giovedì 27 settembre 2018

Caro amico pugliese che il 7 Settembre, ore 20.30 circa, ti trovavi sulla superstrada Bari-Brindisi, pressappoco tra Ostuni e Monopoli, direzione Bari:

In realtà non so se tu sia pugliese o meno. Lo dò per scontato perchè la superstrada è frequentata, per la maggioranza, dagli indigeni; esattamente come sulla Fi-Pi-Li ci puoi trovare un monte di toscani. Ma potevi essere un qualsiasi altro deficien.... italiano che, come me, si trovava in Puglia, su quella superstrada, in quella direzione, a quell'ora. E scusa se associo deficiente a italiano. Ma ultimamente mi viene sempre più facile fare quest'associazione, questo legame, quest'inclusione. E tu mi hai decisamente spinto sempre più in quel senso.

Lo so, potrei dire tanto su questa vacanza settembrina pugliese, un soggiorno di due settimane all'insegna del "vieni a ballare in Puglia" del mitico Caparezza. E pazienza se lui ci mette un bel pò di critica alla sua regione. A noi c' garbata subito un monte. A cominciare dal cibo, che ho trovato delizioso. Certo, anche luoghi abbastanza pessimi, ma non sono uno di quelli che spara sentenze su trippa. Che si esalta perchè "ah, ora ci metto un pallino e così imparano, tiè!" Niente di tutto questo. Non mi sono piaciuti e non ci tornerò, basta così. Ma ho trovato due posti, uno a San Vito dei Normanni e uno a Carovigno, che erano semplicemente l'esaltazione del gusto, la sublimazione del piacere culinario, un viaggio mistico per le papille gustative. Per uno come me, che pesa 70 kg ma capace di mangiarsi un bue e tuttavia patire ancora fame, vuol dire tanto.

Potrei dirti di un mare veramente bello, limpido, a tratti cristallino. Anche se io sono il tipo per cui la vacanza è stare disteso sul lettino, sotto l'ombrellone, a leggere. E pensa che ero partito da Firenze senza neanche un libro. Preso dalla furia organizzatrice del viaggio, che è un vero e proprio lavoro non retribuito (perchè solo noi italiani siamo capaci di viaggiare caricando sull'auto valigie enormi, materassi, pentole a pressione e un paio di sanitari -non si può mai sapere-) non avevo pensato a portarmi il cibo per la mente. Che per me è necessario quanto l'aria che respiro. E all'arrivo mi ero anche accorto, con una forte dose di preoccupazione, che a Specchiolla c'è il vuoto più totale, una desolazione immensa di negozi, neanche un giornalaio. Mi ero addentrato alla reception del campeggio con profondo timore reverenziale non essendo, io portiere d'albergo, abituato a stare dall'altro lato del bancone e quindi preoccupato di scocciare i "colleghi" pugliesi con domande stupide. Come mi capita a Firenze quando, mappa della città alla mano, i clienti mi chiedono dove si trova la Torre di Pisa perchè non la individuano. Perciò avevo posto la domanda su dove si poteva trovare qualcosa da leggere, fosse anche la mitica, onnipresente Settimana Enigmistica. Che si compra solo d'estate. E invece mi ero sentito dire, con mia immensa e profonda felicità, che nel capeggio avevano una biblioteca. Piccola, semplice, ma con il suo carico di volumi. Li avrei baciati tutti lì, sul momento, quei ragazzi. Mi sono sciroppato 3 libri, tra cui un volume di 500 pagine sulla vita di Maria Tudor. Una regina inglese che ereditò dal padre Enrico VIII la fantastica abitudine a decapitare gli oppositori; una che oggi, da noi, nominerebbero portavoce del governo. Godevo, a leggerlo. Davvero. Pensa che meraviglia: tu sei lì, turista del XVI secolo a giro per Londra, vai all'unico ponte allora esistente (London bridge is falling down) e sul portale d'ingresso ci sono le picche con infilzate le teste dei condannati. Bellissimo, vero? Lo so, sono fatto così, adoro la storia sanguinaria. E allora? Ci sono quelli che fanno la fila da Starbucks e poi ci sono io.

