domenica 24 marzo 2019

Finlandesi.

Sono, senza ombra di dubbio, tra i migliori clienti che ci siano. Come tutti quelli della penisola scandinava sono cordiali ed educati. Salutano sempre ed adorano l’arte fiorentina. Pagano e non creano problemi. In più i finlandesi hanno nomi buffi come Lekakhula, Kakavonen, Muukka, Pirikkunen, Kakkula (giuro, tutti veri), insomma, una roba che va dai racconti per bambini alla Gianni Rodari ai film scurrili alla Alvaro Vitali: in ogni caso ci si fanno due risate tra colleghi.

Ma ovviamente, anche con loro non mancano casini di vario genere.

Mi capitarono, ormai quasi venti anni fa, un nutrito gruppo di finnici, una trentina di persone, quasi tutti belli anzianotti, anche sopra gli 80 anni. Probabilmente reduci della guerra d’inverno coi sovietici. Insomma, duri ma col sorriso. Rientrano la sera dopo cena, e mi chiedono dei bicchieri in vetro perché hanno comprato del Chianti e non è carino berlo nei bicchieri di plastica. E ci mancherebbe anche. Così gli indico il bar, e mi avvio a prenderli. Mi giro per vedere se mi seguono, e infatti uno di loro mi viene dietro, uno dei più anziani.

Troppo anziano.

Inciampa e va a sbattere la testa conto lo spigolo del cassapanca di legno all’ingresso del bar. E’ una bella cassapanca, avrà un paio di secoli. Legno duro, massiccio, ci teniamo dentro la carta intestata. E’ ovvio che tra una capoccia finlandese e una cassapanca toscana non c'è proprio partita: la Toscana vince.

Essendomi, proprio in quel momento, girato, mi sono visto tutta la scena, ce l’ho ancora in testa al rallentatore: il vecchietto di Helsinki che incrocia le gambe e va giù di testa come come un tuffatore in piscina, e la capocciata sulla cassapanca.

Mi rendo subito conto che s’è fatto male di brutto. Lui si rialza e dice "Ok, ok!" Ma ok un tubo, grondi sangue che sembri appena uscito da un episodio di Band of Brothers! Lo costringo a mettersi a sedere e gli osservo la testa: tra i radi capelli bianchi si nota un bel taglio profondo, con il sangue che scorre copioso. Perchè non ha battuto pieno, ma di striscio sullo spigolo. E in quel momento, lui fa per rialzarsi; lo inchiodo subito alla sedia: ma te sei matto! Hai scansato i proiettili russi, lassù in Lapponia nel ’40, e ti fai dissanguare qui da una cassapanca toscana? Nel mio hotel??? Ma te sei fuori! Ordino alla moglie, che da brava nordica ascolta disciplinatamente senza interrompermi, che il marito non deve alzarsi, assolutamente. Lei capisce e gli appoggia la mano sulla spalla; e lui lì fermo e zitto, chiaro indice di sottomissione alla parte femminile della famiglia (cosa che peraltro avviene spesso anche a casa mia…). A quel punto mi fiondo alla cassetta del pronto soccorso, vedi che il corso a qualcosa è servito? Inzuppo il cotone di disinfettante e torno dal finnico; appoggio il cotone sulla ferita ed ordino alla moglie di tenercelo bene, premendo con forza, cosa che fa subito (il marito ormai è rassegnato e subisce in silenzio. O forse si è reso finalmente conto che trattasi di cosa seria, visto che quel che gli cola lungo la guancia e gli macchia i vestiti non è sudore, ma sangue). Quindi mi previpito al telefono per chiamare il 118.

Ovviamente comunico subito all’operatrice il problema: il taglio sulla testa che perde sangue, ma che il soggetto sta bene e non è in pericolo di vita. La tipa mi dice ok bravo ora non lo tocchi più ed aspetti l’ambulanza. Bene, mi tranquillizzo, anche perchè sto tremando come una foglia. Io, il mio, l’ho fatto. Ora devo solo attendere gli esperti del settore, affinchè compiano il loro dovere.

