Faccio il portiere d'albergo, sono un turnante.
Turnante significa che, ogni settimana, ho 3 turni di giorno, due notti e poi due riposi. Ma se il portiere di notte è in ferie, diventano 5 notti a settimana. E se alcuni colleghi sono malati, anche qualcuna in più. Ma chiarisco subito: non intendo affatto lamentarmi di ciò, anzi. E' un lavoro che mi piace, anche se ammetto che preferisco maggiormente i turni di giorno che quelli di notte. Ma tant'è, ho un lavoro e pure retribuito, e di questi tempi ciò mi trasforma in uno degli elementi più invidiati dal 90% della popolazione.
Come in tutti i lavori, ci sono delle responsabilità. Di notte sono l'unico addetto al ricevimento presente. Anzi, sono proprio l'unico di tutta la ditta, almeno fino all'arrivo dei ragazzi/e della sala colazioni. Ma fino ad allora, dalle 23 alle 6 del mattino, sono solo. Ed ho l'obbligo di rispondere delle esigenze della clientela.
La richiesta maggiore riguarda i cuscini. Il cliente chiama al ricevimento, ed a quel punto gli chiedo di scendere a prenderseli, perchè non posso assentarmi troppo dal bancone. Molti ne rimangono contrariati, ma se possibile, li faccio venire dabbasso. Il problema capita quando finisco i cuscini che teniamo nel deposito della hall. In quel caso devo salire a prenderli.
Ecco la procedura:
-chiusura cassa e chiavi infilate in tasca;
-chiusura albergo, se qualcuno rientra dovrà aspettare;
ovviamente, come sempre in questi casi, qualcuno rientrerà. E' sempre così al ricevimento: a volte non vedi nessuno anche per un paio d'ore, poi come ti assenti per farti un caffè, bere un bicchiere d'acqua o fare la pipì, arriva il mondo.
-salita delle scale fino allo stanzino biancheria (al terzo piano!); l'ascensore in questo caso è assolutamente verboten, non posso in alcun modo rischiare di rimanere chiuso dentro. Chi mai verrebbe a liberarmi, John Mcclane? La legge di Murphy è sempre in agguato, e la presenza del portiere all'interno aumenta la probabilità di guasti del 475%.
Perciò via di corsa fino allo stanzino (5'' e 3 decimi, record mondiale), afferro i cuscini, agguanto le federe pulite, infilo i cuscini nelle federe e poi tutto di corsa (ma non troppo, o si fa rumore) per altre scale e/o il corridoio fino alla camera del cliente. Arrivo con un principio di enfisema, ma come dice il dottor Jones, non sono gli anni. Sono i chilometri.
Non mi resta che bussare.
Beh, tutto questo scalmanassi viene vanificato dal cliente, che se la prende molto comoda. Tranquillo, non sono al lavoro! Il mondo gira intorno a te, aspetterà! Che te ne importa se il portiere si prenderà i vaffa da parte di quello che aspetta fuori dall'ingresso, e se sono fortunato (ed io lo sono particolarmente) è il direttore che passava dal centro alle 23.30 e veniva a chiedermi come va! “Marcellino, ma perchè aveva chiuso? E dove era?” “Ma niente, lo sa che l'armadio della 107 è collegato a Narnia, ero andato a fare un saluto al leone ed alla strega.” (Devo servire un cliente, mica posso lasciare il portone aperto, no?)
Busso per la seconda volta.
-Chi è?-
-(tua nonna in carriola) Sono il portiere, le ho portato i cuscini-
Dopo di che, cala nuovamente il silenzio. Non odo rumori di sorta, non si sente neanche la tv, che di solito a quell'ora tutti tengono accesa al massimo volume possibile (e per fortuna c'è un limite impostato sui nostri apparecchi).
Attendo, impaziente, mentre il mio cervello rumina pensieri stragisti. Dai, posa il piedino giù dal lettino, metti le ciabattine e vieni ad aprire e prenderti questi ca**o di cuscini, muoviti! Rapido, pedazo de burro! (da ciò deducetene che era di lingua spagnola).
Niente, nessun rumore. Busso nuovamente.
Non mi risponde neanche.
Notare che questa emerita fa*a mi aveva appena chiamato dalla camera sul centralino, ed ora non mi apre; ma chi ti aspettavi che bussasse? Il mostro di Milwaukee? Sono il portiere, no? Quello a cui, due minuti fa, hai chiesto -Puedo haber dos almoadas mas, por favor?-
Finalmente odo dei rumori, qualcuno si sta muovendo verso la porta. Ma con comodo, eh! Attendiamo pure che torni la cometa di Halley, così me la perdo perchè sono dentro un corridoio con due cuscini in mano!
Finalmente mi apre! Halleluia. Tiè, beccati 'sti cuscini, ora corro giù al bancone.
-Un momento, per favore-
Ed ora cosa c'è? Non me lo dice. Accosta la porta –Non vada via!- Ma io ho fretta, me la darai domani la mancia, va bene lo stesso, dai! Lui insiste, ma io telo. Devo tornare al ricevimento, non posso stare qui ad attendere che tu frughi nei tuoi bagagli alla ricerca di una monetina da 20 centesimi; col tempo che ci metti a trovarla fa a tempo a finire l'Olocene e cominciare la prossima era geologica.
