domenica 23 maggio 2021

 "I toscani hanno devastato questo paese" Piccola rubrica di storie toscane.

Parte terza.


Ugo il Grande

"Ciascun de la bella insegna porta

del gran barone il cui nome e 'l cui pregio

la festa di Tommaso riconforta

da esso ebbe milizia e privilegio"

Dante, Paradiso XVI 126-130

La Tuscia divenne, ai tempi degli imperatori Ottone (I, II e III) un territorio strategico. Bastava che il Marchese inviasse un pò di soldati sui passi appenninici, e qualsiasi esercito rimaneva bloccato dall'altra parte. Quindi agli imperatori occorreva un uomo di fiducia che permettesse il passaggio. Un "conductus" per accompagnare il "Theodisco" nel suo viaggio verso l'incoronazione a Roma.

Ugo rispondeva a queste caratteristiche. Sempre fedele all'Impero, il Marchese seguì gli imperatori Ottoniani (o Liudolfingi) sostenendoli ove necessario. Quando si trattò di aiutare lo stesso Impero, non esitò a manovrare il suo esercito di agguerriti toscani fino a Capua, per sostenere il principato longobardo alleato dell'Imperatore; dimostrando, se mai a quei tempi ce ne fosse stato bisogno, che la legione toscana, la temibile "tyrrhenia juventus", era una forza militare di prim'ordine. E lo stesso Ottone III lo volle al suo fianco durante l'incoronazione a San Pietro (996). Gli storici hanno trovato i vecchi diplomi imperiali dove si cita lo "strenuissimo marchese, nostro fedele dilettissimo" (lo so che ci trovate un paragone tra l'imperatore Palpatine e Darth Vader, razza di nerd che non siete altro!)

Forse l'unico momento di contrasto con l'imperatore avvenne nel 1001. Ottone III si trovava a Roma, quando le famiglie nobili della città, che volevano riprendere il controllo dell'elezione al soglio pontificio, fomentarono la popolazione. Ottone si trovò assediato dai romani nel suo palazzo sull'Aventino, proprio quando aveva scarsa protezione, e se la vide brutta. Per sua fortuna la "tyrrhenia juventus" si trovava poco distante, e piombò subito a Roma mettendola d'assedio. Ugo, prima di lanciare la sua milizia in un assalto che avrebbe certamente portato a un vero massacro, cominciò una trattativa per il rilascio dell'imperatore, e grazie alle sue buoni doti diplomatiche, riuscì nell'intento. Ebbene, questo all'imperatore non piacque affatto. Lui avrebbe voluto una presa e saccheggio dell'Urbe, anche a costo di essere ucciso lui stesso dai romani inferociti. E probabilmente anche la legione toscana non bramava che di assaltare Roma, metterla a sacco e fare bottino. Ma andiamo avanti.

Il marchesato di Ugo fu uno dei più fulgidi, nella storia della Tuscia. Mise un freno alla forza dei signori terrieri locali (gli Aldobrandeschi, i Gherardeschi e i Guidingi -poi conti Guidi- su tutti) e riuscì a sistemare le beghe tra le città, rendendo il suo territorio particolarmente pacificato. Poche gabelle (cioè poche tasse) e un'attenta gestione della spesa pubblica rese la Tuscia benestante -per gli standard dell'epoca, ovviamente- e perciò lui profondamente amato. Un "gran barone", per usare le parole dell'Alighieri che lo mette, e non poteva essere altrimenti, in Paradiso. Secondo la leggenda, lo stesso Ugo amava girare a cavallo per le campagne da solo, senza scorta, e chiedere alle persone che incontrava cosa pensassero del Marchese. A quei tempi, non esistendo i social, solo pochi nobili conoscevano la vera identità, quindi nessun contadino o mercante immaginava di trovarselo di fronte. Perciò parlavano liberamente, ed erano sempre giudizi enormemente positivi. Al che il nostro Ugo si lisciava i baffi soddisfatto. Almeno, questa è la leggenda.

