Stavolta non so neanche da dove cominciare.
Ore 4.00 del mattino. Sono nel retro ad archiviare fogli vari, quando sento il “ding” della campanella che metto, tutte le notti, sul bancone.Smollo i fogli e accorro. Una signora indiana di aspetto giovanile, bassina ma dai lineamenti dolci e e aggraziati, si scusa per il disturbo -a cui ovviamente rispondo che non disturba affatto, è il mio lavoro- ma è preoccupata perché il figlio, 23enne, era uscito dopo cena e sembrerebbe non ancora rientrato in albergo.
Mi chiede quindi la chiave della camera dove dormono i due figli, per essere sicura che sia rientrato a dormire nel suo letto, accanto alla sorella. Gli preparo dunque la chiave elettronica. La signora sale con una fiammella di speranza dentro di sé, e un po' anche io.
Ma il ragazzo, in camera, non c’è. Lei scende nella hall ed esce. Vuole andare a cercarlo, con il suo telefono può vedere dove si trovava il ragazzo una mezz’ora fa, prima che il cellulare si scaricasse. Un quarto d’ora a piedi, nei pressi di Ponte Santa Trinita. Preoccupata come tutte le madri di questo quadrante stellare.
Il marito, e padre del giovane, non è affatto spaventato. Esce anche lui ma solo per fumare. Con una faccetta che potrebbe passare come l’Alvaro Vitali indiano, ride e dice “Ha 23 anni, è grande!” “Noi viviamo a Singapore che è molto più grande di Firenze” “Ai nostri tempi non c’erano i cellulari ma siamo sopravvissuti” “Le donne si preoccupano sempre”.
Io ridevo un po' di circostanza, ma mi sembravano frasi un po' banali e anche ingiuste. In fondo tuo figlio è in una città sconosciuta e di cui non parla la lingua. Ma comunque non posso fare molto. Rientro in albergo.
Dopo una mezz’ora vedo, in mezzo alla piazza, l’ometto indiano con un ragazzo giovane. Apro e, sorridendo, saluto questo ragazzo che si è ricongiunto con la famiglia -anche se la madre deve ancora tornare, avvertita via telefono dal marito-
Ma c’è qualcosa che non va, che sul momento non capisco.
Ci sono anche tre nostri concittadini, ragazzi dell’età del giovane, che discutono con il padre. Non riesco a capire cosa si stiano dicendo ma pare una discussione animata. Si avvicinano verso l’ingresso dell’albergo e solo a quel punto capisco che parlano di denaro, che il padre del ragazzo dice che gli darà. Penso, molto convintamente, che voglia dargli un piccolo premio per aver riportato il figlio all’ovile familiare.
Invece, quando sono davanti a me, viene fuori la realtà: il ragazzo, disperato per essersi perso nel centro di Firenze e col cellulare scarico, aveva chiesto aiuto a questi tre promettendogli denaro. E questi ora lo pretendono. Io sono esterrefatto.
Mi trovo coinvolto nella discussione perché i tre non parlano inglese e quindi devo fare da interprete. Il padre gli lascerà dei soldi domani perché ora, nottetempo, non li ha con sé e non vuole andare a fare prelievi. E questi matti si arrabbiano perché “non ci fidiamo, non ci lascia niente e suo figlio ce li aveva promessi!”
Mi viene assolutamente spontaneo dirgli che, in fondo, hanno fatto una buona azione e aiutato una persona in difficoltà -il giovane indiano appare molto provato, tiene gli occhi bassi e singhiozza sommessamente- ma uno dei tre s’incacchia ancora di più urlando che “ma a me che ca**o me ne frega delle buona azioni, io voglio i soldi!”
A quel punto, per evitare di mandarli dove meritavano, ho cercato di chiudere la discussione affinché i miei clienti potessero tornare in camera. I tre stron*etti -avrei altri termini per definirli ma non voglio essere troppo volgare- se ne vanno lanciando improperi. Una volta richiuso la porta dico all’Alvaro Vitali indiano che non deve dargli un centesimo perché non è affatto giusto. Lui mi ringrazia sentitamente stringendomi la mano e distruggendomi il metacarpo.
Di lì a poco torna anche la signora che si mette le mani sulla bocca e inizia a piangere, mentre il figlio gli si para davanti con la testa china. Il marito mi spara un’altra delle sue battute un po' sprezzanti sulle donne troppo sentimentali, ma sono assolutamente convinto che fosse contento di aver ritrovato il ragazzo sano e salvo.
Voglio convincermi che il 99% di chi vive in questa penisola avrebbe aiutato il giovane indiano a ritrovare l’albergo dove era alloggiato senza chiedere niente in cambio, tanto meno soldi, semplicemente perché è giusto così. Ma purtroppo qui ci vivono anche quelle persone. Quell’1% che pensa solo a sé stesso.
E a me fanno davvero fastidio.
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