Questo è quel che scrissi l'anno scorso, alle 6 del mattino del 1 gennaio 2013, dopo il turno di notte.
Finito anche questo turno di notte, i vandali hanno scorrazzato per la via, che ora è una discarica a cielo aperto.
Dipendesse da me, sarebbero a festeggiare nel gulag, a meno 30. In bermuda.
Renzi, mannaggia la miseria, basta concerti di fine d'anno! Coi soldi
che si risparmia per le pulizie delle strade la mattina dell'1 gennaio,
ci si faceva lo stadio novo.
Solidarietà ai colleghi che si sciropperanno la notte del 31 in turno (quest'anno sono libero).
Non è per il giorno in sè, in fondo è una notte come un'altra. E' per il
disastro che si verifica durante la notte.
Morte a vandalizzatori. E buon anno.
Portiere d'albergo. Vorace lettore. Scrittore a tempo perso. Giocatore da tavolo. Nemico di un gatto. Depresso cronico. Attendo l'arrivo dei Vogon o, in subordine, il ritorno di Vladimir Ilic Ulianov.
martedì 31 dicembre 2013
lunedì 30 dicembre 2013
Russi.
Strafatti.
Porta chiusa.
Anche invertendo i fattori il risultato non cambia: tentativo di aprire la porta con la forza.
Campanello? In russia i campanelli non esistono. Sparano una raffica di ak-47 in aria e chi è all'interno va ad aprire. Ivan, tovarich, tu puortato vuodka, da?
Lui: classico russo biondiccio slavo, manca solo il l'elmetto ssh40 con stella rossa e simbolo divisionale del 4° corpo meccanizzato della guardia. La vodka è già al sicuro: nello stomaco. Spero ci rimanga. Almeno finchè non raggiunge il bagno della camera.
Lei: incredibilmente, una russa che fa apparire femminile un transessuale argentino. Forse è quello il motivo per cui beve: ha una delle poche russe per niente belle del pianeta.
O forse no, berrebbe uguale. L'attrazione dei russi per l'alcool pesante è direttamente proporzionale a quella di un buco nero quando si passa l'orizzonte degli eventi: fatale ed ineluttabile.
Entrano. Lui si stravacca sulla poltrona dell'albergo, biascicando qualcosa. Non capisco neanche se è russo, da quanto parla male.
Lei, incredibilmente, appare lucida. Tracce d'inglese. Vuole un caffè. Facciamo 'sto caffè.
Bar.
Caffè pronto.
Si, potete portarvelo in camera.
Lei si avvia all'ascensore.
Lui si appoggia con le terga con bancone del bar, ma non si smuove.
Ti levi dai 3 passi?
Fermo lì, piantato come la Concordia sullo scoglio.
Mi guarda.
Biascica. La traduttrice è all'ascensore.
Poi mi prende a braccetto.
Mi tocca fare da cane guida.
Lo porto al'ascensore, dove lei nel frattempo ha versato mezzo caffè. Allora anche tu ci hai dato dentro di vodka.
Salgono in camera, io vado a prendere lo straccio.
E meno male che è solo caffè.
Strafatti.
Porta chiusa.
Anche invertendo i fattori il risultato non cambia: tentativo di aprire la porta con la forza.
Campanello? In russia i campanelli non esistono. Sparano una raffica di ak-47 in aria e chi è all'interno va ad aprire. Ivan, tovarich, tu puortato vuodka, da?
Lui: classico russo biondiccio slavo, manca solo il l'elmetto ssh40 con stella rossa e simbolo divisionale del 4° corpo meccanizzato della guardia. La vodka è già al sicuro: nello stomaco. Spero ci rimanga. Almeno finchè non raggiunge il bagno della camera.
Lei: incredibilmente, una russa che fa apparire femminile un transessuale argentino. Forse è quello il motivo per cui beve: ha una delle poche russe per niente belle del pianeta.
O forse no, berrebbe uguale. L'attrazione dei russi per l'alcool pesante è direttamente proporzionale a quella di un buco nero quando si passa l'orizzonte degli eventi: fatale ed ineluttabile.
Entrano. Lui si stravacca sulla poltrona dell'albergo, biascicando qualcosa. Non capisco neanche se è russo, da quanto parla male.
Lei, incredibilmente, appare lucida. Tracce d'inglese. Vuole un caffè. Facciamo 'sto caffè.
Bar.
Caffè pronto.
Si, potete portarvelo in camera.
Lei si avvia all'ascensore.
Lui si appoggia con le terga con bancone del bar, ma non si smuove.
Ti levi dai 3 passi?
Fermo lì, piantato come la Concordia sullo scoglio.
Mi guarda.
Biascica. La traduttrice è all'ascensore.
Poi mi prende a braccetto.
Mi tocca fare da cane guida.
Lo porto al'ascensore, dove lei nel frattempo ha versato mezzo caffè. Allora anche tu ci hai dato dentro di vodka.
Salgono in camera, io vado a prendere lo straccio.
E meno male che è solo caffè.
venerdì 27 dicembre 2013
Faccio il portiere d'albergo, sono un
turnante.
Turnante significa che, ogni settimana,
ho 3 turni di giorno, due notti e poi due riposi. Ma se il portiere
di notte è in ferie, diventano 5 notti a settimana. E se alcuni
colleghi sono malati, anche qualcuna in più. Ma chiarisco subito:
non intendo affatto lamentarmi di ciò, anzi. E' un lavoro che mi
piace, anche se ammetto che preferisco maggiormente i turni di giorno
che quelli di notte. Ma tant'è, ho un lavoro e pure retribuito, e di
questi tempi ciò mi trasforma in uno degli elementi più invidiati
dal 90% della popolazione.
Come in tutti i lavori, ci sono delle
responsabilità. Di notte sono l'unico addetto al ricevimento
presente. Anzi, sono proprio l'unico di tutta la ditta, almeno fino
all'arrivo dei ragazzi/e della sala colazioni. Ma fino ad allora,
dalle 23 alle 6 del mattino, sono solo. Ed ho l'obbligo di rispondere
delle esigenze della clientela.
La richiesta maggiore riguarda i
cuscini. Il cliente chiama al ricevimento, ed a quel punto gli chiedo
di scendere a prenderseli, perchè non posso assentarmi dal bancone.
Molti ne rimangono contrariati, ma se possibile, li faccio scendere.
Il problema capita quando finisco i cuscini che teniamo nel deposito
della hall. In quel caso devo salire a prenderli. Ecco la procedura:
-chiusura cassa e chiavi infilate in
tasca;
-chiusura albergo, se qualcuno rientra
dovrà aspettare; ovviamente, come sempre in questi casi, qualcuno
rientrerà. E' sempre così al ricevimento: a volte non vedi nessuno
anche per un paio d'ore, poi come ti assenti per farti un caffè,
bere un bicchiere d'acqua o fare la pipì, arriva il mondo.
-salita delle scale fino allo stanzino
biancheria (al terzo piano!); l'ascensore in questo caso è
assolutamente verboten, non posso in alcun modo rischiare di rimanere
chiuso dentro. Chi mai verrebbe a liberarmi, John Mcclane? La legge
di Murphy è sempre in agguato, e la presenza del portiere
all'interno aumenta la probabilità di guasti del 475 %.
Perciò via di corsa fino allo stanzino
(5'' e 3 decimi, record mondiale), afferro i cuscini, afferro le
federe pulite, infilo i cuscini nelle federe e poi tutto di corsa (ma
non troppo o si fa rumore) per altre scale e/o il corridoio fino alla
camera del cliente. Arrivo con un principio di enfisema, ma come dice
il dottor Jones, non sono gli anni. Sono i chilometri.
Non mi resta che bussare.
Beh, tutto questo scalmanassi viene
vanificato dal cliente, che se la prende molto comoda. Tranquillo,
non sono al lavoro! Il mondo gira intorno a te, aspetterà! Che te ne
importa se il portiere si prenderà i vaffa da parte di quello che
aspetta fuori dall'ingresso, e se sono fortunato (ed io lo sono
particolarmente) è il direttore che passava dal centro alle 23.30 e
veniva a chiedermi come va! “Marcellino, ma perchè aveva chiuso? E
dove era?” “Ma niente, lo sa che l'armadio della 107 è collegato
a Narnia, ero andato a fare un saluto al leone ed alla strega.”
(Devo servire un cliente, mica posso lasciare il portone aperto, no?)
Busso per la seconda volta.
-Chi è?-
-(tua nonna in carriola) Sono il
portiere, le ho portato i cuscini-
Dopo di che, cala nuovamente il
silenzio. Non odo rumori di sorta, non si sente neanche la tv, che di
solito a quell'ora tutti tengono accesa al massimo volume possibile
(e per fortuna c'è un limite impostato sui nostri apparecchi).
Attendo, impaziente, mentre il mio
cervello rumina pensieri stragisti. Dai, posa il piedino giù dal
letto, metti le ciabattine e vieni ad aprire e prenderti questi ca**o
di cuscini, muoviti! Rapido, pedazo de burro! (da ciò deducetene che
era di lingua spagnola).
Niente, nessun rumore. Busso
nuovamente.
Non mi risponde neanche.
Notare che questa emerita fa*a mi aveva
appena chiamato dalla camera sul centralino, ed ora non mi apre; ma
chi ti aspettavi che bussasse? Il mostro di Milwaukee? Sono il
portiere, no? Quello a cui, due minuti fa, hai chiesto “Posso avere
due cuscini, per favore?” (puedo haber dos almoadas mas, por
favor?)
Finalmente odo dei rumori, qualcuno si
sta muovendo verso la porta. Ma con comodo, eh! Attendiamo pure che
torni la cometa di Halley, così me la perdo perchè sono dentro un
corridoio con due cuscini in mano!
Finalmente mi apre! Halleluia. Tiè,
beccati 'sti cuscini, ora corro giù al bancone.
