Oggi parlerò di due argomenti diversi
tra loro: la tassa di soggiorno e la Finlandia.
Il 14 Marzo 2011, con decreto
legislativo n° 23, il governo dell’epoca, guidato da un partito
che si è sempre proclamato contrario alle tasse (sapete, quel
politico brianzolo che prometteva “basta tasse” più altri
miracoli made in italietta), dette la possibilità ai comuni di
istituire, a loro discrezione, l’imposta di soggiorno (per la
serie: noi non le aumentiamo, ma se lo fanno gli altri non è più
responsabilità nostra. Un po’ come Capitan Barbossa che getta a
mare uno e gli dice “non sono io che ti uccido, ma gli squali che
ti mangiano”). Il nostro comune è stato entusiasticamente uno dei
primi a farlo, nel Luglio dello stesso anno.
Per noi portieri è una vera rottura di
scatole.
Intendiamoci: non è che sia contrario
al fatto che i turisti paghino un po’ di tasse (in fondo sporcano
ed a noi tocca pagare le pulizie); il problema è che a riscuotere la
tassa siamo noi. Dobbiamo chiedere ‘sti quattrini ai turisti,
personalmente. Non è che viene qui il sindaco, un qualsiasi addetto
al comune, un funzionario governativo apposito; niente di tutto
questo: hanno delegato la cosa ai portieri. In pratica siamo agenti
di equitalia senza averne lo stipendio. E con l’aggravante che se
un cliente parte senza pagarla, dobbiamo rimettercela noi. Di tasca
nostra. Quando accade si ottiene una sequela di parolacce qui
intrascrivibili. Le stesse che i’ mi’ babbo ed i suoi amici
sparano quando il compagno di carte, su ai’barre di Borgopiano,
cala il carico senza l’adeguata protezione della briscola. O quando
hanno un cinghiale inquadrato nel mirino a venti metri di distanza,
tirano e lo padellano di brutto.
La contabilità dell’azienda per cui
lavoro ci chiede di riscuotere la tassa in contanti. Il motivo di
questa richiesta è semplice e nient’affatto errato: il comune non
ci rende le commissioni del pos quando un cliente ci paga con la
carta. Quindi siamo becchi e bastonati due volte: il portiere deve
riscuotere, e l’azienda pagarci le commissioni bancarie.
Che ganzata, eh? Roba che uno quasi
preferirebbe uno 0-5. Od incontrare un affamato dottor Lecter in una
stradina buia.
Ovviamente, se il cliente arriva e
pretende di pagare la tassa in carta, non possiamo dirgli di no: è
un suo pieno diritto scegliere il metodo di pagamento. Noi dobbiamo
solo adeguarci. Ma di solito pagano quasi tutti in contanti.
Semplicemente avvertiamo i clienti direttamente al check-in che
devono pagare in tale metodo. Quindi il cliente si organizza e va a
prelevare al bancomat con anticipo.
Chiaramente, non tutti lo fanno.
Ad esempio, se un cliente americano mi
parte la mattina e mi dà la carta adducendo che ha solo 25 euri
contanti e gli servono per il taxi che lo porterà al’aeroporto,
mica posso chiedergli di uscire a prelevare al bancomat. Non sarebbe
cortese e gentile, anzi. E di solito gli americani fanno così: alla
partenza si preparano solo i 25 euri per il taxi. Così tornano negli
Usa senza troppi soldi europei, che da loro non possono spendere
(soprattutto gli spiccioli, che in banca non te li cambiano).
Ed ora passiamo ai finnici.
Sono, senza ombra di dubbio, tra i
migliori clienti che ci siano. Come tutti quelli della penisola
scandinava sono cordiali ed educati, salutano sempre ed adorano
l’arte fiorentina. Pagano e non creano problemi. Ed in più hanno
nomi buffi come Lekakhula, Kakavonen, Muukka, Pirikkunen Kakkula,
insomma, una roba che va dai racconti per bambini alla Gianni Rodari
ai film scurrili alla Alvaro Vitali: in ogni caso ci si fanno due
risate tra colleghi.
Ma ovviamente, anche con loro non
mancano casini di vario genere.
Un paio d’anni fa avevo un gruppo di
finnici, una trentina di persone, quasi tutti belli anzianotti, anche
sopra gli 80 anni. Probabilmente reduci della guerra d’inverno coi
sovietici. Insomma, duri ma col sorriso. Rientrano la sera dopo cena,
e mi chiedono dei bicchieri in vetro perché hanno comprato del
chianti e non è carino berlo nei bicchieri di plastica. Così gli
indico il bar, e mi avvio a prenderli. Mi giro per vedere se mi
seguono, ed infatti uno di loro mi viene dietro, uno dei più
anziani.