Quindi mi faccio il percorso inverso, gettandomi a rotta di collo giù per le scale. Ovviamente, come sempre in questi casi, qualcuno sta suonando furiosamente il campanello. Arrivo trafelato alla porta ed apro. Il/la tipo/a in attesa avrà da lamentarsi neanche fosse lì da tutta la notte.
-Ma dove ca**o era?-
-Scu...scusi...anf... per... l'a..attesa, ma.. anf... un cliente... anf.. mi ha chiesto... anf... un cuscino... e sono salito... anf-
-Ah... ne porta uno anche a me?-
L'ho infilato nell'affettatrice e servito la mattina sul buffet delle colazioni, al posto del prosciutto.
Portiere d'albergo. Vorace lettore. Scrittore a tempo perso. Giocatore da tavolo. Nemico di un gatto. Depresso cronico. Attendo l'arrivo dei Vogon o, in subordine, il ritorno di Vladimir Ilic Ulianov.
domenica 27 agosto 2017
domenica 20 agosto 2017
Ogni tanto bisogna muoversi, darsi da fare, tentare qualcosa.
Perchè a stare fermi, ad aspettarsi aiuto da chissà chi, o che un qualcosa ci piova dal cielo, si otterrà solo una soluzione: di rimanere statici in quella stessa situazione.
E comunque, non aspettatevi gratitudini.
Ho passato due giorni sul Pratomagno con le ragazze e, almeno il primo giorno, la moglie. Il classico, immancabile, inevitabile pic-nic tra noi quattro con passeggiata pomeridiana sulla cima della montagna. Da lassù, con la visione delle vallate del Casentino da una parte e del Valdano dall'altra, la vita assume moltissimi colori ed una vivacità inarrestabile. Una Pepelandia dove i Biechi Blu non sono arrivati nè mai arriveranno.
Poi la moglie è tornata a valle causa lavoro, mentre io ho avuto la fortuna di restare un altro giorno con le ragazze ed i loro nonni paterni strafogandomi di pizza preparata nel nostro forno. Ed infatti non ho dormito molto a causa dello stomaco impegnato a ballare L'Hip Hop. Ma questa è una questione che non ci interessa.
Mio padre mi accompagna a Strada (in Casentino) dove prendo la Sita, altrimenti detta corriera, in direzione Firenze. Salgo con un bel "buongiorno", prontamente ricambiato dall'autista, perchè un saluto come si deve è sempre cosa buona e giusta, in un mondo educato e cordiale. Ma poi mi siedo e dedico la mia mente al culto indefesso delle chitarre dei mai abbastanza compianti Jeff Healey e Gary Moore.
Ad uno dei paesi lungo la strada, salgono una ragazza e la figlia. Si mettono nei seggiolini accanto a dove sono io, solo dall'altra parte del corridoio centrale. La bambina, direi poco più di 5 anni, mi osserva curiosa da dietro due sfere di color nero pece, la pelle color ambra e la bocca leggermente aperta, quasi stupefatta, forse non abituta alla visione di un indigeno sorridente. Non so darti torto, ragazzina, mi metto nei tuoi panni, il mondo mi va stretto e vedo da che pulpito arriva la morale. E pazienza se non conosci Bennato e molto probabilmente preferisci i cantanti del subcontinente da cui provieni.
Più a valle, poco prima del traguardo, fermata di Compiobbi, ed altri passeggeri in salita. Anche questi di colore ma da un altro continente, stavolta molto a sud del Mediterraneo, sono un'intera famiglia di 5 persone. Due ragazzine eccitatissime si precipitano a bordo e si siedono pazienti in fondo. La madre agguanta l'ovetto dal passeggino e sale. Poggia un momento il suddetto oggetto sul seggiolino accanto al mio. L'occupante, neanche un anno, mi osserva anche lui con lo stesso tipo di occhi della bimbetta indiana che mi guardava prima, la stessa boccuccia aperta stupefatta, la stessa innocenza di chi osserva il mondo e scopre cose nuove.
Mi incanto, a guardare questo altro sguardo, così simile a quello della bimba indiana malgrado i paesi d'origine distino migliaia di chilometri, sotto la visione divertita della madre, che non mi accorgo subito che il bus non riparte.
Fuori, il padre di famiglia, che ho già soprannominato Ordell Robbie, è in evidente e palese difficoltà con il passeggino. L'autista si arrabbia e lo invita a sbrigarsi, ma Ordell si infervora a sua volta, e sale sul mezzo con il passeggino ancora aperto, piazzandolo nello spazio riservato ai clienti in carrozzina.
L'autista esce dalla sua postazione di guida e va a redarguirlo sul fatto che lì, il passeggino, non ci può stare. L'altro replica a voce alta, ed entrambi danno vita ad un coro da decollo di airbus sulla pista principale di Heatrow. Poi l'autista termina che "non si parte fino a che tutti gli oggetti non sono al loro posto e le persone a sedere", dopo di che torna al suo posto e telefona non so a chi, se la centrale o l'Enterprise. La corriera resta lì, piantata come la Concordia sullo scoglio ma per lo meno dritta.
Un silenzio irreale scende dentro tutto il pulman, a parte l'autista che bofonchia un "io non riparto" a non so chi e il parlottare di Ordell con la moglie di qualcosa che, per quel che ne so, potrebbe essere la sistemazione di un passeggino come il calcolo differenziale dei vettori di potenza.
