42
non è solo una risposta.
42
era anche il numero di partenze che avevo domenica mattina. Da solo.
E tutti italiani, perchè gli italiani prenotano all'ultimo momento,
per una notte. Ad inizio settimana avevamo mezzo albergo vuoto. Il
venerdì sera eravamo già pieni zeppi.
Farsi
42 partenze di domenica mattina senza un supporto può essere
un'esperienza devastante, una raffica di check-out a ritmo continuo,
uno dietro l'altro. A quel punto tutti i rapporti con il cliente
saltano. Non si sta a chiedere “Si è trovato bene? Piaciuta
Firenze?”. Si chiede la camera si stampa la ricevuta e si incassa.
Non è più lavoro d'albergo. E' catena di montaggio modello Tempi
Moderni. E con gli italiani capita che “Faccia carta. Anzi no,
scusi, meglio bancomat... ah, ha già fatto carta? Era meglio
bancomat, ma non importa però.... si può tornare indietro?”
Bip,
transazione annullata. Si ricomincia da capo. Bancomat. Il pos chiede
il codice pin. Si passa la macchinetta alla cliente, che se ne esce
fuori così:
“Ah,
il pin, quale era?”
Comincia
la ricerca del codice pin nel suo cellulare, ma il tempo scade ed il
pos annulla la transazione, e mi fa risputare fuori la carta. Si
riparte da capo. Nel frattempo, dietro alla signora dimentichina si è
formata una fila che sembra l'ultimo giorno dell'expo.
Ma
stavolta non sono qui a parlare dei problemi con la clientela
italiana. Sono qui a parlare di due stupendi, meravigliosi,
fantasmagorici clienti che ho avuto domenica. Accomunati dal numero
3.
Oggi
vi parlo di Riccardo e Livia.
Riccardo,
3 anni, arriva venerdì con mamma ed amica della mamma. Due belle
donne distinte che provocano torcicolli in noi maschi sbavanti. La
mattina di domenica, alla partenza, le signore e Riccardo rientrano
dall'ultimo giro a riprendere i bagagli, saranno state le 13.
Peraltro, in camera, avevano lasciato il berretto del bimbo. Quello
della foto. Il ragazzo è istruito bene.
Ma
Riccardo è inquieto, non gli interessano i bagagli ed il berretto.
Vorrebbe uscire, vedere ancora il mondo. La madre lo richiama più
volte mentre riprende borse e valigie. Lui si riavvicina, ma poi
riparte verso la libertà e l'avventura, che possono essere
intriganti in un luogo libero e selvaggio, ma devastanti nel caos di
Firenze centro.
“Riccardo,
vieni qui”
Riccardo
non ha paura degli sconosciuti, non si fa intimorire da quel portiere
d'albergo che lo chiama. Entusiasta, corre dietro il bancone.
“Prima
cosa, via il ciuccio. Non si ciuccia in albergo” E lui,
garibaldinamente, obbedisce.
“Bravo,
così mi piace, pronto ad eseguire gli ordini. Questa è la chiave
che ci ha appena lasciato un cliente. Va rimessa al sui posto, cioè
qui. Dai, rimettila”
Riccardo
esegue il compitino con gioia e letizia, mentre la madre approfitta
per rilassarsi sul divano, uozzappare e/o candycraschare.
“E
ora?”
Prendo
una chiave
“Che
numero è questo?”
“1!”
“Bravo!
Poi?”
“Zero!”
“E
questo?”
“Cinque!”
“Ah-ah,
attento”
“Sei!”
“Grande,
dammi i'cinque!”
E
Riccardo sbatte la sua mano sulla mia. Con tutte le sue forze.
Notevoli, per la sua età.
“E
ora?”
Passo
ad altra chiave, ed altro numero. E via un altro cinque. E così via
per una mezza dozzina di chiavi e numeri. Nel frattempo madre ed
amica prendono i bagagli e mi fanno:
“Andiamo
a mettere i bagagli in auto, Riccardo, te aspetta qui ma fai il
bravo, mi raccomando”
Riccardo
è tutto preso dal nuovo gioco di conta dei numeri. E' il portiere
che comincia un po' a stufarsi, anche perchè deve piegarsi verso i
suoi 30 centimetri scarsi d'altezza, e la schiena disapprova. Ciccio
abbozzala. Hai smesso col calcetto, non sei più il portiere che si
chinava a raccogliere la palla in fondo al sacco.