L’ambulanza arriva in pochi minuti, e i soccorritori si precipitano dentro… smollando l’ambulanza nel mezzo alla strada. Ovviamente bloccando il traffico. Dopo neanche 3 secondi che i paramedici sono al capoccia nordica dentro un tassista che si lamenta del parcheggio selvaggio dell’ambulanza. Al che il paramedico ribatte che lui ha un’urgenza e quando ci sono le urgenze non sta a sottilizzare e gli altri si attaccano perché può esserci un pericolo di vita, e la vita viene prima della fretta di un tassista… non ha tutti i torti, ma io avevo detto all’operatrice che non era urgente. Vabbè, dopo il breve battibecco (ho il mio daffare a calmarli, perché avevano già cominciato ad alzare la voce enteambi, e quando due fiorentini alzano la voce si possono superare i 200 decibel), il paramedico torna sull’ambulanza e la parcheggia… meglio (con una ruota sul marciapiede, di traverso… ma comunque le auto ed i pedoni passano… più o meno…), quindi torna dentro ad assistere la collega paramedica che sta esaminando la ferita. Si portano via il danneggiato, che tornerà in albergo dopo un paio d’ore, con un’evidente fasciatura in testa a coprire i punti che gli avevano applicato. Li mostrò orgoglioso a tutta la combriccola, il giorno dopo alle colazioni e io, che ero presente perchè avevo pomeriggio-mattina, notavo interessato che tutti lo guardavano con una strana ammirazione.

Un italiano sarebbe stato additato come un pirla.

Ah, particolare interessante: la moglie non seguì il marito nell’ambulanza fino all’ospedale. Smollò il marito ai paramedici ed andò a dormirsela in camera. Non so se fosse freddezza tra coniugi o freddezza nordica; all'inzio propendevo per la seconda ipotesi, ma poi mia moglie mi fece notare che molto probabilmente la signora finnica voleva bersi il famoso chianti con gli altri componenti della gita.

Evidentemente sopra i 60 conta più l’alcool dei rapporti tra coniugi.

Spero solo in quel di Helsinki.

lunedì 11 marzo 2019

Qui sul libro delle facce c'è questo giochetto, uno dei tanti, sul postare un libro e taggare amici. 10 libri, uno al giorno, nessuna spiegazione.

Io faccio come mi pare. Essendo stato taggato, me la gioco a modo mio.

Un libro e una spiegazione di 30 cartelle dattiloscritte. D'altra parte, facebook e un qualsiasi blog -come questo- lo permette. Perchè limitarsi a pochi caratteri quando si può scrivere in abbondanza? Lasciarsi andare alla furia creativa digitando freneticamente sulla tastiera? Non siete presidenti degli Stati Uniti con i capelli arancioni e una pancia grande quanto un planetario, con la misera limitazione di twitter e poco cervello: sdatevi.

Quindi mettetevi comodi, che è lunga.

Nei primi anni '90 ero solito comprare, oltre ai fumetti della Bonelli (ho una mega libreria marca svedese stracolma di Mister No, Dylan Dog, Tex e Martin Mystere) anche Linus; celebre rivista di fumetti chiamata come il noto personaggio dei Penauts, fu la prima a portare questa striscia in Italia. E la prima anche a portare un altro capolavoro fumettistico di cui ora parlerò.

Prima però questa:

In fondo alla rivista c'era questa pagina di annunci.

Oggi c'è la rete, e si trova veramente di tutto. Si fanno amicizie nei modi più disparati e ci comunica con perfetti sconosciuti senza stare troppo nel dettaglio. Di tanto in tanto, su questo forum sociale, mi arrivano anche richieste di amicizia da parte di avvenenti figliuole dalle procacissime forme. Profili falsi, creati adeguatamente allo scopo di attirare i 50enni come il sottoscritto.
Rifiuto tali amicizie solo perchè non sono nipotine di capi di stato mediorientali e perchè non ho una cantinetta adeguata al bunga bunga (se avessi una cantinetta, sarebbe perennemente apparecchiata con un wargame).
Ma nei primi anni '90 c'era, appunto, Linus. E questa pagina di annunci.

la stragrande maggioranza era roba da cuori solitari. In fondo Linus non era una scelta sbagliata. Chi leggeva quei fumetti, e soprattutto ne capiva il senso, erano menti indubbiamente più elevate che non le lettrici di Cioè o i maniaci del Guerin Sportivo. Speravano, costoro, di trovare la/il compagna/o di vita dalla cultura abbastanza elevata.

Io mi chiamo fuori, non mi sono mai sentito così elevato.