Non posso rimanere lì tutto il giorno, anche se sono solo le 11 del mattino e non entrerò in turno che tra 12 ore. Ho dormito quasi niente causa ingurgitamento di quantità spropositate di pizza fatta in casa e quindi necessità impellente di raggiungere casa, la doccia e molto riposo. Mi alzo e vado a vedere 'sto passeggino, mentre il resto del bus se ne resta seduto come se la cosa non li riguardasse, forse contenti di osservare la fermata della Sita di Compiobbi. Senza chiedere il permesso comincio ad aggeggiare, lui mi lascia fare e continua a discutere con la moglie. Una signora si affaccia dal suo sedile e comincia a darmi consigli "prova a pigiare quel bottone", che tento anche volentieri, ma serve solo ad allungare ed accorciare le maniglie.
Il problema dei passeggini è questo: ognuno di loro ha i suoi bottoni, i suoi comandi, i suoi meccanismi, che sono completamente diversi da tutti gli altri. Anche se sono della stessa marca. E sono ormai passati eoni da quando ne avevamo uno anche noi. Già la mia memoria è quella che è, figuriamoci aggeggiare su un trabiccolo con modalità completamente differenti. In breve, non ci cavo un ragno dal buco. A complicare il tutto, l'autista, cui ormai ho affibbiato il nome di "triceratopo frenetico", si alza nuovamente e va a redarguire Ordell Brown per non aver ancora fatto i biglietti, il quale reagisce urlando proprio come i personaggi di Samuel L. Jackson che li avrebbe fatti non appena messo a posto il passeggino. E mentre questi due deficienti sbraitano come ossessi, io sono lì che cerco di chiuderlo. Poi, come una luce in fondo al tunnell, arriva in mio soccorso una ragazza che "tu prova tirare leva che io preme qui", e magicamente il passeggino si ritrae su sè stesso dimezzando l'ingombro.
"Ecco fatto, ora sbrigati a metterlo al suo posto, altrimenti ci si mette casa, a Compiobbi". E Ordell, senza neanche un grazie, prende l'apparecchio, scende, apre lo sportello dei bagagli e lo ficca lì dentro. Poi finalmente va a pagare i biglietti a triceratopo frenetico proseguendo entrambi nelle loro fisime urlate. E quando finalmente si riparte, ecco che i passeggeri davanti, purtroppo della mia nazionalità, si mettono a discutere con triceratopo su "questa gente", dando vita a discorsi che fanno venire in me il fremito di dirottare il bus su Milano al nobile scopo di praticargli il bunjee-jumping in una piazza del capoluogo meneghino. Ve ne siete stati lì fermi senza fare un bel niente ed ora vi mettete anche a sputare sentenze. No grazie, ne ho abbastanza di questa merda. Mi riappiccico le cuffie e piazzo al massimo volume una qualsiasi chitarra, da Mark Knoplfer a Joe Satriani. Qualsiasi cosa, basta che mi assordi.
Quando finalmente arriviamo alla mia fermata, afferro lo zaino nel portaoggetti in alto, poi abbasso un attimo lo sguardo: la bimbetta indiana continua imperterrita ad osservarmi con sguardo curioso ed attento, spero a riprova che "costui è diverso da tutti quegl'altri". Non posso non sorridere e declamare un "ciao".
La madre, che solo ora mi rendo conto d'una bellezza speciale come solo le indiane sanno essere quando vogliono, con quella pelle così ambrata e quei capelli corvini che perdercisi dentro darebbe un significato speciale ad un'intera esistenza, invita la figlia a ricambiare, ed entrambe mi abbagliano con due doppie file di denti bianchi. Un'espressione così leggera e soave di serenità da meritare cittadinanza seduta stante, senza se e senza ma, alla faccia delle differenze di casta indiane e del mancato ius soli italico. Fiero della mia creazione di Ius risus (creato sul momento col traduttore, è valido a tutti gli effetti) ho percorso la strada di casa senza neanche accorgermi del sole bruciante del mezzogiorno d'Agosto. Ma stavolta con in cuffia il melodioso pianoforte di Bruce Hornsby.
A volte basta davvero poco, per sentirsi appagati.
Perchè a stare fermi, ad aspettarsi aiuto da chissà chi, o che un qualcosa ci piova dal cielo, si otterrà solo una soluzione: di rimanere statici in quella stessa situazione.
E comunque, non aspettatevi gratitudini.
Ho passato due giorni sul Pratomagno con le ragazze e, almeno il primo giorno, la moglie. Il classico, immancabile, inevitabile pic-nic tra noi quattro con passeggiata pomeridiana sulla cima della montagna. Da lassù, con la visione delle vallate del Casentino da una parte e del Valdano dall'altra, la vita assume moltissimi colori ed una vivacità inarrestabile. Una Pepelandia dove i Biechi Blu non sono arrivati nè mai arriveranno.
Poi la moglie è tornata a valle causa lavoro, mentre io ho avuto la fortuna di restare un altro giorno con le ragazze ed i loro nonni paterni strafogandomi di pizza preparata nel nostro forno. Ed infatti non ho dormito molto a causa dello stomaco impegnato a ballare L'Hip Hop. Ma questa è una questione che non ci interessa.
Mio padre mi accompagna a Strada (in Casentino) dove prendo la Sita, altrimenti detta corriera, in direzione Firenze. Salgo con un bel "buongiorno", prontamente ricambiato dall'autista, perchè un saluto come si deve è sempre cosa buona e giusta, in un mondo educato e cordiale. Ma poi mi siedo e dedico la mia mente al culto indefesso delle chitarre dei mai abbastanza compianti Jeff Healey e Gary Moore.
