venerdì 7 maggio 2021

I miei genitori sono nati a Cetica, un piccolo paesello sul Pratomagno; uno di quei posti che ti appaiono all'improvviso svoltando da un costone di roccia e uno pensa "ma chi sono i matti che abitano quassù?". E invece ci abitano. Da secoli. Era addirittura feudo dei conti Guidi, quel tipo di signorotti che rivolgevano parole sprezzanti a Firenze salvo poi, quando dal comune del Giglio inviavano le loro milizie, andargli incontro a braccia aperte e con termini tipo "amici fiorentini, come sono felice di vedervi! Sono sempre stato un vostro fedele vassallo!"

Ma i non nobili abitanti erano, e sono tutt'ora, persone semplici. Vivevano davvero di poco. Coltivavano la terra, raccattavano castagne, abbruciacchiavano la legna per farne il carbone: sacchi pesanti da inviare in città, che usavano per riscaldarsi perchè anche lì, a quei tempi, non avevano ancora il gas ma le stufette.

Ma d'inverno questi lavori non si facevano. E quindi i "ceticatti" si spostavano. Andavano a fare i "pinottolai". In Maremma. Quella zona della Toscana definita con parole non splendide perchè, fino al secondo dopoguerra, vivere lì significava quasi certamente la malaria. E le zanzare sono no-mask, loro la mascherina non se la mettono.

In Maremma però ci sono anche tanti, tantissimi pini. Anni addietro molto più di oggi, perchè col tempo malattie e incendi -dolosi, spesso- hanno ridotto la quantità di piante. Una volta erano tanti veramente. E i pini producono i pinoli, dei semi buonissimi e usati in ambito culinario.

Il problema è che il pino è una pianta decisamente alta. Che va su dritta sparata per parecchi metri. E le pigne se ne stanno tutte in cima, per rimirare bene dall'alto. Gusci sdegnosi che sembrano proprio dirci "Vieni qui, se hai coraggio". 

Oggi è facile: abbiamo macchinari che scuotono la pianta e fanno venire giù le altezzose pigne. Ma una volta non era così. Bisognava arrampicarcisi, sulla pianta. Sfidarla e salire su, lentamente, con accortezza su dove si piazzavano i piedi. Poi, quando si era in alto, mettersi nella giusta posizione e, con un lungo rampino che si portava legato alla schiena, agganciare i rami lontano e scuoterli per far cadere le pigne.

In tanti sono rimasti paralizzati, o morti, cadendo da quelle altezze. 

Un lavoro tremendo, faticoso, stressante. E mortale. 

Oggi non è più così, e siamo grati del cambiamento. Ovviamente i pericoli non sono finiti del tutto. Anche le macchine, come la forza di gravità, possono essere fatali, come hanno dimostrato casi recenti. Ma almeno in questo campo hanno cambiato bene.




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