sabato 26 ottobre 2019

Facebook mi ricorda una storia di alcuni anni fa.

Una cliente bellissima.

Livia.

3 mesi.

Genitori giovani, poco più di vent'anni, molto carini e simpatici, con spiccato accento romanesco.

Scendono dalla camera con le valigie e posano, sul divano davanti al bancone, l'ovetto con dentro la piccola. Mi consegnano le chiavi della camera e accennano ad andare a portare i bagagli in auto.

Ed escono.

Lasciando lì la piccola Livia.

Con le mie non sarebbe mai successo. La mamma sarebbe stata a guardia mentre il babbo (io) portava i bagagli in auto. Il lavoro faticoso sempre all'uomo. Questi due no. Escono entrambi. E smollano lì la figlia.

Non c'è nessuno in albergo, in quel momento. Uno di quegli strani momenti di calma durante i quali non appare nessuno, nè clienti nè colleghi. Nessuna chiamata telefonica. Siamo solo io e lei. Giro attorno al bancone e mi avvicino.

Livia è sveglia, e mi osserva protetta da quel potentissimo scudo magico capace di alzare di migliaia di punti la classe d'armatura, e che passa anche sotto il nome di "ciuccio".

"Ciao piccolina! Ma lo sai che sei bellissima?"

E lei sorride.

Da dietro il ciuccio, che è trasparente, sorride.

Mi sciolgo come Olaf sotto al cocente sole estivo. In una hall alberghiera, la domenica mattina a Firenze, dopo 42 partenze ed il fisico che comincia a dire "Ci si riposa? Ci si mette un pochino a sedere? Che s'abbozza di sta' in piedi?" mi commuovo a vedere questa bellissima creaturina sorridente. Dovrei saperlo, come funziona.
Non è così. Ogni volta è come la prima volta.

I due genitori non tornano.

Passano 10 minuti buoni, e, giuro, non tornano.

"Senti, io, se babbo e mamma non vengono a riprenderti, ti porto a casa. Avrai due sorelle maggiori dolcissime, che ti faranno giocare a tanti bei giochi divertenti. Ti vestiranno da principessina. Ci vieni a casa mia? Ti ci porto, eh"

E lei sorride. E m'immagino già mia moglie che "Ora la riporti dove l'hai trovata!" "ma mi ha seguito fin qui..." "Te lo scordi se pensi che io ricominci con pappette e pannolini!"

Ma io tengo duro, Livia resta con noi.

Invece, anche se dopo ben 10 minuti 10, i genitori tornano a riprendersela. Mi ero ormai convinto di potermela tenere, che costoro se ne fossero tornati a Roma dimenticandosela completamente. La gente, in albergo, dimentica veramente di tutto. Anche se questa sarebbe stata davvero una dimenticanza storica. Per fortuna, Livia era nei loro pensieri. Avevano solo difficoltà nel ripiegare il passeggino e profonda stima a fiducia nel portiere. Fiducia, posso assicurare, assolutamente ben riposta.

Ma per quei 10 minuti è stata tutta mia. Per quei 10 minuti, insieme a Sara, Camilla e Gaia, c'era anche Livia.

"I am your father" anche se per pochi minuti. O come si dice qui a Firenze: "Sono i'tu babbo"

domenica 13 ottobre 2019

Metodi motivazionali per portieri d'albergo.
Perchè capitano giorni in cui vorresti ucciderli tutti, ma non puoi farlo.
(E' nel retro di un pannello che pubblicizza il bar dell'albergo. Devo amettere che lavoro con colleghe/i che hanno grandi momenti di genialità)
 
 

sabato 5 ottobre 2019

Niente preamboli. La cruda realtà dei fatti, così come accaddero.

Quasi l'una di notte, arriva una telefonata.

E' un tassista. Afferma di aver depositato qui due clienti, una mezz'ora prima. Due maschi piuttosto alticci, ben vestiti ma anche tatuaggi e barba incolta come va, incomprensibilmente, di moda. Hanno lasciato un cellulare nel mezzo.

