Memorie passate del portiere d'albergo in cassa integrazione.
Durante il periodo della chiusura girava, in qualsiasi forum sociale, una di quelle foto false che la gente condivide perchè "Nooooo, bada che roba, dai!"
Potrei millantare che io sono furbo e non ci casco, ma in realtà anche io, in passato, ho commesso i miei sbagli condividendo castronerie. E quindi sto mille volte attento e faccio ricerche.
La foto riguardava un gruppo di daini in mezzo a una città e la didascalia indicava che, con l'umanità chiusa in casa, gli animali erano scesi dalle montagne invadendo le strade e riprendendosi il territorio da cui i bipedi sono spariti. Di volta in volta, la località cambiava, ma sempre qualche cittadina italiana.
Nel caso dell'immagine in questione però, ero più che certo del falso perchè, semplicemente, andai sul posto.
Nel Luglio del '99 mi recai in Giappone.
I miei capi di allora, persone bellissime a cui devo il 90% delle mie conoscenze del lavoro d'albergo, mi concessero di radunare le mie ferie in un unico mese in modo da potermi recare nel lontano Sol Levante a studiare la locale lingua. Un mese di studio mattina e pomeriggio e, millanto orgogliosamente, stavo davvero prendendo una certa maestria nel dominare la lingua parlata -lo scritto lo scartai brutalmente- che col tempo ho un pò perso.
Un bel fine settimana presi il bus e mi recai a Nara. Templi meravigliosi, enormi, immersi nel bosco e persi sui monti che circondano la cittadina. Monti non abitati perchè i giapponesi non hanno mai costruito sui cocuzzoli come noi italiani, che dovevamo difenderci dagli eserciti teutonici che scendavano dalle Alpi, e ci veniva più facile asserragliarci in alto e circondarci di mura.
A Nara ci sono migliaia di daini. Liberi di circolare per le strade, manco le vacche dell'India, con bipedi motorizzati che diligentemente si fermano e attendono che i quadrupedi attraversino. Il sogno proibito di mio padre che, da cacciatore toscano, avrebbe sempre desiderato questi animali che, docilmente, vengono proprio sotto di lui. Non avrebbe neanche bisogno del fucile.
Non esistendo ancora wikipedia, non sapevo niente di tutto ciò. Alla scuola mi dissero solo che dovevo vederla. Mi fecero pure prenotare il posto dove dormire telefonando e parlando in giapponese, lezione n°24. Compito svolto con successo, 7+. Parto da Okazaki, arrivo, e mi trovo queste bestie ovunque. Ero stupefatto.
Dopo una lunga giornata di visite e scarpinate, il mio stomaco protesta veemente la necessità di essere riempito. Ma sono circondato solo da quadrupedi che mi annusano e negozi di souvenir. Uno in particolare enorme, gigantesco, stracolmo di ogni genere di oggetti riguardanti la cittadina, oltre che di una comitiva di giappi arrivati dall'Hokkaido -laggiù è quasi tutto turismo interno. Almeno, venti anni fa-
Mi siedo sull'esterno di questo negozio, provvisto di una bella veranda ombreggiata, e i miei occhi cascano su una macchinetta contenente dei biscottini. Manco a pensarci -grosso errore- estraggo da portafoglio una monetina da tanti Yen, infilo nella fessura e la macchinetta mi sputa fuori un pacchetto di biscottini. Finalmente un pò di pace e riposo all'ombra consumando questo snack da uno strano sapore e ....
... i giapponesi della comitiva, che stanno uscendo alla spicciolata dal negozio, mi osservano, mi indicano e ridono come matti. Tutti. Uno di questi giappi, dall'età approssimativa che supera il secolo, chiama pure i suoi amici ancora all'interno. Escono pure le titolari del negozio. E ridono. Ridono tutti. Due ragazze in particolare, con quel modo particolare di ridere e tenere la mano davanti alla bocca. Che mi è sempre piaciuto molto, ma in quel momento trovavo alquanto inquietante.
I miei occhi si posano sulla scritta della macchinetta. Estraggo dallo zaino il libretto degli ideogrammi, regalo di una studentessa cinese in classe con me, e controllo un momento, anche se il sospetto è fortissimo.
Shika no tabemono (lo scrivo nei nostri caratteri)
Shika = daino
Tabemono = cibo
Mi sto mangiando gli snack riservati ai quadrupedi.
