La pazienza è una
gran virtù. Ad avercela.
Perchè quando i
brasiliani beccano 7 randellate dai crucchi, beh, mi sento vendicato
anch'io. Me ne hanno combinate diverse, per la loro furia ed esigenza
nell'essere serviti combinata con il menefreghismo verso il prossimo.
Ad esempio: una
volta 3 persone prenotarono, tramite noi del bancone, un tour per
qualche parte di Firenze o Toscana, non ricordo quale perchè non ero
in turno. Volevano pagare con carta di credito, e l'agenzia dei tour
disse che avrebbero pagato in questo modo prima di fare il tour,
direttamente alla ragazza del bus turistico, che ha con sé il pos
portatile.
Beh, questi tizi
deciso che non volevano più fare il tour, ma ovviamente non dissero
niente. Non si preoccuparono di avvertire noi o l'agenzia che avevano
cambiato idea. Il giorno del tour questi semplicemente non si
presentarono. Ed il tour partì pure in ritardo perchè li aspettò.
Il mondo gira intorno a loro, perchè scomodarsi ad avvertirlo dei
loro cambiamenti d'umore? Roba chiamare Rio ed assoldare un paio di
strafatti di crack per un lavoretto medioevale al loro ritorno in
patria.
E poi ci fu la
signora brasiliana sul quintale che, non riuscendo a telefonare dalla
camera, venne giù al bancone a farsi aiutare con il telefono di
servizio. E standosene lì una mezz'ora ad urlare a 256 decibel che
“Firenze muito linda”.
Il problema è che
ragazzi venuti dal Brasile, e non mi riferisco ai cloni del Fuhrer,
qui nell'albergo dove lavoro, sono una massa di gente cinquantenne
con panze abnormi da churrascheria a colazione, pranzo e cena, mogli
di vent'anni più giovani fisicamente ma vent'anni più vecchie di
testa, ed una discreta quantità di soldi raccattati troppo in
fretta.
Un gruppo di una
dozzina di questi esemplari, quasi certamente figli della
nomenklatura alta del paese sudamericano (quelli che decidono di
spendere il 67% del pil per stadi senza senso lasciando il resto
della popolazione alla fame, in particolare nella zona di Manaus, con
grande biasimo dei suoi abitanti e di Mister No), arrivò un
pomeriggio che da tranquillo diventò improvvisamente infernale:
pretese oltre ogni misura.
Noi vogliamo che i
bagagli vengano portati in albergo!
Mi spiace signore,
ma a parte che il facchinaggio non è previsto nella vostra
prenotazione, il facchino non può uscire dall'albergo.
Voi italiani non
avete voglia di fare niente, noi vogliamo il bagaglio qui, ora,
subito!
Guardi, non è
possibile (faccia conto che abbia ricevuto un avata kedrava e
vada a prendersi le sue ca**o di valigie da solo). Si chiamano
“regole dell'albergo”. Valgono per tutti, si, incredibile, vero?
Qui vige la democrazia, quella del sergente Hartmann in particolare.
I servizi dell'albergo valgono dentro l'albergo, non fuori. Ed il
facchinaggio va prenotato, non puoi pretendere di averlo quando ti
pare a te!
Questi non
sentivano ragioni. Una polemica senza fine.
Alla fine i vari
maschi della combriccola vanno a prendersi le valigie dal pulmino che
li aveva portati fin lì, una quarantina di samsonite ognuna sopra il
quintale, messe tutte insieme pesavano più di un Panzer. E
stronfiavano che nessuno li aiutava.
Il mio impatto
successivo con queste bestie (scusate, ma non trovo altri termini) fu
un paio di giorni dopo. Ero in turno di notte. Ovviamente il collega
del pomeriggio mi istruisce sull'infinità di problemi montati dai
brasiliani: praticamente tutti avevano cambiato camera perchè non
erano di loro gusto: con vista sul duomo, accanto a quella dei loro
amici e larga quanto Piazzale Michelangelo. Ed ovviamente non
capivano che non avevamo così tante camere con quelle
caratteristiche, oltre al fatto che non ne avevano prenotata una, di
camere superiori con vista.
Poco prima di
mezzanotte i brasiliani rientrano e si piazzano nel bar, ed una
signora, una tipa dall'età anagrafica di 35 anni ma dall'aspetto
della Santanchè dopo una nottata romano-mondana a base di sesso e
droga, mi viene a chiedere di servirli.