“Ok,
facciamo così” lo prendo sotto le spalle e lo sollevo a sedere sul
bancone. Non posso fare a meno di notare come mamma ed amica della
mamma siano sparite. Mi hanno lasciato solo con il bimbo.
“Ed
ora come fai?” Gli dico ridacchiando. E' su un bancone dall'altezza
di più di mezzo metro. Per noi adulti è come stare seduti a due
metri, forse più.
Riccardo
non ha paura. Riccardo è temerario. Osa.
Si
lancia giù come un elemento della 101esima aviotrasportata sopra la
Normandia, manca solo urli Geronimo. Effettivamente, anche
lanciandomi le braccia. Non posso non tentare di afferrarlo, un po'
impaurito dalla possibilità che si faccia male.
“Ancora,
ancora!”
“Come
si dice?”
“Per
favore!”
Dai,
un'altra volta. Ed un'altra. Ed ancora.
Mamma,
amica, tornate presto, vi prego. Se tornate, ovviamente.
Tornano.
Prendono gli ultimi bagagli, salutano, ringraziano per
l'intrattenimento.
“Andiamo
Riccardo, saluta il signore”
Riccardo
alza la mano aperta.
Porgo
la mia con il palmo rivolto verso l'alto. Mi arriva un altro “cinque”
dato con tutte le forze possibili. Per fortuna solo le forze di 3
anni. Poi mi urla “Ciao!”, si infila il ciuccio in bocca e corre
via.
Livia.
3
mesi.
Genitori
giovani, poco più di vent'anni, molto carini e simpatici, con
spiccato accento romanesco.
Anche
loro hanno bagagli da mettere in auto, ed escono.
Lasciando
la piccola Livia nell'ovetto, sul divano della hall.
Io
non l'avrei mai fatto, per le mie. La mamma sarebbe stata a guardia
della piccola, l'altro (io) portava i bagagli in auto. Il lavoro
faticoso sempre all'uomo. Questi due no. Escono entrambi. Si fidano
del portiere.
Non
c'è nessuno in albergo, in quel momento. Giro attorno al bancone e
mi avvicino.
Livia
è sveglia, e mi osserva protetta anche lei, come Riccardo, dal
potentissimo scudo magico capace di alzare di millanta punti la
classe d'armatura, e che passa anche con il nome di “ciuccio”.
“Ciao
piccolina! Ma lo sai che sei bellissima?”
E
lei sorride.
Da
dietro il ciuccio, che è trasparente, sorride.
Ed
io mi sciolgo come Olaf sotto al cocente sole estivo.
In
una hall alberghiera, la domenica mattina a Firenze, dopo 42 partenze
ed il fisico che comincia a dire “Ci si riposa? Ci si mette un
pochino a sedere? Che s'abbozza di sta' in piedi?” mi commuovo a
vedere questa bellissima creaturina sorridente. Dovrei saperlo, come
funziona.
Non
è così. Ogni volta è come la prima volta.
I
due genitori non tornano.
Passano
10 minuti buoni, e, giuro, non tornano.
“Senti,
io, se babbo e mamma non vengono a riprenderti, ti porto a casa.
Avrai due sorelle maggiori dolcissime, che ti faranno giocare a tanti
bei giochi divertenti. Ti vestiranno da principessina. Ci vieni a
casa mia? Ti ci porto, eh”
E
lei sorride. E m'immagino già mia moglie che “Ora la riporti dove
l'hai trovata!” “ma mi ha seguito fin qui...” “Te lo scordi s
pensi che io ricominci con le pappette!” Ma io tengo duro, Livia
resta con noi.
Invece,
anche se dopo ben 10 minuti 10, i genitori tornano a riprendersela.
Mi ero ormai convinto di potermela tenere, che costoro se ne fossero
tornati a Roma dimenticandosela completamente. La gente, in albergo,
dimentica veramente di tutto. Anche se questa sarebbe stata davvero
una dimenticanza storica. Per fortuna, Livia era nei loro pensieri.
Avevano solo difficoltà nel chiudere il passeggino e profonda stime
a fiducia nel portiere. Fiducia, posso assicurare, ben riposta. Livia
è stata bravissima.
Ma
per quei 10 minuti è stata tutta mia. Per quei 10 minuti, insieme a
Sara, Camilla e Gaia, c'era anche Livia.
Spero
lei ed i genitori tornino a trovarmi. Mi manca già.
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