Ok, va bene, la mia figura da gaijin ignorante l'ho fatta. Ho provocato l'ilarità dei giappi che ridono di me e di tutti voi che "Italia jin minna baka da yo" -non ebbi la prontezza di spirito di dirgli che ero spagnolo o francese, e poi mi sembrava giusto condividere con tutti voi miei 60 milioni di concittadini- a questo punto, tanto vale dare il resto del pasto ai legittimi consumatori.
Uno dei quadrupedi si avvicina, quatto quatto. Gli allungo il biscottino e lui gnam, se lo addenta in un boccone e manca poco mi prende anche le dita, bestiaccia.
E improvvisamente la popolazione dainesca di Nara accorre al mio cospetto. Non certo per rendermi omaggio, ma perchè si è resa conto che un bipede gli sta fornendo cibo gratuito. #primaidainidiNara, parafrasando uno slogan. E sono circondato da questi stupidi guadrupedi che pretendono il mangiare a ufo, anche quando l'ho finito. E i giapponesi ridono ancora di più. E le ragazze ridono ancora più forte.
Come li odiavo tutti, in quel momento.
Quindi la morale è: non fidatevi delle dichiarazioni sulle foto che circolano su internet perchè no, non è Marina di Pietrasanta.
E non fidatevi neanche del mangiare delle macchinette dei negozi di souvenir.
Portiere d'albergo. Vorace lettore. Scrittore a tempo perso. Giocatore da tavolo. Nemico di un gatto. Depresso cronico. Attendo l'arrivo dei Vogon o, in subordine, il ritorno di Vladimir Ilic Ulianov.
lunedì 22 giugno 2020
mercoledì 10 giugno 2020
Cronache del portiere d'albergo in cassa integrazione.
Con la fine della chiusura ho smollato le donne a Firenze e sono filato in campagna dai miei genitori, nel ridente e prosperoso villaggio di Cetica, feudo dei Conti Guidi.
Girellando per il paese si ha la sensazione di potersi trovare di fronte, da un momento all'altro, il conte Guido Novello che chiede validi e coraggiosi vassalli da aggregare al suo drappello al fine di combattere quei bastardi de' fiorentini, appena calati giù dal passo della Consuma e in procinto di scontrarsi con i nostri amici d'Arezzo.
Ovviamente sto scherzando: una certa modernità è arrivata anche qui. La recente scoperta di un nuovo continente, di là dalle colonne d'Ercole, ha portato nuovi, sorprendenti prodotti agricoli. Queste "patate", ad esempio. Dovunque ti giri, per il paese, trovi campi coltivati con questi nuovi tuberi.
Ma non è sempre stato così.
Mio padre, di tanto in tanto, mi interrompe dal lavoro nell'orto e mi porta a cercare i funghi. Lui, 79 anni, che sgambetta su e giù per i pendii casentinesi senza colpo ferire, io, 29 anni di meno, che arranco pesantemente.
A un certo punto, salendo, trovo una cosa alquanto sorprendente: terrazzamenti. Separati da muretti a secco. E siamo nel bosco più fitto.
A domanda, mio padre risponde: "Eh, qui, tanti anni fa, ci si veniva con Vera, Silvana, Achille.... e si raccattava castagne e marroni. Vedi, quello è un castagno. Avrà più di 150 anni"
"Mi stai dicendo che quell'albero è nato prima dell'unità d'Italia?"
"Eh, possibile. Ma andava pulito, vedi che ora ha due altri alberi accanto. E lui è un albero morto, secco. Vanno puliti attorno"
"E questi terrazzamenti? Patate?"
"No. Segale"
"In mezzo al bosco?"
"Mica c'era, il bosco. Era tutto coltivato a segale. Più su ci sono i castagni, ma ne sono rimasti pochi, ora è tutto faggio o abeti"
"Ma in che anni?"
"Eh, all'inizio degli anni '50. Avevamo... neanche 10 anni"
Ragazzett* di neanche 10 anni o poco più mandati dalle famiglie per sentieri -perchè le strade ancora non c'erano- su in alto, una camminata di un 5-6 chilometri almeno, fino al limite dei campi strappati al bosco e al pendio, e lì raccattare castagne e funghi.