Ad uno dei paesi lungo la strada, salgono una ragazza e la figlia. Si mettono nei seggiolini accanto a dove sono io, solo dall'altra parte del corridoio centrale. La bambina, direi poco più di 5 anni, mi osserva curiosa da dietro due sfere di color nero pece, la pelle color ambra e la bocca leggermente aperta, quasi stupefatta, forse non abituta alla visione di un indigeno sorridente. Non so darti torto, ragazzina, mi metto nei tuoi panni, il mondo mi va stretto e vedo da che pulpito arriva la morale. E pazienza se non conosci Bennato e molto probabilmente preferisci i cantanti del subcontinente da cui provieni.
Più a valle, poco prima del traguardo, fermata di Compiobbi, ed altri passeggeri in salita. Anche questi di colore ma da un altro continente, stavolta molto a sud del Mediterraneo, sono un'intera famiglia di 5 persone. Due ragazzine eccitatissime si precipitano a bordo e si siedono pazienti in fondo. La madre agguanta l'ovetto dal passeggino e sale. Poggia un momento il suddetto oggetto sul seggiolino accanto al mio. L'occupante, neanche un anno, mi osserva anche lui con lo stesso tipo di occhi della bimbetta indiana che mi guardava prima, la stessa boccuccia aperta stupefatta, la stessa innocenza di chi osserva il mondo e scopre cose nuove.
Mi incanto, a guardare questo altro sguardo, così simile a quello della bimba indiana malgrado i paesi d'origine distino migliaia di chilometri, sotto la visione divertita della madre, che non mi accorgo subito che il bus non riparte.
Fuori, il padre di famiglia, che ho già soprannominato Ordell Robbie, è in evidente e palese difficoltà con il passeggino. L'autista si arrabbia e lo invita a sbrigarsi, ma Ordell si infervora a sua volta, e sale sul mezzo con il passeggino ancora aperto, piazzandolo nello spazio riservato ai clienti in carrozzina.
L'autista esce dalla sua postazione di guida e va a redarguirlo sul fatto che lì, il passeggino, non ci può stare. L'altro replica a voce alta, ed entrambi danno vita ad un coro da decollo di airbus sulla pista principale di Heatrow. Poi l'autista termina che "non si parte fino a che tutti gli oggetti non sono al loro posto e le persone a sedere", dopo di che torna al suo posto e telefona non so a chi, se la centrale o l'Enterprise. La corriera resta lì, piantata come la Concordia sullo scoglio ma per lo meno dritta.
Un silenzio irreale scende dentro tutto il pulman, a parte l'autista che bofonchia un "io non riparto" a non so chi e il parlottare di Ordell con la moglie di qualcosa che, per quel che ne so, potrebbe essere la sistemazione di un passeggino come il calcolo differenziale dei vettori di potenza.
Non posso rimanere lì tutto il giorno, anche se sono solo le 11 del mattino e non entrerò in turno che tra 12 ore. Ho dormito quasi niente causa ingurgitamento di quantità spropositate di pizza fatta in casa e quindi necessità impellente di raggiungere casa, la doccia e molto riposo. Mi alzo e vado a vedere 'sto passeggino, mentre il resto del bus se ne resta seduto come se la cosa non li riguardasse, forse contenti di osservare la fermata della Sita di Compiobbi. Senza chiedere il permesso comincio ad aggeggiare, lui mi lascia fare e continua a discutere con la moglie. Una signora si affaccia dal suo sedile e comincia a darmi consigli "prova a pigiare quel bottone", che tento anche volentieri, ma serve solo ad allungare ed accorciare le maniglie.
Il problema dei passeggini è questo: ognuno di loro ha i suoi bottoni, i suoi comandi, i suoi meccanismi, che sono completamente diversi da tutti gli altri. Anche se sono della stessa marca. E sono ormai passati eoni da quando ne avevamo uno anche noi. Già la mia memoria è quella che è, figuriamoci aggeggiare su un trabiccolo con modalità completamente differenti. In breve, non ci cavo un ragno dal buco. A complicare il tutto, l'autista, cui ormai ho affibbiato il nome di "triceratopo frenetico", si alza nuovamente e va a redarguire Ordell Brown per non aver ancora fatto i biglietti, il quale reagisce urlando proprio come i personaggi di Samuel L. Jackson che li avrebbe fatti non appena messo a posto il passeggino. E mentre questi due deficienti sbraitano come ossessi, io sono lì che cerco di chiuderlo. Poi, come una luce in fondo al tunnell, arriva in mio soccorso una ragazza che "tu prova tirare leva che io preme qui", e magicamente il passeggino si ritrae su sè stesso dimezzando l'ingombro.
"Ecco fatto, ora sbrigati a metterlo al suo posto, altrimenti ci si mette casa, a Compiobbi". E Ordell, senza neanche un grazie, prende l'apparecchio, scende, apre lo sportello dei bagagli e lo ficca lì dentro. Poi finalmente va a pagare i biglietti a triceratopo frenetico proseguendo entrambi nelle loro fisime urlate. E quando finalmente si riparte, ecco che i passeggeri davanti, purtroppo della mia nazionalità, si mettono a discutere con triceratopo su "questa gente", dando vita a discorsi che fanno venire in me il fremito di dirottare il bus su Milano al nobile scopo di praticargli il bunjee-jumping in una piazza del capoluogo meneghino. Ve ne siete stati lì fermi senza fare un bel niente ed ora vi mettete anche a sputare sentenze. No grazie, ne ho abbastanza di questa merda. Mi riappiccico le cuffie e piazzo al massimo volume una qualsiasi chitarra, da Mark Knoplfer a Joe Satriani. Qualsiasi cosa, basta che mi assordi.
