Portiere d'albergo. Vorace lettore. Scrittore a tempo perso. Giocatore da tavolo. Nemico di un gatto. Depresso cronico. Attendo l'arrivo dei Vogon o, in subordine, il ritorno di Vladimir Ilic Ulianov.
venerdì 26 febbraio 2016
Gli italiani non sono persone normali.
Gli italiani sono macchiette. Sono personaggi di filmettini di natale.
1.Il cumenda.
Capodanno 2013-2014. Si, due anni fa. Nell'albergo dove lavora mia moglie, in turno di mattina.
Farsi un turno di mattina il 1 gennaio è come andare a Londra per vedere Cats e scoprire che è stato sostituito da un concerto di Gigi D'alessio.
Scende prima lui. Cinquantenne elegantone e l'aria da persona impegnata. Ma è il primo gennaio, hai passato la notte del 31/12 a Firenze, è chiaro che non sei qui per lavorare, smetti di fare l'uomo serio.
L'impressione, voi capirete, non è affatto delle migliori.
Si affaccia al bancone e, con quell'accento meneghino da cumenda che ricorda il mai abbastanza compianto Nicheli, chiede alla banconista:
-Mi fa il conto, per piacere?-
Dopo di che, senza aver comunicato il numero di camera od eventuali consumazioni dal minibar, prende il telefono e comincia a digitarci. E si mette a parlare:
-Uelà, carissimo, come stai, tutto bene?-
Ora, voi non conoscete mia moglie. Sappiate che una delle cose che odia maggiormente, e mette spesso a rischio la mia stessa vita, è questo fare le cose a metà. Se vuoi una cosa, mi devi fornire tutti i dati. Non puoi pensare che la faccia pezzo per pezzo. Io odio, fare le cose pezzo per pezzo. Faccio te, pezzo per pezzo. Prima stai qui a discutere con la banconista e chiudere la pratica, e poi telefoni. Perchè non posso saltare oltre questo bancone e praticarti un sacrificio azteco? Perchè non posso farti un lanciarti un urlaccio come faccio a casa con quel bischero di mio marito?
Ma costui se ne sbatte dei problemi della banconista. E con il suo accento milanese, continua la chiacchiera. A voce bella urlata nel mezzo della hall, è chiaro.
-Uè, siamo venuti a Firenze a passare il capodanno... eh, si, gran bella città, c'era anche un sacco di figa- Si guarda intorno, chiaramente per controllare che la moglie non sia nei paraggi, avendo appeno comunicato la visione di presenza femminile attraente nelle affollate vie del centro fiorentino qualche ora prima; quindi mette una mano sul microfono ed allunga la testa sul bancone.
-Mi fa chiamare la macchina?-
Poi, continuando tranquillamente la conversazione in quell'astruso meneghino, mette una mano nella tasca interna della giacca e ne estrae un portafoglio.
-Si... si... eh, carissimo, lo so, lo so. Eh, lui s'è un bauscia. Ghapì miga niente-
Estrae una carta e la porge alla banconista. La quale alza anche il ditino perchè vorrebbe sapere il numero di camera e consumazioni del minibar, ma ovviamente il siur si volta e continua la conversazione pseudo-privata.
Poi scende la moglie. Addobbata come la Santanchè ad un party nella villa di Arcore, cammina a passettini di 0,53 centimetri l'uno e porta stampato in faccia un sorrisone a bocca chiusa. In effetti riesce a parlare senza aprire la bocca. Quindi, da un punto sconosciuto del corpo, escono altre parole in dialetto milanese.
-E' già venuto mio marito a pagare?-
Ecco, pensa speranzosa la Sara, ora finalmente potrò sapere da questa tipa il numero di camera; ma prima di poter aprir bocca e svolgere le domande di rito, la signora riprende a fare i suoi 400 passettini. Si allontana dal bancone di un mezzo metro. Poi si blocca, come colta da un Pietrificus. Si volta e si sporge sul bancone.
-Ha già fatto chiamare la macchina?-
E senza aspettare la risposta, si rivolta nuovamente e riprende a farsi i suoi passettini verso il marito, che continua la sua conversazione cellulare.
Chiacchierarono amabilmente prima nella hall poi in sala colazioni, risalirono a preparare i bagagli e finalmente, una volta scesi con le valigie, la Sara venne a sapere numero di camera ed extra da pagare, che addebitò sulla carta di credito che gli avevano tranquillamente lasciato. E poi chiamò l'auto. L'avesse chiamata prima, sarebbe rimasta in mezzo alla strada per tutto il tempo. Un'ora circa.