L'italietta di fine anni '40, inizio '50. Eravamo così: bimbi che diventano "risorse" già prima dei 10 anni, e spediti subito a lavorare. Contribuire, fin da subito, al mangiare della famiglia, manco si fosse in un gioco di Uwe Rosenberg.
Tranquilli, nessuna morale o paragone con il nostro tempo; solo ricordare come era allora quel "mondo piccolo", come avrebbe detto Guareschi. Bambini che raccolgono e adulti che si spaccano la schiena abbattendo alberi, sbancando parti di pendii, ammucchiando pietre in muretti e finalmente vangare fino alla semina del prezioso cereale. E poi, qualche anno dopo, abbandonare la montagna per tornare vicino al paese. E la natura che si riprende tutto.
Tutto qui. Mi faceva strano questa cosa, ecco. Ti rendi conto come siamo solo momentanei, per il pianeta.
La natura è più forte. Lo sarà sempre. E mi fa un gran piacere dirlo.
Con la fine della chiusura ho smollato le donne a Firenze e sono filato in campagna dai miei genitori, nel ridente e prosperoso villaggio di Cetica, feudo dei Conti Guidi.
Girellando per il paese si ha la sensazione di potersi trovare di fronte, da un momento all'altro, il conte Guido Novello che chiede validi e coraggiosi vassalli da aggregare al suo drappello al fine di combattere quei bastardi de' fiorentini, appena calati giù dal passo della Consuma e in procinto di scontrarsi con i nostri amici d'Arezzo.
Ovviamente sto scherzando: una certa modernità è arrivata anche qui. La recente scoperta di un nuovo continente, di là dalle colonne d'Ercole, ha portato nuovi, sorprendenti prodotti agricoli. Queste "patate", ad esempio. Dovunque ti giri, per il paese, trovi campi coltivati con questi nuovi tuberi.
Ma non è sempre stato così.
Mio padre, di tanto in tanto, mi interrompe dal lavoro nell'orto e mi porta a cercare i funghi. Lui, 79 anni, che sgambetta su e giù per i pendii casentinesi senza colpo ferire, io, 29 anni di meno, che arranco pesantemente.
A un certo punto, salendo, trovo una cosa alquanto sorprendente: terrazzamenti. Separati da muretti a secco. E siamo nel bosco più fitto.
A domanda, mio padre risponde: "Eh, qui, tanti anni fa, ci si veniva con Vera, Silvana, Achille.... e si raccattava castagne e marroni. Vedi, quello è un castagno. Avrà più di 150 anni"
"Mi stai dicendo che quell'albero è nato prima dell'unità d'Italia?"
"Eh, possibile. Ma andava pulito, vedi che ora ha due altri alberi accanto. E lui è un albero morto, secco. Vanno puliti attorno"
"E questi terrazzamenti? Patate?"
"No. Segale"
"In mezzo al bosco?"
"Mica c'era, il bosco. Era tutto coltivato a segale. Più su ci sono i castagni, ma ne sono rimasti pochi, ora è tutto faggio o abeti"
"Ma in che anni?"
"Eh, all'inizio degli anni '50. Avevamo... neanche 10 anni"
Ragazzett* di neanche 10 anni o poco più mandati dalle famiglie per sentieri -perchè le strade ancora non c'erano- su in alto, una camminata di un 5-6 chilometri almeno, fino al limite dei campi strappati al bosco e al pendio, e lì raccattare castagne e funghi.
L'italietta di fine anni '40, inizio '50. Eravamo così: bimbi che diventano "risorse" già prima dei 10 anni, e spediti subito a lavorare. Contribuire, fin da subito, al mangiare della famiglia, manco si fosse in un gioco di Uwe Rosenberg.
Tranquilli, nessuna morale o paragone con il nostro tempo; solo ricordare come era allora quel "mondo piccolo", come avrebbe detto Guareschi. Bambini che raccolgono e adulti che si spaccano la schiena abbattendo alberi, sbancando parti di pendii, ammucchiando pietre in muretti e finalmente vangare fino alla semina del prezioso cereale. E poi, qualche anno dopo, abbandonare la montagna per tornare vicino al paese. E la natura che si riprende tutto.
Tutto qui. Mi faceva strano questa cosa, ecco. Ti rendi conto come siamo solo momentanei, per il pianeta.
La natura è più forte. Lo sarà sempre. E mi fa un gran piacere dirlo.
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