Quando finalmente arriviamo alla mia fermata, afferro lo zaino nel portaoggetti in alto, poi abbasso un attimo lo sguardo: la bimbetta indiana continua imperterrita ad osservarmi con sguardo curioso ed attento, spero a riprova che "costui è diverso da tutti quegl'altri". Non posso non sorridere e declamare un "ciao".
La madre, che solo ora mi rendo conto d'una bellezza speciale come solo le indiane sanno essere quando vogliono, con quella pelle così ambrata e quei capelli corvini che perdercisi dentro darebbe un significato speciale ad un'intera esistenza, invita la figlia a ricambiare, ed entrambe mi abbagliano con due doppie file di denti bianchi. Un'espressione così leggera e soave di serenità da meritare cittadinanza seduta stante, senza se e senza ma, alla faccia delle differenze di casta indiane e del mancato ius soli italico. Fiero della mia creazione di Ius risus (creato sul momento col traduttore, è valido a tutti gli effetti) ho percorso la strada di casa senza neanche accorgermi del sole bruciante del mezzogiorno d'Agosto. Ma stavolta con in cuffia il melodioso pianoforte di Bruce Hornsby.
A volte basta davvero poco, per sentirsi appagati.
martedì 15 agosto 2017
1 - Coppia italoamericana che non conta
le primavere ad anni.
Le conta a decine.
Per loro Ellis island non era un
ricordo un po' nostalgico ed un po' triste dei nonni. Ci sono passati
direttamente.
Le vere macchiette. I classici esempi
di italoamericano che parla con quell'accento sgravato, metà yankee
metà Calabria.
La signora mi si presenta al banco
chiedendomi un po' di tour variegati: Siena, Roma, Venezia. Qualsiasi
cosa, basta andare a giro. Ma per il giorno dopo sembra sia già
tutto pieno. Tutte le compagnie di tour sembra siano state prese
d'assalto da torme di turisti.
Lei si agita, guardandosi a destra e
sinistra: -Nessuno che va qualche parte? Lasciano tutti qui noi?-
-Pisa?-
-Noi va Pisa martedì, sta lì una
settimana-
Glisso sul fatto che lì ci stiano ben
una settimana. Immagino il mare, anche se non sembrano i tipi. Adoro la Torre ed il centro (e sono fiorentino) ma starci 6 giorni dev'essere come lavorare nell'ufficio postale di Chinaski.
Prendo il libretto dei tour, provo a
chiamare ancora l'agenzia ed alla fine qualcosa gli trovo: Assisi.
-Si, tu prenota, noi volere fare tour,
noi già visto musei, cosa fare qui poi?-
Per musei intende i soli Uffizi, perchè
da noi soggiornano solo 2 notti. Ma intanto gli ho venduto un tour
dell'intera giornata. E per noi portieri c'è la commissione.
In quel momento arrivano altri due
clienti. Che esordiscono con un sempre bellissimo e meraviglioso
accento inglese.
La calabro-yankee si volta verso di
loro e gli chiede così, a bruciapelo: -Brooklyn-
La cliente inglese, sulla prima, non
capisce, poi puntualizza che no, non è americana. Sono inglesi. La
signora si scusa dell'errore, ma io non posso fare a meno di
chiedermi: ma come si fa a confondere un accento inglese con uno
americano? E' come sbagliarsi tra il calabrese ed il toscano, via.
2 – Vorrei una camera con vista-
esordisce con un tono che dev'essere la figlia di Charles Manson.
-Non ne ho più-
-Cerchi bene-
-C'è poco da cercare. Sono le 9 di
sera, siamo completi e lei ha l'ultima camera disponibile-
Un neurone che gira vorticoso, nel
nulla assoluto.
Poi rinuncia. E decide di suicidarsi.
Troppo lavoro.
-E quindi non c'è nessun'altra camera
disponibile?-
3 – Un tedesco con minore conoscenza
d'inglese di mia figlia si lamenta dell'alto costo del garage:
-Il costo varia a seconda della
grandezza dell'auto, e questa macchina ha il prezzo massimo, grande
com'è. Insomma, è una Kia Sorento (i coreani si divertono, a
maltrattarci. Nel calcio come nei nomi. Questo vale anche per la mia
ex, che era di Seoul).-
Lui ci pensa. Mi guarda. E' serio.
Serissimo.
-Non è mica tanto grande-
4 – Si può avere una camera con
vista? - (ultimamente c'è l'epidemia)
-Mi spiace, non ne abbiamo più
disponibili-
-E noi come facciamo a vedere la città-
-Camminando-
Almeno, ci ha riso.
5 – Le buona, vecchia, classica
telefonata di chi, ostinatamente, è convinto che la speranza non
muore mai.
-Ho guardato su internet, ma ovunque,
su qualsiasi sito, mi dice che non avete camere disponibili. E'
possibile?-
-E' possibilissimo. Si chiama
“completo” ed è una bellissima cosa per noi-
-Ma per me no, io devo venire a
Firenze. Proprio non ha niente?-
Stavo per proporgli di dormire sul
divano della hall per una modica cifra, a patto che non disturbasse
il portiere di notte, ma ho preferito glissare.