Potrei anche dirti dei trulli di Alberobello, con una mia foto davanti a uno di questi subito ribattezzata, dalla famiglia, "il grullo davanti al trullo". Che dice tutto sul tipo di famiglia che ho. Della visita a Castel del Monte, che m'è garbato davvero tanto. Delle stupefacenti distese di olivi, una serie sterminata di questi mitici alberi piantata da ere geologiche in una terra d'un rosso vivissimo, inconsueto per me, abituato a vederli in Toscana. Ma potrei anche parlare dell'incredibile quantità di sporcizia che ho trovato lungo le strade, in particolare le tangenziali delle vari cittadine: una quantità di spazzatura sparsa quasi meticolosamente, soprattutto agli svincoli. Potrei anche parlare di amicizie, come la famiglia lucchese incontrata là, persone simpaticissime con una figlia che ha subito legato con le mie; belle persone, benchè abbiano il deprecabile difetto di tifare per quella squadra che a Firenze non-deve-essere-nominata. Della bagnina della spiaggia che mi prendeva bonariamente in giro perchè "ma te sei sempre a leggere!". Dei bagnini della piscina, che allo stereo mettevano il tormentone di Baby K o peggio ancora quello della ex signora Borg, ma che erano anche capaci di passare ai Pink Floyd. Che è come dare prima una gozzata di coca-cola e dopo un sorso di Remole.

Potrei parlati di tutto questo. E in effetti l'ho fatto. Ma ora passerò piuttosto al nostro breve ma intenso incontro.

Sono sicuro che lo ricordi benissimo. Ma ti voglio rinfrescare la memoria.

Mi trovavo, come dicevo all'inizio, lungo questa superstrada. Ora, io sono uno che rispetta, quasi sempre diciamo, i limiti di velocità. Perchè così deve essere, perchè le regole vanno seguite pidessiquamente, perchè... perchè si. Punto.

Ragion per cui, andavo a 90. Il limite in quel tratto.

Stranamente, proprio di fronte, mi trovai una processione di auto che saranno andate a 80.

Non mi posi il problema del perchè andassero così piano. In una nazione come la nostra dove, come ben sai, un sacco di esaltati si sentono in grado di competere con Vettel per la guida di una Ferrari, questi no. Presumo che fossero una comitiva di persone intente a recarsi da qualche parte per cui la lentezza era necessaria allo stare più possibile vicini e non perdersi. "Seguite me, conosco un posticino dove si beve un passito che è la fine del mondo". Una cosa così, ecco. Non fossi stato con le figlie, li avrei seguiti.

Guardo lo specchietto e, dietro di me, c'è praticamente il nulla. Come saprai, quella superstrada è una riga dritta, facile da ottenersi, in una pianura del genere. Zero auto. Ragion per cui metto la freccia a sinistra e mi sposto nella corsia di sorpasso.

Come canta Giusy Ferreri nel suo tormentone? "Cercavo un mare calmo e ho trovato te". Dal fondo di quella riga dritta e assolutamente calma mi sono apparsi, nello specchietto retrovisore, i fari della tua auto.

Eri laggiù, lontano, distante. Tanto che vedevo un solo punto luminoso in luogo di due luci anabbaglianti.

Eppure neanche ero affiancato alla prima auto in processione che mi sei arrivato addosso.

A quanto diamine andavi? 200? Sicuramente più della velocità necessaria a tornare indietro nel tempo. Decisamente tu, in quell'auto, non hai un flusso canalizzatore.

Ovviamente io trovo questo atteggiamento fortemente deprecabile, visto che, oltre alla tua vita, metti a rischio quella di tutti gli altri. Ma non è quello il punto.

E' stato il tuo metterti a sfanalare come non ci fosse stato un domani, che mi ha dato profondamente fastidio. Ed è stato il tuo errore.

