Sono un tipo mingherlino, assolutamente inadatto a qualsivoglia tipo di violenza -mi stendevano anche le figlie già da piccole, oggi lo fanno i gatti- ma ho dovuto resistere dal salire le scale fino alla camera, affrontare la bestia e dirgli «Messere, ora subirà le conseguenze del suo insolente comportamento!»
Probabilmente
sarebbe stato l’ultimo gesto della mia piccola vita. Ma giustificato.
Notte
fonda, rientrano in albergo questi due. Lui, un armadio ambulante rigonfio di
muscoli, arroganza, protervia e la quantità di alcool sufficiente a un
battaglione di alpini, fila dritto verso gli ascensori. Lei, di alcuni lustri
più giovane, ha una splendida corporatura “curvy” (che io adoro), un vestitino
nero sbarazzino ma anche un’espressione profondamente sofferente: ha un piede
ingessato e si muove con il ginocchio appoggiato su un'apposita seggiolina dotata di ruote; si sposta con
evidente fatica, sulle pietre del centro di Firenze.
Lui
osserva un momento se lei lo segue, poi decide che non ha tempo e voglia -e
nemmeno sentimenti- di aspettarla, andando subito in camera. La ragazza, con le
sue difficoltà e abbandonata a sé stessa, prosegue dentro la hall con lentezza
e un peso enorme. Che le grava sul cuore.
Già lì, a
quella scena, rimango profondamente spiazzato.
Ma questa
mia perplessità diventa sconcerto e rabbia quando lei, invece che proseguire
verso gli ascensori si mette, con una discreta fatica, a sedere su una delle
poltroncine della hall e inizia a piangere.
Capisce
che la sto guardando e si scusa. Se ne esce fuori con le “giustificazioni”
verso di lui: ha bevuto e poi lei ha le difficoltà a muoversi. Il che mi dà
veramente rabbia. Provo a dirle, nel mio migliore inglese, che non è affatto
una motivazione e lui dovrebbe piuttosto aiutarla, non certo spazientirsi e
buttarle addosso una colpa inesistente. Lei piange ancora più forte -lì ho
avuto veramente la tentazione di salire su e tentare di menarlo- e prosegue nel
cercare di giustificarlo. Non ho voluto sentire altro. Gli ho offerto dell’acqua
e sono tornato al bancone. Lei si alza e arranca verso l'ascensore: gli ha scritto dei messaggi, sembra che
il problema sia rientrato.
Invece
lui, una mezz’ora dopo, scende dicendo che hanno litigato e deve dormire in
un’altra camera.
Senza
degnarlo di un sorriso che non merita minimamente, preparo le chiavi per una
delle camere più piccole che sono rimaste libere quella notte, e che ovviamente
metto al prezzo massimo. Lui non fa una piega, d’altra parte ha già una delle
più costose, garantite con una carta di credito che, da sola, ripianerebbe un
debito pubblico.
Dopo una
mezz’ora anche lei scende nella hall, stavolta con due stampelle. Chiede di
uscire, quindi le apro la porta. Si scusa nuovamente per il pianto e il
disturbo, e mi viene spontaneo dirgli che “può trovare di meglio”. Annuisce,
poi inizia una chiamata telefonica che durerà molto, almeno un’ora, seduta sui
gradini della scalinata nella piazza antistante l’albergo. Io chiudo la porta e
mi allontano. Non voglio ascoltare perché mi fa sentire un intruso, un
impiccione; metto su un video del Magister Barbero.
Però
davvero, era una manipolazione mentale in piena regola, e m’ha dato tanta
rabbia.
Aveva
ragione da vendere Bette Davis: “Abbondano i maschi, ma scarseggiano gli
uomini”
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