Ve lo ricordate il
detto di Confucio? Quello che esortava a sedersi sulla riva del fiume
ed attendere di veder passare il cadavere del proprio nemico?
Io l'ho fatto.
Ma in luogo dei
cadaveri dei miei numerosi nemici, ho visto passare il cadavere di
Confucio. Suicidatosi per non vedere più lo strazio di come si sono
ridotti i suoi concittadini del XXI secolo.
Mi sto avviando al
turno di notte. Serata fresca, terreno in buone condizioni, zero
spettatori sugli spalti (a parte i soliti strafatti seduti sui
gradini di una panineria americana). Sulle spalle il mio solito
zainetto marca Joma, in cuffia il mai troppo compianto Jeff Healey
che mi canta “My life story”. Non solo la tua, Jeff. Non solo la
tua.
Passi lunghi e ben
distesi, sono quasi arrivato.
Stop. Improvviso.
Modello “coda sulla Salerno-Reggio Calabria”.
Davanti, a passo di
lumaca, 3 tipe made in RPC. Marciapiede occupato in pianta stabile,
se continuano così ne diventano proprietarie per usucapione.
Ok, sono in
anticipo, come (quasi) sempre prima di cominciare il turno, ma provo
a vedere se riesco a passare.
Niente, non si
spostano di un millimetro a destra o sinistra. Mi sento davvero
l'uomo invisibile, non mi cagano di striscio. In qualsiasi lingua
tenti di chiedergli “permesso”, non mi considerano. Continuano a
cianare tranquille come se alle loro spalle non ci fosse qualcuno che
cammina più veloce di loro e chiedesse di essere fatto passare. “The
world is mine”. E tutto il resto è zero assoluto. Io sono compreso
in tutto il resto.
Ok, potrei buttarmi
sulla strada e sorpassarle da lì, ma non mi fa molta voglia. Le auto
viaggiano a velocità sostenuta benchè si sia nel centro di
Firenze. Viaggiano tutti a velocità sostenuta, maledetti pazzi,
quando sarò dittatore assoluto farò fermare tutte queste auto nel
piazzale della Stazione e fucilarne gli occupanti al muro della
panineria.
Perciò mi rassegno
a rallentare la mia andatura al passo di queste 3 cinesi, sperando
che non entrino proprio nell'albergo dove ho il turno.
Indovinate un po'?
Sono proprio
alloggiate da noi.
Entriamo tutti e
quattro, e, com'è ovvio, appena entrate le 3 si fermano nel mezzo
della hall per continuare le chiacchiere. Buonasera, sono un essere
umano, posso passare? Vi attraverso come se fossimo entità
incorporee? Devo saltarvi sopra la testa? Scavare un tunnel sotto le
vostre regali signorie? Spararvi un proiettile nel cranio e poi
passare sui cadaveri?
Alla fine riesco ad
arrivare alla reception. David è occupato con un altro cliente, mi
fa un sorriso e strizza l'occhio, ed è, lasciatemelo dire, il
secondo momento più bello del turno di notte (il primo è il sorriso
della Francesca la mattina alle 7, a fine turno). Io non faccio a
tempo ad andare dietro al banco che, neanche il tempo di togliermi lo
zainetto Joma ed il giubbotto, le signore cinesi mi si presentano
davanti.
Toh, c'è un
portiere, non l'avevamo visto.
Indovinate cosa
chiedono?
“WiFi?”
Apro il cassetto e
ne estraggo il codice, ma pensate davvero che le cinesi si impegnino
a digitarselo da sole?
Davanti ai miei
occhi, sul bancone, appaiono 3 cellulari di ultima generazione. A me,
di ultima generazione, piace solo Star Trek, il mio cellulare ha 15
anni e non può navigare in rete, ma funziona e soprattutto ha una
batteria che dura una settimana. Ma a furia di configurare internet
sugli smartphone dei clienti, ho imparato ad usarli.
Il problema è che
questi 3 sono smartphone cinesi. Con gli ideogrammi.
Chiedo gentilmente
alle clienti se mi possono mettere i caratteri latini. Ci sarà bene
un sistema in qualche modo.
Glielo chiedo in
inglese ed italiano.
Risposta: “WiFi”.
E ditino indice che picchietta sullo schermo.
“My life story”
cantava Jeff. Confucio, invece, vomita disgustato.
Ok, bene o male i
vari simbolini li conosco. Mi interessa quello con la ruota dentata,
cioè le impostazioni. Lo trovo accanto ad un angry bird, sullo
sfondo Hello Kitty che sorride con gli occhi chiusi. Disegni
giapponesi, marca coreana, made in RPC, l'Asia riunita in una
macchinetta.
Quindi apro le
impostazioni e tra una selva di ideogrammi trovo il wifi. Trovo la
rete dell'albergo e mi districo in una seria di finestre che si
aprono e mi chiedono cose che non capisco, ma che le clienti cinesi
danno per scontato che io sappia. Keep calm and ask il portiere.
Alla fine, prova e
riprova, entro nella rete e, nelle varie app, trovo anche il browser,
uno diverso per ogni cellulare (safari, explorer e chrome). E'
l'unica cosa diversa che hanno, per il resto ci sono le stesse app e
lo stesso sfondo. Inserisco la prima password et voilà, arrivano
fischietti di messaggini uozzappanti (e la parola zappa indica cosa
dovrebbero avere in mano queste donne cinesi, invece di smarphone);
la luce si accende negli occhi della proprietaria della macchinetta,
che dimentica totalmente chi gli ha appena aperto il mondo virtuale.
Le altre due mi attaccano in pressing alto affinchè mi sbrighi a
sistemargli gli aggeggi mentre David, che ha finito col cliente che
aveva davanti, mi canzona un po' nel suo dialetto romano: “Ao,
Marcè, te se' beccato 'e cinesi” e mi tocca trattenermi dal ridere
in faccia alle clienti (ma probabilmente non se ne accorgerebbero).
Alla fine le tipe se
ne vanno con gli occhi fissi sugli schermi, così che David possa
darmi le consegne ed
andare a riposarsi.
Però, ripeto:
seduto sulla riva
del fiume, vedo passare, galleggiante con la faccia rivolta verso il
basso, il cadavere di Confucio. Mi spiace, onorevole filosofo, sei
stato sfigato.
Dovei nascere in un
paese scandinavo.
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