Ed in quel
momento, come sempre in quei casi, mi capitano 5 camere 5 di cinesi.
Perchè gli asiatici arrivano sempre alle 23.30, anche dopo, non so
quale cacchio di volo arriva a Peretola a quest'ora, ma una qualche
coincidenza con Parigi o Francoforte dall'estremo oriente.
E' ovvio che tra
servire gente al bar e fare dei check-in, la priorità va a
quest'ultimi. Quindi dissi alla brasileira che mi spiaceva, ma
dovevano aspettare.
L'avessi mai
fatto.
Arriva al banco il
marito della Santanchè di Recife: 60 anni accumulatisi tutti nel
girovita. Una pancia abnorme della grandezza d'una boa marina.
Mentre sto
raccogliendo i passaporti cinesi, mi appare davanti questo matto e mi
fa, tutto tronfio e serio, con vocione pavarottiano:
-Io soy
brasileiro!-
Ed io, indicando
la pancia
-E se l'è
mangiato tutto lei, il Brasile?-
Diventò più
rosso della bandiera nazionale dei cinesi, con sbuffi di vapore che
uscivano abbondanti dalle orecchie. Non fosse stato per il bancone e
la pancia, avrebbe cercato di mollarmi un ceffone.
Pensai che era
meglio prevenirsi.
-Guardi, mi spiace
ma la priorità è per i check-in. Abbia la bontà di attendere. Io
vi servirò ciò che volete, ma prima ci sono i check-in, poi faccio
il bar. Rilassatevi, tanto ci sono i divani, mettetevi tranquilli,
ok?-
Bene o male capì
quel che dicevo e tornò a riferire agli amici. I quali urlarono roba
in portoghese ridendo sguaiatamente, quasi certamente qualcosa di
sarcastico sulla penisola.
Dopo che i cinesi
avevano finalmente capito quel che gli dicevo nel pochissimo inglese
che conoscevano (“Breakfast from 7 to 10” “What?” “Breakfast”
“Ah, blekfalt”) e se ne erano saliti nelle loro camere, andai al
patibolo: a servire i brasiliani. I quali mi accolsero neanche fossi
stata una ballerina del sambodromo: con la ola ed urla di
approvazione.
Servii una dozzina
di roba tra whisky, gin tonic od altra roba superalcoolica. Segno
tutto ed addebito. Poi, quasi mezzanotte, arrivò l'ultima camera del
giorno: due ragazzette giapponesi.
Con mio grande
piacere, le ragazze parlano solo giapponese, e posso utilizzare
questa lingua per il cui studio ho speso tanta passione, tempo ed una
discreta quantità di denaro. Mentre stanno per salire, riappare al
banco la brutta copia della Santanchè per chiedere ulteriori
beveraggi, quando dalla saletta del bar arrivano urla e risate
animalesche.
Le
ragazze giapponesi allungano la testa: -なに?-
(che sta accadendo?)
-ブラジリア
.
じん.
みんなうるさいです.
ごめんなさい
-
(brasiliani. Sono tutti casinisti. Mi spiace).
Le nipponiche
scoppiano a ridere in quella maniera così deliziosa come solo loro
sanno fare (con la manina davanti alla bocca) e mentre si avviano
all'ascensore gli auguro la meritata buona notte (oyasumi nasai) con
un profondo e regolamentare inchino come da legislazione Yamato di 32
secoli fa. Ovviamente ricambiato.
La signora
brasiliana, al sentirmi cianare in nipponico, prima aveva strabuzzato
gli occhi, poi si mise in un algolo con sguardo altezzoso ma senza
dire una parola. Come l'ascensore si chiude mi avvio al bar con la
brasiliana alla calcagna, ed in que momento dice in portoghese una
cosa che capisco benissimo:
-Parli giapponese
ma non portoghese-
E con un discreto
tono di disprezzo.
A quel punto mi
blocco, mi giro verso di lei e la guardo dritto negli occhi.
E gli sparo il mio
personale 7-1, il mio crudele schiaffo morale:
-Il giapponese mi
piace. Il portoghese no-
E se non mi uccise
all'istante, aveva un formidabile autocontrollo. Perchè gli lessi
una chiarissima volontà omicida.
ps. In realtà il
portoghese mi piace tantissimo. E' la mancanza di tempo, che mi
frega.
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