Perchè io non lo sopporto quest'atteggiamento arrogante da "io sono più forte quindi scansati". Diamine, no! Col piffero che mi sono scansato. Anche perchè ero affiancato a un auto, dove pensavi che andassi?

Ma non hai fatto i conti con il fatto che, essendo io avanti, avevo il coltello dalla parte del manico. E l'ho usato con grandissimo gusto.

Ho rallentato fino a 85, terminando il sorpasso della prima auto in quella che tu hai visto trascorrere come un'era geologica. E, non pago, non mi sono affatto messo a destra, spazio comunque molto ristretto tra l'auto appena sorpassata e quella subito avanti. Ormai che ero in fase di sorpasso ci sono rimasto, in corsia sinistra.

Tu non puoi minimamente comprendere il piacere che provavo nel vederti sfanalare come un ossesso non appena hai capito che non mi sarei scansato, e avrei percorso un discreto pezzo di strada sorpassando 5 auto lentissime per il tuo standard. Con te dietro che mi stavi a pochi centimetri. Potevo sentire, gustare appieno la tua rabbia, la tua frustrazione, il tuo intimo dolore nel non poter lanciare la tua macchinetta a una velocità a cui neanche i progettisti devono aver pensato.

E' stata una vera goduria, e ti ringrazio di ciò. Ma la soddisfazione più grande me l'hai data quando ho finalmente raggiunto e superato quello in cima, colui che gli altri stavano seguendo. Quello che conosce il posticino dove fanno il passito.

Perchè in quel momento hai intravisto la luce in fondo al tunnel e la possibilità di ripostare la tua auto al massimo possibile; e hai intensificato le sfanalature.

Ma io, che quando mi impegno sono bastardo nel profondo, ho messo si la freccia a destra, ma mi sono spostato con una lentezza da bradipo. E allora la tua rabbia ha raggiunto livelli parossistici, e ci hai aggiunto il clacson. Un ululato automobilistico che hai continuato ben dopo avermi sorpassato, a dimostrazione della tua rabbia e della tua infima piccolezza da ameba primordiale.
Ma che a me ha fatto godere un monte.

E comunque, se tu sei pugliese, tu c'hai una gran bella regione.

Ma 'un tu te la meriti.

sabato 8 settembre 2018

Della mia famiglia non sono l'unico ad aver lavorato in albergo.

L'8 Settembre 1943, il soldato semplice Giosuè Mugnai si trovava dislocato a Sarajevo, come parte delle truppe d'occupazione del Regno di Yugoslavia da parte delle forze dell'Asse, di cui questo piccolo paese faceva parte.

Mio zio, allora poco più che diciottenne, proveniva da Cetica, un piccolo paese del Pratomagno, quella catena montuosa che per l'Arno rapresenta una vera scocciatura perchè gli tocca di aggirarlo prima di passare per Firenze e dirigersi verso il Tirreno. Cetica è un gruppo di casupole abbarbicato su un declivio montuoso dove per secoli si sopravviveva consumando farina di castagne (dopo il XV secolo arrivarono anche le patate. Non c'è mai stata grande fantasia, nella dieta di questi montanari). Gli unici eventi storici vissuti da quella comunità furono:

- il passaggio, dal passo della Consuma, dell'esercito guelfo fiorentino verso la piana casentinese, dove si sarebbe scontrato con le truppe ghibelline di Arezzo in quel di Campaldino (11 Giugno 1289). Dato che il paese era feudo dei conti Guidi, a quei tempi ghibellini e avversari, non mi stupirei se la soldataglia fiorentina si fosse data a qualche forma di saccheggio seguito da brutali stupri. E non mi sorprenderebbe neanche se venisse fuori che ho un pò di dna in comune con Dante Alighieri (il quale, ai tempi, era un fante dell'esercito fiorentino e partecipò alla battaglia);