-Un momento, per favore-
Ed ora cosa c'è? Non me lo dice.
Accosta la porta – Non vada via!- Ma io ho fretta, me la darai
domani la mancia, va bene lo stesso, dai! Lui insiste, ma io telo.
Devo tornare al ricevimento, non posso stare qui ad attendere lui che
frughi nei sui bagagli alla ricerca di una monetina da 20 centesimi,
col tempo che ci mette a trovarla fa a tempo a finire l'Olocene e
cominciare la prossima era geologica.
Quindi mi faccio il percorso inverso,
gettandomi a rotta di collo giù per le scale. Ovviamente, come
sempre in questi casi, qualcuno sta suonando furiosamente il
campanello. Arrivo trafelato alla porta ed apro. Il/la tipo/a in
attesa avrà da lamentarsi neanche fosse lì da tutta la notte quando
saranno passati si e no un paio di minuti.
“Ma dove ca**o era?”
“Scu...scusi...anf... per...
l'a..attesa, ma.. anf... un cliente... anf.. mi ha chiesto... anf...
un cuscino... e sono salito... anf”
“Ah... me ne porta uno anche a me?”
L'ho infilato nell'affettatrice e
servito la mattina sul buffet delle colazioni al posto del
prosciutto.
lunedì 23 dicembre 2013
La Sara lavora in
uno degli alberghi più belli della città, un piccolo 3 stelle con
una grande sala del ricevimento il cui soffitto è totalmente
affrescato. Una meraviglia fiorentina che rende più piacevole il
soggiorno per chi è turista e più piacevole il lavoro chi è
dipendente. E pure più piacevoli i sonnellini per i lavoratori
notturni (parlo con cognizione di causa: ci ho lavorato).
Diventa
meno piacevole quando capitano clienti stracciamaroni, come un paio
di giorni fa.
Coppia
di amiche americane over 70 ed over truccate. Molto over truccate.
Modello 5 cm di spessore di fondotinta e labbra rosso fuoco.
Mantengono sul mercato una mezza dozzina di negozi di cosmetici (e di
edilizia). Innalzano a defcon 5 la disperazione della cameriera e del
lavandaio: la prima deve cambiare le lenzuola tutti i giorni perchè
irrimediabilmente macchiate di fard e/o rossetto, il secondo perchè
non manda via le suddette macchie neanche con lavaggio a temperatura
da altoforno.
Il
problema è che sono anche irrimediabilmente distratte. O forse
sarebbe meglio dire irrimediabilmente anziane. Esempio: arrivano al
ricevimento per chiedere orari di treni e/o bus da Firenze per
qualche dozzina di cittadine (Siena, Pisa, Novosibirsk, Okazaki...),
di solito accompagnando la richiesta da vezzeggitivi tipo “Honey”
“Sweetie” “Darling”; la Sara (o la sua collega Cecile)
trovano e stampano gli orari richiesti in 10'' 42, record mondiale
tra i professionisti del bancone. Solo che, una volta fatto ciò, le
signore si sono volatilizzate. Distratte dall'età avanzata, o
semplicemente dall'assenza di materia grigia, sono uscite
dimenticandosi della richiesta che avevano fatto, lasciando l'addetta
al ricevimento con i fogli stampati in mano, che resta lì come
un'allocca e con la domanda “ma perchè non ho accettato quel
lavoro nella miniera di amianto del Congo Belga?”.
Ovviamente
quando le signore tornano in albergo, l'addetta al ricevimento gli
darà i fogli stampati precedentemente “Ecco gli orari
dell'astronave per Omicron Persei 8 che mi avevate chiesto”, ma le
signore replicheranno “Ah, ma noi non le volevamo! Noi vogliamo
andare a ….” (inserite una località a caso). In totale passano
al ricevimento ¾ del loro intero soggiorno. Ok, è un bellissimo
ricevimento, ma se sei venuta a Firenze, visita Firenze, no?
Tre
giorni fa scendono al bancone a chiedere informazioni: vogliono
andare in gita a Capri. Una giornata.
Mia
moglie, prima di perdere tempo a cercare i dati che servono sul
motore di ricerca, chiede una conferma alle signore: siete sicure?
Sapete che dovrete partire molto presto? Si tratta di passare ben 3
ore di treno fino a Napoli sola andata, poi in bus dalla stazione
fino al porto della città partenopea (non ci siamo mai stati, ma ne
deduciamo sia così) e poi in traghetto fino a Capri. E poi c'è
tutto il viaggio di ritorno, in totale sono più di 8 ore solo su
mezzi di trasporto, e...
… le
signore non comprendono...
…...
… why
a boat?
….
REALLY?
CAPRI IS AN ISLAND? OH MY GOOOOOOD!
venerdì 20 dicembre 2013
L'ho
detto altre volte e lo ripeto: gli indiani che arrivano a chiedermi
informazioni mi suscitano la stessa quantità di simpatia che mi dà
vedere silvio nello studio di vespa, o galliani che festeggia il
solito rigoretto.
Turno di mattina mattina, alle 10.30 (prendete nota dell'orario) arrivano questi
clienti indiani (moglie, marito e figlia di 8 anni) a chiedermi di
fare un tour pomeridiano del Chianti. Privato. Gielo richiedo:
sicuro che volete un tour privato? Solo voi? Si, siamo sicuri. Ok,
chiamo un'agenzia di tour, nello specifico la Ciao Florence (che sono
carinissimi). Devono metterci un pò perchè, essendo sotto Pitti,
non ci sono molti autisti disponibili, ma dopo 10 minuti mi
richiamano: si può fare. 4 ore, auto privata con autista che li
porta in giro, compresa degustazione di vini in una fattoria locale.
Costo: 400 eurini.
Gli indiani, che erano tanto sicuri, se ne stanno 10 minuti a chiacchiera a decidere che fare. La figlia si spalla sul divano, mentre apprende come diventare pure lei una stracciamaroni di prima categoria, appena un livello sotto il presidente del kerala. Alla fine mi chiedono di avere gli orari per Pisa perchè in mattinata vogliono andare a vedere la torre pendente prima che questa si stufi anche lei degli indiani e decida di cadere per non dover osservare più questo strazio. Com'è ovvio, volendoci un'ora per andare ed una per tornare con il treno, non farebbero in tempo a vedere bene la torre, visto che il tour, se decidono di farlo, parte alle 13 (il primo treno, dall'ora che vi avevo indicato, parte alle 11, e mancavano ormai pochi minuti). Decidono, finalmente, che per oggi niente Pisa. Ma niente Chianti per ora, mi faranno sapere. Escono. Decido di aspettare un quarto d'ora e poi di chiamare la Ciao Florence per dirgli che non vanno, perchè non è possibile che tengano tutto in sospeso per i loro porci comodi, c'è gente che lavora, e so benissimo che questi sono capaci di non farmi sapere più niente; e nel frattempo l'agenzia e l'autista attenderebbero invano di sapere che vogliono fare della loro vita (il suicidio sarebbe l'opzione più preferibile).
Beh, dopo 10 minuti mi chiama la Ciao Florence dicendo che gli indiani stessi li avevano contattati da poco per chiedergli quanto costava un tour privato del Chianti. Lei gli aveva detto la stessa cifra, evidentemente i tipi sospettavano che avessi ricaricato il prezzo per lucrarci sopra. Invece non ci avevamo messo un centesimo in più (perchè comunque la Ciao Florence ci dà una commissione, oltre al fatto che sono una persona abbastanza onesta e non voglio crearmi casini dove non c'è ragione che ci siano). Gli indiani rientrano sorridenti, hanno trovato un italiano onesto, mi rendo conto che non siamo tanti ma sempre più numerosi degli indiani normali; vogliono fare il tour, ma non privato, costa troppo. Un tour normale, mischiati con altri turisti (ovviamente in inglese). Prima però mi chiedono se fosse possibile noleggiare un'auto ed avere una guida privata. E lì passo un quarto d'ora a dirgli che auto a noleggio adesso non se ne trovano, sono già le 11.30 (con Pitti poi), oltre al fatto che non conosco guide del Chianti e che comunque nessuna andrebbe in un'auto privata con gente sconosciuta. Quindi tour normale, dai che ce la possiamo fare!
Ci sono due tipi di tour: uno costa 42 euri a persona e l'altro 70 (la figlia paga la metà). Mi chiedono la differenza tra i due: come è scritto nel depliant (che non leggono, devo dirgli a voce tutto io) il primo è un semplice giro con sosta in fattoria per degustazione vini, partenza ore 14 rientro ore 19.30. Il secondo comprende anche la cena con rientro ore 22.30.
Il tipo ci pensa un pò, poi mi fa: perchè uno costa 42 e l'altro 70?
Molto pazientemente, glielo ridico per la seconda volta.
Il tipo si mette a chiacchierare con la moglie,dopo 10 minuti torna alla carica: che differenza c'è tra i due tour?
Maschero la mia forte volontà di estrarre il mio ak-47 (lo tengo sempre sotto al bancone, sappiatelo) ed innaffiarli di piombo, e gli ripeto la differenza. Altri 10 minuti di chiacchiere in indiano tra moglie e marito, poi alla fine la decisione finale: ok per il tour.
Chiamo subito la Ciao Florence prima che cambino di nuovo idea e mi chiedano un tour per gli anelli di Saturno. Preparo il voucher, mi faccio pagare subito in contanti (ed anche lì 10 minuti di chiacchiere) e finalmente se ne vanno.
Ma queste economie emergenti non vanno, stanno emergendo troppo. Urge un abbassamento del pil indiano. Di un -735 %.