Herr direktor potrebbe anche essere
d'accordo.
6 – Due clienti di nazioni diverse.
Maschi, come me. Anziani quanto basta per dire “potevamo farci
dall'asilo al diploma assieme”
Due t-shirt nere.
Per entrambi, la indico e dico “ottima
scelta”. Entrambi replicano con il pollice alzato.
Due scritte diverse, ma altamente
significative: “Black Sabbath” e “AC/DC”
La mia generazione è stata la
migliore. E la più fortunata.
mercoledì 9 agosto 2017
Stesso albergo, 2014.
Un monte di tempo fa.
Tutti i dialoghi sono ritradotti in italiano
1. In inglese. Coppia mediorientale giovane con bimba piccola. La signora scende al ricevimento ponendomi la seguente domanda:
-Posso avere gli orari del treno per Pisa? O per Venezia?-
-Certamente signora. Quale preferisce?-
Lei agita la mano, con noia.
-Oh, non ha importanza. Una qualsiasi andrà bene-
Pisani, veneziani: siete stati equiparati.
Foppeddivvelo.
Ps. Sono andati a Pisa. Costava meno.
2. In inlgese. Cliente indiano, chiede di vedere il meteo di tutta Italia.
Lo schermo del pc mostra i simboli del meteo sull’intera penisola.
-Questa cos’è? Cipro?-
-No, è la Sardegna-
-Oh, ed è Italia?-
-Ehhh. si-
Cari amici sardi, vi tocca.
3.Minivan parcheggia davanti all’albergo.
Ne scende un ragazzo che scarica e porta nella hall 4 valigie.
Camicia bianca aperta sul petto ed arrotolata alle maniche.
Barba.
Occhiali da sole.
-Ciao, buongiorno, c’ho le valigie per i clienti xxx-
-Ottimo, me le lasci qui nella hall e ci penso io-
-I clienti sono a fa’ un tour, arrivano più tardi. Ora vo a piglià de’clienti all’hotel xxxx-
Mi guarda, poi controlla l’orologio, rialza lo sguardo su di me e fa:
-Poi ho finito, e si va a fiha-
Non attendevo di sapere altro, dalla vita.
4.Cliente americana di mezz’età.
Rientra in albergo a prendersi i bagagli ed andare alla stazione, per la prossima tappa del viaggio.
Mi chiede un bicchiere d’acqua al bar.
Mentre sta per berlo, nell’italiano particolarmente accentato degli americani, mi fa:
-Grazie, sei caldo-
E mi piace pensare che non abbia sbagliato verbo, ma aggettivo.
5.Cliente italiana.
Check-in, piantina della città, chiave della camera e codice wifi.
E la ragazza me lo rende esclamando:
-Ah, no, questo proprio non mi interessa. Se volevo stare al computer me ne restavo a casa mia!-
Non potevo non stringergli la mano.
6. Inglese. Cliente indiano.
Omone gigante, sguardo modello “mostro di Frankestein”.
Baffone anni ’70.
Esce dalla camera mentre sta passando Ettore. Lo blocca.
-Lei lavora qui?-
Ettore guarda la sua divisa da facchino alberghiero.
Verde scuro.
Con bottoni e risvolti color oro.
-No. Questa è a nuova moda italiana!-
Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione.
7. Spagnolo. Entra in albergo un signore anziano.
-Lei vende camere?-
-Certo, le melanzane le abbiamo terminate-
Non ride, non la capisce, ma arriva la moglie.
Sono colombiani, più o meno dell’età in cui la Colombia si affrancò da essere colonia spagnola.
Vedono la camera.
La comprano.
La signora scende.
Ha la tranquillità dell'antilope attaccata dal leone: agitazione ai massimi livelli.
Si dimena da un capo all'altro del bancone.
E mi pone una strana domanda. Di quelle che mi fanno sentire tanto solidale con gli agenti di viaggio.
-Che città interessante c’è tra qui e Milano?-
Lì per lì non capisco, poi lei si spiega: l’8 partono per Parigi da Milano, e vogliono fermarsi per una notte da qualche parte da qui alla città meneghina.
Mi viene naturale suggerirgli Bologna.
Ma la signora evidentemente aveva comunque un progetto ben preciso, di cui finalmente mi rende partecipe:
-E Livorno? Non è nella stessa direzione di Milano?-
Apro su google una mappa con la porzione dell’Italia che farebbe felice qualsiasi leghista: il centro-nord. Gli faccio vedere dove sta Livorno.
-Come è Livorno?-
Mi sfugge il motivo per cui abbiano sentito parlare di Livorno. Forse il Vernacoliere è arrivato anche a Bogotà.
Ma qui faccio una cosa per cui i labronici mi odieranno. A vita.
Sarò bannato in eterno dalla città dei quattro mori.
Suggerisco alla cliente di andare a vedere La torre storta.
-E’ bella?-
Non la conosce. Non conosce la Torre di Pisa. Devo riavviare il cervello più volte perché non lo credo vero.
Devo mostrargliela con google.
Comincio una descrizione sulla torre e la sua caratteristica pendenza. La signora mi interrompe agitando la mano.
-Si si, quello che è-
Mille anni di inclinazione liquidati così.
Poi continua con la sua richiesta di “pueblos” da visitare tra Firenze e Milano.
Suggerisco Parma.
-No, Parma è troppo cara-
Amici parmensi, abbassate ‘sti prezzi.