- il tentativo, da parte delle truppe della Wermacht il 29 Giugno del '44, di sterminare senza nessuna pietà tutti gli abitanti del paese. Tentativo in parte fallito perchè l'unico modo per arrivare lassù era tramite una mulattiera. Non potendo usare autocarri, e tantomeno mezzi blindati, per piombare di sorpresa nel paese, i crucchi si fecero scoprire dando modo ai partigiani del posto di contrastarli (al prezzo di gravi perdite); ciò permise agli abitanti di fuggire nei boschi. Le mie nonne mi raccontavano di quando, quel giorno, scapparono tutti, con i figli piccoli appresso o direttamente in braccio. I fratelli di mia madre lo ricordano ancora (mio padre aveva solo 3 anni). Purtroppo vi fu chi non ce la fece. Tutt'oggi, se salite sul paese dalla parte di Pagliericcio, potete vedere una lapide con i nomi di un pastore e il figlio giovanissimo, uccisi sul posto senza remore.

Da questo paese così isolato (ancora agli inizi degli anni '50 c'era solo la mulattiera. Quando mia madre contrasse una malattia esantematica, l'unico modo per una visita e le cure necessarie fu, da parte di mio nonno materno, di caricarla sul mulo e portarla giù a Strada in Casentino; perchè a quei tempi i vaccini non esistevano e la morte era sempre incombente) mio zio si trovò catapultato in un luogo a lui assolutamente ignoto. Distante un migliaio di chilometri da casa, in mezzo a persone che parlavano una lingua a lui totalmente astrusa e piazzato lì da un regime che non comprendeva assolutamente.
Una dittatura le cui necessità non erano modernizzare una nazione dove molti luoghi, come Cetica, vivevano ancorati al medioevo. #primagliitalianiuncazzo. La precedenza, per i gerarchi, era al proprio tornaconto e il dichiarare guerra a gente che non ci aveva fatto niente. Spedire a combattere, in posti sconosciuti, ragazzi il cui destino segnato da secoli era zappare la terra per seminare patate, raccogliere castagne, tagliare alberi nelle foreste casentinesi, preparare carbonaie. Una vita semplice, modesta, inevitabilmente breve e che nessuno, sul pianeta, era intenzionato a migliorare. Tanto meno i loro concittadini in camicia nera.
Il fatto che oggi il colore della camicia sia cambiato, non vi illuda: è sempre lo stesso tipo di persone. Che prima intontivano la gente con gli slogan e le urla belluine alla radio, ma che oggi si sono adeguati agli strumenti moderni: i blog e gli hastag.
Ma sempre le stesse immense teste di cazzo rimangono.

Catapultato in questa realtà assurda e assolutamente priva di senso, era inevitabile che molti giovani della sua età si rivolgessero alla parte politica opposta. Oggi possiamo anche dire che non fosse poi tanto meglio, ma come si dice in questi casi: "col senno di poi son piene le fosse". E anche di parecchi giovani italiani.

Quel giorno Giosuè Mugnai decise che era giunto il momento di tornare al paesello, e, non potendo attraversare l'Adriatico, si incamminò verso nord con l'intenzione di aggirarlo.

Non fece molta strada. Due ustascia croati, a quel tempo alleati dei fascisti, lo pestarono ben bene. Poi gli puntarono una pistola alla testa. All'ultimo momento, per un caso estremamente fortuito, decisero che non valeva la pena di sprecare una pallottola per quell'italiano, e lo mollarono ai tedeschi.

Deciso a sopravvivere a qualsiasi costo, mio zio saltò giù dal treno che lo doveva portare chissà dove ma che non prometteva niente di buono. Fece una scelta di campo ben precisa e andò sui monti, dove si aggregò ai partigiani serbi. Lì trovò altri suoi connazionali che avevano fatto la stessa scelta, dando vita alla brigata Garibaldi.