Gli indiani, che erano tanto sicuri, se ne stanno 10 minuti a chiacchiera a decidere che fare. La figlia si spalla sul divano, mentre apprende come diventare pure lei una stracciamaroni di prima categoria, appena un livello sotto il presidente del kerala. Alla fine mi chiedono di avere gli orari per Pisa perchè in mattinata vogliono andare a vedere la torre pendente prima che questa si stufi anche lei degli indiani e decida di cadere per non dover osservare più questo strazio. Com'è ovvio, volendoci un'ora per andare ed una per tornare con il treno, non farebbero in tempo a vedere bene la torre, visto che il tour, se decidono di farlo, parte alle 13 (il primo treno, dall'ora che vi avevo indicato, parte alle 11, e mancavano ormai pochi minuti). Decidono, finalmente, che per oggi niente Pisa. Ma niente Chianti per ora, mi faranno sapere. Escono. Decido di aspettare un quarto d'ora e poi di chiamare la Ciao Florence per dirgli che non vanno, perchè non è possibile che tengano tutto in sospeso per i loro porci comodi, c'è gente che lavora, e so benissimo che questi sono capaci di non farmi sapere più niente; e nel frattempo l'agenzia e l'autista attenderebbero invano di sapere che vogliono fare della loro vita (il suicidio sarebbe l'opzione più preferibile).
Beh, dopo 10 minuti mi chiama la Ciao Florence dicendo che gli indiani stessi li avevano contattati da poco per chiedergli quanto costava un tour privato del Chianti. Lei gli aveva detto la stessa cifra, evidentemente i tipi sospettavano che avessi ricaricato il prezzo per lucrarci sopra. Invece non ci avevamo messo un centesimo in più (perchè comunque la Ciao Florence ci dà una commissione, oltre al fatto che sono una persona abbastanza onesta e non voglio crearmi casini dove non c'è ragione che ci siano). Gli indiani rientrano sorridenti, hanno trovato un italiano onesto, mi rendo conto che non siamo tanti ma sempre più numerosi degli indiani normali; vogliono fare il tour, ma non privato, costa troppo. Un tour normale, mischiati con altri turisti (ovviamente in inglese). Prima però mi chiedono se fosse possibile noleggiare un'auto ed avere una guida privata. E lì passo un quarto d'ora a dirgli che auto a noleggio adesso non se ne trovano, sono già le 11.30 (con Pitti poi), oltre al fatto che non conosco guide del Chianti e che comunque nessuna andrebbe in un'auto privata con gente sconosciuta. Quindi tour normale, dai che ce la possiamo fare!
Ci sono due tipi di tour: uno costa 42 euri a persona e l'altro 70 (la figlia paga la metà). Mi chiedono la differenza tra i due: come è scritto nel depliant (che non leggono, devo dirgli a voce tutto io) il primo è un semplice giro con sosta in fattoria per degustazione vini, partenza ore 14 rientro ore 19.30. Il secondo comprende anche la cena con rientro ore 22.30.
Il tipo ci pensa un pò, poi mi fa: perchè uno costa 42 e l'altro 70?
Molto pazientemente, glielo ridico per la seconda volta.
Il tipo si mette a chiacchierare con la moglie,dopo 10 minuti torna alla carica: che differenza c'è tra i due tour?
Maschero la mia forte volontà di estrarre il mio ak-47 (lo tengo sempre sotto al bancone, sappiatelo) ed innaffiarli di piombo, e gli ripeto la differenza. Altri 10 minuti di chiacchiere in indiano tra moglie e marito, poi alla fine la decisione finale: ok per il tour.
Chiamo subito la Ciao Florence prima che cambino di nuovo idea e mi chiedano un tour per gli anelli di Saturno. Preparo il voucher, mi faccio pagare subito in contanti (ed anche lì 10 minuti di chiacchiere) e finalmente se ne vanno.
Ma queste economie emergenti non vanno, stanno emergendo troppo. Urge un abbassamento del pil indiano. Di un -735 %.
mercoledì 18 dicembre 2013
Caro Babbo Natale, intanto scusa se ti scrivo solo ora dopo 43 anni, ma sai che vengo da una famiglia di antichi retaggi staliniani, e dalle mie parti più che a te o Gesu Bambino si credeva al baffone che aveva da venì, e poi non è mai venuto, non so quanto bene o male, ma in fondo non m'interessa, anche perché più che il baffone venne il baffino di d'alema in barca, quindi puoi immaginare come ci siamo ridotti, ma mi hanno detto che dovrebbe finire la carriera in Qatar, come il Bati ed i fratelli DeBoer, e spero che non ce lo rimandino indietro quando smetterà. Caro Babbo Natale, la signora salsa di pomodoro speziata (utente di Crazy Hotel) dice che devo scriverti io, e la cosa mi onora tantissimo, perciò parto con le richieste, mettiti comodo e fatti un caffeino che la lista è lunga. Innanzitutto vorremmo dei clienti che dicono sempre buongiorno e buonasera, dei clienti rilassati e felici di essere in vacanza e/o in congresso e/o day user all'insaputa dei rispettivi consorti o qualsiasi sia il motivo del loro soggiorno presso le nostre strutture purché non siano nervosi. Ci vanno bene anche dei clienti pretenziosi, basta che non pretendano di avere il tutto e subito e l'upgrade gratuito, ma capiscano che si, ci facciamo in quattro per aiutarli ma che se desiderano una camera più grande un sovraprezzo devono pagarlo. E comunque sorridano e siano tranquilli. Poi vorremmo che tu allontanassi la sfiga dai nostri alberghi in modo che le caldaie funzionino sempre e forniscano l'h2o calda alla temperatura di fusione del piombo come richiesto dagli asiatici, che l'aria condizionata sia direttamente collegata con il buran siberiano, anche qui come richiesto dai clienti asiatici, e che gli ascensori siano sempre in perfettissima efficienza facendosi trovare al piano quando il cliente preme il pulsantino. Anzi, pure se non premono il pulsantino che molti non lo fanno e poi chiedono "The lift is not working". Mi rendo conto che allontanare la sfiga è estremamente più complesso che non procurarsi pupazzetti di giuseppa maiala made in China da 1,50 € l'uno, ma ti prego di fare un piccolo sforzo. In ultimo vorremmo che i clienti pagassero in anticipo e non facessero storie per le carte di credito, e si rendessero conto che è stressante per noi portieri dover temere una partenza senza pagamento modello Conte Mascetti (quello del film, non l'utente diversamenteastemia di Crazy Hotel), perché poi siamo noi a rimetterci i soldi, di tasca nostra. E lo sai che io sono toscano, poi Gesu Bambino piange perchè urlo a a 200 decibel quello che dissi dopo lo 0-5.
Caro Babbo Natale, spero tu ci comprenda e ci possa accontentare, anche un minimo, tu sei bravo, buono e sorridi sempre, contagia un po' tutto il mondo, specialmente quella parte di mondo che va per alberghi, purtroppo una parte sempre più piccola. E se proprio non ce la fai, potresti sterminare gli amministratori di trippa. Va bene che tu sei buono, ma, come dihano a Roma, quanno ce vo ce vo!
Caro Babbo Natale, spero tu ci comprenda e ci possa accontentare, anche un minimo, tu sei bravo, buono e sorridi sempre, contagia un po' tutto il mondo, specialmente quella parte di mondo che va per alberghi, purtroppo una parte sempre più piccola. E se proprio non ce la fai, potresti sterminare gli amministratori di trippa. Va bene che tu sei buono, ma, come dihano a Roma, quanno ce vo ce vo!
lunedì 16 dicembre 2013
Un pomeriggio estivo scende un cliente italo-americano di mezza età: sandalo,
pantaloncini avana e canotta fantozziana con tanto di regolamentare
macchia d'unto sul panzone prominente.
Un tamarrone di quelli
unici.
Ha in braccio un enorme pacco stracolmo di biancheria. Si stravacca sul divano della hall neanche avesse portato il masso di Sisifo:
"Lei parlare ingles?"
"Yes"
"E dimmi... dove stare qui laundry?"
Non sapevo se rispondergli in inglese od in italiano, alla fine ho fatto anche io un mix di italenglish che se mi sentiva una qualsiasi delle mie insegnanti mi moriva di crepacuore. Oppure mi saltava alla gola modello Homer sul figlio Bart.
Ha in braccio un enorme pacco stracolmo di biancheria. Si stravacca sul divano della hall neanche avesse portato il masso di Sisifo:
"Lei parlare ingles?"
"Yes"
"E dimmi... dove stare qui laundry?"
Non sapevo se rispondergli in inglese od in italiano, alla fine ho fatto anche io un mix di italenglish che se mi sentiva una qualsiasi delle mie insegnanti mi moriva di crepacuore. Oppure mi saltava alla gola modello Homer sul figlio Bart.
Va alla lavanderia automatica e rientra dopo aver lavato la sua roba. Dopo una mezz'oretta esce con la
moglie: lei una signora distinta, anche vestita abbastanza
elegantemente. Lui sempre con la canotta macchiata ed un particolare
che mi ha riempito di gioia: sigaretta appoggiata sull'orecchio. Mi
ha salutato con l'occhiolino "Noi andiamo mangiare".
Un mito!
Un mito!
mercoledì 11 dicembre 2013
Io e mia moglie facciamo i portieri d’albergo. Si, mia moglie fa il mio
stesso lavoro, ma preciso subito: non si tratta dello stesso hotel.
Lavoriamo in due posti diversi. Diciamo che siamo concorrenti, ma questo non ci impedisce di raccontarci tutti gli aneddoti sui turisti che vengono a soggiornare
in queste strutture per visitare la capitale del Rinascimento.
Lo so, siamo dei pettegoli incalliti. Ci piace cianare sui clienti e raccontarci gli aneddoti su di loro, siamo peggio di studio aperto.
Coppia di amiche afroamericane, due donnone di colore sovralimentate a grassi idrogenati e bibite zuccherate. Sapete, quelle tipe parecchio sovrappeso che ondeggiano a destra e sinistra come oche francesi da fois gras, o come una nave della costa crociere in prossimità del Giglio. Si presentano al bancone.
