venerdì 13 novembre 2015

42 non è solo una risposta.


42 era anche il numero di partenze che avevo domenica mattina. Da solo. E tutti italiani, perchè gli italiani prenotano all'ultimo momento, per una notte. Ad inizio settimana avevamo mezzo albergo vuoto. Il venerdì sera eravamo già pieni zeppi.


Farsi 42 partenze di domenica mattina senza un supporto può essere un'esperienza devastante, una raffica di check-out a ritmo continuo, uno dietro l'altro. A quel punto tutti i rapporti con il cliente saltano. Non si sta a chiedere “Si è trovato bene? Piaciuta Firenze?”. Si chiede la camera si stampa la ricevuta e si incassa. Non è più lavoro d'albergo. E' catena di montaggio modello Tempi Moderni. E con gli italiani capita che “Faccia carta. Anzi no, scusi, meglio bancomat... ah, ha già fatto carta? Era meglio bancomat, ma non importa però.... si può tornare indietro?”
Bip, transazione annullata. Si ricomincia da capo. Bancomat. Il pos chiede il codice pin. Si passa la macchinetta alla cliente, che se ne esce fuori così:
Ah, il pin, quale era?”
Comincia la ricerca del codice pin nel suo cellulare, ma il tempo scade ed il pos annulla la transazione, e mi fa risputare fuori la carta. Si riparte da capo. Nel frattempo, dietro alla signora dimentichina si è formata una fila che sembra l'ultimo giorno dell'expo.


Ma stavolta non sono qui a parlare dei problemi con la clientela italiana. Sono qui a parlare di due stupendi, meravigliosi, fantasmagorici clienti che ho avuto domenica. Accomunati dal numero 3.
Oggi vi parlo di Riccardo e Livia.


Riccardo, 3 anni, arriva venerdì con mamma ed amica della mamma. Due belle donne distinte che provocano torcicolli in noi maschi sbavanti. La mattina di domenica, alla partenza, le signore e Riccardo rientrano dall'ultimo giro a riprendere i bagagli, saranno state le 13. Peraltro, in camera, avevano lasciato il berretto del bimbo. Quello della foto. Il ragazzo è istruito bene.
Ma Riccardo è inquieto, non gli interessano i bagagli ed il berretto. Vorrebbe uscire, vedere ancora il mondo. La madre lo richiama più volte mentre riprende borse e valigie. Lui si riavvicina, ma poi riparte verso la libertà e l'avventura, che possono essere intriganti in un luogo libero e selvaggio, ma devastanti nel caos di Firenze centro.
Riccardo, vieni qui”
Riccardo non ha paura degli sconosciuti, non si fa intimorire da quel portiere d'albergo che lo chiama. Entusiasta, corre dietro il bancone.
Prima cosa, via il ciuccio. Non si ciuccia in albergo” E lui, garibaldinamente, obbedisce.
Bravo, così mi piace, pronto ad eseguire gli ordini. Questa è la chiave che ci ha appena lasciato un cliente. Va rimessa al sui posto, cioè qui. Dai, rimettila”
Riccardo esegue il compitino con gioia e letizia, mentre la madre approfitta per rilassarsi sul divano, uozzappare e/o candycraschare.
E ora?”
Prendo una chiave
Che numero è questo?”
1!”
Bravo! Poi?”
Zero!”
E questo?”
Cinque!”
Ah-ah, attento”
Sei!”
Grande, dammi i'cinque!”
E Riccardo sbatte la sua mano sulla mia. Con tutte le sue forze. Notevoli, per la sua età.
E ora?”
Passo ad altra chiave, ed altro numero. E via un altro cinque. E così via per una mezza dozzina di chiavi e numeri. Nel frattempo madre ed amica prendono i bagagli e mi fanno:
Andiamo a mettere i bagagli in auto, Riccardo, te aspetta qui ma fai il bravo, mi raccomando”
Riccardo è tutto preso dal nuovo gioco di conta dei numeri. E' il portiere che comincia un po' a stufarsi, anche perchè deve piegarsi verso i suoi 30 centimetri scarsi d'altezza, e la schiena disapprova. Ciccio abbozzala. Hai smesso col calcetto, non sei più il portiere che si chinava a raccogliere la palla in fondo al sacco.
Ok, facciamo così” lo prendo sotto le spalle e lo sollevo a sedere sul bancone. Non posso fare a meno di notare come mamma ed amica della mamma siano sparite. Mi hanno lasciato solo con il bimbo.
Ed ora come fai?” Gli dico ridacchiando. E' su un bancone dall'altezza di più di mezzo metro. Per noi adulti è come stare seduti a due metri, forse più.
Riccardo non ha paura. Riccardo è temerario. Osa.
Si lancia giù come un elemento della 101esima aviotrasportata sopra la Normandia, manca solo urli Geronimo. Effettivamente, anche lanciandomi le braccia. Non posso non tentare di afferrarlo, un po' impaurito dalla possibilità che si faccia male.
Ancora, ancora!”
Come si dice?”
Per favore!”
Dai, un'altra volta. Ed un'altra. Ed ancora.
Mamma, amica, tornate presto, vi prego. Se tornate, ovviamente.
Tornano. Prendono gli ultimi bagagli, salutano, ringraziano per l'intrattenimento.
Andiamo Riccardo, saluta il signore”
Riccardo alza la mano aperta.
Porgo la mia con il palmo rivolto verso l'alto. Mi arriva un altro “cinque” dato con tutte le forze possibili. Per fortuna solo le forze di 3 anni. Poi mi urla “Ciao!”, si infila il ciuccio in bocca e corre via.