Comunque mi piaceva la rivista. Ma accarezzavo anche l'idea di trovare amicizie fuori dalla cerchia scolastico-fiorentina. Misi un annuncio. Solo scambio di semplici lettere. Niente ricerche di cuori solitari; a quei tempi il mio unico amore era la sfera. Intesa sia come da calciare sia come vista calciata. E quando dovevo osservarla era obbligo farlo dalla Fiesole. Soprattutto in quegli anni, quando un certo bomber argentino la scaraventava nelle porte avversarie.

Non divaghiamo.

Mi rispose una ventina di persone. A parte un ragazzo, erano tutte donne.

Mi scrissero da tutte le regioni d'Italia. Non scherzo, praticamente tutte. Anche il mistico Molise. Esiste. Giuro. Mi scrivevano da Campobasso (su Isernia, mantengo riserve)

Ovviamente dovetti anche provvedere a una scrematura. Non potevo certo mettermi a scrivere a tutte. Sarebbe diventato un lavoro. Poi, col tempo, persi molti contatti. E' fisiologico avvenga. Almeno così credo.

Con Marina Silvia, no.

Con lei, per qualche strana, splendida, stupefacente ragione, abbiamo trovato una simmetria comune. Un qualcosa che ci faceva dire "non smettiamo. Continuiamo a scriverci. A dirci quel che ci frulla per la testa. Finchè ci va".

Ci va tutt'ora.

Ok, abbiamo smesso con le lettere vere e proprie. Quelle scritte a mano, con l'emozione di trovare la busta della lettera affrancata nella cassetta della posta. Il piacere unico della lettura di chi ha speso tempo ed energie per muovere una penna su di un foglio di carta. Adesso abbiamo il libro delle faccie e, in subordine, whatzapp.

Ovviamente abbiamo anche avuto l'onore di incontrarci di persona. Conosce mia moglie, di cui hanno in comune la regione Lombardia, e sono entrambe donne di grande cultura e intelletto.

Silvia (io la chiamo col suo secondo nome, in onore di una biondina che mi garbava quando avevo 16 anni, sono passati 30 anni, chissà com'è andato, il viaggio di una vita lì con te -cit. Ligabue- Silvia originale) abita a Milano e fa l'avvocato.

Adoro immaginarmela mentre si alza in piedi ed esclama "Mi oppongo!" e battersi strenuamente contro il procuratore distrettuale. Non è colpa mia. Ho guardato troppo i telefilm americani per immaginarmi i processi italici. Non avendo mai -per fortuna- preso parte ad un processo, non so come funziona qui. Inoltre Silvia parla spagnolo a un livello che io posso solo sognarmi, avendolo studiato il giusto per capire che "una almoada mas" significa che il cliente chiede un cuscino supplementare in camera. E spero nient'altro.

Alla Silvia dedico Bill Watterson.

Perchè un fumetto e non un libro?

Intanto perchè lo scoprii proprio tramite Linus, che ne pubblicava regolamente le strisce, e poi perchè Calvin & Hobbes è grande cultura. E' uno dei fumetti più straordinari mai creati, e sono sempre stato dell'idea che non si può assolutamente delegare alla sola letteratura la diffusione del sapere, il piacere della conoscenza, il gusto della scoperta di nuovi orizzonti. O quel che è. Da questo punto di vista ero, e sono, favorevole al premio Nobel a Dario Fo e Bob Dylan. Se non siete d'accordo, gne gne gne.

Calvin -spiego per chi non lo conoscesse, e raccomando una sua lettura- è un bambino di 6 anni con una tigre di pezza -Hobbes- che nella sua mente è un essere vivente dotato di propria personalità. Nelle strisce in cui sono presenti solo loro due, Hobbes è vivo e interagisce col suo amico umano, con tanto di conversazioni anche approfondite. Quando nelle strisce appaiono altri personaggi (principalmente i genitori di Calvin) Hobbes è una normale tigre di pezza.

La straordinarietà del fumetto sta proprio nella fantasia scatenata del ragazzino, capace di stravolgere la sua realtà spesso banale (la scuola, il bullo che lo tormenta, le regole imposte dai genitori o dalla baby-sitter) in avventure speciali e totalmente fuori dal normale. Così maestra, genitori e baby-sitter diventano mostruosi alieni mentre lui, che incarna ora l'astronauta Spiff ora Stupendus Man (con tanto di maschera e mantello), vive straordinarie avventure stracolme di libertà. Per me Watterson merita il premio Nobel alla letteratura. Assolutamente.

