martedì 14 agosto 2018

Quando scappa, scappa.

E non c'è nessuno, durante il 23-7, a coprirti al bancone. Uno straccio di collega che risponda al telefono, che dia, o riceva, una chiave, che parli e fornisca informazioni alla clientela.

Ci sei solo ed esclusivamente tu, portiere di notte.

Ma hai il vantaggio che tutti dormono.

Quindi chiudi tutto, cassa e portone d'ingresso, e corri di corsa nel bagno.

Ahimè, Murphy aveva ragione: se sei seduto sulla tazza, qualcuno suonerà.

Perciò ti pulisciti in fretta e furia (e qui siamo come in Francia: niente bidè. Ne usufruirai solo al tuo ritorno a casa. Odio questa cosa, mi sento un sudicione tutta la notte, ma non si può fare altrimenti), rimbocchi la camicia nel pantaloni, riaggiusti la cravatta, ti lavi le mani con abbondante dose di sapone e intanto il tipo là fuori si attacca al campanello fisso, un drin continuo che è una martellata nel cervello. "Emiliano dice tutto, gringo", basta che la smetti.

Accorro al ricevimento, ma capisco subito che non è un cliente di rientro dalle folli notti fiorentine.

Rallento nel vedere, di là dal vetro del portone d'ingresso, questo essere informe, pessima copia di un Ceccherini però, per quanto incredibile, ben più brutto. Con una t-shirt che l'ultima volta che venne lavata Franco Cerri faceva ancora la pubblicità in ammollo.

E con una simpatia che neanche i crucchi in divisa militare. Perchè ha la mano chiusa a pugno. E la agita in maniera inequivocabile.

Non sono mai stato uno sveglione; ci arrivo tardi, a capire le cose. A comprendere che esistono persone, in questo mondo, che devi respingere assolutamente, metodo salviniano, perchè anche pochi secondi possono essere devastanti, e ti rimarranno in testa per tutta la vita. A distruggerti la mente. A tormentarti l'animo. E costui è uno di questi. Ma visto che sono un bischero di primaria grandezza, in luogo di salutarlo con la mano e dargli un bel "ciaone" come meriterebbe, infilo la chiave nella toppa e apro.

E lui esordisce così:

-Eri a farti una se**, eh?-

-Ma veramente....-

-Sisi, lo so, eri a mast*****i-

-No, guarda, io....-

-Senti, lascia perdere, dammmi una Sanbuca, piuttosto-

Reagire. Contrattaccare immediatamente. Farsi muro, diventare impenetrabile. Ordine numero 227: non un passo indietro.

-No-

-Ma dai, una Sambuca, lo so che ce l'hai! Sei l'unico aper...-

-Guarda- Indico verso l'esterno -Cosa vedi?-

-Cosa vedo... una via di'ca**o, drogati, immigrati di m....-

-No, caro, là c'è il mondo!-

-E a me che ca**o me ne freg...-

-Proprio così, il mondo intero, e io te ne faccio dono. Un intero pianeta di classe M....-

-Ma piantala con le ha**ate!-

-...dove sarai libero di muoverti a tuo piacimento. Ovunque, pensa!-

-T'ho solo chiesto una Sambuca! Te la pago, eh! Quanti ca**o ne vuoi, di questi euro...-

-Vai! Prenditi il mondo e tutto quello che c'è dentro, come Tony Montana. E questa è una grande citazione, sappilo-

-Le ha**ate, ecco cosa dici te, solo le ha**ate! Lo sai hosa tu sei te? Tu sei....-

(Se mi chiama "Biondo" e mi fa quella citazione, gliela offro la Sambuca, giuro! Ma non ci arriva, è troppo imbecille, per conoscerla)

-...uno stronzo, ecco cosa sei! Torna dentro a farti la se**, stronzo!-

E continua a infamarmi per tutta la via, mentre io lo saluto con un non poco sarcastico "Ciao grande!" e poi richiudo a chiave.