Livia.
3 mesi.
Genitori giovani, poco più di vent'anni, molto carini e simpatici, con spiccato accento romanesco.
Anche loro hanno bagagli da mettere in auto, ed escono.
Lasciando la piccola Livia nell'ovetto, sul divano della hall.
Io non l'avrei mai fatto, per le mie. La mamma sarebbe stata a guardia della piccola, l'altro (io) portava i bagagli in auto. Il lavoro faticoso sempre all'uomo. Questi due no. Escono entrambi. Si fidano del portiere.
Non c'è nessuno in albergo, in quel momento. Giro attorno al bancone e mi avvicino.
Livia è sveglia, e mi osserva protetta anche lei, come Riccardo, dal potentissimo scudo magico capace di alzare di millanta punti la classe d'armatura, e che passa anche con il nome di “ciuccio”.
Ciao piccolina! Ma lo sai che sei bellissima?”
E lei sorride.
Da dietro il ciuccio, che è trasparente, sorride.
Ed io mi sciolgo come Olaf sotto al cocente sole estivo.
In una hall alberghiera, la domenica mattina a Firenze, dopo 42 partenze ed il fisico che comincia a dire “Ci si riposa? Ci si mette un pochino a sedere? Che s'abbozza di sta' in piedi?” mi commuovo a vedere questa bellissima creaturina sorridente. Dovrei saperlo, come funziona.
Non è così. Ogni volta è come la prima volta.
I due genitori non tornano.
Passano 10 minuti buoni, e, giuro, non tornano.
Senti, io, se babbo e mamma non vengono a riprenderti, ti porto a casa. Avrai due sorelle maggiori dolcissime, che ti faranno giocare a tanti bei giochi divertenti. Ti vestiranno da principessina. Ci vieni a casa mia? Ti ci porto, eh”
E lei sorride. E m'immagino già mia moglie che “Ora la riporti dove l'hai trovata!” “ma mi ha seguito fin qui...” “Te lo scordi s pensi che io ricominci con le pappette!” Ma io tengo duro, Livia resta con noi.
Invece, anche se dopo ben 10 minuti 10, i genitori tornano a riprendersela. Mi ero ormai convinto di potermela tenere, che costoro se ne fossero tornati a Roma dimenticandosela completamente. La gente, in albergo, dimentica veramente di tutto. Anche se questa sarebbe stata davvero una dimenticanza storica. Per fortuna, Livia era nei loro pensieri. Avevano solo difficoltà nel chiudere il passeggino e profonda stime a fiducia nel portiere. Fiducia, posso assicurare, ben riposta. Livia è stata bravissima.
Ma per quei 10 minuti è stata tutta mia. Per quei 10 minuti, insieme a Sara, Camilla e Gaia, c'era anche Livia.
Spero lei ed i genitori tornino a trovarmi. Mi manca già.




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