Un giorno, mentre si trovavano in un momento di pausa, gli fu ordinato di mettersi in riga. Di lì a poco arrivò un'auto da cui scese il maresciallo Tito. Il futuro capo della Repubblica Socialista di Yugoslavia passò in rassegna tutto il reparto.
Non so cosa abbia pensato quell'uomo di quegli italiani pallidi, smunti e sporchi che fino a poco tempo prima combatteva ferocemente. Forse li considerava solo come utili pedine della sua guerra, o magari era sinceramente ammirato dalla scelta di quegli uomini. Non lo so, non lo sapremo mai. Mio zio non mi parlava molto degli episodi di guerra. Non erano mai momenti piacevoli, ma atti violenti, brutali, sanguinosi. Mi descriveva soprattutto le facce della povera gente che viveva su quei monti, anche loro persone semplici che sopravvivevano del poco che offrivano quei posti. Così simili a lui e così gettati in un mondo di prevaricazioni, violenze, morte. E malgrado ciò, dividere quel pochissimo che avevano con quegli stranieri. Anche per questo sopravvisse; tornò da laggiù con la pelle, una medaglia dello stato Yugoslavo e una discreta passione per il comunismo. In ordine decrescente di importanza.

Tornato in Italia, mio zio andò a vivere in Liguria. Per la precisione a a Chignero, una frazioncina del comune di Rapallo. Dista 5 chilometri, e sono tutti di montagna. In Liguria è così, basta fare pochi metri e sei già sui monti. A differenza del Casentino, sono tutte valli profondamente scoscese, ripide, profonde. La strada che porta su è tutta fatta di tornanti che sembra la salita dello Stelvio, solo che è tutta immersa nel bosco. Ogni tanto ci sono degli slarghi per permettere alle auto di passare affiancate. Perchè altrimenti è una corsia unica. E sull'esterno si apre un precipizio che aspetta solo di veder cadere l'auto dei cattivi in un film di James Bond o Indiana Jones.
Chignero sono 4 casette abbarbicate su questo precipizio. Tutte fatte in pietra e con pavimenti in legno. Al piano terreno la stalla con le caprette. Sopra, i bipedi. Quando andavamo a trovarlo dormivamo in una di queste case, abitata da una vecchietta che doveva rasentare il secolo d'età, un unico solitario dente e una parlata incomprensibile. Ci aveva abitato anche lui, i primi anni che era arrivato in Liguria. Ricordo che su un armadio di questa casa, al piano di sopra, aveva appeso il poster di una squadra di calcio: una rarissima foto a colori, per gli anni '50, e ormai quasi totalmente sbiadita, anche se si capiva che aveva quel colore così magico: il Viola. La Fiorentina del primo scudetto, 1955-56: il sorriso contratto di Sarti, l'espressione un pò stralunata di Chiappella, i baffetti di Julinho, lo sguardo serio e la pelle ambrata di Montuori. Ero affascinato da quella foto, quel simbolo identitario così forte e unico piazzato in quell'angolo remoto di Liguria. Ogni anno che andavamo a trovarlo mi aspettavo di non trovare più quell'immagine appesa a un armadio che doveva risalire all'ottocento. Invece, puntualmente, era ancora lì, e dormivo in quella stanza sotto lo sguardo vigile e premuroso di 11 gigliati, il prato verde del campo di gioco e la Maratona stracolma di fiorentini.

In una di queste casette di Chignero abitava quella che sarebbe diventata mia zia Linda. All'inizio c'era profonda diffidenza, da parte della famiglia di questa giovane e bella ragazza ligure, riguardo a questo toscano. Elemento che veniva da fuori, quindi sospetto. Parlava strano. Uno straniero! Oltretutto con idee politiche altamente riprovevoli. Uno che oggi sarebbe respinto, ecco. A dirimere la questione ci pensò il parroco: in un mondo dove non solo non esistevano i social, ma pure la sip faticava a mettere telefoni fissi ovunque, il curato del paesello ligure scrisse una lettera al suo corrispettivo in Toscana, chiedendo informazioni su questo tipo. E il prete di Cetica rispose che si trattava di un'ottima persona, brava, attiva, proveniente da una solida famiglia di indefessi lavoratori. E sono assolutamente certo che fu una risposta sincera, scritta pechè lo credeva veramente. Malgrado tutto. Perchè quando c'erano le elezioni il PCI, a Cetica, prendeva una percentuale che la Bulgaria scompare a confronto, e a parte un paio di altri partiti, c'era sempre un solo, singolo e solitario voto al movimento sociale. E sapevano TUTTI di chi era quel voto. E però il prete ne scrisse bene, di quel comunista, raccomandandolo.
Guareschi ha sempre avuto ragione, maledetto baciapile.

