martedì 13 dicembre 2022

Alle 5 del mattino, rientra in albergo un indiano. Il classico bramino, casta immensamente superiore che tratta il resto del mondo come robetta insignificante. Io poi, che sono occidentale, sono poco più di un’intoccabile.

Senza dire un buonasera o altro cenno di saluto, che a me lavoratore notturno e pure di etnia diversa è assolutamente negato, mi riferisce soltanto di preparare il conto perché lui e il suo collega partiranno a brevissimo (“very short time”, dice proprio così).

Prendo atto, lo saluto -non arriva nessuna risposta- e stampo il pro forma del conto. Lo piazzo sul bancone e torno alle mie faccende notturne, in attesa che costoro si palesino con i bagagli a pagare e richiedere il taxi per l’aeroporto. Dato che vado nel retro ad archiviare le classiche tonnellate di pratiche, metto sul bancone il campanellino, che presumo sarà furiosamente suonato quando scenderanno.

Invece non succede niente.

Un’ora dopo, mentre attendo che arrivino i miei colleghi a cambiarsi per prendere il loro servizio mattutino e permettermi di andare a dormire, rientra in albergo il suo collega. Che evidentemente non era in camera. E si porta dietro 3 amici.

Si mettono al bar, chiaramente chiuso e con le luci spente. So già cosa mi aspetta. Comincio a contare mentalmente ma non arrivo a 3 che sento come un fischio.

“Ehi, my friend!”

Quando hanno bisogno, diventiamo subito “amici”.

Mi avvicino e lui mi porge la mano stringendo con una forza che non lascia scampo al metacarpo.

“Io e i miei amici vorremmo bere qualcosa”

“Ehm… il bar è chiuso”

“Proprio non ci può servire niente?”

“Mi spiace, devo stare alla reception”

“Allora facciamo così: questa è la chiave della camera, di sopra ho una bottiglia di whisky. Vada su a prendermela”

“…..”

“Sul tavolino ho una bottiglia di Blu Label, la prende e me la porta qui”

“Ehrrr… è la sua camera, deve farlo lei”

“Dai, vai su a prender…”

“Devo stare alla reception”

Mi svincolo. In quel momento arriva Er Libanese (il vero nome è Matteo, io elargisco soprannomi a profusione) a cui lui pone la stessa richiesta e ottiene la stessa risposta. E’ camera tua? Vai su a prenderti la tua bottiglia.

Sconsolato, e probabilmente incacchiato con tutti gli italiani dai tempi dei marò, l’indiano sale su e scende dopo poco con la sua bottiglia. Chiede dei bicchieri e, a quel punto, glieli diamo. Non ci mettiamo a fare il bar, ma 4 bicchieri non si negano a nessuno.

A quel punto, dalla camera, arriva la chiamata dell’indiano che era rientrato alle 5. Che dal letto ha visto il suo amico arrivare, prendere la bottiglia e uscire nuovamente.

“Il mio collega è giù?”

“Si, con degli amici”

“Non deve bere”

“Non possiamo mica proibirglielo”

Dopo un po' scende. In canotta e mutande.

Assisto a questa scena surreale dove due indiani discutono, nella loro lingua e con abbigliamenti così diversi, del mettersi a bere whisky alle 6.45 del mattino, prima di fare i bagagli e andare all’aeroporto. Fino a che quello in mutande non se ne torna su con un’evidente furia rabbiosa che non deve aver avuto precedenti dal tentativo d’invasione dell’India da parte di Alessandro il Grande.

L’altro, finalmente contento, versa il whisky ai suoi amici e beve.

Non so com’è andata a finire, ma secondo me, sull’aereo, è scoppiata la guerra civile indiana. 

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