Qui sul libro delle facce c'è questo giochetto, uno dei tanti, sul postare un libro e taggare amici. 10 libri, uno al giorno, nessuna spiegazione.
Io faccio come mi pare. Essendo stato taggato, me la gioco a modo mio.
Un libro e una spiegazione di 30 cartelle dattiloscritte. D'altra parte, facebook e un qualsiasi blog -come questo- lo permette. Perchè limitarsi a pochi caratteri quando si può scrivere in abbondanza? Lasciarsi andare alla furia creativa digitando freneticamente sulla tastiera? Non siete presidenti degli Stati Uniti con i capelli arancioni e una pancia grande quanto un planetario, con la misera limitazione di twitter e poco cervello: sdatevi.
Quindi mettetevi comodi, che è lunga.
Nei primi anni '90 ero solito comprare, oltre ai fumetti della Bonelli (ho una mega libreria marca svedese stracolma di Mister No, Dylan Dog, Tex e Martin Mystere) anche Linus; celebre rivista di fumetti chiamata come il noto personaggio dei Penauts, fu la prima a portare questa striscia in Italia. E la prima anche a portare un altro capolavoro fumettistico di cui ora parlerò.
Prima però questa:
In fondo alla rivista c'era questa pagina di annunci.
Oggi c'è la rete, e si trova veramente di tutto. Si fanno amicizie nei modi più disparati e ci comunica con perfetti sconosciuti senza stare troppo nel dettaglio. Di tanto in tanto, su questo forum sociale, mi arrivano anche richieste di amicizia da parte di avvenenti figliuole dalle procacissime forme. Profili falsi, creati adeguatamente allo scopo di attirare i 50enni come il sottoscritto.
Rifiuto tali amicizie solo perchè non sono nipotine di capi di stato mediorientali e perchè non ho una cantinetta adeguata al bunga bunga (se avessi una cantinetta, sarebbe perennemente apparecchiata con un wargame).
Ma nei primi anni '90 c'era, appunto, Linus. E questa pagina di annunci.
la stragrande maggioranza era roba da cuori solitari. In fondo Linus non era una scelta sbagliata. Chi leggeva quei fumetti, e soprattutto ne capiva il senso, erano menti indubbiamente più elevate che non le lettrici di Cioè o i maniaci del Guerin Sportivo. Speravano, costoro, di trovare la/il compagna/o di vita dalla cultura abbastanza elevata.
Io mi chiamo fuori, non mi sono mai sentito così elevato.
Comunque mi piaceva la rivista. Ma accarezzavo anche l'idea di trovare amicizie fuori dalla cerchia scolastico-fiorentina. Misi un annuncio. Solo scambio di semplici lettere. Niente ricerche di cuori solitari; a quei tempi il mio unico amore era la sfera. Intesa sia come da calciare sia come vista calciata. E quando dovevo osservarla era obbligo farlo dalla Fiesole. Soprattutto in quegli anni, quando un certo bomber argentino la scaraventava nelle porte avversarie.
Non divaghiamo.
Mi rispose una ventina di persone. A parte un ragazzo, erano tutte donne.
Mi scrissero da tutte le regioni d'Italia. Non scherzo, praticamente tutte. Anche il mistico Molise. Esiste. Giuro. Mi scrivevano da Campobasso (su Isernia, mantengo riserve)
Ovviamente dovetti anche provvedere a una scrematura. Non potevo certo mettermi a scrivere a tutte. Sarebbe diventato un lavoro. Poi, col tempo, persi molti contatti. E' fisiologico avvenga. Almeno così credo.
Con Marina Silvia, no.
Con lei, per qualche strana, splendida, stupefacente ragione, abbiamo trovato una simmetria comune. Un qualcosa che ci faceva dire "non smettiamo. Continuiamo a scriverci. A dirci quel che ci frulla per la testa. Finchè ci va".
Ci va tutt'ora.
Ok, abbiamo smesso con le lettere vere e proprie. Quelle scritte a mano, con l'emozione di trovare la busta della lettera affrancata nella cassetta della posta. Il piacere unico della lettura di chi ha speso tempo ed energie per muovere una penna su di un foglio di carta. Adesso abbiamo il libro delle faccie e, in subordine, whatzapp.
Ovviamente abbiamo anche avuto l'onore di incontrarci di persona. Conosce mia moglie, di cui hanno in comune la regione Lombardia, e sono entrambe donne di grande cultura e intelletto.
Silvia (io la chiamo col suo secondo nome, in onore di una biondina che mi garbava quando avevo 16 anni, sono passati 30 anni, chissà com'è andato, il viaggio di una vita lì con te -cit. Ligabue- Silvia originale) abita a Milano e fa l'avvocato.
Adoro immaginarmela mentre si alza in piedi ed esclama "Mi oppongo!" e battersi strenuamente contro il procuratore distrettuale. Non è colpa mia. Ho guardato troppo i telefilm americani per immaginarmi i processi italici. Non avendo mai -per fortuna- preso parte ad un processo, non so come funziona qui. Inoltre Silvia parla spagnolo a un livello che io posso solo sognarmi, avendolo studiato il giusto per capire che "una almoada mas" significa che il cliente chiede un cuscino supplementare in camera. E spero nient'altro.
Alla Silvia dedico Bill Watterson.
Perchè un fumetto e non un libro?
Intanto perchè lo scoprii proprio tramite Linus, che ne pubblicava regolamente le strisce, e poi perchè Calvin & Hobbes è grande cultura. E' uno dei fumetti più straordinari mai creati, e sono sempre stato dell'idea che non si può assolutamente delegare alla sola letteratura la diffusione del sapere, il piacere della conoscenza, il gusto della scoperta di nuovi orizzonti. O quel che è. Da questo punto di vista ero, e sono, favorevole al premio Nobel a Dario Fo e Bob Dylan. Se non siete d'accordo, gne gne gne.
Calvin -spiego per chi non lo conoscesse, e raccomando una sua lettura- è un bambino di 6 anni con una tigre di pezza -Hobbes- che nella sua mente è un essere vivente dotato di propria personalità. Nelle strisce in cui sono presenti solo loro due, Hobbes è vivo e interagisce col suo amico umano, con tanto di conversazioni anche approfondite. Quando nelle strisce appaiono altri personaggi (principalmente i genitori di Calvin) Hobbes è una normale tigre di pezza.
La straordinarietà del fumetto sta proprio nella fantasia scatenata del ragazzino, capace di stravolgere la sua realtà spesso banale (la scuola, il bullo che lo tormenta, le regole imposte dai genitori o dalla baby-sitter) in avventure speciali e totalmente fuori dal normale. Così maestra, genitori e baby-sitter diventano mostruosi alieni mentre lui, che incarna ora l'astronauta Spiff ora Stupendus Man (con tanto di maschera e mantello), vive straordinarie avventure stracolme di libertà. Per me Watterson merita il premio Nobel alla letteratura. Assolutamente.
Due mesi fa venne in albergo un'allegra famiglia americana: genitori e figlia di pochi anni. La piccola aveva con sè un cagnolino di pezza. E ci parlava. Smise di farlo solo nel pochi secondi in cui i genitori discutevano con il portiere dell'albergo (io) per la chiave della camera. Ma potevo benissimo vedere, nei suoi occhi, un cagnolino vero e proprio.
Lo teneva in collo, lo accarezzava, lo stringeva come si fa per un bene preziosissimo, un oggetto caro e personale, una persona amata.
Ecco, il termine giusto è proprio quello: una persona amata.
Lo abbiamo avuto tutti, un peluche, un giocattolo, un balocco che ci teneva compagnia quando eravamo piccoli, e che era vivo. Ai nostri esclusivi occhi. La Sara, laureata in scienze dell'educazione, direbbe che è un "oggetto di transizione". Io ci vedo il primo vero, e forse più sincero, amico.
Non ricordo quale era questo mio amico. A quei tempi giocavo con i soldatini Atlantic. Tedeschi e inglesi che si combattevano in perenni e strenue battaglie (gli inglesi in divisa kaki e pantaloncini, quindi truppe dell'8^ Armata). Già allora il mio aspetto ludico-guerriero era emerso prepotentemente (e sono uno che ha fatto il servizio civile e non possiede il porto d'armi).
Di amici veri non ne ho tanti. Alla fin fine sono un tipo solitario. Mi piace, quando non ho la famiglia in giro per casa, starmene seduto sul divano a digitare sul pc. Leggere. Progettare giochi da tavolo che non verranno mai pubblicati. Giocare su board game arena. Si, anche stirare e pulire casa (mi obbligano).
Però Marina Silvia è una delle mie amiche.
Le dedico il libro. Rigorosamente in inglese.
(sapendo del suo amore per la lingua iberica, avrei potuto dedicargli Mortadelo y Filemon. Capolavoro assoluto. Magari, un'altra volta)
Nessun commento:
Posta un commento