferiva al suo gatto. Probabilmente pensano ancora che io non mi lavi abbastanza...
Un pomeriggio che lei era al lavoro io mi trovavo in salotto. La camera che ora è delle bimbe ma che allora era adibita a “war room”, con i tavoli imbanditi con le mappe e le pedine di World in Flames. Ero lì al computer quando Mao entra dentro. Girella curiosa qua e là, sotto i miei occhi. Poi guarda in alto verso un tavolo e piega le gambe...
Tono imperioso: “Cosa fai!”
Mao batte la ritirata e si dilegua in cucina. Ci mancherebbe anche che tu mi salissi sulle mappe dell'Asia/Pacifico, a mangiarti il tuo omonimo HQ cinese o peggio ancora la Akagi. Chi ti credi di essere? L'ammiraglio Nimitz? Le Midway non sono cosa per te.
Insomma, con gli animali occorre avere cento occhi, perciò ammiro chi riesce a starci dietro e se ne prende cura con affetto. Ed è per questo motivo che considero responsabili al 90% i padroni, più che i loro cuccioli. Quindi mi inca**o con loro quando trovo i ricordini degli animali sul marciapiede, il classico caso in cui il vero animale è colui che tiene il guinzaglio, non quello che ci è legato. L’animale, poveretto, che può fare? Saunasegalui.
Ma torniamo alle cronahe dai’bancone.
Coppia mista trentenne: lui croato lei serba. In confronto noi Viola siamo gemellati con quelli della juventusse, ma a quanto pare funziona, forse perché lui ha il mercedes e lei la carrozzeria. Hanno un barboncino, tranquillo, piccolo, bianco e carinissimo, non lo si sente fiatare.
Colazioni, ore 7.45. Sono al banco a controllare i sospesi del giorno ed i conti delle partenze (il 70% dell'albergo, essendo domenica mattina). Mi passa davanti il nostro facchino-manutentore Luciano; ad un certo punto lo vedo lanciarsi verso l'ascensore “Il cane!”. E' un attimo, capisco subito quel che sta succedendo: la padrona è entrata in ascensore, il cane è sgusciato poco prima che la porta si richiudesse e salire su, ed ovviamente cane e padrona sono collegati tra loro da apposito cavetto altrimenti detto guinzaglio. Ma se la padrona tiene per la mano il moschettone, dall'altro capo il cane lo ha legato al collo.....
Accorro. Luciano ha preso il cane e lo tiene sollevato verso l'altro, sullo stipite superiore della porta dell'ascensore, perchè il cagnolino si sta strozzando e non riesce neanche a guaire. Tenta di scanciare il guinzaglio ma non ci riesce.
“Prendi le forcibi!”
Mi precipito verso le forbici, che sono nel portapenne.... dall'altro capo del bancone. Mi sembra lontano un chilometro ma lo percorro in un nanosecondo; le agguanto e torno da Luciano, ma per fortuna la signora dentro l'ascensore ha premuto il tasto di stop e poi staccato il guinzaglio dal moschettone. Alla fine solo un grande spavento da parte di tutti, a me sono tremate le gambe dal terrore per tutta la mattinata, se ne accorge anche il padrone del barboncino, che alla fine ci rideva anche un po' su: “Ti sei spaventato, eh?” dì pure che me la stavo facendo sotto. Avevo già visto il cane fare la fine del personaggio interpretato dalla Calamai in “Profondo Rosso”. Occorrono 100 occhi e mille cure. E prendere in collo l'animale se si va in ascensore.
Anche, e soprattutto, per non far star male il portiere.