Il bancone di un albergo non serve solo per appoggiarci sopra piantine della città, ricevute o fatture varie, documenti dei clienti, fogli di prenotazione o codici wifi od altro.
Sul bancone di un albergo ci si lascia di tutto.
La maggior parte delle volte sono dimenticanze. Bottigliette d'acqua ancora sigillate, occhiali da sole o da vista, cellulari, anche notebook od altro materiale elettronico. Il cliente torna e lo riprende. E vabbè, sono turisti svagati. Capita.
Ma quando ti lasciano volontariamente, appoggiate lì sopra, cose che non gli servono più, cioè veri e propri rifiuti, allora ti rendi conto che i gulag rieducativi sono una delle grandi invenzioni del comunismo, e farci passare dentro l'umanità sarebbe necessario se non particolarmente urgente.
Sul bancone i clienti lasciano:
-le cartacce delle caramelle (quelle nostre, di “cortesia”);
-bottiglie di plastica vuote;
-pacchi di fogli wikipedia su Firenze in cirillico (ma non solo). Ovviamente clienti in partenza. Anche senza parlare la loro lingua capii benissimo che la moglie diceva al consorte che non gli servivano più, dato che andavano a Roma. Lui prese, dalla cartellina, i fogli su Firenze e lì smollò sul bancone. Davanti ai miei occhi. E senza guardarli, quegli occhi, prese la valigia ed uscì;
-tazzine. Vanno in sala colazione a prendersi caffè o cappuccino, e, per qualche misteriosa, oscura ragione, decidono di berselo in piedi nella hall, davanti al ricevimento. Molti lo fanno per essere pronti ad uscire a fumare, neanche fosse una gara di giochi senza frontiere (qualcuno se la porta fuori. Con una mano tiene la tazzina, con l'altra la sigaretta, ed è divertente vederli armeggiare con il pacchetto e l'accendino con una mano sola). Fatto sta che la tazza la smollano lì, sul bancone, e la qual cosa è un po' meno divertente. Tanto, c'è chi la riporta al bar (il portiere od il facchino);
-piantine di Firenze usate. Ne chiedono una nuova perchè la prima è tutta sgualcita e bagnata. Gliela passo. L'afferrano e se ne vanno, spesso senza dire grazie, lasciando quella vecchia sul bancone. La prendo da un piccolo lembo asciutto e la deposito nel cestino, sperando che la parte bagnata sia comunque solo acqua dovuta alla pioggia;
-bicchieri di vino od altri alcolici. Vale il discorso delle tazzine. Solo, questa cosa capita anche quando non è orario di colazione. E spesso il bicchiere è ancora mezzo pieno (il bicchiere è SEMPRE mezzo pieno, questa è la mia filosofia);
-cartoni del latte. Alle 4 del mattino arriva il fornitore di alimenti per le colazioni. Normalmente mette la roba nel carrello e spinge fino alla caffetteria, ma quando ha poca roba, come solo dei cartoni del latte, smolla tutto sul bancone e tanti saluti. Negli alberghi della zona, per questa sua simpatica abitudine, p conosciuto come "il fenomeno";
-sacchetti contenenti oggetti vari, soprattutto residui di pasti. Anche qui occorre fare attenzione nell'afferrare il sacchetto e gettarlo nel cestino, perchè dallo stesso vi possono colare liquidi vari. E non voglio indagare oltre.
-qualsiasi oggetto/utensile/materiale che abbia esaurito la sua funzionalità: pile elettriche, penne, guide e/o romanzi vari letti (fino a qualche giorno fa avevamo un Dan Brown in coreano, il che può essere indicativo di come le disgrazie non viaggino mai da sole);
-gomme. E non sto parlando di quelle da cancellare. Credo che questo faccia capire molto sul cliente medio dei 3 stelle. Anzi, tutto.
Estate.
