Può capitare anche questo, nel lavoro d’albergo.
Ho da poco preso possesso
della postazione quando rientra in albergo una coppia giovane. Lei, capelli
corvini e corpo sinuoso, potrebbe fare da copertina su wikipedia alla voce
“prosperità”, lui un ragazzone possente con una barbetta appena accennata ma due
caratteristiche della sua religione: boccoli calanti sul fianco delle guance e
la kippah sulla testa.
Lei sorride, lui no.
Si presentano al banco per
chiedermi una cosa di cui ero già stato preventivamente informato dai colleghi:
la chiave fisica della camera invece della tessera magnetica. Perché è sabato
sera e gli è vietato l’utilizzo di qualsivoglia strumento elettronico.
Io sorrido e chiedo conferma
del numero della camera. Alla sua risposta, apro il casellario, afferro la
chiave metallica e gliela consegno.
E lui, con una voce dura,
spara la sua provocazione:
«È un problema?»
Rimango spiazzato. Perché sono
un tipo pacifico e ingenuo, quindi non mi aspetto provocazioni futili nonché
fini a sé stesse. Non so cosa voglia questo ragazzo, perché abbia deciso che
uno sconosciuto portiere notturno di Firenze debba essere il soggetto a cui
porre domande con tale enfasi. Sospetto che, a giro per la città, sia stato
apostrofato con commenti non proprio benevoli, come se la colpa delle decisioni
di una maggioranza di governo dovessero ricadere sull’intero popolo, compresa
la minoranza di opposizione. In compenso lui, accecato dalla rabbia, ha deciso
che tutti i fiorentini lo odiano e quindi sia giustificato dal prendersela col
primo disponibile: il portiere dell’albergo dove alloggia.
Per una volta il mio tempo di
reazione è abbastanza breve, pochi istanti per spalancare gli occhi e dire, con
tono sorpreso e ingenuo, la sola cosa possibile:
«Dovrebbe?» (should be?)
Perché in certi casi l’unica
soluzione è far finta di non capire.
Lei invece, che è decisamente
sveglia, capisce subito che sto recitando proprio per evitare qualsivoglia
polemica. Prende sottobraccio lui per trascinarlo via ma si volta verso di me,
sorride radiosamente e ringrazia. Io continuo a mantenere una faccia ebete -mi
riesce pure naturale- e dire solo “prego” (you are welcome). E finisce lì.
Vorrei invece dire a quel
ragazzo, anche se non leggerà mai il mio blog -e poi questo episodio risale
all’anno scorso, quando ancora le cose non erano così degenerate ma solo ora ho
deciso di - che io non lo biasimo per la sua nazionalità o le fisime della tua
religione. Non avrai mai il potere di cambiare le cose, qualsiasi modo tu la
pensi. E neanche io, d’altra parte.
Ma una cosa la so di sicuro:
che tutto l’entourage di governo del tuo paese finirà nel VII cerchio, immersi
fino agli occhi nel sangue bollente del Flegetonte.
Poco ma certo.
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