Troppo anziano.
Inciampa e va a sbattere la testa conto
lo spigolo del cassapanca di legno all’ingresso del bar. E’ una
bella cassapanca, avrà un paio di secoli. Legno duro, massiccio, ci
teniamo dentro la carta intestata. E’ ovvio che tra una capoccia
finlandese ed una cassapanca toscana abbiamo lo stesso confronto che
c’è tra una nave della costa crociere ed una roccia del Giglio:
vince la Toscana, è chiaro. A subire son sempre gli altri.
Essendomi girato, mi sono visto tutta
la scena, ce l’ho ancora in testa al rallentatore: il vecchietto di
Helsinki che incrocia le gambe e va giù di testa come Magnini quando
si tuffa in piscina (o sulla Pellegrini), e la capocciata sulla
cassapanca.
Mi rendo subito conto che s’è fatto
male di brutto. Lui si rialza e dice “Ok, ok!” Ma ok un tubo,
grondi sangue che sembri appena uscito da un episodio di Band of
Brothers! Lo costringo a mettersi a sedere e gli osservo la testa:
tra i radi capelli bianchi si nota un bel taglio profondo, con il
sangue che scorre copioso. Lui fa per rialzarsi ma io lo inchiodo
subito alla sedia: ma te sei matto! Hai scansato i proiettili russi,
lassù in Lapponia nel ’40, e ti fai dissanguare qui da una
cassapanca toscana? Nel mio hotel??? Ma te sei fuori! Ordino alla
moglie, che da brava nordica ascolta disciplinatamente senza
interrompermi, che il marito non deve alzarsi, quindi gli appoggia la
mano sulla spalla; e lui lì fermo e zitto, chiaro indice di
sottomissione alla parte femminile della famiglia (cosa che peraltro
avviene spesso anche a casa mia…). A quel punto mi fiondo alla
cassetta del pronto soccorso; inzuppo il cotone di disinfettante e
torno dal finnico; appoggio il cotone sulla ferita ed ordino alla
moglie di tenercelo bene, premendo con forza, cosa che fa subito (il
marito ormai è rassegnato e subisce in silenzio. O forse si è reso
finalmente conto che trattasi di cosa seria, visto che quel che gli
cola lungo la guancia e gli macchia i vestiti non è sudore ma
sangue). Quindi corro al telefono per chiamare il 118. Ovviamente
comunico subito all’operatrice il problema: il taglio sulla testa
che perde sangue, ma che il soggetto sta bene e non è in pericolo di
vita. La tipa mi dice ok bravo ora non lo tocchi più ed aspetti
l’ambulanza. Bene, mi tranquillizzo. Io, il mio, l’ho fatto. Ora
devo solo attendere gli esperti del settore, affinchè compiano il
loro dovere.
L’ambulanza arriva in pochi minuti,
ed i soccorritori si precipitano dentro… smollando l’ambulanza
nel mezzo alla strada. Ovviamente bloccando il traffico. Dopo neanche
3 secondi che i paramedici sono al capezzale del finnico, arriva
dentro un tassista che si lamenta del parcheggio selvaggio
dell’ambulanza. Al che il paramedico ribatte che lui ha un’urgenza
e quando ci sono le urgenze non sta a sottilizzare e gli altri si
attaccano perché può esserci un pericolo di vita, e la vita viene
prima della fretta di un tassista… non ha tutti i torti, ma io
avevo detto all’operatrice che non era urgente. Vabbè, dopo il
breve battibecco (ed ho il mio daffare a calmarli, perché avevano
già cominciato ad alzare la voce tutt’eddue, e quando due
fiorentini alzano la voce si possono superare i 200 decibel), il
paramedico torna sull’ambulanza e la parcheggia… meglio (con una
ruota sul marciapiede, di traverso… ma comunque le auto ed i pedoni
passano… più o meno…) e torna dentro ad assistere la collega
paramedica che sta esaminando la ferita. Si portano via il
danneggiato, che tornerà in albergo dopo un paio d’ore, con
un’evidente fasciatura in testa a coprire i punti che gli avevano
applicato. Li mostrò orgoglioso a tutta la combriccola, il giorno
dopo alle colazioni, ed io notavo interessato che tutti lo guardavano
con una strana ammirazione… un italiano sarebbe stato additato come
un pirla. Ah, particolare interessante: la moglie non seguì il
marito nell’ambulanza fino all’ospedale. Smollò il marito ai
paramedici ed andò a dormirsela in camera. Non so se fosse freddezza
tra coniugi o freddezza nordica; sulle prime propendevo per la
seconda, ma poi mia moglie mi fece notare che molto probabilmente la
signora finnica voleva bersi il famoso chianti con gli altri
componenti della gita. Evidentemente sopra i 60 conta più l’alcool
dei rapporti tra coniugi. Spero solo in quel di Helsinki.