Perché anche se c’è chi non conosce la Torre di Pisa, sa che Parma è una città carissima.
Anche se non ho capito come faccia a sapere questa preziosissima informazione.
ps. gli stampo gli orari del treno per Pisa, lei sibila un gracias e corre trafelatissima su per le scale. Tutto il resto (Bologna, Milano, ecc.) era già dimenticato.
8.Italiani con passaporto belga. Italiano scarso, dall'età devono essere immigrati in Belgio al seguito delle legioni romane.
Lui ha una giacchetta dai due colori improbabili.
Sopra, il simbolo della squadra-che-a-Firenze-non-può-essere-nominata.
Mi guarda.
Poi indica il simbolo.
-Tu piace questo?-
-No. Lei oggi mi ha reso molto triste, lo sappia-
Ride di gusto.
Io no.
Questo lavoro ha anche tanti lati negativi.
sabato 5 agosto 2017
La vicenda dell'albergatore di Cervia che rifiuta il lavoro ad un ragazzo perchè "nero" dimostra tutta l'incapacità degli italiani a saper lavorare. Perchè il discorso non è o meno il razzismo, quanto il fatto che certa gente, certi lavori, non dovrebbe farli. Perchè non li sa fare, è palese.
Un imprenditore serio non prende un futuro dipendente al buio. Non assume così, alla leggera. Io, ogni qual volta che ho fatto un colloquio di lavoro, sono stato praticamente spulciato dalla testa ai piedi. Hanno sempre controllato attentamente che ciò che avevo scritto nel curriculum, precedentemente letto, corrispondesse a verità. Che avessi le caratteristiche necessarie per svolgere l'impiego. Se mi hanno assunto e soprattutto sopportato per così tanti anni dove sono attualmente, evidentemente dev'essere così.
Questi imprenditore di Cervia non l'ha fatto. Ha letto così, senza darci troppo peso, un pò di curriculum, ed ha deciso che tizio andava bene. Senza averne visto una foto (poteva richiedergliela, se non era presente sul cv). Senza un colloquio preventivo. Senza nient'altre indagini. Poi si rende conto che il vincitore del sorteggio è nero e lui torna sui suoi passi "no, scusa, ho sbagliato". No bello, non hai sbagliato. Hai proprio lavorato male. Hai dimostrato la tua incapacità a fare l'imprenditore.
Discriminare non è la gravità che si possa pensare. Tutti lo facciamo. Alcune notti fa mi passarono, dall'albergo, prima un nero vestito come uno straccione e dopo una coppia wasp ben vestita ed elegante, e particolarmente alticcia. In entrambi i casi ho detto di no, che ero pieno benchè non fosse vero ed avessi camere libere. Il nero perchè voglio che in albergo vi siano persone abbigliate malamente, la coppia perchè avrebbe potuto dare vita ad un amplesso particolarmente rumoroso e svegliare i clienti delle camere accanto. In entrambi i casi ho discriminato.
Ovviamente avrei potuto sbagliarmi. Il nero poteva essere solo un eccentrico con così tanti soldi da comprarsi l'intero albergo, invece di una camera solo per una notte. la coppia poteva anche fare l'amore in pieno ed assoluto silenzio, o solo dormire. Ma non me la sono sentita di rischiare. Ho discriminato ed ho semplicemente detto "sono pieno, mi spiace". Tanto basta. Arrivederci, e sono andati via.
In questo caso avevo la facoltà di decidere. Il potere di discriminare senza l'obbligo di dare spiegazioni. E' chiaro che non posso farlo se la prenotazione di una camera avviene con internet. Mi sono capitate persone che, definire straccioni, è come dire che Pitti Uomo si è trasferito nei rifugi notturni dei barboni. Ma avevano regolarmente prenotato via internet. Prenotato con carta di credito assolutamente valida. Non potevo obiettare niente, solo chiedere i documenti e ricordare la tassa di soggiorno. E sperare che almeno si lavasse nel bagno della camera, ma di solito tale speranza rimane molto vana.
In altri casi, la possibilità di vendita è a nostra discrezione. E così quella di assumere. Un potere a pieno favore degli imprenditori, dei datori di lavoro. Non c'è niente di male ad un curriculum scartato. Nessuno ha il diritto di chiedergli perchè ha scartato proprio quello. Lui non ha il dovere di dare spiegazioni. Ma se uno queste cose non le fa, non controlla, non indaga attentamente su chi deve assumere, non ha nessun diritto a fare reclami retroattivi. Sei tu che hai lavorato male, che sei incapace a fare il direttore.
A casa.
Un imprenditore serio non prende un futuro dipendente al buio. Non assume così, alla leggera. Io, ogni qual volta che ho fatto un colloquio di lavoro, sono stato praticamente spulciato dalla testa ai piedi. Hanno sempre controllato attentamente che ciò che avevo scritto nel curriculum, precedentemente letto, corrispondesse a verità. Che avessi le caratteristiche necessarie per svolgere l'impiego. Se mi hanno assunto e soprattutto sopportato per così tanti anni dove sono attualmente, evidentemente dev'essere così.
Questi imprenditore di Cervia non l'ha fatto. Ha letto così, senza darci troppo peso, un pò di curriculum, ed ha deciso che tizio andava bene. Senza averne visto una foto (poteva richiedergliela, se non era presente sul cv). Senza un colloquio preventivo. Senza nient'altre indagini. Poi si rende conto che il vincitore del sorteggio è nero e lui torna sui suoi passi "no, scusa, ho sbagliato". No bello, non hai sbagliato. Hai proprio lavorato male. Hai dimostrato la tua incapacità a fare l'imprenditore.
