giovedì 13 marzo 2014

Non ha importanza la nazionalità.

In casi come questi, c'è un solo tipo di persone che non compie atti di maleducazione: i giapponesi.

I giapponesi sono, tutti, senza eccezione, le persone più educate, simpatiche, cordiali, gentili che questo quadrante stellare abbia mai prodotto. Se trovate un signor Musashi o Irakawa che si comporta da maleducato, è un immigrato di almeno 3-4 generazioni in un paese sudamericano. Ma quelli originali del Sol Levante sono, semplicemente, il cliente ideale. L'unica cosa che mi sento di dirgli è: みんなさん, どもありがとうございます.

Quindi non vi parlerò dei giapponesi.

Come ho detto, in casi come questi, giapponesi esclusi, non è la nazionalità che conta.

Turno qualsiasi, giorno qualsiasi.

Sul bancone, una piantina di Firenze. Di fronte, turisti ansiosi di sapere dove andare, cosa visitare. Sono nel momento topico del mio lavoro, la parte che più mi piace: questa è la mia città. Questa è la mia Firenze. Orari degli Uffizi? Eccoli. Piazzale Michelangelo per foto del profilo immortale della città? Pronti gli orari del 12 con ritorno (ataf e traffico permettendo, ovviamente). Giardino di Boboli? Ma certo, ecco a voi le informazioni che vi servono per visitarlo. Orari di treno e/o bus per Pisa e/o Siena? Li stampo in un battibaleno, signor*.

Tutti gli altri clienti devono attendere il proprio turno. E' ovvio che non impiego 3 ore a dare una spiegazione. Spesso devo fare in fretta perchè ci possono essere altri clienti che hanno bisogno di informazioni, ma nella maggior parte dei casi i turisti sono persone educate e pazienti.

Nella maggior parte dei casi, appunto. Purtroppo, non tutti lo sono. Certuni avrebbero bisogno di un corso rapido di rieducazione. In una remota località siberiana. A Gennaio. In bermuda.

Mentre sono lì impegnato a circolettare a penna, sulla piantina della città, la posizione dell'albergo e di tutti i monumenti più importanti, mi appare davanti agli occhi lo schermo di un telefonino.

Sopra, una pagina web di un centro di prenotazione. Uno dei tanti.
Alzo gli occhi con l'espressione sorpresa dei marinai americani a Pearl Harbour quando gli cominciarono a piovere le bombe addosso.

E pronuncio anche la stessa esclamazione: what the f...????

Davanti a me, un essere qualsiasi, infimo prodotto di questo pianeta nonché massimo esemplare di maleducazione e menefreghismo verso il prossimo, sgomita e letteralmente sposta di lato il cliente che stavo servendo, che lo guarda con espressione fantozziana da “com'è umano lei”.

L'essere infimo ha il braccio allungato verso il sottoscritto. All'estremità, appunto, il suddetto apparecchio tecnologicamente avanzato, puntato a pochi centimetri dai miei occhi.

“I have a reservation!”

L'ho scritto in inglese, ma potrebbe essere una qualsiasi lingua del globo terracqueo (ad eccezione del nihongo, appunto). D'ora in poi proseguirò in italiano.

Voce insistente, imperiosa, come se fosse l'unico cliente del pianeta. In un certo senso lo è. Dal suo punto di vista non esistono altre persone su questo sistema solare: lui ha appena prenotato, lui e soltanto lui ha diritto.

Il resto del mondo?

Quale resto del mondo?

Ci sono solo due persone rimaste: lui ed il portiere che deve dargli la chiave della camera. Subito. Ora.

Ed io mi sento montare dentro la rabbia.

Un giorno, quando deciderò di smetterla con questo lavoro, afferrerò il telefonino di uno di questi tipi (ce ne sono sempre, almeno uno a settimana) e lo scaraventerò fuori dal portone, proprio in mezzo alla via, a beneficio degli pneumatici delle auto in transito. Possibilmente tante. Preferibilmente un corteo nuziale, con tanto di clacson.

Dicevo: l'ira funesta è in accumulo nei miei centri nervosi, ma decido di cagarlo zero. Riprendo a dare spiegazioni, sulla piantina, a chi era prima di lui.

Quello ovviamente non capisce. Non può capire, non può arrivarci.
“Ho una prenotazione!”

“Guardi, capisco che lei abbia prenotato ora e voglia la sua camera, ma come può vedere, c'è una persona prima di lei. Può gentilmente aspettare il suo turno?”.

“Ma io ho prenotato ora!”

