martedì 10 giugno 2025

Ho passato 3 giorni in turno al seggio elettorale. Sono iscritto come scrutatore da più di vent’anni, ma era da almeno 5 che non venivo chiamato e avevo preso molto sottogamba l’eventualità che lo Stato richiedesse i miei servigi. Oltretutto la notifica mi è arrivata, grazie alla nostra burocrazia lenta e farraginosa, appena una settimana prima; ciò ha messo in crisi la capo ricevimento che ha dovuto cambiare l’orario per far sì che risultassi in servizio al seggio.

A me è sempre piaciuto stare al seggio così come votare. Ci si sente parte della comunità: si offre un servizio e si fornisce il proprio parere, la propria opinione, si prendono decisioni tutti insieme. E poi registrare gli elettori sui registri è un po' come fare il check-in in albergo; ci sono pure le lamentele per l’aria condizionata -che al seggio è assente: eravamo dentro una scuola-

Soprattutto sono tornato a vedere un po' d’umanità, che è sempre piacevole:

-Molti anziani, accompagnati dai figli, che orgogliosamente volevano votare perché “abbiamo conquistato il diritto, sfruttiamolo”; mi sono commosso, veramente. In particolare, con una signora del ’33.

-Un ragazzo giovane, grande e grosso, alla prima votazione e visibilmente emozionato; per il tremore alle mani gli è cascata la matita. Tenero.

-La signora che ripiega le 5 schede tutte assieme, in un unico pacco. Esce dalla cabina e fa per imbucare tutto il blocco in una sola urna; riusciamo a fermarla in tempo e spiegargli che deve ripiegare ogni singola scheda singolarmente e metterle ognuna nell’apposita urna di quel colore specifico.

-un giovane ragazzo di colore alla sua prima votazione che, ricevute le schede e la matita, appoggia tutto sul tavolo del presidente di seggio e fa per votare lì, davanti a tutti. Riusciamo a fermarlo in tempo e spiegargli che deve andare dentro la cabina. Fila dentro, compie tutte le procedure, imbuca le schede e poi si scusa imbarazzatissimo.

-E poi ci sono quelli che s'incontrano e si salutano "O guarda chi c'è! O come tu' stai? Icchè tu fai, ora che tussei in pensione?" "O icchè tu voi che faccia? Una s..."

I colleghi erano persone splendide e molto sveglie con cui abbiamo lavorato benissimo e chiacchierato amabilmente. Il segretario ha persino declamato un paio di canti dell’Inferno, io sono ancora ammirato. Effettivamente avevamo molti tempi morti, non abbiamo poi visto una marea di persone.

Ma la nostra, in fondo, è una nazione piccola piccola: abbiamo appena 14 milioni di abitanti.

domenica 1 giugno 2025

Poco dopo l’una rientrano in albergo due ragazzone.

Faccio subito una premessa: io non sono assolutamente il tipo di maschio che fa “body shaming”. Non maltratto gli altri per il proprio corpo, la considero una cosa profondamente meschina.

Tuttavia, devo attenermi ai fatti e descrivere gli eventi. E i protagonisti.

Perciò: da questa parte del bancone il portiere, un quasi 55enne (il D-Day) che sta tornando sotto i 70 kg; dall’altra queste due tipe di una ventina d’anni in meno ma, scusate il body shaming, parecchi chili in più, oserei dire il doppio dei miei. Anche parecchi centimetri in più, praticamente sono due “piloni” da rugby.

Il seno è… avete presente la tabaccaia di “Amarcord” di Fellini? Al secolo Maria Antonietta Beluzzi? Ecco, se possibile, anche più grande e ancora più scollato.

La più giovane si avvicina al bancone e mi chiede, in inglese, se abbiamo un assorbente. Perché, dice con l’umore di un commerciante europeo quando capisce che non riuscirà più a vendere neanche uno spillo negli Usa, per lei è un momento critico.

Essendomi casualmente trovato a vivere in mezzo a donne, posso immaginare di cosa si tratti. Ma mi domando perché non si porti dietro un assorbente d’emergenza, proprio come ho visto fare in tanti anni alle tipe che gironzolano per casa.

La ragazzona appoggia i gomiti sul bancone mostrando il notevole décolleté di un seno che provoca perturbazioni nella forza di gravità terrestre e costringendomi a ricacciare al suo posto un testosterone che vorrebbe tornare all’adolescenza esuberante. Ma ci pensa lei stessa ad abbatterlo mostrando una forte dose di nervosismo. E un sarcasmo grande quanto la sua figura. Perché se ne esce con questa sola parola:

«Concierge?”

Io posso solo allargare le braccia e scusarmi: mi spiace signora, non ho assorbenti, qui al ricevimento. L’unica possibilità è prendere un taxi e andare alla stazione, dove c’è la farmacia aperta 24 ore. È difficile chiedere un servizio di concierge a quell’ora della notte, non è che se lei pronuncia quella parola, io le risolvo il problema plasmando un assorbente qui, sul momento.

Di andare alla stazione non ne ha la minima intenzione, rispondendomi con un certo disprezzo. E chiede se esiste un servizio di trasporto a domicilio. Boh, ma che ne so? Non avendo, sul mio telefono, nessuna delle numerose applicazioni sui servizi di “delivery”, provo a fare una ricerca sul computer, ma non esiste niente del genere. Non in tempi brevissimi.

Lei e l’altra gigantessa parlano in una lingua a me sconosciuta e se ne vanno altezzosamente in camera, affermando che “un albergo di questo livello deve avere questo servizio”. Facendomi pure sentire in colpa.

Io le guardo sconsolato, ma con la consapevolezza che mi d’ora in poi, nello zainetto, mi porterò dietro un assorbente. Per casi come questo.

Me lo avessero detto trent’anni fa, che mi sarei portato dietro un oggetto del genere, non ci avrei mai creduto.