Ricordo i due. Erano stracolmi di alcool, e camminavano attraverso la hall ondeggiando da una parte all'altra. Il problema è che avevano con sè la chiave della camera. Dove lavoro chiediamo ai clienti di lasciare la chiave quando escono e riprenderla quando rientrano. In questa maniera devono passare dal bancone e parlare con noi portieri. A volte è necessario per dargli informazioni. Spesso richieste da loro stessi. O comunque vedere bene in faccia la persona. Riconoscerla.

Costoro, malgrado le esortazioni al check-in, erano usciti portandosi dietro la chiave. Al loro rientro notturno gli avevo chiesto se l'avevano con sè, e uno dei due tipi si era limitato a mostrarla, estraendola dalla tasca. Ma non ero riuscito a vedere il numero della camera. Se mi avessero detto dove erano, avrei potuto chiamarli e dirgli che uno dei due aveva lasciato il cellulare nel taxi. Non posso quindi sapere chi siano costoro. Il tassista mi lascia il suo numero e m'informa che staccava verso le 5 del mattino. E per almeno una dozzina d'ore non avrebbe ripreso servizio. Prendo nota.

Non ce ne sarebbe stato bisogno.

Dopo un'ora circa mi appare, davanti al bancone, uno dei due. Intendo com'ero a far uscire i conti del giorno, rimango sorpreso nel vedermelo piombare, come una furia, giù per le scale. Perchè, a parte un cellulare all'orecchio, indossa solo un paio di slip.

Dire che è agitato è poco. Si muove come se fosse posseduto da Pazuzu, da una parte all'altra del bancone. Dice cose incomprensibili, e sta parlando in un inglese osceno. Infarcito di "bloody!".

Chiamo il tassista, che con voce allegra, mi dice di aver risposto al telefono che aveva trovato in auto, e gli ha confermato che sta arrivando a renderglielo. Presumo che il cliente abbia chiamato con il telefono dell'amico; telefono che si porta appresso e che non staccherà dall'orecchio neanche per pochi secondi.

Riattacco e gli confermo che il tassista è in arrivo. E lui che fa? Si fionda fuori dall'albergo.

Non posso credere che stia succedendo, ma è così: sto seguendo un tipo praticamente nudo. Esco. Lui, scalzo, è già in mezzo alla strada. Più avanti, venti metri circa, una smart sta uscendo dal parcheggio. E lui agita la mano a chiamarla.

-Ma cosa fai? Non è quello il taxi-

Malgrado l'ora antelucana è un continuo viavai di gente che passa e osserva divertita questo tipo che si agita, praticamente nudo, in mezzo alla strada. E io, sulla soglia dell'albergo, che lo esorto a tornare dentro. Potrebbe succedere di peggio?

In quel preciso momento, passa un'auto dei carabinieri.

Per un paio di secondi ho la tentazione di rientrare e chiudermi dentro, lasciando che i militi lo impacchettino e lo portino a San Salvi. Che riaprirebbero solo ed esclusivamente per lui. Invece rimango lì che agito la mano e lo chiamo. E il caraba che gli dice, in italiano "Ma che minghia fai, sei nudo. Torna dentro, dai, c'è il portiere ti chiama, miii!" E l'altro che gli replica in inglese parole sconnesse.

Ma per fortuna appare magicamente il taxi.

Felice come un bambino quando arriva il grande omone barbuto addobbato di rosso, il tipo accorre verso il taxi, e riempie l'autista di "thank you". Costui ride, e indica me, ancora lì sulla soglia. Ma il matto non accenna minimamente a smettere di ringraziarlo. Ci sta almeno un quarto d'ora, poi finalmente si decide. Saluto l'autista, che contraccambia ridendo a più non posso. Il cliente rientra dentro l'albergo con il suo cellulare, e poi se ne sta mezz'ora al banco a dirmi che aveva dato al tassista 20 € per la gentilezza, prima che, finalmente, si decida a tornare in camera.

Certe persone sono così, non si rendono conto di esporsi al ridicolo. Ok, sarà stato anche l'alcool, ma un minimo di abbigliamento e una calzatura almeno indossala.

E comunque, quel che mi ha inquietato maggiormente, è che non ricordo di avergli visto, tra le mani, i 20 € che ha poi dato al tassista.