giovedì 11 dicembre 2014


La pazienza è una gran virtù. Ad avercela.

Perchè quando i brasiliani beccano 7 randellate dai crucchi, beh, mi sento vendicato anch'io. Me ne hanno combinate diverse, per la loro furia ed esigenza nell'essere serviti combinata con il menefreghismo verso il prossimo.

Ad esempio: una volta 3 persone prenotarono, tramite noi del bancone, un tour per qualche parte di Firenze o Toscana, non ricordo quale perchè non ero in turno. Volevano pagare con carta di credito, e l'agenzia dei tour disse che avrebbero pagato in questo modo prima di fare il tour, direttamente alla ragazza del bus turistico, che ha con sé il pos portatile.

Beh, questi tizi deciso che non volevano più fare il tour, ma ovviamente non dissero niente. Non si preoccuparono di avvertire noi o l'agenzia che avevano cambiato idea. Il giorno del tour questi semplicemente non si presentarono. Ed il tour partì pure in ritardo perchè li aspettò. Il mondo gira intorno a loro, perchè scomodarsi ad avvertirlo dei loro cambiamenti d'umore? Roba chiamare Rio ed assoldare un paio di strafatti di crack per un lavoretto medioevale al loro ritorno in patria.

E poi ci fu la signora brasiliana sul quintale che, non riuscendo a telefonare dalla camera, venne giù al bancone a farsi aiutare con il telefono di servizio. E standosene lì una mezz'ora ad urlare a 256 decibel che “Firenze muito linda”.

Il problema è che ragazzi venuti dal Brasile, e non mi riferisco ai cloni del Fuhrer, qui nell'albergo dove lavoro, sono una massa di gente cinquantenne con panze abnormi da churrascheria a colazione, pranzo e cena, mogli di vent'anni più giovani fisicamente ma vent'anni più vecchie di testa, ed una discreta quantità di soldi raccattati troppo in fretta.

Un gruppo di una dozzina di questi esemplari, quasi certamente figli della nomenklatura alta del paese sudamericano (quelli che decidono di spendere il 67% del pil per stadi senza senso lasciando il resto della popolazione alla fame, in particolare nella zona di Manaus, con grande biasimo dei suoi abitanti e di Mister No), arrivò un pomeriggio che da tranquillo diventò improvvisamente infernale: pretese oltre ogni misura.

Noi vogliamo che i bagagli vengano portati in albergo!

Mi spiace signore, ma a parte che il facchinaggio non è previsto nella vostra prenotazione, il facchino non può uscire dall'albergo.

Voi italiani non avete voglia di fare niente, noi vogliamo il bagaglio qui, ora, subito!

Guardi, non è possibile (faccia conto che abbia ricevuto un avata kedrava e vada a prendersi le sue ca**o di valigie da solo). Si chiamano “regole dell'albergo”. Valgono per tutti, si, incredibile, vero? Qui vige la democrazia, quella del sergente Hartmann in particolare. I servizi dell'albergo valgono dentro l'albergo, non fuori. Ed il facchinaggio va prenotato, non puoi pretendere di averlo quando ti pare a te!

Questi non sentivano ragioni. Una polemica senza fine.

Alla fine i vari maschi della combriccola vanno a prendersi le valigie dal pulmino che li aveva portati fin lì, una quarantina di samsonite ognuna sopra il quintale, messe tutte insieme pesavano più di un Panzer. E stronfiavano che nessuno li aiutava.

Il mio impatto successivo con queste bestie (scusate, ma non trovo altri termini) fu un paio di giorni dopo. Ero in turno di notte. Ovviamente il collega del pomeriggio mi istruisce sull'infinità di problemi montati dai brasiliani: praticamente tutti avevano cambiato camera perchè non erano di loro gusto: con vista sul duomo, accanto a quella dei loro amici e larga quanto Piazzale Michelangelo. Ed ovviamente non capivano che non avevamo così tante camere con quelle caratteristiche, oltre al fatto che non ne avevano prenotata una, di camere superiori con vista.

Poco prima di mezzanotte i brasiliani rientrano e si piazzano nel bar, ed una signora, una tipa dall'età anagrafica di 35 anni ma dall'aspetto della Santanchè dopo una nottata romano-mondana a base di sesso e droga, mi viene a chiedere di servirli.