“I want to go to pompiii”
Ora, la Sara è brava e buona, mica un buzzurro come suo marito, ma capirete benissimo che "pompiii" può dare adito a parecchie controversie. Ma è ovvio che il contesto è molto diverso, senza contare che le signore usano il verbo "andare" e non "fare"...
Quindi, alla domanda "May you repeat, please?", le signore ripetono, imperterrite e convinte: “pompiii”
Lei allontana dalla mente l'idea che queste signore afroamericane vogliano andare a trovare Rocco Siffredi, e prova ad immaginarsi qualche cittadina toscana a distanza di un'ora da Firenze che abbia un minimo di assonanza con quel nome, e l'unica che gli viene in mente è Pisa. Volete vedere la torre storta?
“No, pompiiiiii”
Proprio non ci siamo. La Sara è sempre più perplessa, non riesce a decifrare il terribile accento cardassiano delle signore, ma a quel punto la cliente dà l'indicazione suprema:
“The town with the vulcan”
Ora, la Sara non è una nerd come me. Alla parola Vulcan avrei subito chiesto alle signore che al momento non ci sono tour fino al pianeta natale del dottor Spock; una grave mancanza da parte della Ciao Florence ed altre agenzie di tour della città, un pulmann GT con motore a curvatura potrebbero anche approntarlo. Ma lei è donna pratica, sveglia ed intelligente, e capì subito che le sue clienti si riferivano a Pompei. E qui vorrei citare Paolo del blog “Servitevi da soli” con la sua epica battuta “Vah, che fuochi che ha organizzato la pro loco quest'anno”.
Ma a questo punto le donnone fanno la richiesta chiave:
“I want to go at 10 am and come back at 6 pm”
E qui la Sara ha pensato ad un WTF??? di dimensioni storiche.
Pazientemente, spiega alle signore che 8 ore non bastano assolutamente. Ci sono 500 chilometri da Firenze a Pompei. Solo col treno veloce fino a Napoli sono 3 ore sola andata, quindi 6 in totale di viaggio. Poi c'è da trovare il bus per la cittadina sepolta dalla cenere del Vesuvio, ed anche lì almeno un'ora di viaggio A/R ce li spendi. Almeno un 2-3 ore al sito archeologico non ce le vuoi passare? Il totale fa più di 8.
Insomma, si può anche fare, ma a patto di partire molto presto la mattina e tornare tardi la sera. Non certo 10-18.
Le signore si guardano con espressione interrogativa, poi una di loro esordisce con l'affermazione epica:
“Oh, but Italy is so small"
Lo so, siamo dei pettegoli incalliti. Ci piace cianare sui clienti e raccontarci gli aneddoti su di loro, siamo peggio di studio aperto.
Coppia di amiche afroamericane, due donnone di colore sovralimentate a grassi idrogenati e bibite zuccherate. Sapete, quelle tipe parecchio sovrappeso che ondeggiano a destra e sinistra come oche francesi da fois gras, o come una nave della costa crociere in prossimità del Giglio. Si presentano al bancone.
“I want to go to pompiii”
Ora, la Sara è brava e buona, mica un buzzurro come suo marito, ma capirete benissimo che "pompiii" può dare adito a parecchie controversie. Ma è ovvio che il contesto è molto diverso, senza contare che le signore usano il verbo "andare" e non "fare"...
Quindi, alla domanda "May you repeat, please?", le signore ripetono, imperterrite e convinte: “pompiii”
Lei allontana dalla mente l'idea che queste signore afroamericane vogliano andare a trovare Rocco Siffredi, e prova ad immaginarsi qualche cittadina toscana a distanza di un'ora da Firenze che abbia un minimo di assonanza con quel nome, e l'unica che gli viene in mente è Pisa. Volete vedere la torre storta?
“No, pompiiiiii”
Proprio non ci siamo. La Sara è sempre più perplessa, non riesce a decifrare il terribile accento cardassiano delle signore, ma a quel punto la cliente dà l'indicazione suprema:
“The town with the vulcan”
Ora, la Sara non è una nerd come me. Alla parola Vulcan avrei subito chiesto alle signore che al momento non ci sono tour fino al pianeta natale del dottor Spock; una grave mancanza da parte della Ciao Florence ed altre agenzie di tour della città, un pulmann GT con motore a curvatura potrebbero anche approntarlo. Ma lei è donna pratica, sveglia ed intelligente, e capì subito che le sue clienti si riferivano a Pompei. E qui vorrei citare Paolo del blog “Servitevi da soli” con la sua epica battuta “Vah, che fuochi che ha organizzato la pro loco quest'anno”.
Ma a questo punto le donnone fanno la richiesta chiave:
“I want to go at 10 am and come back at 6 pm”
E qui la Sara ha pensato ad un WTF??? di dimensioni storiche.
Pazientemente, spiega alle signore che 8 ore non bastano assolutamente. Ci sono 500 chilometri da Firenze a Pompei. Solo col treno veloce fino a Napoli sono 3 ore sola andata, quindi 6 in totale di viaggio. Poi c'è da trovare il bus per la cittadina sepolta dalla cenere del Vesuvio, ed anche lì almeno un'ora di viaggio A/R ce li spendi. Almeno un 2-3 ore al sito archeologico non ce le vuoi passare? Il totale fa più di 8.
Insomma, si può anche fare, ma a patto di partire molto presto la mattina e tornare tardi la sera. Non certo 10-18.
Le signore si guardano con espressione interrogativa, poi una di loro esordisce con l'affermazione epica:
“Oh, but Italy is so small"
sabato 7 dicembre 2013
Capolavori del cinema: Ghandi, 1982.
Ben Kinglsey ottiene l'oscar ed il titolo di Sir per la sua
interpretazione del Mahatma.
Un indiano piccolino, smunto e magro,
con un faccino sorridente. Ispirava tanta simpatia, comprensione per
la loro condizione di colonizzati e biasimo verso gli inglesi.
Bene, scordatevelo.
Gli indiani sono fisicamente prestanti
e/o grassi il triplo delle vacche che allevano nelle loro strade, ed
infondono la stessa simpatia di Jack lo squartatore appena incontrato
in una buia strada londinese, e siete vestiti in minigonna.
Hanno con sé una perenne faccia
incazzata tipo “mi ha appena mollato il/la ragazzo/a con un tweet”
oppure “silvio ha rivinto le elezioni” od anche “abbiamo
beccato 5 gol dai gobbi in casa”. O tutte e 3 le cose assieme.
Voglio dire: sei in vacanza, in un
altro continente. Rilassati, goditi il soggiorno, tantopiù che ti
sorrido pure io.
Macchè, niente. Neanche avessero
ancora gli inglesi in casa. O magari è perchè non ce li hanno più
e quei pochi che arrivano sono ex cantanti/musicisti in cerca di
spiritualità.
Comunque.
Famiglia indiana, 4 persone, alti,
carnagione scura, fisicamente prestanti e completamente l'opposto del
Mahatma. La moglie è veramente una bella donna, non fosse per lo
sguardo perennemente imbronciato. Il marito sfoggia i baffoni neri
tipo anni '70 (gli anni '70 in India durano da sempre, li hanno
inventati loro 5000 anni fa) e faccia da celerino in attesa di
scattare in cieca violenza contro studentelli delle superiori. Hanno
due figlie, 14 e 12 anni e già più alte di me, che mi ispirerebbero
simpatia solo per il fatto che tra loro c'è la stessa differenza di
età che hanno le mie figlie, ma con l'espressione facciale da “tra
un paio d'anni saremo al concorso di miss mondo ed entreremo nel
dorato mondo di Bollywood, chi cazzo sei tu?”
La signora si piazza con i gomiti
appoggiati al banco senza un buongiorno, condizione che già di per
sé mi spinge pericolosamente verso la tentazione di riprodurre la
scena finale di “Once were warriors”. Ai lati le due figlie, come
due leoni ai lati della scalinata, o due fregate di scorta
all'ammiraglia, mentre il marito se ne sta in disparte, attendendo
che le femmine della famiglia decidano cosa fare nei prossimi secoli
a venire, condizione in cui effettivamente mi ritrovo spesso anche a
casa mia.
“I want to go to the Magnolia mall”.
Magnolia mall. Ci metto qualche
nanosecondo a rendermi conto che non l'ho mai sentito nominare.
Ripasso mentalmente tutti gli outlet ed i centri commerciali vicino
Firenze: i Gigli, che ha almeno il richiamo floreale nel nome; il
Barberino Outlet; The Mall, pieno zeppo di borse in pelle cinese da
10 euri con attaccato marchio italiano da 500. Un'altra mezza dozzina
nei dintorni. Ma 'sto Magnolia non l'ho mai sentito.
Provo a dire alla signora questi altri
nomi.
“I want to go to the Magnolia mall,
it's here in Florence. I found it on internet, give me the indication
to go there. Please check”. E comincia a picchiettare sullo schermo
del pc con le lunghe unghie laccate di rosso, mentre le figlie mi
guardano con un'espressione che dice “vediamo quanto ci mette
questo occidentale a soddisfare le nostre aspettative da economia
emergente”.
Sopprimo mentalmente la mia rabbia,
anche perchè comincio a sospettare qualcosa, ed apro google.
Ovviamente trovo subito il centro commerciale Magnolia, ne apro la
pagina e la signora giù a picchiettare sullo schermo “You see? I
want to go there”.
Allora capisco tutto. Il mio sospetto
era giusto, e posso rendere giustizia a secoli di dominazione
inglese, a corti di giustizia lente come vecchi centrocampisti
bolliti dall'età e da troppe partite, ad enormi grattacieli accanto
ai quali sorgono squallide baraccopoli.