2.Il troio.
Capelli lunghissimi, giubbotto e stivali di pelle.
E' lui, non ci sono dubbi.
Entra in albergo un pomeriggio di alta stagione e, non riuscivo a crederci, mi esordisce così:
-Deh, ciao, senti... 'un c'hai mi'a una 'amera?-
Ero allibito.
Lo sguardo mi cade verso l'esterno. Noto una testa che spunta ad osservare l'interno. Incrocio un attimo lo sguardo con il suo. Un attimo. Lei si ritrae immediatamente.
Ok, calma e gesso. E' solo uno vestito uguale. Probabilmente lo imita. Dai, sotto col dovere e vediamo se facciamo fatturare l'azienda. E poi gli olandesi presta-mutui non leggono il Vernacoliere. Vogliono solo il ripagamento del prestito.
-Ti controllo subito. Sei di Livorno?-
Mi viene proprio spontaneo chiederlo.
E lui alza la testa e mette le mani avanti. E tutto risentito, esclama:
-No, deh, son di Cecina! 'un si sente?-
E così mi rimase il dubbio se non volle la camera perchè costava troppo o perchè se l'era presa perchè non avevo capito subito di dove veniva.
3.il bimbo rimbalzoso
All'inizio lo avevo chiamato il bimbo volante, ma visto i nuovi andazzi parolai, chi sono io per farmi fregare da un bimbo delle medie ed un fornaio spagnolo?
I bimbi rimbalzosi non scendono le scale. Loro si lanciano. Si gettano dalla cima ed atterrano planando nel mezzo della hall. Non so come sia possibile. Per noi adulti è come se saltassimo da un'altezza di 3 metri. Io personalmente, oltre ad avere una fifa del demonio, saltarassi da un'altezza del genere sono sicuro che dopo sarei pronto per il CTO di Careggi.
Loro no. I bambini rimbalzosi saltano quelle altezze urlando come il signore delle scimmie. E non si fanno niente.
Una mattina, mentre sono intento a preparare la situazione delle camere, uno di questi fenomeni da circo appare urlando dalla cima delle scale, mi fissa per un attimo con la boccona aperta, si volta per vedere se i genitori stanno arrivando e poi, come direbbe Mao, spicca il grande balzo in avanti
dalla cime delle scale
giuro, ero convinto morisse. Spiaccicato sul cotto fiorentino.
Invece no. Sbatte i piedini a terra, scivola sul pavimento e si fa mezza hall sulla pancia.
Mi aspetto quasi che saltino fuori Skipper e Kowalski a nominarlo pinguino onorario.
Mi sporgo sul bancone, convinto di vedere i resti del corpo in un lago di sangue. Invece quello, tutto disteso sul cotto, alza la testa, ride come un matto, salta in piedi in un balzo solo, gira i tacchi e fila come Speedy Gonzalez verso la sala colazioni.
Io ero allibito.
I genitori scendono a passo lemme le scale, trascinando un paio di quintali di ciccia che ti pare incredibile che da quel codice genetico sia uscito un olimpionico della ginnastica. Mi avvicino a loro prima vadano in sala colazioni, ed oso una domanda:
-Ma non avete paura si faccia male? E se batte la testa?-
Ed il padre, con tutta la tranquillità di questo mondo, se ne esce fuori così:
-Ma no, non si fa niente. Chillo tiene 'a capa toshta!-
E mi lasciano lì, a bocca aperta.
Gli italiani sono così: sembrano usciti da film di Vanzina.
Ridatemi i giapponesi.
ps. 4. il fiorentino
Gruppone di bimbi napoletani 14enni. Provocano lo stesso fracasso di un martello pneumatico che scava allo Statuto per il lavori della tranvia.
Ipotetico martello pneumatico, ovviamente. Perchè a parte abbattere gli alberi e transennare, credo che gli operai siano tutti al nuovo ristorante giapponese dello Statuto a mangiare. E dato che è un "all you can eat", devono essere ancora là dentro da Settembre.
Comunque
I ragazzini ed il portiere si mettono a scherzare sulla prossima partita Fiorentina-Napoli, con entrambi che pronosticano caterve di gol a zero contro gli avversari.
Poi al portiere cade un oggetto. I ragazzini scoppiano a ridere, ed uno di loro fa:
-Questo è il karma-
Ed i'portiere risponde:
-A Firenze è sostantivo femminile-
I'ragazzetto 'un l'ha capita. Voi che leggete, spero di si.
Me ce ne vole. Dimorta.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento