domenica 11 ottobre 2020

Immaginate un giovane ragazzo australiano che, alla fine dell'ottocento, osserva gli Ibis volare. 

 E' incantato da questi uccelli. Dal loro modo di spiegare le ali e librarsi in alto, nei cieli.

 Herbert John Hinkler -Bert, per gli amici- vorrebbe essere come loro. Desidera, più di ogni altra cosa, essere nell'aria. E si impegna a farlo. Comincia a studiare l'aerodinamica, allora appena agli albori. E quindi da autodidatta. Inizia con una serie di alianti. Piccoli aeroplanini in balsa che modella lui stesso, con cura e dettagli. Li prova, li testa a lungo, nelle campagne del Queensland. Sono più un gioco, un passatempo, che una vera attività. Ma la passione c'è. Tantissima.

 Ha 11 anni quando arriva la notizia che porterà questa passione a farne la sua ragione di vita. Dall'altro capo del mondo, sulla costa atlantica degli Usa, gli americani sono riusciti nell'impresa che in tanti attendevano: il primo volo di un mezzo più pesante dell'aria, realizzato dai fratelli Wright sulla spiaggia di Kitty Hawk, Carolina del Nord.

 Bert è eccitatissimo. Si può volare. E' possibile applicare un motore a scoppio a un aliante e trasformarlo in aereoplano.

 Da adolescente, si reca a una grande fiera a Brisbane. E lì vede, per la prima volta, un aereo. Un "Bleriot", una copia dell'apparecchio usato dall'omonimo aviatore francese per la prima trasvolata della Manica, da Calais a Dover. Ormai non ha più dubbi, quello è il suo destino. 

Costruisce con le sue mani un aliante vero e proprio, e con quello riesce a volare, seppur per poco. Ma per lui, ovviamente, non è che l'inizio di una grande avventura. Si imbarca -siamo ancora ai piroscafi, ovviamente- e si reca in Inghilterra, dove comincia a studiare i motori e le meccaniche degli aeroplani.

 Probabilmente rimarrebbe sempre un meccanico, se non fosse che, di lì a poco, scoppia la prima guerra mondiale. E Bert si arruola nella RAF. 

 All'inizio viene messo come mitragliere nei ricognitori. Non ha ancora appreso pienamente le abilità di manovrare un apparecchio, quindi deve stare dietro, a prendere immagini del fronte nemico dall'alto, e sparare contro i caccia tedeschi che vogliono impedirglielo.

 Sono aerei rudimentali, fatti in legno e tela, con pochi, scarni comandi. Per un mitragliere la situazione è ancora più tesa: se il pilota viene colpito, per entrambi è la fine. Nella prima guerra mondiale non si portano i paracadute: gli abitacoli sono troppo stretti.

 Bert deve fare tutto il possibile per salvare la vita a sè stesso e al suo pilota: i ricognitori non sono apparecchi da grandi manovre, come i caccia. Ma ha una mentalità innovativa, capace di vedere là dove i costruttori non arrivano; soprattutto, ha le abilità per farlo. Realizza, ad esempio, un sistema per far sì che i bossoli sparati, particolarmente caldi, non finiscano sul mitragliere, ma di lato. Un espediente importante, se il pilota sta manovrando per togliersi un caccia di coda e l'aereo è inclinato o addirittura capovolto. 

 Sempre più pratico, impara a volare e realizza un sistema per mantenere gli aerei dritti, perchè in volo tendono a virare e inclinarsi dalla parte di dove girano il motore e l'elica. Viene trasferito a una squadriglia caccia che opera sul fronte italiano, per dare manforte alle nostre truppe contro gli austro-ungarici.

 Alla fine della guerra, decorato dopo le numerose missioni e, soprattutto, sopravvissuto, si dedica anima e corpo al volo. Gli anni venti sono quelli eroici dei record aerei. Sono piccoli apparecchi, fragili ed estremamente semplici, ma guidati da uomini -e donne, come Amelia Earhart- dotati di tempra d'acciaio, e decisi a sfidare il destino. A portare il limite un pò più in là. Lo sport estremo di quegli anni, ruggenti, vibranti, tragici. Bert Hinkler è ormai parte di questo mondo. Vola in solitario con un piccolo apparecchio, stabilendo record su record. E' il primo a volare da Londra all'Australia, ovviamente in più tappe. Qualche anno dopo vola da New York fino al Sud America e, da lì, fino all'Africa. E poi verso nord fino a Londra. E' il il primo a trasvolare l'Atlantico da sotto l'Equatore. 

 Nel 1933 decide di volare ancora da Londra all'Australia. Lo farà con un aereo di nuovo tipo, un monoplano ad ala alta, più potente. Per battere il record di tempo e fare molte meno tappe. Decolla a Gennaio, per trovare un tempo migliore dal Medio Oriente in giù. Ma sull'Europa non è così. Le condizioni atmosferiche sono difficili. Problematiche. 

Bert però non è il tipo che demorde facilmente. La prima tappa è impegnativa: Londra-Bari. In realtà, per un trasvolatore come lui, quasi una passeggiata. 

 Ma a Bari, Bert Hinkler, non arriva.

Cominciano le ricerche, ma in un mondo privo di geolocalizzazione -i telefoni fissi sono ancora rarissimi- e dove alcune zone della penisola sono ancora selvagge, non è un'operazione semplice. Si cercano testimonianze, per ricostruire i movimenti del pilota. Si scopre che ha attraversato con successo le Alpi e la Pianura Padana. 

 Alcune persone del Valdarno riferiscono di aver udito il rombo di un motore su in alto, sopra le nuvole. Ma in Casentino, questo rombo non è stato sentito. La catena del Pratomagno, che divide le due vallate, a quei tempi era ancora poco praticabile. In inverno sopratutto. Salire lassù significa farsi più di venti chilometri di sentiero a piedi, e con una spessa coltre di neve.

 Dopo quasi 3 mesi dalla scomparsa, due carabinieri, coadiuvati da due pastori che vivono sulle pendici, salgono in cima.

 L'aereo, o almeno quel che ne resta, è lassù. Il corpo del pilota qualche metro più in là. Ha tentato un atterraggio di emergenza, probabilmente per un guasto meccanico, ma il povero australiano non ha avuto fortuna. Scaraventato fuori dalla cabina di pilotaggio, nel contatto dell'apparecchio con il suolo, è deceduto sul colpo. I documenti personali non lasciano adito a dubbi, sulla sua identità.

 L'Italia, in quegli anni, è sottomessa a un governo che, della retorica dell'eroismo, fa uno dei suoi vanti. Il corpo del pilota viene traslato a Firenze e sepolto, con gli onori militari, al cimitero degli Allori, dove riposa tutt'ora. Nel punto in cui venne ritrovato l'apparecchio viene eretto un cippo. Una pietra con una targa a ricordo. 

 Ci passo ogni anno, da lì. Salgo su fino al crinale, in una lunga passeggiata che porta fino alla cima. Quest'anno, per la pausa causata dall'epidemia, ci sono stato ben più di una volta. Bert era un pilota degli anni eroici, di quelli che vivevano al limite. Che praticavano lo sport estremo di quei tempi.

Ciao Bert. Alla prossima estate.

Nessun commento:

Posta un commento