Vi chiedo preventivamente scusa.
So che questo è un blog dove parlo prevalentemente del
mio lavoro di portiere d’albergo, e quindi vi aspettereste storie di vario tipo
con la clientela. Oggi non è così. È una settimana che ci rimugino, ho bisogno
di parlarne. Per esorcizzare il mio dolore.
Trent’anni fa, ben prima d’iniziare questo impiego,
giocavo massicciamente ai giochi di ruolo.
D&D, Gurps, Vampiri, Mage. Un bellissimo gruppo
che si ritrovava a lanciare dadi e interpretare ruoli. Sempre sotto l’egida di
Stratagemma, il negozio dove ancora oggi acquistiamo giochi.
Poi il gruppo si sciolse, senza volerlo; ognuno perso
dietro ai fatti suoi, come canta Vasco: uno a Londra, una nei boschi del
Trentino, qualcuno fa la spola tra qui e la Germania -e come il cinema insegna:
non bisogna mai andare in Germania-
A Firenze, tra gli altri, siamo rimasti io e
Alessandro. Iniziai quel devastante impiego del portiere d’albergo, che
distrugge mezza vita sociale, senza contare la presenza di prole. Ma Ale non fu
da meno, visto che entrò nel corpo dei vigili urbani. Anche quello mestiere che
tarpa le ali a noi bipedi bisognosi di incontri ludici. Ok, lo fanno un po' tutti
i mestieri, ma in particolare quelli che ti fanno finire la sera tardi o
svolgere turni notturni. Poi ci sono anche altre passioni a cui diamo sempre
una priorità: per me la palla rotonda, per lui l’Aikido.
Alessandro ha una splendida cultura “nerd”. Basta fare
una battuta di una qualsiasi opera “culto” che la riconosce subito. Ci diverte
dirle, quando c’incontriamo: “Fletto i muscoli e sono nel vuoto”; “Grande Giove”;
“Avada Kedavra”; “Ti amo, mio feroce vichingo!”; “La parola d’ordine è Tampax”.
Quando ci
incontriamo, canticchio la canzone del vigile, presa da un film del Nuti.
Famosissima, qui a Firenze.
E poi gridavamo “Arhhh!”. Perché, come è noto, più
pirati ci sono, più si abbassa il riscaldamento globale.
Continuo a parlarne al presente, perché mi rifiuto
ancora di credere che Ale manchi ormai da una settimana precisa. Proprio il
giorno prima del giorno dell’asciugamano. Come ha scritto una nostra comune
amica, hai preso un telo, hai alzato il pollice e sei stato raccolto dall’astronave.
Ora sei da qualche parte dello spazio, a sorbirti una poesia Vogon.
Hai questo modo così adorabile di imprecare: porca
paletta. Ecco, porca paletta, Ale! Questo proprio no!
Io mi aspetterò sempre che tu bussi a quella porta per
salutarmi e prendere un caffè, tra le cinque e le sei del mattino, perché sei dislocato
a Palazzo Vecchio e io lavoro a neanche 100 metri da lì.
Francesca, ancora un abbraccio.
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