Ma con la consapevolezza che prima o poi ne busco. Parecchie.

Però la soddisfazione di prenderlo in giro, chiunque sia, non me la toglierà.

domenica 5 agosto 2018

La sfortuna vola nell'aria e ogni tanto piomba su qualcuno; è toccato a me quella volta. Mi trovavo lì e mi ha beccato! (Andy Dufresne)

La fortuna e la sfortuna non esistono. (Enzo Ferrari)

Andy, Enzo, ma vi faceste mai un pò di cavolacci vostri? (marce)


La felicità è, soprattutto, fortuna.

E' la fortuna di avere una figlia (Gaia) che, dall'altro capo di un binario ferroviario, ti urlà "papààààà!!!!" con i decibel che sovrasterebbero anche i cori della Fiesole, e ti salta in collo sotto lo sguardo commosso e un pò invidioso di tutti quelli scesi dal frecciabianca alla stazione di Giulianova. E anche di quelli ancora in viaggio, affacciatisi per capire da chi proviene quell'urlo. E pazienza, se non dice "babbo", come dovrebbe giustamente fare una 11enne fiorentina. Ti fa passare la giornata di caldo che hai patito sul binario 3 della stazione di Bologna, in attesa del treno in ritardo. Dopo un turno di notte e un lungo viaggio per raggiungere la famiglia in vacanza. Pochi giorni, ma non si vuol perdere neanche un minuto.

La Sara che mi tocca il braccio e mi chiede se, malgrado le 30 ore senza sonno, sono ancora vivo. Un contatto che ha la capacità di farmi tornare i sensi, risvegliare le membra, darmi la forza di oppormi ad un mare d'affanni e porre loro fine.

La Camilla che mi attende al campeggio al solo scopo di trascinarmi in acqua. E strizzarmi come non ha mai fatto in vita sua, neanche con il peluche di Heidi.

Lo stare disteso su uno sdraio, rinfrancato dall'aria fresca dell'Adriatico, con un libro posato sugli occhi perchè no, stavolta non ce la faccio proprio. La rilassatezza prende il sopravvento e i 3 litri di caffeina ingozzati a più riprese durante il giorno si dissipano all'istante. E dormo.

E la sera ingurgitare una quantità industriale di arrosticini. O maltagliati agli scampi. O tutto insieme, in un'orgia divoratrice e pantagruelica che non si vedeva dai tempi in cui Marco Ferreri girava film sul morire mangiando. La serenità fa veramente tornare l'appetito.

"Fregete", come dicono da quelle parti.

Noi quattro, tutti assieme, e come foss'antani a tutto il resto del pianeta.

Poi arriva il momento di ripartire.

Abbiamo ancora un giorno. 24 ore, come per Eddie Murphy e Nick Nolte. Decidiamo di passarli nella montagna, sul Grande Sasso, e si, prenotiamo tramite il solito sito. Quello che tanto, troppo spesso, finiamo per disprezzare sulle pagine esclusive di noi portieri d'albergo, alla fine lo usiamo per prenotare una struttura. Proprio così. Resistere è futile, e pure noi ci siamo fatti assimiliare.

Dopo un'ultima mattinata di mare e un pranzo leggero (quantificabile in una quarantina di portate, di cui solo un decimo mangiate dalle donne del gruppo), partiamo. in direzione della montagna. Stavolta senza passare per la lunga galleria (che, come la Gelmini ci ha insegnato, ha una diramazione che porta direttamente a Ginevra).

Ora:

Sono un maschio italico. Da cui si aspetterebbe 3 cose: due riguardano l'aspetto calcistico. Ovverosia l'indiscussa e totale visione di gioco con tocco delicato di palla in modo da smarcare l'attaccante in posizione che "devi solo toccarla e quella va dentro" + l'assoluta padronanza dei migliori schemi calcistici tali da porre in campo i pulcini della Pistoiese in modo così perfetto da rifilare 4 gol a Cristiano Ronaldo e i suoi nuovi compagni di gioco.

La seconda: un'enciclopedica conoscenza dei grandi capolavori italiani degli anni '70, con specializzazione sui poliziotteschi e le pellicole con la Fenech.

La terza riguarda i motori. Un italiano che si rispetti dovrebbe possedere l'abilità "conoscenza del motore a scoppio" a livello 18, con capacità di smontare un qualsiasi 4 tempi a occhi chiusi e rimontarlo in modo tale da fornirgli la potenza di un turbo sovralimentato, oltre alla collezione completa di Quattroruote dall'84 a oggi, il fumetto del Joe Bar Team con firma originale dell'autore e una t-shirt con sopra la foto di una Duna e l'effige "non ti dimenticheremo mai".

Ma io, aimè, non sono così.

La Sara si era già accorta di qualcosa di anomalo durante il viaggio d'andata, quando l'aria condizionata aveva praticamente smesso di funzionare poco dopo L'Aquila. Ma poi, non avendo quasi più usato l'auto in quella settimana, non ci avevamo fatto caso.

All'altezza di Teramo, l'auto comincia a perdere potenza.

Sospetto che la quinta non regga abbastanza, forse siamo in salita? Innesto la quarta.

Continua a perdere potenza.

Sta rallentando sempre di più.

-Marce, che succede?-

-Ehm... non va... mi sa che devo accostare- In sottofondo, mi pare di sentire i violini di un'orchestra che si ostina a suonare, prima di venire sommersa.

Sulla superstrada Giulianova-Teramo non ci sono corsie d'emergenza (neanche nel proseguio, l'A24, ci sono). Non intravedo spazi di sosta (e neanche Panama) all'orizzonte. Ma appare un'uscita. Accosto all'inizio dello svincolo.

Lì, la macchina si ferma.

E non vuole saperne di riaccendersi.

Sono riuscito, senza farmi prendere troppo dal panico, a mettermi in una posizione abbastanza sicura. Gli italiani non accostano subito, quando devono uscire da una superstrada. Di solito sbandano violentemente sulla destra all'ultimo momento, e senza mai usare la freccia. Ma ci passano comunque accanto a più di 100 (il limite lì è 90). La macchina ballonzola a ogni passaggio. La Cami va nel panico, e iniziare a piangere istericamente.

Abbiamo 4 telefoni. Due completamente scarichi, uno al 15%. L'unico con la batteria a pieno è quello della Cami.

La Sara lo prende e chiama il 112.

Per prima cosa l'operatore si sincera che siamo in una posizione sicura. Poi ci dà il numero del soccorso stradale. Solo che è un 800. Ed è una numerazione vietata, per le limitazioni che abbiamo messo sul telefono della Camilla.

la Sara chiama con il suo, batteria quasi esaurita. L'operatrice ci chiede la posizione, e ci assicura che manderà un carro attrezzi.

-Sul carro attrezzi c'è posto per sole altre 2 persone-

-Ehm... noi siamo in quattro-

-C'è qualche familiare, in zona, che possa venire a prendervi?-

-No. Siamo in vacanza-

Pausa.

-Ah-

Altra pausa.

-Due di voi dovranno andare a piedi-

-Siamo su uno svincolo-

-In aperta campagna?-

-Sulla destra c'è un muro di due metri. Poi una foresta impenetrabile. Tipo giungla amazzonica-
Ancora pausa.

-Beh, intanto vi mando il carroattrezzi-

Batteria al 7%.

Attendiamo sotto al caldo soffocante. Solo ora mi rendo conto che la lancetta della temperatura dell'acqua è dritta verso l'alto, manco fosse stata sottoposta alle dolci attenzioni di Sasha Gray. Sospetto a indicare una temperatura da fusione del piombo. La Cami maledice in 27 lingue, facendomi sospettare che sia stata posseduta da Pazuzu, tutti quelli che ci passano a pochi centimetri neanche fossero Vettel sul rettilineo, e fanno ballare l'auto.

Poi, dopo aver atteso pazientemente sotto il cocente sole del primo pomeriggio, arriva la salvezza: il carro attrezzi.

Si ferma davanti a noi, ponendosi a pochi centimetri. Ha l'espressione bonaria e sincera dell'attivista di una ONG che arriva in soccorso, e una tuta sporca di grasso e olio motore. Facendo attenzione ai bolidi di passaggio nella corsia, pone un gancio nella parte anteriore della nostra auto.

Poi appoggia il gomito sul finestrino aperto, mi guarda con sorriso sardonico e in accento teramano mi chiede:

-Dove andiamo?-

Rimango un pò interdetto, e sto quasi per dire "Firenze", ma mi anticipa per rispondere a quella che era, a tutti gli effetti, una domanda retorica:

-In officina-

-Ehm.... effettivamente, non vedo altre destinazioni possibili-

Gli appare in mano un telecomando, che per me equivale alla bacchetta magica di Harry Potter, e l'auto comincia a sollevarsi sul carroattrezzi.

Ci troviamo a due metri dal suolo.

Il meccanico risale nel suo mezzo, e partiamo.

La Cami sempre più preda del terrore, la Gaia, neanche a dirlo, eccitatissima:

-Siamo altissimi! E' ganzissimo!-

Meno male che c'è lei, con la sua sincera ingenuità.

Quando arriviamo, qualche chilometro dopo, e possiamo finalmente scendere, il danno appare evidentissimo: motore grippato, fuso, andato. La bluesmobile a fine corsa.

Ci accordiamo con il meccanico per la riparazione, che comportarà sostituire praticamente tutto quel che è dentro il cofano ad un costo non indifferente. E non riesco a usare iperboli o metafore nel descriverlo, al solo pensiero. Sono certo che anche la direttrice di banca avrà avvertito una sensazione molto negativa: "Piango, e non so perchè".

Il meccanico ci porta alla fermata del bus. In un bar di fronte ne approfittiamo per consumare qualcosa di fresco e ricaricare i cellulari. Poi, in pullman fino alla Tiburtina. A Roma pernottiamo in un hotel: matrimoniale e due letti a castello. Carino, decente, un pò di muffa sulle pareti del bagno, qualche ritinteggatura ma comunque 8,1 di voto meritati. Gli daremo qualcosa in più.

Ceniamo da un kebabbaro-pizzeria appena fuori dall'albergo, la mattina ripartiremo in treno per Firenze.

Ma in quella simil-pizzeria, mentre mangiamo le nostre pietanze, ci rendiamo conto che noi siamo lì, uniti. Che la felicità è, prima di ogni altra cosa, la fortuna di essere noi quattro. Solo e soltanto noi. Alla faccia di motori che fondono o pseudo-ministri sulla famiglia completamente svitati. Noi resisteremo. Tutti e quattro. Come i perdonaggi di Dumas. O gli Obama.

Si, ok, anche gli Addams.

Tanto lo sapevo che lì andavate a parare.

ps. Mentre ci riposavamo nel bar di fronte alla fermata dei pullmann e ricaricavamo i cellulari, la Sara ha chiamato l'albergo sul Gran Sasso per informarli che, a causa di questo fastidioso (a dir poco) disguido, non saremmo venuti. Ovviamente, essendo una prenotazione in penale, comprendevamo che avremmo perso l'importo della notte. Lavorando nell'ambiente, sappiamo come sono le regole.

E invece, con nostra piccola sorpresa, la persona addetta al ricevimento ci ha detto che non avrebbe addebitato nulla, purchè contattassimo subito il perfido sito tramite cui avevamo prenotato affinchè cancellasse la prenotazione. Cosa che, ovviamente, la Sara ha fatto immanentemente.

Noi, negli alberghi dove lavoriamo, non l'avremmo fatto.

Il che mi ha fatto sentire molto poco umano.

Mi sento solo di esprimere un profondo e sentito grazie.

A tutta la regione Abruzzo.