C'è un'altra leggenda, su Ugo. Benchè non si conosca precisamente la sua data di nascita, presumibilmente il 950-51, il padre Uberto venne esiliato dalla Tuscia per i classici, soliti contrasti con l'autorità imperiale, e ciò accadde proprio quando la moglie Willa era incinta. Le solite malelingue misero in circolo la voce che la moglie Willa fosse rimasta incinta DOPO la partenza di Uberto, al che la leggenda narra che, al ritorno del marchese a Lucca dopo 3 anni, il piccolo venne mandato nella sala consiliare con tutti i membri presenti. E benchè Ugo non avesse mai visto il padre, lui sarebbe andato dritto tra le sue braccia. Presumibilmente anche dicendo "Babbo, babbino", da bravo toscano. In realtà il padre venne esiliato nel 960, quindi il piccolo Ugo doveva avere già tra gli 8 e 10 anni.

Ugo comunque è fedele all'impero e alla Toscana, tant'è che venderà i possedimenti di famiglia nella Lotaringia -ma c'è chi dice il Magdeburgo- per concentrarsi sulla Tuscia. Rinuncerà a guidare anche la contea umbra, benchè anche lì le solite malelingue si affannino a dire che sia stato l'imperatore a fargli dei dispetti perchè invidoso dell'incredibile prestigio accumulato dal Marchese. In realtà anche lui, come Adalberto II, era uno che non voleva lavorare troppo preferendo godersi la vita, in particolare nei piaceri della carne. Anche qui c'è una leggenda: mentre il Marchese si godeva una battuta di caccia nei boschi, gli sarebbe apparsa la Madonna che lo avrebbe ripreso sul suo libertinaggio. Al chè Ugo si sarebbe pentito, dedicato solo alla legittima consorte e finanziato numerosi conventi, in particolare la Badia fiorentina, che peraltro venne fondata dalla madre Willa. Perchè Ugo, a un certo punto, pare che andasse anche a Firenze, segno anche dell'importanza che stava acquisendo questa città. In realtà sembra fosse solo una voce messa ad arte dai fiorentini, perchè dalle poche fonti arrivate fino a noi da quei lontani tempi, Ugo viene dato un pò ovunque in Toscana, in "Lombardia" e anche in "Germania", presso la corte imperiale. Ma a Firenze no.

Poco dopo la liberazione di Ottone III dalla plebaglia romana, Ugo torna nella sua Tuscia e si ferma a Pistoia. Solo che si sente male e, mancando a quei tempi i reparti di pronto soccorso e terapia intensiva, muore dopo pochi giorni. E' il 1001, dovrebbe avere sui 50 anni. E qui sorge l'ultima leggenda su questo straordinario personaggio: perchè i fiorentini intendevano avere il Gran Barone tutto per loro, già a quei tempi volevano prevaricare gli altri toscani, quindi prendono uno che gli somiglia, e lo mettono nel letto. I nobili pistoiesi vanno a trovarlo al capezzale, e questo dice di stare meglio. Poi il giorno dopo si alza, declama che sta bene e di dover lasciare la città per riprendere i suoi uffici di rettore della Marca. E a quel punto i fiorentini mettono il cadavere del povero Ugo su un cavallo, lo legano, gli si piazzano due cavalieri sui lati per scortarlo ma in realtà tenerlo fermo, e lo fanno passare tra le ali di folla dei pistoiesi che lo acclamano credendolo ancora vivo. Lasciata la città, vanno di corsa a Firenze per seppellirlo nella Badia fiorentina, dove riposa tutt'ora. Ovviamente è una leggenda, molto più probabile che i fiorentini siano scappati alla chetichella col cadavere fresco. Difficile pensare che i pistoiesi avrebbero ceduto all'onore di avere Ugo sepolto nella loro città. A favore di Firenze, poi!

Sono stato a trovarlo, un paio di settimane fa. Alcuni secoli dopo il decesso l'artista Mino da Fiesole ne realizzò un bel monumento funerario, ma il Gran Barone è ancora lì dal 1001. La foto però l'ho presa da wikipedia perchè non potevo usare il flash in chiesa. E poi perchè rovinare la bella atmosfera oscura che vi regna?

Ma per far capire bene quanto deve essere stato importante la figura di Ugo per i toscani di quei tempi, basterà solo accennare che lo scudo araldico del Barone era formato da 7 righe di colori alternati bianco e rosso. Colori che vennero subito adottati da molte città toscane, pur con simboli loro, e sono tutt'oggi i colori ufficiali della regione.

Ugo è vivo, e lotta insieme a noi.



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