Due mesi fa venne in albergo un'allegra famiglia americana: genitori e figlia di pochi anni. La piccola aveva con sè un cagnolino di pezza. E ci parlava. Smise di farlo solo nel pochi secondi in cui i genitori discutevano con il portiere dell'albergo (io) per la chiave della camera. Ma potevo benissimo vedere, nei suoi occhi, un cagnolino vero e proprio.

Lo teneva in collo, lo accarezzava, lo stringeva come si fa per un bene preziosissimo, un oggetto caro e personale, una persona amata.

Ecco, il termine giusto è proprio quello: una persona amata.

Lo abbiamo avuto tutti, un peluche, un giocattolo, un balocco che ci teneva compagnia quando eravamo piccoli, e che era vivo. Ai nostri esclusivi occhi. La Sara, laureata in scienze dell'educazione, direbbe che è un "oggetto di transizione". Io ci vedo il primo vero, e forse più sincero, amico.

Non ricordo quale era questo mio amico. A quei tempi giocavo con i soldatini Atlantic. Tedeschi e inglesi che si combattevano in perenni e strenue battaglie (gli inglesi in divisa kaki e pantaloncini, quindi truppe dell'8^ Armata). Già allora il mio aspetto ludico-guerriero era emerso prepotentemente (e sono uno che ha fatto il servizio civile e non possiede il porto d'armi).

Di amici veri non ne ho tanti. Alla fin fine sono un tipo solitario. Mi piace, quando non ho la famiglia in giro per casa, starmene seduto sul divano a digitare sul pc. Leggere. Progettare giochi da tavolo che non verranno mai pubblicati. Giocare su board game arena. Si, anche stirare e pulire casa (mi obbligano).

Però Marina Silvia è una delle mie amiche.

Le dedico il libro. Rigorosamente in inglese.

(sapendo del suo amore per la lingua iberica, avrei potuto dedicargli Mortadelo y Filemon. Capolavoro assoluto. Magari, un'altra volta)

 

venerdì 8 marzo 2019

C'è una cosa che accomuna tutti noi umani con qualsiasi altro elemento, animale, minerale e vegetale, di questo pianeta, anzi, di questo universo conosciuto.

La data di scadenza.

Perchè non vale solo per yogurt o quotidiani di satira, come diceva Michele Serra. Vale anche per tutti noi (e spero che quella di tutti noi sia il più in là possibile) e le cose che ci circondano.

Farò un esempio pratico:

Qualche anno fa ero in turno pomeridiano. Mentre mi accingevo ad arrivare all'albergo ero continuamente fermato da indiani che mi offrivano, alla modica cifra di 5 eurini, un mazzettino di mimosa, elegantemente avvolta in un cellophane trasparente con fiocchettino rosa allegato. Erano le 14.30 dell'8 Marzo.

Verso le 21, in un momento senza clienti al bancone, mi affaccio un attimo per aprire e far entrare un po' d'aria fresca, quando un altro indiano, lì sul marciapiede, si avvicina e mi offre anche lui un prodotto della festa delle donne: 1 euro. Approssimandosi la data di scadenza del prodotto, il suo costo subisce un crollo vertiginoso modello venerdì nero di wall street. Presumo che, all'uscita dall'albergo dopo il turno, verso le 23, avrei potuto trovarlo anche a 50 centesimi. Dopodichè alla mezzanotte l'invenduto avrebbe preso la via del cassonetto. Prodotto scaduto, fine della vendita.

Ora, chi legge il mio blog è in prevalenza un collega, cioè un albergatore, quindi uno che sa di cosa sto parlando. E confido nel fatto che chi non lo è capisca che una camera d'albergo ha la stessa data di scadenza delle mimose dell'8 Marzo: la mezzanotte. Magari il portiere di notte, se è fortunato e bravo, riesce anche a vendere una camera pure alle 4 del mattino a chi passa nottetempo, ma su internet, nelle varie piattaforme di vendita, il giorno finisce. Scaduto, stop, fine dei giochi; il prodotto (le camere invendute) è marcio e prende la via del cassonetto (virtuale). Si passa alla vendita del giorno successivo.