La Liguria possiede dei luoghi di una bellezza straordinaria, qualcosa che rasenta il trascendentale. Uno di quei posti che, come Ischia, Capri, il Colosseo e il centro di Firenze, sono entrati nell'immaginario mondiale come "L'Italia da sogno". E chiaramente frequentati da persone estremamente danarose e potenti. Presidenti, divi di Hollywood, principi stranieri. Negli anni '50 e successivi ci fu un certo boom, una scoperta, di queste località, e subito iniziò l'industria e l'offerta turistica. Mio zio entrò, appunto, a lavorare in albergo. In particolare ricordo che era allo Splendido di Portofino. Una di quelle strutture ricettive dove anche una notte nella camera più piccola e infelice ha un costo pari a diverse rate di un mutuo. E lì si trovò ad avere a che fare con quella clientela. Mi parlò della principessa di Persia, la moglie dello Scià poi scacciato dalla rivoluzione komeinista, che non era mai contenta della pulizia della camera, e lo costringeva ad andare tutti i giorni in stanza a pulire, pulire, pulire. Ma anche gli altri non erano da meno. A un certo punto si stufò di tenere il conto di queste persone che potevano vantare titoli sui quotidiani. Tutta gente che non si scomoda neanche a prenotare, e ha un esercito di galoppini e/o portaborse per il "lavoro sporco": contattare l'albergo, trasportarli sul posto, andare a lamentarsi al ricevimento perchè "Sua Maestà non gradisce la camera, vorrebbe la suite" e mi immagino il portiere che gli risponde che non è possibile perchè la suite l'aveva già presa Cary Grant. Altro che recensioni o bookingpuntoyeah, era proprio un altro mondo. Esseri umani che trattavano gli altri esseri umani come pezze da piedi. Ok, non tutti (non Cary Grant o James Stewart, anche se non ricordo di quali divi si trattava) ma quasi certamente le "altezze reali". Mi parlava soprattutto di quelli che, come mancia, davano pochi spiccioli. Da qualche parte ho ancora una piccola scatola di legno con dentro le monetine che mi regalava: centesimi americani, penny inglesi e altre frazioni di vecchie valute europee.

Non era alla reception, lavorava come facchino. Mi piace immaginarlo con una divisa color pastello con i bottoni dorati, e che doveva stargli davvero larga (è sempre stato secco come un chiodo). Io lo vidi solo in borghese. Era sempre vestito elegante, con giacca e cravatta, e pantaloni con la riga perfetta. Si radeva tutte le mattine. Apparteneva a quella generazione per la quale essere uomini significava eleganza e rasatura a puntino. Ma aveva anche un sorriso spontaneo, pieno di gioia di vivere. A Rapallo lo conoscevano tutti. Passeggiavamo nelle vie del centro (Rapallo è straordinaria, visitatela. Vale assolutamente la pena) e tutti lo fermavano per salutarlo. E salutare quei "toscani" venuti a trovarlo.
Ecco, è con quel modo di ridere che aveva, che mi piace ricordarlo.
Il primo Mugnai a lavorare in albergo.

sabato 1 settembre 2018

Sono una persona semplice. E non sono perfetto.