“Yes madame, you are right: the
Magnolia mall is in Florence. But Florence in South Carolina, Usa”
Ora, io non ho mai visto l'espressione
di un condannato alla sedia elettrica nel momento in cui si becca il
50mila volts, ma doveva essere proprio come quella della signora
quando le riferii la notizia. In quell'istante lungo un'eternità si
rese conto che, come diceva Nanni, le parole sono importanti. E pure
la loro traduzione. E che Firenze non è Florence, specialmente
quando sul pianeta esistono gli Stati Uniti, dove è di moda dare i
nomi di città europee a piccoli paeselli o giovani baldracche nel
caso della Ville Lumiere.
La signora, senza dire una parola, esce
dall'hotel con le cucciole al seguito. E lì arriva la scena più
bella.
Il marito apre i baffoni e mi sfoggia
un sorriso a 32 denti.
Al che comprendo anni di sopportazione
paziente da parte delle 3 tiranne di casa, che ho bellamente
vendicato, e mi sento finalmente in pace con quest'omone indiano.
Per il resto del soggiorno la signora e
le figlie non mi degneranno di uno sguardo (per loro sventura in quei
giorni sono in turno di giorno, e quindi mi troveranno sempre al
bancone), lasciando il marito il compito di prendere la chiave della
camera e chiedere informazioni. Cosa che farà sempre sorridendo
amabilmente.
Sorriso pienamente contraccambiato.
ps. www.shopmagnoliamall.com Si trova in McLeod Boulevard: cioè, a Florence c'è una via che si chiama McLeod, come l'Highlander dell'omonimo film. Non è fantastico? E dopo un paio d'anni da questa piccola vicenda, ho scoperto che hanno pure una newsletter, a cui sono seriamente tentato di iscrivermi. Giuro, se mai andrò negli States, sarà l'unico centro commerciale in cui andrò. Vorrei dirvi "Vi adoro, yankees", ma non posso perchè sono del South Carolina, perciò intonerò Dixieland.
ps 2. una vicenda simile capitò anche a mia moglie (che come sapete - e se non lo sapete lo saprete ora - fa il mio stesso lavoro), stavolta con due clienti americane. Le quali, quando la Sara gli riferì l'esatta ubicazione del Magnolia mall, scoppiarono in un "Oh my gooood!" e poi in fragorosa risata. Reazione ironica e divertita, ben diversa da quella della signora indiana che toccò al sottoscritto.
ps 2. una vicenda simile capitò anche a mia moglie (che come sapete - e se non lo sapete lo saprete ora - fa il mio stesso lavoro), stavolta con due clienti americane. Le quali, quando la Sara gli riferì l'esatta ubicazione del Magnolia mall, scoppiarono in un "Oh my gooood!" e poi in fragorosa risata. Reazione ironica e divertita, ben diversa da quella della signora indiana che toccò al sottoscritto.
giovedì 5 dicembre 2013
Lavoro
in albergo, sono un portiere.
Mi
piacerebbe poter dire: lavoro in una società calcistica, sono un
portiere. Ma non è così. E comunque, anche lì, dipende sempre.
Fosse la Fiorentina, ad esempio, potrei accettare un patto col
diavolo. Fosse la Nocerina, sarei un po' meno contento. Ma tant'è,
mi consolo pensando che la mia mancanza di talento calcistico è
condivisa con un buon 99% della popolazione del pianeta, e malgrado
ciò qualcuno gioca comunque nella massima serie. Un paio di miei
amici giallorossi, ad esempio, pensano che sia molto meglio di
Goicoechea. E nella mia modestia sono lieto di dire che si, hanno
pienamente ragione.
L'albergo
dove lavoro si trova nel centro di Firenze. Ci si può arrivare con
l'auto ma è, eufemisticamente parlando, un casino. Bisogna stare
attenti alle corsie preferenziali, alle telecamere che il comune pone
entusiasticamente un po' ovunque, cessi compresi, alle stradine
piccole e non percorribili, e malgrado ciò tanti non arrivano a
capire che no, questa non è una città da auto. Ho avuto clienti che
mi hanno chiesto come fare ad andare in auto dall'hotel agli Uffizi,
come se avesse un parcheggio da Disneyland di Los Angeles, e che
purtroppo non accettano la frase “Non è possibile”. Eppure siamo
a 10 minuti 10 a piedi dai musei. Non comprendono che l'unica maniera
per muoversi in auto qui è convincere il Dottore a farsi prestare il
Tardis, andare indietro alla Firenze di 1500 anni fa e convincere
l'assessore all'urbanistica di allora ad edificare strade a 4 corsie
con relativi parcheggi. Una volta lo dissi pure ad un cliente. Mi
guardò come se gli avessi detto che ero la reincarnazione
dell'autista di Lady D, e che avevo finalmente imparato a percorrere
il tunnel dell'Alma.
E
tutto ciò senza tenere conto degli imprevisti, e non sto parlando di
quelli del Monopoli. Mi riferisco alla coincidenza tra i clienti
convinti che il mondo si muova intorno a loro e l'evento mondiale che tutto travolge. In
quel caso otteniamo lo scontro di titani. E nel mezzo purtroppo c'è il portiere.
Un
venerdì, turno di pomeriggio. Arrivo di clienti in auto. Auto
ovviamente noleggiata, sono sudamericani. Scaricano i bagagli e si
presentano al check-in. Come sempre, gli spiego le tariffe del garage
con cui lavoriamo. Dico loro, piantina alla mano, che non hanno
bisogno dell'auto per girare in città, ma loro insistono. Domenica
prendiamo l'auto. Assolutamente.
Niente
e nessuno gli farà cambiare idea.
Domenica.
Settembre
del 490 a.c.
Un
oplite, scansando centinaia di corpi di persiani in putrefazione, si
presenta davanti al suo generale.
-Mi
aveva fatto chiamare, generale Milziade?
-Ah,
Filippide, eccoti qui. Senti 'n po', te c'hai campo?
-Come
dice, generale?
-O
che tu sei? Sordo? T'ho chiesto se tu c'hai campo. Qui e 'un si becca
nulla, 'cidentamme e quando ho fatto i'contratto 'olla 'oppe voce.
-Ma...
io... veramente...
-'Scorta,
e c'ho da chiama' Atene e dinni 'he s'è vinto, ma 'un si piglia;
c'ho bisogno tu mi ci vada te, via.
-Ma...
generale... sono 42 chilometri e 195 metri!
-Tessaglia
maiala, e lo so anch'io quanto c'è da qui ad Atene, ma tu ci devi
andare, pohe storie! Piglia e parti, vai.
-Se
proprio insiste...
-E
insisto si, moviti! E ci 'orsa!
E
così Filippide si sciroppò tutto di corsa fino ad Atene per dire
che i greci avevano battuto i persiani a Maratona. 4-2.
Richiamo
i clienti prima che salgano in camera.
Voi,
domenica, non andate da nessuna parte.
Domenica,
a Firenze, c'è la maratona. La città è off-limits. Imposible.
Verboten. No way. できません
.
Mi
ci vuole una mezz'ora buona per fargli capire che il 90% delle strade
è chiuso perchè ci corrono a piedi; devo pure aprire la pagina
wikipedia alla voce “maratona” in più lingue, ma alla fine lo
comprendono. Almeno così penso.
Illuso.
La
moglie ci ripensa un attimo e torna al bancone.
“Usted
no puede llamar e pedir de hacerla otro dia?”
lunedì 2 dicembre 2013
Oggi parlerò di due argomenti diversi
tra loro: la tassa di soggiorno e la Finlandia.
Il 14 Marzo 2011, con decreto
legislativo n° 23, il governo dell’epoca, guidato da un partito
che si è sempre proclamato contrario alle tasse (sapete, quel
politico brianzolo che prometteva “basta tasse” più altri
miracoli made in italietta), dette la possibilità ai comuni di
istituire, a loro discrezione, l’imposta di soggiorno (per la
serie: noi non le aumentiamo, ma se lo fanno gli altri non è più
responsabilità nostra. Un po’ come Capitan Barbossa che getta a
mare uno e gli dice “non sono io che ti uccido, ma gli squali che
ti mangiano”). Il nostro comune è stato entusiasticamente uno dei
primi a farlo, nel Luglio dello stesso anno.
Per noi portieri è una vera rottura di
scatole.
Intendiamoci: non è che sia contrario
al fatto che i turisti paghino un po’ di tasse (in fondo sporcano
ed a noi tocca pagare le pulizie); il problema è che a riscuotere la
tassa siamo noi. Dobbiamo chiedere ‘sti quattrini ai turisti,
personalmente. Non è che viene qui il sindaco, un qualsiasi addetto
al comune, un funzionario governativo apposito; niente di tutto
questo: hanno delegato la cosa ai portieri. In pratica siamo agenti
di equitalia senza averne lo stipendio. E con l’aggravante che se
un cliente parte senza pagarla, dobbiamo rimettercela noi. Di tasca
nostra. Quando accade si ottiene una sequela di parolacce qui
intrascrivibili. Le stesse che i’ mi’ babbo ed i suoi amici
sparano quando il compagno di carte, su ai’barre di Borgopiano,
cala il carico senza l’adeguata protezione della briscola. O quando
hanno un cinghiale inquadrato nel mirino a venti metri di distanza,
tirano e lo padellano di brutto.
La contabilità dell’azienda per cui
lavoro ci chiede di riscuotere la tassa in contanti. Il motivo di
questa richiesta è semplice e nient’affatto errato: il comune non
ci rende le commissioni del pos quando un cliente ci paga con la
carta. Quindi siamo becchi e bastonati due volte: il portiere deve
riscuotere, e l’azienda pagarci le commissioni bancarie.
Che ganzata, eh? Roba che uno quasi
preferirebbe uno 0-5. Od incontrare un affamato dottor Lecter in una
stradina buia.
Ovviamente, se il cliente arriva e
pretende di pagare la tassa in carta, non possiamo dirgli di no: è
un suo pieno diritto scegliere il metodo di pagamento. Noi dobbiamo
solo adeguarci. Ma di solito pagano quasi tutti in contanti.