Ma il problema è che non tutti sono intelligenti come voi che leggete. Certa gente non ci arriva proprio.

Telefono.

-Hotel xxxxxxxx buonasera, sono Marcello, come posso aiutarla?-

-Siiiii.... mmmhhhhh... ecco..... si, 'nsomma, se volemo fa un soggiorno a Firenze, che me sa dì er prezzo?-

Ora, voi capirete che una voce femminile, presumibilmente di mezza età, che esordisce così, non è proprio il massimo della clientela desiderata da un portiere. Mancano diversi e numerosi fattori fondamentali, in particolare:

-a) quante sono le persone che soggiornano;

-b) in che date volete soggiornare;

-c) un "buonasera", elemento forse anche più gradito.

Ma il mutuo che grava sulle spalle di noi portieri esige che ci si comporti a modo per finalizzare la vendita, quindi cerco di sfruttare tutta la mia esperienza sul campo.

-Certamente signora. In che date volete venire a Firenze?-

-Dar 3 ar 5-

Dato che il 3 era già passato, presumo che si stesse riferendo al mese successivo. Perciò vado sul sistema ed imposto già il mese per far uscire le tariffe. Nel frattempo, pongo un'ulteriore domanda alla signora:

-Camera matrimoniale presumo-

-Si certo, 'na matrimoniale, ma che se pensa, che vengo sola?-


Mi garberebbe risponderle "Sounasega io che vuoi fare della tua vita", ma devo essere professionale. Palla avanti e pedalare, ecco le tariffe:

-Bene, signora, una camera matrimoniale arrivo il 3 partenza il 5. Il costo, comprensivo di prima colazione e tassa di soggiorno, è xx € a notte-

La signora, senza neanche rispondermi e abbassare la cornetta, si mette ad urlare.

-A Frà, a camera costa xx euri, che ne pensi? A' prendemo?-

E da qualche altra parte di quella casa, che ho chiaramente definito trovarsi nella Capitale o quanto meno nei prossimi dintorni, il marito risponde anche lui con voce a 564 decibel, ben udibile anche dal sottoscritto:

-Daje!-

Frà è uno di poche parole. Ma concise.

Agguanto un foglio per le prenotazioni e trascrivo tutti i dati necessari: data di arrivo e partenza, cognome dei clienti, tipologia e costo della camera, numero di cellulare del cliente. Quindi gli chiedo un prepagamento per la prima notte.

E questa cosa non gli torna affatto.

-Ma perchè dovemo pagà se nun semo ancora rivati?-

Così passai almeno 30 minuti 30 a spiegare alla signora che in alta stagione abbiamo bisogno di una garanzia per la vendita della camera. In bassa stagione possiamo anche prendere la prenotazione non garantita con tempo limite (se il cliente arriva entro quell'ora bene, altrimenti rivendiamo la camera) tanto abbiamo molte camere che rimangono vuote perchè è, appunto, bassa stagione. Ma che in alta stagione non è così, e se non la comprava lei la rivendevamo subito ad un altro signor Rossi, o Smith, o Yamasa, che voleva venire a visitare Firenze.

Non c'era verso, non lo accettava.

-Mi scusi, ma io nun ve pago. Nun la pago una cosa che ancora nun c'ho! Ho viaggiato in tutti l'alberghi der monno e nun m'hanno mai chiesto una cosa simile-

E' sempre così, quando a qualcuno c'è qualcosa che non va, noi siamo l'unico albergo del pianeta dove si chiede una carta di credito od un prepagamento. Non lo fa nessun altro. Solo noi siamo i cattivi. Perchè il cliente ha sempre ragione. La signora ha viaggiato "in tutti l'alberghi der monno". Ormai è l'esperta mondiale in vendita alberghiera.

Alla fine, preso dallo sfinimento, le proposi un tempo limite per le 12. Venite qui, vedete la camera e la pagate. Ma se non siete qui entro mezzogiorno, io la rimetto in vendita.

-Ma perchè? Ma se noi se volemo facce un giro e venì la sera?-

-Signora, le ripeto: io devo avere la garanzia della vendita della camera. Se voi non venite la camera mi resta invenduta, per il 3-

E questa se ne esce con la dimostrazione che il suo cervello era posizionato su "off". E soprattutto, che è bene non mangiare a casa sua, non sia mai che metta al fuoco una braciola scaduta il 22 novembre. Del 1992.