Ho il mio lavoro, stabile (sembra), sicuro (così pare), modesto, in cui non posso certo affermare di eccellere, ma credo di cavarmela. Di mostrare sempre il lato migliore di me, un bel sorriso, un'espressione serena, un'empatia convincente. In una struttura ricettiva, può essere determinante.

Alle spalle, una famiglia che, malgrado tutto, mi sostiene. Persone che mi vogliono bene e non si peritano a farmelo sapere. Non so cosa ho fatto per meritarmelo, ma se esite veramente la reincarnazione, in una vita precedente devo aver patito le pene dell'inferno. O forse è stato solo un enorme disguido burocratico, e urlavo ordini perentori in una lingua nordica con indosso una divisa militare.

Commetto i miei errori, come tutti. Ne pago le conseguenze. Mi sbatto quando serve. Turni di ogni tipo, a ogni ora del giorno e della notte, senza festività che tengano. Abnegazione e spirito di sacrificio. In altre parole: palla avanti e pedalare.

A volte, paga.

1. La tabaccaia di Amarcord.

Con qualche anno in più di Maria Antonietta Beluzzi quando intepretò quel personaggio nel film di Fellini, ma con le stesse forme giunoniche e prorompenti, questa americanona si presenta in albergo con una prenotazione. Di una doppia.

Col mio miglior sorriso, inizio il check-in. Lei, senza scomporsi, seguita a digitare sul telefono per connettersi al wifi, ma sorride felice e serena di essere lì. Non è poco.

-Deve arrivare una seconda persona?-

-Può darsi, non lo so-

-L'importante è che ci presenti il documento, quando arriva-

-Beh, speriamo. Voi come vi chiamate?-

Io e la ragazza con me al banco, studentessa in stage dell'alberghiero locale, ci presentiamo. E la signora non perde tempo:

-Ah, Marcello! Come il mio personaggio preferito di "Sotto il sole della Toscana", lo conoscete?-

Quando i clienti sentono il mio nome, al 99% accennano sempre a Mastroianni e la celebre frase pronunciata dalla Ekberg nella Fontana di Trevi. Difficilmente si riferiscono al personaggio interpretato dall'attore preferito di mia moglie. Lo fa ora questa donnona dalle munifiche forme. Non stento a credere il motivo.

-Però in quel film, il Marcello non è che sia un personaggio positivo...-

-Non importa, tu sei il "mio" Marcello. Ora lo scrivo su Facebook ai miei amici in California-

Quindi vi saranno alcuni californiani che ora si immaginano un Raul Bova dietro al banco di un ricevimento alberghiero.

Non sono la stessa cosa neanche per scherzo. Ma ho come l'impressione che, se gli assomigliassi anche solo lontanamente, o semplicemente avessi vent'anni di meno, a quest'ora mi avrebbe rapito e portato in una splendida villa a Malibù. Posso dire che l'ho scampata bella.

O no?

ps: nei 3 giorni di permanenza della signora, non si è presentata nessuna seconda persona, a soggiornare con lei in camera.

Non sa cosa si è perso.


2. Il gelato.

Non ho mai avuto gran belle esperienze, coi gruppi. La prenotazione, tra accordi con l'agenzia, anticipi e caparre varie, saldi, elenco dei nominativi, piccoli cambi con modifiche e richieste patricolari, assume la grandezza di un volume di Ken Follett. E quando arrivano, si presentano tutti al bancone ponendo domane su domane in contempranea, come se il portiere fosse dotato di 12 mani e 3 bocche (anche se il 70% delle domande verte sul funzionamento del wifi).

Se poi il gruppo è formato da ragazzi giovani, dediti a meravigliose passioni quali urlare, correre per i corridoi come Vettel sul rettilineo e sbattere fortissimo le porte, ci si chiude la vena e cresce irrefrenabile la volontà di commettere una strage.