Ma passiamo al secondo aneddoto:
finnici + tassa di soggiorno:
Turno di mattina, coppia lappone sui 60
in partenza. Camera prenotata con agenzia, devono pagare solo la
tassa di soggiorno.
Arrivano con la carta di credito.
Gli chiedo gentilmente se hanno i
contanti.
No, abbiamo solo la carta di credito
perché i contanti ci servono per il taxi.
Mi prendi in giro? In Finlandia avete
l’euro, non è che se ti avanzano degli spiccioli ti rimangono i
saccoccia, come è successo a me per gli yen e le vecchie sterline
irlandesi.
Ma tant’è, non posso mica rivolgermi
così alla cliente. Sorrisone. Benissimo, signora, può pagarla con
la carta.
Mi allunga la tessera, e la infilo
dalla parte del chip nella macchinetta. Digito l’importo e porgo il
pos alla signora affinchè digiti il pin.
Bip. Esce il cedolino. Transazione
rifiutata, pin errato.
La signora mostra subito segni
d’impazienza. Ho fatto il numero giusto.
Ok, vabbene, riproviamo, ma in cuor mio
so benissimo che è una perdita di tempo: la signora sta digitando il
pin errato. Ed infatti…. Bip… transazione rifiutata.
Nuova carta, la signora è sempre più
impaziente. Nuovo pin, e, indovinate un po’? Neanche questo è
giusto, terzo cedolino del pos, altra transazione rifiutata.
La signora emette il suo verdetto: il
suo pos non funziona. Eccerto, la colpa è sempre degli altri, è
sicura di non avere parenti italiani? Ma non posso dirglielo, tocca
subire ‘sta pantomima in silenzio.
Il marito, molto più tranquillo, mi dà
la sua carta, la terza. Non posso fare a meno di notare come tutte e
3 le carte siano pressoché uguali, identiche. Stesso colore, stesso
disegno, stessa banca finnica… so già come andrà a finire. Il
marito digita il pin e…bip. Transazione rifiutata.
La signora punta il dito sulla
macchinetta, la sentenza è inderogabile, direttamente dalla corte
suprema di Helsinki, gemellata con quella indiana del Kerala: il suo
pos non funziona, non è buono. E’ ovvio, ha funzionato bene tutta
la mattina ma ora che è arrivata lei si è guastato.
Immaginate la mia faccia: sorriso
accondiscendente fuori, giramento di balle sotto; questa cosa sta
facendo perdere tempo a tutti, ed innervosisce inutilmente la
cliente, che per colpa sua si finisce anche per rimetterci noi,
perchè se sa usare internet e qualche social forum del ca**o ci
lascia anche un pessimo commento. E’ il momento di tirare fuori il
classico coniglio dal cilindro: estraggo la carta dalla macchinetta
del pos e sul tastierino vado al menù per selezionare l’opzione
per digitare il numero di carta. Inserisco le 16 cifre, la data di
scadenza e l’importo. In 3 secondi netti il pos compie il suo bravo
dovere e sputa fuori il cedolino della transazione andata a buon
fine; a quel punto devo solo chiedere al cliente la firma, invece di
digitare pin errati. Cosa che fa in silenzio ma con sorrisetto
malizioso. La moglie invece zitta, non emette un fiato, forse si sta
rendendo conto che è un po’ pirla, perché se la macchinetta ha
funzionato in un modo doveva funzionare anche nell’altro, ma a quel
punto, come direbbero a Roma, “nun me ne po’ frega de meno”. Ha
pagato, tanto basta. Si va avanti: sorrisone, emetto la ricevuta,
ecco a lei (al marito ovviamente), apro il sito della compagnia taxi
e gliene chiamo uno, tempo due minuti e saranno solo un semplice
aneddoto. Uno dei pochi sui finlandesi.
Ma se tanto mi dà tanto, non ne
mancheranno altri.
Stay tuned.
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