L'estate fiorentina, l'agosto che rende l'asfalto molle come un marshmellow, l'afa che taglia le gambe e rende la testa pesante come una palla di cannone dell'artiglieria napoleonica, il sudore che cola lungo il corpo come fiumiciattoli in piena. In mezzo a questo delirio, una comitiva di ragazzine spagnole arriva in hotel. Addobbate con quelli che pensi siano coriandoli raccattati al carnevale e gelosamente custoditi per l'occasione, dotate di parti del corpo che provano l'inesistenza della forza di gravità e le gravi mancanze di Isacco Newton, carte d'identità che mostrano come costoro abbiano passato la protezione della legge da pochi giorni ed ora sembra abbiano sulla testa un cartellone pubblicitario che recita “caccia libera!”
Non fraintendetemi: ho due figlie che, tra non molto, mostreranno quei fisici. I miei pensieri non sono più quelli del bracconiere, ma quelli della guardia del parco. Oltretutto le tipe (le spagnole, non Camilla e Gaia) hanno un vocabolario ristretto quanto quello degli scaricatori di porto di Alicante: ogni frase presenta un “coňo” od un “mierda” od un “joder”. O tutte le 3 parole assieme. Dopo un paio di giorni che sono qui, non chiedono più la chiave con un por favor ed un gracias. Non salutano neanche. Porgono la mano e la prendono, tanto ormai anche noi sappiamo in che camera alloggiano. E quando escono, gettano, letteralmente, la chiave sul banco.
Discrete manfane, ecco.
Se sono così a 18, spero di essere già in pensione quando ne avranno 40, se decidessero di tornare proprio qui, per una visita a Firenze.
Mattina, ora di pranzo.
Il mio corpo recita: mangia, deficiente! Ho bisogno di carboidrati, di energia! Non aspettare le 15.30, mangia ora! Ma non si può. In albergo è così, sacrificio e dedizione alla causa. Gli olandesi che mi hanno prestato i soldi del mutuo possono essere fieri di me.
Le ragazzette spagnole si incontrano nella hall, qualcuna scendendo dalle scale, qualcuna arrivando da fuori, evidentemente avevano già previsto che l'ora ed il luogo x per il meeting. Si piazzano nella hall a parlare a voce alta, chi tra loro, chi al cellulare, da cui arrivano gli urletti gioiosi della abuela: “Hoooola, chiquitaaa, comos estaaaaas! Como es Florenciaaaa?”
Che meraviglia, ho studiato le lingue proprio per questi momenti (si nota il sarcasmo?).
In quel momento, due delle loro amiche entrano nella hall, e piazzano, sul banco, proprio davanti a me, una scatola di cartone. Di quelle in cui vengono inseriti i cibi di una delle note paninerie di fronte alla stazione di Santa Maria Novella. Quel tipo di panineria che Andy Warhol definiva “la parte più bella di Firenze”.
Ma in quel momento, con la fame atavica e lo stomaco che brontolava come il Vesuvio nel 79 dc, l'odorino che usciva da quella scatola non mi faceva pensare a quanto erano bischeri gli artisti dandy newyorkesi. La mia speranza, neanche tanto velata, è che queste se ne vadano in fretta.
Invece no.
Le due ragazzette entrate, aprono la scatola e cominciano a mangiarsi i pezzettini di pollo fritto.
Così, davanti a me, sul bancone. Come se fosse la cosa più normale del mondo. Un bancone dove si appoggia di tutto. Lo stesso ricettacolo batterico dell'Arno subito dopo gli scarichi delle concerie dell'empolese.
Non resisto dal non documentare il momento. Prendo il cellulare e fingo di farmi gli affari miei. Poco professionale? E' vero, ma tanto queste tipe neanche se ne sono accorte. Effettivamente, mi sentivo un fantasma.
Le fotografo mentre mangiano. Effettivamente, erano già a fine (ingurgitavano pollo come se fossero state noccioline)
E poi, una volta finito quel frugale pasto, prendono ed escono tutte quante sono lasciando, sul bancone, la scatola che conteneva il cibo. E' ovvio, c'è chi pulisce per loro: il portiere. Perchè scomodarsi per cercare un cestino dei rifiuti?
Ho buttato via la scatola con cautela, perchè dentro avevano lasciato i contenitori del ketchup; aperti, chiaramente. Infatti il liquido rimasto stava già colando.
Non credo ci sia altro da aggiungere.
Anzi, no ancora una: il latte lasciato dal fenomeno.
Buon fine settimana a tutti.
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