Discriminare non è la gravità che si possa pensare. Tutti lo facciamo. Alcune notti fa mi passarono, dall'albergo, prima un nero vestito come uno straccione e dopo una coppia wasp ben vestita ed elegante, e particolarmente alticcia. In entrambi i casi ho detto di no, che ero pieno benchè non fosse vero ed avessi camere libere. Il nero perchè voglio che in albergo vi siano persone abbigliate malamente, la coppia perchè avrebbe potuto dare vita ad un amplesso particolarmente rumoroso e svegliare i clienti delle camere accanto. In entrambi i casi ho discriminato.
Ovviamente avrei potuto sbagliarmi. Il nero poteva essere solo un eccentrico con così tanti soldi da comprarsi l'intero albergo, invece di una camera solo per una notte. la coppia poteva anche fare l'amore in pieno ed assoluto silenzio, o solo dormire. Ma non me la sono sentita di rischiare. Ho discriminato ed ho semplicemente detto "sono pieno, mi spiace". Tanto basta. Arrivederci, e sono andati via.
In questo caso avevo la facoltà di decidere. Il potere di discriminare senza l'obbligo di dare spiegazioni. E' chiaro che non posso farlo se la prenotazione di una camera avviene con internet. Mi sono capitate persone che, definire straccioni, è come dire che Pitti Uomo si è trasferito nei rifugi notturni dei barboni. Ma avevano regolarmente prenotato via internet. Prenotato con carta di credito assolutamente valida. Non potevo obiettare niente, solo chiedere i documenti e ricordare la tassa di soggiorno. E sperare che almeno si lavasse nel bagno della camera, ma di solito tale speranza rimane molto vana.
In altri casi, la possibilità di vendita è a nostra discrezione. E così quella di assumere. Un potere a pieno favore degli imprenditori, dei datori di lavoro. Non c'è niente di male ad un curriculum scartato. Nessuno ha il diritto di chiedergli perchè ha scartato proprio quello. Lui non ha il dovere di dare spiegazioni. Ma se uno queste cose non le fa, non controlla, non indaga attentamente su chi deve assumere, non ha nessun diritto a fare reclami retroattivi. Sei tu che hai lavorato male, che sei incapace a fare il direttore.
A casa.
martedì 1 agosto 2017
Crederci sempre, mollare mai.
Un botto
stratosferico che scuote il pianeta. Un Triceratopo osserva un suo simile e sibila
-C’infilassimo dentro quella caverna? Magari la sfanghiamo, c’abbiamo pure la
corazza-
Una bella signora
imparruccata che, poco prima di mettere la testa sotto la lama implora alla
folla -Dai, ho un sacco di brioche a palazzo, famò a mezzo e la chiudiamo qui-
Adolfo che nel
bunker, sotto i colpi d’artiglieria, osserva la mappa e dichiara -Abbiamo una
marea di panzerdivision, attacchiamo i russi e li ricacciamo fino a Vladivostok-
O, nel mio piccolo,
Pioli che mi chiama che -Marce, c’è Corvino che ha venduto tutti, ci serve un
portiere e so che sei svincolato, che vieni?-
-Mister, sono
lusingato, ma più che svincolato avrei smesso proprio. Poi se realizzo qualche
bella parata capace vende pure me al Vissel Kobe per 30.000 € + un bonus di
sushi al nuovo “all-you-can-eat” a Novoli-
-Tu c’hai ragione,
meglio se resti in albergo. Se provassi a chiamare Landucci? Lui, belle parate,
non l’ha mai fatte-
-Te prova. Hai
visto mai-
Una di notte.
Chiamata da una camera.
Un buon inglese
mi pone una domanda di dubbia possibilità:
-E’ ancora aperto
il servizio lavanderia a gettone?-
Osservo fuori
dall’ingresso. Il buio della notte.
-Sinceramente?-
-Si-
-No-
-No?-
-No-
-Ma è sicuro?-
Dimmi cornetta: perché
i dubbi salgono al cervello dei clienti in questi strani, assurdi casi ed io
sono in turno?
-Siamo in Italia.
Qui non è sicuro niente. Neanche la morte e le tasse. Ma un negozio, anche se
self-service, dubito fortemente che sia aperto-
…..
-Signore?-
-Ok, grazie-
Contare fino a
60.
Ascensore che si
apre.
Una pancia che
Adinolfi proverebbe invidia. La barba di Al-Baghdadi. L’aspetto timoroso di un Neville
Paciock appena si trova di fronte a Piton. Che nel suo mondo immaginario, sono
io.
-D…devo lavare
questo-
Mi mostra un
sacchetto con UNA singola maglietta. Taglia XXXXXXL.
-Come le ho detto
prima, non credo proprio la trovi aperta-
-I…io provo. E’
più avanti, giusto?-
-Si, 50 metri. Mi
suoni il campanello, quando rientra-
Contare fino a
120. 60 per andare e 60 per tornare.
Campanello che
suona.
Uno sguardo
deluso.
-Si… era chiuso-
-Mi spiace, l’avevo
avvertita-
-E’ stato molto gentile,
grazie lo stesso-
Crederci sempr….
No, non sempre,
dai. C’è un limite a tutto.
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