Semplicemente avvertiamo i clienti direttamente al check-in che
devono pagare in tale metodo. Quindi il cliente si organizza e va a
prelevare al bancomat con anticipo.
Chiaramente, non tutti lo fanno.
Ad esempio, se un cliente americano mi
parte la mattina e mi dà la carta adducendo che ha solo 25 euri
contanti e gli servono per il taxi che lo porterà al’aeroporto,
mica posso chiedergli di uscire a prelevare al bancomat. Non sarebbe
cortese e gentile, anzi. E di solito gli americani fanno così: alla
partenza si preparano solo i 25 euri per il taxi. Così tornano negli
Usa senza troppi soldi europei, che da loro non possono spendere
(soprattutto gli spiccioli, che in banca non te li cambiano).
Ed ora passiamo ai finnici.
Sono, senza ombra di dubbio, tra i
migliori clienti che ci siano. Come tutti quelli della penisola
scandinava sono cordiali ed educati, salutano sempre ed adorano
l’arte fiorentina. Pagano e non creano problemi. Ed in più hanno
nomi buffi come Lekakhula, Kakavonen, Muukka, Pirikkunen Kakkula,
insomma, una roba che va dai racconti per bambini alla Gianni Rodari
ai film scurrili alla Alvaro Vitali: in ogni caso ci si fanno due
risate tra colleghi.
Ma ovviamente, anche con loro non
mancano casini di vario genere.
Un paio d’anni fa avevo un gruppo di
finnici, una trentina di persone, quasi tutti belli anzianotti, anche
sopra gli 80 anni. Probabilmente reduci della guerra d’inverno coi
sovietici. Insomma, duri ma col sorriso. Rientrano la sera dopo cena,
e mi chiedono dei bicchieri in vetro perché hanno comprato del
chianti e non è carino berlo nei bicchieri di plastica. Così gli
indico il bar, e mi avvio a prenderli. Mi giro per vedere se mi
seguono, ed infatti uno di loro mi viene dietro, uno dei più
anziani.
Troppo anziano.
Inciampa e va a sbattere la testa conto
lo spigolo del cassapanca di legno all’ingresso del bar. E’ una
bella cassapanca, avrà un paio di secoli. Legno duro, massiccio, ci
teniamo dentro la carta intestata. E’ ovvio che tra una capoccia
finlandese ed una cassapanca toscana abbiamo lo stesso confronto che
c’è tra una nave della costa crociere ed una roccia del Giglio:
vince la Toscana, è chiaro. A subire son sempre gli altri.
Essendomi girato, mi sono visto tutta
la scena, ce l’ho ancora in testa al rallentatore: il vecchietto di
Helsinki che incrocia le gambe e va giù di testa come Magnini quando
si tuffa in piscina (o sulla Pellegrini), e la capocciata sulla
cassapanca.
Mi rendo subito conto che s’è fatto
male di brutto. Lui si rialza e dice “Ok, ok!” Ma ok un tubo,
grondi sangue che sembri appena uscito da un episodio di Band of
Brothers! Lo costringo a mettersi a sedere e gli osservo la testa:
tra i radi capelli bianchi si nota un bel taglio profondo, con il
sangue che scorre copioso. Lui fa per rialzarsi ma io lo inchiodo
subito alla sedia: ma te sei matto! Hai scansato i proiettili russi,
lassù in Lapponia nel ’40, e ti fai dissanguare qui da una
cassapanca toscana? Nel mio hotel??? Ma te sei fuori! Ordino alla
moglie, che da brava nordica ascolta disciplinatamente senza
interrompermi, che il marito non deve alzarsi, quindi gli appoggia la
mano sulla spalla; e lui lì fermo e zitto, chiaro indice di
sottomissione alla parte femminile della famiglia (cosa che peraltro
avviene spesso anche a casa mia…). A quel punto mi fiondo alla
cassetta del pronto soccorso; inzuppo il cotone di disinfettante e
torno dal finnico; appoggio il cotone sulla ferita ed ordino alla
moglie di tenercelo bene, premendo con forza, cosa che fa subito (il
marito ormai è rassegnato e subisce in silenzio. O forse si è reso
finalmente conto che trattasi di cosa seria, visto che quel che gli
cola lungo la guancia e gli macchia i vestiti non è sudore ma
sangue). Quindi corro al telefono per chiamare il 118. Ovviamente
comunico subito all’operatrice il problema: il taglio sulla testa
che perde sangue, ma che il soggetto sta bene e non è in pericolo di
vita. La tipa mi dice ok bravo ora non lo tocchi più ed aspetti
l’ambulanza. Bene, mi tranquillizzo. Io, il mio, l’ho fatto. Ora
devo solo attendere gli esperti del settore, affinchè compiano il
loro dovere.
L’ambulanza arriva in pochi minuti,
ed i soccorritori si precipitano dentro… smollando l’ambulanza
nel mezzo alla strada. Ovviamente bloccando il traffico. Dopo neanche
3 secondi che i paramedici sono al capezzale del finnico, arriva
dentro un tassista che si lamenta del parcheggio selvaggio
dell’ambulanza. Al che il paramedico ribatte che lui ha un’urgenza
e quando ci sono le urgenze non sta a sottilizzare e gli altri si
attaccano perché può esserci un pericolo di vita, e la vita viene
prima della fretta di un tassista… non ha tutti i torti, ma io
avevo detto all’operatrice che non era urgente. Vabbè, dopo il
breve battibecco (ed ho il mio daffare a calmarli, perché avevano
già cominciato ad alzare la voce tutt’eddue, e quando due
fiorentini alzano la voce si possono superare i 200 decibel), il
paramedico torna sull’ambulanza e la parcheggia… meglio (con una
ruota sul marciapiede, di traverso… ma comunque le auto ed i pedoni
passano… più o meno…) e torna dentro ad assistere la collega
paramedica che sta esaminando la ferita. Si portano via il
danneggiato, che tornerà in albergo dopo un paio d’ore, con
un’evidente fasciatura in testa a coprire i punti che gli avevano
applicato. Li mostrò orgoglioso a tutta la combriccola, il giorno
dopo alle colazioni, ed io notavo interessato che tutti lo guardavano
con una strana ammirazione… un italiano sarebbe stato additato come
un pirla. Ah, particolare interessante: la moglie non seguì il
marito nell’ambulanza fino all’ospedale. Smollò il marito ai
paramedici ed andò a dormirsela in camera. Non so se fosse freddezza
tra coniugi o freddezza nordica; sulle prime propendevo per la
seconda, ma poi mia moglie mi fece notare che molto probabilmente la
signora finnica voleva bersi il famoso chianti con gli altri
componenti della gita. Evidentemente sopra i 60 conta più l’alcool
dei rapporti tra coniugi. Spero solo in quel di Helsinki.
Ma passiamo al secondo aneddoto:
finnici + tassa di soggiorno:
Turno di mattina, coppia lappone sui 60
in partenza. Camera prenotata con agenzia, devono pagare solo la
tassa di soggiorno.
Arrivano con la carta di credito.
Gli chiedo gentilmente se hanno i
contanti.
No, abbiamo solo la carta di credito
perché i contanti ci servono per il taxi.
Mi prendi in giro? In Finlandia avete
l’euro, non è che se ti avanzano degli spiccioli ti rimangono i
saccoccia, come è successo a me per gli yen e le vecchie sterline
irlandesi.
Ma tant’è, non posso mica rivolgermi
così alla cliente. Sorrisone. Benissimo, signora, può pagarla con
la carta.
Mi allunga la tessera, e la infilo
dalla parte del chip nella macchinetta. Digito l’importo e porgo il
pos alla signora affinchè digiti il pin.
Bip. Esce il cedolino. Transazione
rifiutata, pin errato.
La signora mostra subito segni
d’impazienza. Ho fatto il numero giusto.
Ok, vabbene, riproviamo, ma in cuor mio
so benissimo che è una perdita di tempo: la signora sta digitando il
pin errato. Ed infatti…. Bip… transazione rifiutata.
Nuova carta, la signora è sempre più
impaziente. Nuovo pin, e, indovinate un po’? Neanche questo è
giusto, terzo cedolino del pos, altra transazione rifiutata.
La signora emette il suo verdetto: il
suo pos non funziona. Eccerto, la colpa è sempre degli altri, è
sicura di non avere parenti italiani? Ma non posso dirglielo, tocca
subire ‘sta pantomima in silenzio.
Il marito, molto più tranquillo, mi dà
la sua carta, la terza. Non posso fare a meno di notare come tutte e
3 le carte siano pressoché uguali, identiche. Stesso colore, stesso
disegno, stessa banca finnica… so già come andrà a finire. Il
marito digita il pin e…bip. Transazione rifiutata.
La signora punta il dito sulla
macchinetta, la sentenza è inderogabile, direttamente dalla corte
suprema di Helsinki, gemellata con quella indiana del Kerala: il suo
pos non funziona, non è buono. E’ ovvio, ha funzionato bene tutta
la mattina ma ora che è arrivata lei si è guastato.
Immaginate la mia faccia: sorriso
accondiscendente fuori, giramento di balle sotto; questa cosa sta
facendo perdere tempo a tutti, ed innervosisce inutilmente la
cliente, che per colpa sua si finisce anche per rimetterci noi,
perchè se sa usare internet e qualche social forum del ca**o ci
lascia anche un pessimo commento. E’ il momento di tirare fuori il
classico coniglio dal cilindro: estraggo la carta dalla macchinetta
del pos e sul tastierino vado al menù per selezionare l’opzione
per digitare il numero di carta. Inserisco le 16 cifre, la data di
scadenza e l’importo. In 3 secondi netti il pos compie il suo bravo
dovere e sputa fuori il cedolino della transazione andata a buon
fine; a quel punto devo solo chiedere al cliente la firma, invece di
digitare pin errati. Cosa che fa in silenzio ma con sorrisetto
malizioso. La moglie invece zitta, non emette un fiato, forse si sta
rendendo conto che è un po’ pirla, perché se la macchinetta ha
funzionato in un modo doveva funzionare anche nell’altro, ma a quel
punto, come direbbero a Roma, “nun me ne po’ frega de meno”. Ha
pagato, tanto basta. Si va avanti: sorrisone, emetto la ricevuta,
ecco a lei (al marito ovviamente), apro il sito della compagnia taxi
e gliene chiamo uno, tempo due minuti e saranno solo un semplice
aneddoto. Uno dei pochi sui finlandesi.