“Ed ha fatto male. Se fosse entrato e, in maniera cordiale e gentile, come ogni persona corretta di questo mondo di cui lei non fa parte, mi avesse chiesto il prezzo di una camera, le avrei fatto una tariffa più bassa di quella che ha appena fatto su internet, perchè noi paghiamo la commissione al sito internet su cui ha prenotato, e se pagava direttamente a me, le avrei scontato il 90% di quella commissione”

Silenzio. Non capisce.

E' ovvio, come posso pretendere anche io di fare un discorso del genere ad una persona con la CPU cerebrale perennemente posta su off?

“Se può gentilmente attendere, finisco con questo signore che era prima di lei”

“Ma io ho prenot..”

“FINISCO CON QUESTA PERSONA E SONO DA LEI, PUO' GENTILMENTE ATTENDERE, GRAZIE!”

Il cliente che avevo davanti, intimorito dall'egoismo del tipo e dall'espressione da gestapo del portiere, azzarda un “Non importa, doesn't matter, lasci fare, io...”

Ed io, col mio miglior sorriso:

“Lei era prima, le dò le informazioni che mi ha chiesto, come è giusto che sia”

E lì mi contraccambia il sorriso. Fantozzi che trova una persona che gli dà la giusta e meritata considerazione. Mentalmente fa anche una linguaccia al tipo/a che voleva prevaricarlo.

Il quale non la prende affatto bene.

Finito di ottenere le informazioni (che a quel punto fornisco con estreeeeeema calma) che gli occorrono, il cliente se ne va sorridendo; quindi vengo letteralmente aggredito a colui/colei col telefonino:
“Il numero di prenota....”

“Buonasera, posso gentilmente avere il suo nome?”

Si blocca, sorpreso/a.

Ho osato interromperlo/a.

Poi riparte con il rombo e la velocità della Red Bull di Vettel:

“IL NUMERO DI PRENOTAZIONE E' XXXXXXXXXX.”

Poi mi guarda tronfio. Io prenotato. Tu dare me camera. Tu dare me chiave. Uga uga.

Il problema è che non posso trovare una prenotazione con un semplice numero.

“Mi scusi, non sono un matematico, non posso sapere tutti i numeri di prenotazione di ogni camera dell'albergo, non ci riuscirebbe neanche Albert. Qui si va a cognomi. Mi dica sotto che cognome ha fatto la prenotazione e la cerco. E, a proposito: buonasera”

Mi guarda con aspetto tra l'interrogativo e l'inca**ato andante.

Non capisce.

E poi chiede, come se fosse una domanda logica da fare:
“Quale cognome?”

Veramente, ci sarebbe da chiedersi come sia possibile che l'umanità sia riuscita ad arrivare sulla Luna. Non è grazie a gente di questo tipo. Fosse per loro saremmo ancora a dare fuoco alle donne che non hanno la gonna che gli copre financo l'alluce del piede. Anzi, no, saremmo ancora a batterci con le tribù nemiche a colpi di bastone. Wilmaaa! Dammi la clavaaaa!

“Lei ha fatto una prenotazione, giusto? Quindi ha dato il suo cognome per effettuarla. In sostanza le sto chiedendo come si chiama. Lei chi è?”

E vorrei tanto aggiungerci: un fiorino.

Tralascio il resto: alla fine riesco a fare il check-in al supercafone, che ovviamente non sorriderà mai; entrerà ed uscirà dall'albergo senza mai dire né buongiorno o buonasera od arrivederci, convinto imperterrito di essere nel giusto nel passare avanti a tutti perchè ha appena effettuato una prenotazione con il telefonino, l'atto più intelligente che sia mai riuscito a compiere nella sua vita dopo allacciarsi le scarpe e/o premere il bottone del water, cose imparate solo verso i 15 anni. Semplicemente gli chiesi il documento, così da capire chi avevo davanti (Mr. Smith, o Mr. Chen, o  Mr. Zyriakov, od un signor Rossi, tanto sono tutti uguali) e trovare la prenotazione sul sistema.

Il cliente a cui stavo dando informazioni, un americano di mezza età, ed a cui avevo dato la priorità mettendo nell'angolo il supercafone che voleva passargli avanti, mi sorriderà amabile per tutto il soggiorno. Poi, poco prima della sua partenza, mi chiede come mi chiamo. Dopodichè mi stringe la mano come solo gli americani sanno fare (stritolandola) e mi fa:
“Marcello, you are the number one!”

Ed io penso che, malgrado i supercafoni, amo questo lavoro.

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