Ed in quel momento, come sempre in quei casi, mi capitano 5 camere 5 di cinesi. Perchè gli asiatici arrivano sempre alle 23.30, anche dopo, non so quale cacchio di volo arriva a Peretola a quest'ora, ma una qualche coincidenza con Parigi o Francoforte dall'estremo oriente.

E' ovvio che tra servire gente al bar e fare dei check-in, la priorità va a quest'ultimi. Quindi dissi alla brasileira che mi spiaceva, ma dovevano aspettare.

L'avessi mai fatto.

Arriva al banco il marito della Santanchè di Recife: 60 anni accumulatisi tutti nel girovita. Una pancia abnorme della grandezza d'una boa marina.

Mentre sto raccogliendo i passaporti cinesi, mi appare davanti questo matto e mi fa, tutto tronfio e serio, con vocione pavarottiano:

-Io soy brasileiro!-

Ed io, indicando la pancia

-E se l'è mangiato tutto lei, il Brasile?-

Diventò più rosso della bandiera nazionale dei cinesi, con sbuffi di vapore che uscivano abbondanti dalle orecchie. Non fosse stato per il bancone e la pancia, avrebbe cercato di mollarmi un ceffone.

Pensai che era meglio prevenirsi.

-Guardi, mi spiace ma la priorità è per i check-in. Abbia la bontà di attendere. Io vi servirò ciò che volete, ma prima ci sono i check-in, poi faccio il bar. Rilassatevi, tanto ci sono i divani, mettetevi tranquilli, ok?-

Bene o male capì quel che dicevo e tornò a riferire agli amici. I quali urlarono roba in portoghese ridendo sguaiatamente, quasi certamente qualcosa di sarcastico sulla penisola.

Dopo che i cinesi avevano finalmente capito quel che gli dicevo nel pochissimo inglese che conoscevano (“Breakfast from 7 to 10” “What?” “Breakfast” “Ah, blekfalt”) e se ne erano saliti nelle loro camere, andai al patibolo: a servire i brasiliani. I quali mi accolsero neanche fossi stata una ballerina del sambodromo: con la ola ed urla di approvazione.

Servii una dozzina di roba tra whisky, gin tonic od altra roba superalcoolica. Segno tutto ed addebito. Poi, quasi mezzanotte, arrivò l'ultima camera del giorno: due ragazzette giapponesi.

Con mio grande piacere, le ragazze parlano solo giapponese, e posso utilizzare questa lingua per il cui studio ho speso tanta passione, tempo ed una discreta quantità di denaro. Mentre stanno per salire, riappare al banco la brutta copia della Santanchè per chiedere ulteriori beveraggi, quando dalla saletta del bar arrivano urla e risate animalesche.

Le ragazze giapponesi allungano la testa: -なに?- (che sta accadendo?)

-ブラジリア . じん. みんなうるさいです. ごめんなさい - (brasiliani. Sono tutti casinisti. Mi spiace).

Le nipponiche scoppiano a ridere in quella maniera così deliziosa come solo loro sanno fare (con la manina davanti alla bocca) e mentre si avviano all'ascensore gli auguro la meritata buona notte (oyasumi nasai) con un profondo e regolamentare inchino come da legislazione Yamato di 32 secoli fa. Ovviamente ricambiato.

La signora brasiliana, al sentirmi cianare in nipponico, prima aveva strabuzzato gli occhi, poi si mise in un algolo con sguardo altezzoso ma senza dire una parola. Come l'ascensore si chiude mi avvio al bar con la brasiliana alla calcagna, ed in que momento dice in portoghese una cosa che capisco benissimo:

-Parli giapponese ma non portoghese-

E con un discreto tono di disprezzo.

A quel punto mi blocco, mi giro verso di lei e la guardo dritto negli occhi.

E gli sparo il mio personale 7-1, il mio crudele schiaffo morale:

-Il giapponese mi piace. Il portoghese no-

E se non mi uccise all'istante, aveva un formidabile autocontrollo. Perchè gli lessi una chiarissima volontà omicida.

ps. In realtà il portoghese mi piace tantissimo. E' la mancanza di tempo, che mi frega.


Nessun commento:

Posta un commento