Ma se tanto mi dà tanto, non ne
mancheranno altri.
Stay tuned.
venerdì 29 novembre 2013
Molti cari amici (e/o semplici
conoscenti) mi domandano, dato che il mio lavoro prevede anche le
notti, se ci sono clienti che chiedono la “coperta” (cioè, detto
papale papale, la prostituta che sale in camera per “riscaldare”
il cliente). E se è vero che abbiamo l’agendina segreta con i
numeri di telefono di tali lavoratrici. E mi si domanda pure se
prendo una percentuale, magari “in natura”…
So di darvi profonde delusioni
(specialmente ai miei amici di sesso maschile) ma la risposta è no,
su tutta la linea.
Il motivo è semplicissimo: questo non
è un posto da prostitute.
Voglio dire: qui da noi vengono turisti
visitare la città ed i monumenti più belli del mondo: Ponte
Vecchio, palazzo della Signoria, Gli Uffizi, i’Davidde, gustarsi la
Fiorentina, intesa come bistecca, abitante della città o squadra di
calcio (4-2), eccetera. Quindi chi viene qui sono al 99% coppie o
famiglie.
Ora, immaginatevi di essere con la
vostra famiglia, magari con figli piccoli, a farvi la giusta e
meritata colazione prima di partire all’assalto dei musei. E nel
tavolino accanto va a sedersi un troione nella sua regolamentare
divisa d’ordinanza da troione, e cioè:
-petto a balconcino. Ma più che
balconcino, terrazza panoramica. Una roba che ci potrebbe
apparecchiare con tanto di piatti, posate, bicchiere, megabottiglia
da due litri di h2o marca Perrier (la più gasata al mondo) e vaso di
fiori;
-minigonna uterina. Il modello visita
ginecologica, quello che il ginecologo fa “si spogli signorina…
ah, è già spogliata”
-Tacco 97, modello trampoli trafugati
al circo Orfei.
Non credo che ne sareste contenti,
magari se aveste anche voi figli/e nel periodo di età che guardano,
indicano ed a 127 decibel esclamano “babbo, guarda, quella donna è
nuda!”.
Tutti si domanderebbero “Ma in che
razza di posto sono capitato?”
Mi rendo perfettamente conto che ci
sono donne che si vestono così pur non essendo prostitute, o che un
cliente potrebbe prenotare una matrimoniale e venire con una
prostituta (ed avendo prenotato per due, non posso obiettare niente),
ma di solito non succede. Non in alberghi come quelli dove lavoro io,
almeno. Qui vengono i turisti. I turisti si vestono comodi. Insomma,
non è che sia facile girare lemmi lemmi dentro gli Uffizi con un
tacco 97.
L’altra principale ragione per cui è
sempre bene evitare nel modo più assoluto prostitute in hotel è che
possono succedere casini inimmaginabili. Poniamo che la tipa ed il
cliente non si trovino per la “tariffa” e/o le “prestazioni”…
ed immaginatevi un litigio furibondo in una camera alle 3 di notte.
Stiamo parlando di una persona che
vende il proprio corpo ed una che compra un corpo. Non sono persone
con tutte le rotelle al loro posto, alterchi fuori controllo sono
altamente probabili. Vanno evitati assolutamente.
Insomma, chi vuole una prostituta non
la porta qui. Va da lei e consuma da lei.
L’anno scorso mi capitò un tipo,
italiano, della mia età. Cercava una singola, e dato che era quasi
mezzanotte e diverse camere ancora libere, gliene offrii una ad un
buonissimo prezzo.
“Bene, la prendo”
“Documenti e pagamento, grazie”
“Ed un po’ di compagnia me la può
trovare?”
WTF?????
“Ehm… no, mi spiace, qui non è
possibile, la direzione è contraria”
“Ma a noi che ce ne frega del
direttore?”
Eh, già, bello, tanto NON E’ il tuo
direttore. E’ il mio, ed il cazziatone me lo becco io, mica tu.
Il tipo se ne va sdegnato (cioè, se
l’è anche presa perché io non ho rischiato la parte di merda per
coprire uno che neanche conosco, signora mia in che mondo viviamo),
ma dopo mezz’ora torna, potere delle tariffe super-scontate
dell’ultimo minuto (pagamento prima di salire in camera, gracias.
Vedere moneta comprare cammello). Verso l’una scende, si fa servire
un whisky e mi chiede come può fare per trovare “compagnia”.
Dove ti pare, prova a farti un giretto nei dintorni della stazione,
basta che non la porti qui. Vai, consumi e quando torni mi suoni il
campanello perché mi chiudo dentro per sicurezza. E così avvenne.
In compenso mentre beveva il suo superalcolico fece in tempo a
raccontarmi metà della sua vita di rappresentante di
non-ricordo-cosa separato con figli più altri dati che ho
prontamente rimosso dalla mia mente, e se non fosse avvenuto avrei
accettato volentieri una lobotomia.
Però su una cosa vi ho mentito.
Ebbene si, numeri di telefono li ho
avuti.
Anni ed anni fa, quando cominciai a
lavorare qui ebbi l’occasione, per imparare a conoscere l’albergo
ed il lavoro, di fare un paio di turni con il portiere di notte
dell’epoca, mio omonimo. Un tipo simpatico e con il fisico non
indifferente, ma la voglia di lavorare inversamente proporzionale a
tale fisico. Questo è anche il motivo per cui venni ribattezzato
“Marcellino”, proprio per distinguermi dall’altro “Marcello”.
E tutt’ora sono conosciuto come tale qui dentro, benché lui non
lavori più con noi.
Ovviamente l’uso di tale soprannome
da parte di chi non è mio collega di lavoro è severamente proibito
dal decreto presidenziale numero 127 del Luglio 2002, e chi ne
contravvede andrà incontro a sanzioni penali e possibile (anzi,
certa) pena capitale, e nessun avvocato potrà aiutarvi (vale per
tutti gli avvocati che stiano leggendo).
Ok, non divaghiamo.
Il mio omonimo mi fornì i numeri di
telefono di alcune donnine che bazzicavano nei dintorni (per essere
più precisi: il marciapiede qui di fronte). Li usai anche in un paio
di casi a chi me li chiedeva, ma tengo a precisare: tali donnine
avevano il loro appartamento nei dintorni, ed il cliente andava a
consumare lì. Trattavasi di sudamericane attempate, che vennero pure
a presentarsi (si sai, le public relations sono fondamentali per
stare sul mercato) e dato che non ero un cliente si presentarono con
i loro veri nomi (scoprii che con la clientela usano nomi falsi. Nomi
d’arte, diciamo.…) e mi confidarono (senza che lo chiedessi) il
99,9 % della loro vita: ex mariti, figli piccoli rimasti dai nonni in
qualche baraccopoli sudamericana e qualcuno in età adulta con vita
indipendente che ovviamente non sapeva dell’attività lavorativa
della madre, pettegolezzi sui clienti e sulle loro richieste di
prestazioni… fa un po’ strano vedersi arrivare queste signore che
si presentano ed esordiscono con un “sai, ieri notte ho avuto una
nottataccia, un cliente voleva il c**o ma aveva un ca**o troppo
grosso, una cosa enorme, gli ho detto di no ma lui insisteva e ci ho
anche litigato e bla bla bla, ah, qui ho la foto dei miei figli,
abitano a Montevideo” intanto la mia mascella sbatacchiava per
tutta la hall. Può anche darsi che mi raccontassero un sacco di
balle, non lo so (e non mi interessa), ma almeno una foto di ragazzi
adolescenti in compagnia di una signora molto anziana me la ricordo.
Presumo che non vi fossero molte occasioni di lavoro “normale”
per madri single nelle degradate periferie sudamericane. La cosa più
triste era comunque vedere queste signore passeggiare sul marciapiede
della via durante la notte, ma devo spendere un punto a favore
dell’attuale amministrazione comunale, visto che da qualche anno
sono sparite, e spero ardentemente che abbiano anche smesso di
praticare invece di spostarsi semplicemente in qualche periferia
bronxiana fiorentina. Anche perché da quando le conobbi sono già
passati 10 anni, e due di loro erano abbondantemente sopra la
sessantina….
Una notte di parecchi anni fa, proprio
di fronte ed a pochi metri dalle sudamericane, si mise a “battere”
un transessuale (malgrado le tette enormi si vedeva lontano un miglio
che era un uomo). La cosa ovviamente non fu presa bene dalle signore
che cominciarono a dirgli di andarsene, e quindi ad alzare la voce.