-Vabbè, si nun vendete la camera er 3 la rivendete er 4, che problema c'è?-

A quel punto lasciai perdere. Mi limitai a dirle che quelle erano le condizioni, e poteva solo prendere o lasciare. Lasciò.

La data di scadenza, per questa tipa, non esisteva.

Ne ho dedotto che a fare la spesa e preparare da mangiare, in quella casa, ci pensi Frà.

A' Frà, semo tutti con te.

Foppedittelo.

venerdì 1 marzo 2019

Esempio di turni di lavoro mio e di mia moglie in questi ultimi 13 anni:

Ore 7: sveglia e colazione delle 3 donne di casa. Io rientro dopo mezz'ora dal turno di notte e vado a dormire.

Le ragazze vanno a scuola, la Sara mette su una lavatrice. Spolvera in cucina, salotto e uno dei bagni (zona giorno della casa). Stende la lavatrice, ne mette su un'altra.

Ore 13. Prepara il pranzo.

Ore 14.30. Le ragazze tornano da scuola. Mangiano. Mi sveglio, saluto la Sara che va a lavorare (turno pomeridiano). Ingurgito mezzo litro di caffè alla temperatura di fusione del piombo. Poi spolvero nelle camere e nel secondo bagno. Stendo la seconda lavatrice. Aiuto le ragazze nei compiti (se mi vogliono. Di solito no). Sto con loro. Parliamo, gochiamo. Leggo qualcosa.

Ore 20: preparo la cena per tutti e 3.

Ore 22: vado a lavorare. La Sara torna, guarda un pò di tv con le ragazze, poi vanno a dormire.

Ore 7: stacco dal lavoro e torno a casa. La Sara va a lavorare (turno di mattina), le ragazze a scuola. Sparecchio il tavolo dalla colazione. Faccio partire la lavastoviglie. Vado a dormire.

Ore 13.30 Mi sveglio e preparo il pasto per me e le ragazze. Alle 14.30 tornano da scuola e pranziamo. Poi loro si rilassano sul divano e in tv. Io comincio stirare i panni asciutti stesi ieri. La Sara torna alle 15.30, dopo di che si rilassa anche lei sul divano, di solito alla tv.

La cena la preparo io. Quando siamo tutti e 4, a cena, preparo sempre qualcosa di sfizioso tipo un bell'arrosto, la pizza, o una roba che potrebbe passare come "la festa dei trigliceridi": la carbonara. Con le uova dei miei zii, che hanno il pollaio. Si, ok: guanciale, niente panna, ecc. Non cominciamo a fare i precisini. Cucino per passione personale, non per avere i giudizi di Rugiadi o Cannavacciuolo.
   

Potrei stilare l'intera settimana di faccende domestiche. Di incastri di turni di lavoro. Della programmazione della spesa. Di imprevisti che portano via tempo (730/isee, visite mediche, revisione dell'auto). Delle attività extrascolastiche delle ragazze. Soprattutto, dei loro impegni del fine settimana; perchè loro sono libere, ma noi, come portieri d'albergo, lavoriamo. E quindi capita spesso che solo uno di noi esca con loro, magari a cena il sabato sera dai nonni, o dagli zii, oppure a trascorrere un pomeriggio cinematografico. Mentre l'altro è in turno. O dorme.


Non voglio fare lo sborone. Non sono perfetto, anzi. Ho i miei grossi difetti. Non sono neanche capace a fare tutto. Per dire: i bagni li sa pulire molto meglio mia moglie. Il bagno di Trainspotting, con me, rimarrebbe lurido come nel film. Ma mi impegno. Perchè va fatto. Perchè sono cose che non si possono delegare a una persona sola. Ci si sbatte, punto.

Non discuto sul fatto che, in questa nazione retrograda dove la mentalità maschile è ancora ferma alla clava e la pelle leopardata come unico abito, vi siano pletore di maschi intenti a non fare un cazzo, quando sono a casa, e deleghino tutto il resto del lavoro casalingo alle mogli.

Ma ciò non toglie che leggere questa roba su un libro delle elementari mi fa altamente girare il ******. 

Quindi il mio sincero vaffa ad autore e casa editrice.