Ma questo gruppo, che prendiamo ogni anno, è diverso. Ragazzi americani ben educati, sinceri, sorridenti, che si vede subito non far parte dell'elite bulla e strafottente che può, in casi assurdi e totalmente immeritati, diventare presidente. Questi sono curiosi di ciò che si apprestano a visitare, entusiasti di conoscere il Rinascimento. Il Vasari. Botticelli e Michelangelo. La Fiorentina, intesa come l'alimento (ma qualcuno va pure allo stadio).

Il capogruppo lo conosco da tempo. Viene, sorride, ci porta la lista dei presenti già divisa per occupazione delle camere e numero dei documenti, si occupa di organizzare il viaggio e alloggiare al meglio i ragazzi. Uno davvero bravo e premuroso nel suo lavoro.

Verso le 22 (avevo un turno pomeridiano) scende al ricevimento e mi chiede i miei gusti preferiti di gelato. Intento a ricontrollare i conti della giornata dopo 7 ore di turno e in fremente attesa del notturno detto anche Lurch, sono intedetto da tale domanda. Di solito mi chiedono le mie gelaterie preferite, ma non certo sui gusti.

E invece, pochi minuti dopo, lui mi riappare davanti; e recante una coppetta che posa, magicamente, sul bancone.

Alzo lo sguardo, che fino a un istante prima era posato sulla calcolatrice nella delicata operazione di riconteggio delle csse, e sono totalmente sorpreso. E commosso. E balbetto dei ringraziamenti.

-La tua sorpresa è il miglior ringraziamento- e sale su.

Mi metto nel retro e mi gusto il gelato. Uno dei migliori di sempre.

ps. crema e fiordilatte. Io vado sul classico.


3. Il segnalibro.

Arriva questa famiglia guatemalteca. Moglie, marito e due figli (maschio e femmina). Sorridenti e felici di stare in vacanza. Camera quadrupla che hanno la fortuna essere già pronta perchè gli occupanti erano partiti presto e la cameriera l'aveva rifatta subito. Sono le 12 e li posso mandare su.

Sono sorpresi. Piacevolmente. Mi chiedono come sia possibile, visto che il check-in è alle 14. Controbatto che "se è possibile fare un favore, lo si fa" E volentieri. Ovviamente non è la norma. Chiaramente è questione di fortuna; se i clienti precedenti fossero partiti proprio alle 12, loro avrebbero dovuto lasciare i bagagli in deposito e tornare dopo. Camere con 4 letti non ne abbiamo molte. Ma questa è pronta. Perchè farvi aspettare? Approfittate.

In fondo era un check-in normale, come tanti altri, con la stessa tecnica, lo stesso stile, lo stesso modus operandi: orario colazione, mappa della città con indicazioni su dove si trovano gli Uffizi e l'Accademia... il mio solito lavoro, insomma. Dove la maggior parte dei clienti ascolta distrattamente, o non ascolta proprio. Loro no. Silenziosi, ipnotizzati dalle mie parole, ascoltano tutti e quattro. Genitori della mia età e figli con l'età delle mie, assorbono ogni mia informazione su come muoversi nel centro di Firenze. Che può sembrare anche facile, ma se non la conosci, rischi di perderti. Specialmente se finisci nei chiassi.

Scendono dopo una mezz'ora e mi fanno questo stupendo regalo: un segnalibro in stoffa. Non un cartoncino che si squalcisce. Non un oggettino che poi finisce nella pattumiera della carta causa l'usura, come hanno rischiato quelli creati da Camilla e Gaia alla materna (e che infatti conservo gelosamente intatti).  Questo è un vero segnalibro di stoffa con tanto di omino stilizzato e la scritta "Guatemala". Io, che amo la storia e ho studiato le terribili sofferenze patite dai guatemaltechi quando al potere avevano gente che da noi diventa ministro dell'interno, vedo il Guatemala sotto una nuova luce. Un luogo bellissimo dove la gente sorride sempre e si regala segnalibri in stoffa perchè, a furia di leggere, gli si consumano pure quelli.

Il mondo, quando si impegna, sa essere bellissimo. Anche dietro il banco di una reception.