Il trans si mise a parlare al telefono, e dopo un po’ ne apparve un
altro, tanto per aggiungere un urlo (da baritono) in più, e si era
già formato un capannello di gente che osservava. Non andò a finire
molto bene: i due trans presero a menare una delle sudamericane, la
più agguerrita, un donnone 50enne che era un po’ la capopopolo
della combriccola; le sue amiche si volatilizzarono in un
nanosecondo; lei, essendo ovviamente picchiata da quelli che, in fin
dei conti, sono comunque due uomini, non trovò di meglio che
attraversare la strada ed infilarsi nel mio albergo. Io fui
abbastanza pronto a fiondarmi sulla porta e chiuderla a chiave,
quindi alzare la cornetta e chiamare i caramba. I trans, visto che la
porta dell’albergo era chiusa e dalla vetrata potevano vedere il
portiere osservarli minacciosamente (veder menata una donna da due
uomini mi aveva fatto inca**are di brutto) si erano allontanati,
perciò avevo riaperto la porta ed eravamo usciti ad aspettare i
carabinieri, mentre la gente intorno ed il portiere di notte
dell’albergo di fronte ci chiedevano come stava la signora. E
proprio in quel momento i trans sbucarono fuori per attaccare di
nuovo la sudamericana. Io, il collega ed un paio di ragazzi che erano
lì ad osservare ci mettemmo di fronte a protezione della donna; uno
dei trans, nel tentativo di colpirla, prese uno dei ragazzi in
faccia, il quale andò in totale berserk cominciando a menare
furiosamente il trans: una serie di stonfi che avrebbero messo ko
pure il Tyson dei tempi migliori, e che il trans assorbì senza
battere ciglio (potere della plastica), mentre la sua ragazza lo
teneva per l’altro braccio (“Nooo! Amore fermo, vieni via, ‘un
ti ‘onfondè!”). A quel punto ci toccò allontanare il ragazzo
(esimio collega che lavoravi nell’albergo di fronte: grazie, grazie
di esistere e di avermi assistito quella notte. Non sarai mai
dimenticato), che si dileguò non appena arrivarono i caramba.
Effettivamente a parte io l’altro portiere ed i due trans, tutti
gli altri si dileguarono; in un nanosecondo eravamo rimasti solo in
4. Prontamente rispedii il collega nel suo albergo (vai pure, ora me
la vedo io), ed ai caramba mi presentai subito come quello che aveva
chiamato, spiegandogli la situazione. Non fecero tanti discorsi: due
chiacchiere con i trans lì per strada, documentos, prego salite in
auto e puf, spariti anche loro. Fortunatamente, per sempre. Dopo di
chè tornai dentro a recuperare la signora, che se l’era svignata
di nuovo all’interno, chiusa dentro il bagno della hall. Che almeno
per quella notte pensò bene di tornarsene a casa.
Ma se pensate che le disavventure di
marce vs. i trans siano finite vi sbagliate di grosso. Mettetevi
comodi che ora arriva l’aneddoto più grosso (anzi, diciamo il più
imbarazzante, che grosso è un termine che è meglio non usare in
quest’occasione…).
Turno di notte (che altro poteva
essere?): la mia collega del pomeriggio aveva preso passanti 5
ragazzi, pagamento anticipato in contanti, una tripla ed una doppia.
Escono durante la notte. Fin qui, niente di che: ragazzi giovani in
gita fuori porta che fanno la loro brava sortita nella Florence by
night. Rientrano più tardi, vado ad aprire la porta che avevo chiuso
e… non sono soli. Sono in compagnia di 3 transessuali purtroppo
from brazil (a quel punto sarebbe stato meglio from transylvania, ma
tant’è…), probabilmente raccattati da un locale brasiliano a 100
metri da qui (ora chiuso da un 5-6 anni, ma allora – ahimè – in
piena attività). Mi trovo in una situazione imbarazzante, e non so
come reagire. Balbetto e chiedo i documenti ai trans, i quali,
ovviamente, non ce li hanno. Nel frattempo i 5 ragazzi parlano tra
loro e mi rendo conto di non capire niente di ciò che dicono:
napoletano stretto. Anzi, puro. Parente prossimo del cardassiano.
Comprendo molto di più il dialetto di Osaka. E lì mi azzardo a dire
che “senza documenti non posso far salire nessuno che non sia
cliente….”
L’avessi mai fatto.
Il più grosso dei 5 mi si piazza
davanti.
E’ una cosa enorme, potrebbe essere
il linebaker dei New England Patriots, e probabilmente lo è. Al
posto delle braccia ha due obici da campagna crucchi, quelli che
martellavano Verdun giusto un secolo fa; in più pancia prominente
sotto due pettorali da culturista: gli addominali per lui non
esistono, solo bilancieri e manubri. Ho come la sensazione di stare
per diventare uno di quegli attrezzi ed in un attimo il mio imbarazzo
iniziale diventa terrore puro; perdo 170 cm così, in un secondo, e
comprendo quel che provò il Dottor Lemuel Gulliver quando arrivò
nel paese di Brobdignag. Sono praticamente congelato di fronte al
capo ultras del San Paolo, e pare anche dell’umore di quando il
Napoli di Maradona perse dal Milan di Sacchi.
Poi, nella mia lingua madre, mi dice,
in tono imperioso da non ammettere repliche:
“Le ragazze sono con noi”
“V…v….v…..va…b….b….be…be…bene….”
Ma non mi muovo di lì. Mi è
impossibile fare anche un centimetro in qua o là, sono totalmente
paralizzato. Lui tira fuori dalla tasca un rotolone di banconote,
centinaia di fogli arrotolati a cilindro, tutti di colore giallo.
Sfila una della banconote, mi prende la mano, me la apre con il palmo
rivolto all’insù, ci appoggia sopra questi 50 euri e la richiude.
Mi do un buffetto sulla guancia, poi, con un gesto deciso, mi sposta
di lato.
Una barbie avrebbe avuto più vitalità.
Mi passa davanti tutta l’allegra
comitiva, e gli unici che mi salutano sono i brasiliani.
Tono languido. Baritonale.
“Ciaaaao”
Io resto lì come un baccalà per una
decina di minuti, incapace di intendere e volere, poi lentamente mi
riprendo dal torpore. Rientro nell'albergo, chiudo a chiave ed inizio
il mantra del portiere di notte:
speriamononsuccedanientesperiamononsuccedanientesperiamononsuccedaniente…
Si sente un po’ di viavai per i
corridoi e porte che si aprono e chiudono, ma nessun rumore
trascendentale, tutto sembra andare piuttosto bene, fino a che non
sento chiacchiericcio (maschile) in portoghese. Salgo: due trans si
sono messi a chiacchierare sui divani nel pianerottolo davanti
all’ascensore. Gli chiedo se possono scendere nella hall (che non
mi sembra il caso che se ne stiano lì, dato che ci sono camere
vicino ed il chiacchiericcio si può sentire). Molto gentilmente,
acconsentono. Chiedono anche scusa per il rumore. Persone tranquille.
La cosa mi rincuora profondamente, anche se manca all’appello
ancora un trans. Per il momento questi li metto in sicurezza
dabbasso, e li invito ad entrare nel bar, che la notte è al buio
assoluto perchè spengo ogni luce.
“Prego, se vi mettete qui in silenzio
vi offro un caffè”.
L’avessi mai fatto.
“Obrigado! Tu sei muito gentile…”
E mentre sono lì che preparo i caffè,
uno di loro viene dietro il bancone del bar, mi si avvicina, mi
guarda negli occhi (ed io che guardo senza capire, come un deficente)
… ed allunga la mano verso il basso, direzione: il mio compagno di
vita sessuale.
Mi risveglio dal torpore e,
istintivamente, mi ritraggo. Schienata contro la macchina del caffè.
“Nonono, guarda, ti ringrazio, ma non
mi interessa. Ti faccio tutto il caffè che vuoi, ma solo quello,
davvero. Sono affetto da evidente e conclamata eterosessualità. Ma
apprezzo l’interessamento, come avessimo già fatto”.
Lui (malgrado il trucco e gli ormoni,
non riesco ad usare il pronome personale femminile, spero comprenda)
è visibilmente deluso “Peccato, un così beu ragazzo…” Grazie
delle belle parole, la mia ragazza (oggi moglie, nda) è d’accordo
con te, riferirò questa uniformità di pensiero.
Era meglio di no, la Sara mi prende per
il c**o ancora oggi (lei ha facoltà. Voi, no. Comma 3 del decreto
presidenziale di cui sopra, nda).
Preparo i caffè e me la svigno al
bancone.
In quel momento scendono dei clienti:
partenza mattutina. Attimi di terrore, spero che non vedano i trans,
che figuraccia ci si farebbe (e ci farei io). Ma i due brasiliani si
infilano nell’angolo più buio del bar, in silenzio. Impossibile
vederli dal bancone. Ho come la sensazione che non siano nuovi a
questo tipo di situazione. Faccio il check-out ai clienti.
Normalmente a chi parte presto la mattina e non può quindi usufruire
della colazione offro sempre un caffè, ma con questi non mi azzardo.
Loro non me lo chiedono. Pagano, gli chiamo il taxi per l’aeroporto
ed alla via così.
Mi rilasso, dopo qualche minuto scende
anche l’ultimo trans; ha due tette enormi, ed una voce più
femminile degli altri due; indubbiamente non ha lesinato in quanto ad
ormoni ed interventi chirurgici. Si mette a chiacchiera con i due
amici, al che, essendo quasi le 5 e dato che a momenti sarebbe
arrivata la ragazza delle colazioni, mi avvicino:
“Vi chiamo un taxi?”
Traduzione: “quando vi levate dai 3
passi?”.
Capiscono subito.
Vai col taxi, arriva in due minuti. I 3
escono. Li osservo dalla vetrata, e prima di salire sull’auto uno
dei 3 mi guarda e si passa la lingua sulle labbra. Un gesto che mi ha
sempre fatto ridere più che provare eccitazione, ma dopo una nottata
del genere mi aiutò a rilassarmi, perché significava che anche
quella disavventura era finita. Il taxi parte ed io mi sfogo
nell’unico modo possibile in quel momento: un facepalm di
dimensioni colossali.
Certo, rimane sempre mia moglie, che
quando vuole prendermi in giro (un paio di volte al giorno) abbassa
il tono di voce e mi fa “Ciaaao”, per poi passarsi la lingua
sulle labbra, ma tant’è, questo è quel che mi tocca quando si
deve condividere tutto con una donna come la Sara. Ma quello è il
meno. L'importante è che non mi capitino più eventi del genere. Ma
dato il mio lavoro, non ci giurerei.
Ciaaaaoooo.
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